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Donne e Uomini, Politica Gennaio 9, 2009

L’IMBROGLIO DELLA PARITA’

Come saprete, l’Europa ci “invita” a parificare tra i sessi l’età pensionabile: 65 anni per tutti, uomini e donne. Ci inviterebbe a essere pari anche sul lavoro (trattato di Lisbona), e non solo all’uscita: almeno il 60 per cento di occupazione femminile. E invece siamo al 46.7 per cento, terzultimo posto, con enormi differenze tra Nord (quasi 75 per cento) e Sud (nemmeno 35 per cento). Ma su questo non sembra esserci altrettanta fretta e attenzione da parte del governo, nonostante tutte le analisi concordino sul fatto che aumento dell’occupazione femminile e aumento del Pil siano praticamente sinonimi. C’è poi il fatto che le pensioni delle donne sono vistosamente inferiori a quelle degli uomini, corrispettivamente alla differenza di retribuzioni: e anche qui, nessun impegno per sanare la palese ingiustizia. E infine, ma sarebbe la questione da considerare per prima, noi italiane che oggi andiamo “comodamente” in pensione a 60 anni siamo le europee che erogano più ore-lavoro domestico e di cura, lavoro non monetizzato e non valutato ai fini pensionistici, visto che i nostri uomini non se ne fanno in alcun modo carico: ma anche qui, si fa finta di non vedere.

Ergo: nella mia vita io ho lavorato molto più di un uomo, guadagnando molto meno di un uomo, ed erogando moltissimo lavoro invisibile e gratuito, ma solo alla fine divento miracolosamente pari a un uomo, parità nominale e beffarda che mi viene inflitta come una condanna (anche se poi nei fatti resto impari, visto che la mia pensione sarà notevolmente più bassa). Se si deve riformare, riformiamo tutto.

Mi pare che ci sia molta materia di discussione. E allora discutiamone.

Donne e Uomini, economics, Politica Dicembre 11, 2008

LUSSI CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE

madonna dei raccomandati

madonna dei raccomandati

L’Italia è tecnicamente in recessione, e ci sono lussi che decisamente non ci possiamo più permettere. Il primo lusso a cui è necessario rinunciare è quello di tenere fuori i meritevoli, i talentuosi e i creativi perché fanno paura e sono poco controllabili, non si accomodano placidamente otto ore alla scrivania a limarsi le unghie o a cincischiare al computer, hanno idee innovative, pretese di cambiamento e costituiscono una minaccia per le gerarchie sonnacchiose.

La meritocrazia non è solo uno slogan elettorale, e può comportare manovre molto dolorose. La congiura dei mediocri contro il talento, perversione della democrazia, deve essere fermata. La quota di raccomandati, cooptati, garantiti, assistiti deve essere riportata a dimensioni fisiologiche. Va restituito spazio ai migliori, nel lavoro, nella ricerca, in politica. Ovunque. Si devono creare le condizioni perché la loro eccellenza non venga più sacrificata.

Questo significa che le regole di accesso, i tempi e i modi dell’organizzazione del lavoro, la logica delle retribuzioni devono rapidamente cambiare, e che le classi dirigenti si devono rapidamente rinnovare. L’obiettivo numero uno è questo. Il che, nel nostro malconcissimo paese, non così lontano dalla Grecia, si fa piuttosto facilmente. Basta aprire da subito spazi alle donne e ai giovani, tenuti fuori dalla gerontocrazia maschile. Un ricambio sessuale e generazionale bell’e pronto. Da subito, però. O di qui non usciremo vivi.

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini Novembre 27, 2008

RAZZISMO O SESSISMO?

nonna e tata

nonna e tata

Quando si dice di continuo che siamo razzisti, mi pare che la cosa la si stia in qualche modo “chiamando”. Che si speri che le cose vadano al peggio, e non si capisce perché.

Non credo che il razzismo sia costitutivo del nostro carattere nazionale. Forse è anche perché siamo il paese dei campanili. Per uno di Orgosolo non c’è senegalese che uguagli per odiosità uno di Orani, per uno di Cinisello nessun marocchino può essere più molesto di uno di Sesto. Le cose le abbiamo sempre sistemate a palii e disfide, se Dio vuole, e forse il campanilismo è un buon presidio contro le degenerazioni razzistiche. E sarà anche perché siamo già un melting pot, e gli ultimi arrivi non possono che aggiungersi ai miscugli pregressi.

Per quel mi riguarda, poi, parlo per me e per la totalità delle mie amiche, con le donne di altri paesi mi trovo benissimo, sono curiosa di come la pensano, di come si vestono e di che cosa cucinano. Mi piace chiacchierare con loro, e quando ci chiacchiero mi rendo conto che i fondamentali che ci uniscono -il poter essere madri, in particolare- sono molto più forti delle differenze che ci dividono. Se lasciassero fare a noi, l’integrazione sarebbe bell’e che fatta. Molte di queste donne ci danno una gran mano, e noi la diamo a loro.

Quello che fa problema non è affatto la razza, ma la violenza di cui non pochi uomini di alcune altre culture sono portatori, l’idea che hanno dei rapporti tra i sessi, la miseria culturale e spirituale in cui ci trascinano: circostanze che ci fanno sentire ancora più minacciate -perché, certo, quello della violenza resta un problema fondamentalmente domestico- e meno libere. L’ennesimo triste capitolo della sex war, insomma. E naturalmente quello che fa problema sono i comportamenti criminali in senso lato: anche qui, quasi solo uomini. Questa è la verità, o più precisamente una parte considerevole della verità.

Chiamiamo le cose con il loro nome, allora. Razzismo non è la parola giusta. E’ qualcos’altro. Sempre che vogliamo capire, e andare avanti, e stare tutti meglio, “noi” e “loro”.

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Novembre 25, 2008

MAMMA, AIUTAMI!

un toro. non una mucca

un toro. mica una mucca

Scrive in un commento Giuly: “C’è questa ricerca dell’Università di Cambridge che sostiene che ci sia la possibilità che le bolle economiche siano un fenomeno maschile legato al livello di testosterone.
Mettiamola in termini di ormoni, di yin e yang, usiamo qualsiasi archetipo o simbolo ma mi sembra veramente incredibile che si possa ancora pensare che il fallimento che è sotto gli occhi di tutti possa essere sanato dallo stesso pensiero unico che lo ha causato. Scusate, sono ripetitiva ma mi sembra ogni giorno più incredibile…”.

Mettiamola così -e per l’ennesima volta, prima o poi ci entrerà in testa…-: che se il genere umano è bisessuato, una ragione ci sarà; e se uno dei due sessi impone la sua differenza come assoluto, se pretende di rimanere solo a decidere delle cose del mondo, lo squilibrio è inevitabile; e se dopo parecchi millenni di questo sistema monosex il pianeta è affaticato e isterilito, a qualche correttivo in direzione di una gestione collaborativamente bisessuata si dovrà pur pensare. Quanto all’economia in particolare, propongo a Giuly e a tutti gli altri una lettura “di genere” della crisi, confortata dalle opinioni di una signora che se ne intende.

Questa mia intervista a Loretta Napoleoni è comparsa su Io donna – Corriere della Sera sabato 22 novembre (un po’ lunghetta, lo so, per un blog, ma fate un sforzo, credo che ne valga la pena).

Se sulla crisi si facesse un sondaggio tra le donne di tutto il mondo, se si chiedesse loro come la stanno vivendo si registrerebbe un’immensa rabbia. Non solo perché non sono state loro a inventare il gioco anti-economico globale che ci ha messi ko, ma anche per il fatto che il loro saper fare economico, con al centro la vita e il desiderio, non viene interpellato.
Vale anche per le dottore in economia. Salvo rare eccezioni: come Loretta Napoleoni, romana trapiantata a Londra, grande esperta mondiale di terrorismo ed economia, consulente di Bbc e Cnn, editorialista per The Guardian, Le Monde, El Paìs, L’Unità e autrice di numerosi saggi.
Una che interviene senza timidezze. Nel suo “I numeri del terrore”, scritto con Ronald J. Bee (Il Saggiatore), ha lucidamente previsto la crisi globale. E condivide l’opportunità di darne una la lettura “di genere”.

“C’è molto malcontento tra le addette ai lavori” conferma “anche se solo a porte chiuse. La paura di esporsi è molto forte. Nel Women in Banking and Finance, network internazionale di operatrici del sistema bancario e finanziario, si dice che se alla guida delle banche ci fossero state delle donne tutto questo non sarebbe successo. Ma far passare i propri criteri è ancora più difficile che arrivare al top”.

E quali sono questi criteri?

L’uomo tende al gioco e all’azzardo: qui, poi, il rapporto tra il rischio e l’eventuale guadagno era sproporzionato. Anche se fosse andato benissimo, cioè, il gioco non sarebbe valso la candela. Per le donne invece il perno è il risparmio”.

L’Islanda alla bancarotta ha chiesto aiuto alla “mamma”: a traghettare il paese sono state chiamate due donne, Elìn Sigfùsdòttir e a Birna Einarsdòttir, con l’idea di “cambiare la cultura rischiosa dei bonus e delle stock option”. Che cosa hanno in mente di fare?

“Hanno impostato un programma di carattere keynesiano: in poche parole, incentivi all’economia reale e abbandono di ogni logica di rischio”.

Ma su questo, più realtà e meno azzardo, oggi sembrerebbero d’accordo tutti, donne e uomini…

“Solo a parole. In realtà di fronte alla necessità di un vero cambiamento gli uomini sono molto reticenti. Il terreno della finanza ad alti rendimenti non è stato affatto abbandonato. La convinzione è che si debba resistere fino al 2009, e poi le cose torneranno come prima. Oggi in borsa si specula al ribasso: il caso più eclatante è stata la Volkswagen. La logica resta l’azzardo. Che si tratti di una crisi di sistema non è stato affatto metabolizzato. La parola d’ordine maschile è ‘tenere duro’. Quella femminile è ‘fuori di qui’”.

E fuori di qui che cosa c’è?

“L’accettazione vera della fine di questo sistema. L’adesione convinta alla necessità di un mercato regolato. Una logica del risparmio che poi è la stessa che le donne agiscono con competenza nella gestione dei bilanci familiari. La centralità dell’attività reale. L’accettazione del rischio d’impresa, ma riducendo al minimo quello legato al debito. Un’idea del denaro per la vita, non del denaro per il denaro. L’applicazione in grande, insomma, di quelli che sono già i comportamenti economici femminili”.

La teologa svizzera Ina Praetorius dice che i modi in cui si organizza l’ambiente domestico –‘economia’ vuol dire questo: legge della casa- dovrebbero diventare il modello per il mondo intero. Si può fare?

“Ci sono banche, come l’australiana Westpac, che lavorano già così. Che hanno sezioni femminili, dove le clienti, dall’imprenditrice alla donna di casa, vengono seguite, finanziate, assistite nei loro business. Il microcredito, al 90 per cento gestito da donne, è applicabile con successo anche nei paesi sviluppati, non solo in quelli poveri. Sempre in una logica di legame con l’attività reale, la vita e i bisogni”.

Nel suo libro lei dice che la crisi è maschile anche perché la causa principale è nell’enormità di risorse investite dagli Usa nella lotta al terrorismo.

“Bush aveva ereditato da Clinton un piccolo surplus. Oggi lascia un deficit di 9500 miliardi: tutto per la guerra al terrorismo. In più le restrizioni imposte dal Patriot Act hanno indotto il sistema bancario internazionale a dirottare gli investimenti dal dollaro all’euro. Diminuendo la domanda mondiale di dollari, la moneta Usa si è indebolita. E i paesi che vendono petrolio e materie prime, pagati in dollari svalutati, hanno alzato i prezzi. A tutto questo si è intrecciata la paura del terrorismo: a ogni minaccia di attentato il mercato ha reagito alzando il prezzo del petrolio. Che almeno fino al 2004, quindi, è salito solo per la speculazione sulla paura e per la caduta del dollaro”.

Lei dice anche, dati alla mano, che questo allarme terrore non è giustificato…

“A dispetto dell’opinione comune, dall’11 settembre l’attività terroristica è cresciuta solo nel mondo musulmano. L’Occidente è stato molto più insicuro negli anni della Guerra Fredda, sia per numero di attacchi che di vittime. L’unica ad aver guadagnato dalla paura, quindi, è stata l’alta finanza, che ha potuto speculare. In più il terrorismo ha distratto dall’economia il governo americano, e anche quello inglese. Hanno lasciato andare il mercato. La crisi dei mutui, l’impoverimento e l’indebitamento delle famiglie si inseriscono in questo scenario di guerra”.

Come ne usciremo?

“Solo con politiche veramente rivoluzionarie. Un nuovo New Deal. Il modello neoliberista non funziona, verità che le donne hanno accettato. Servono regole. Se non una “global governance”, regole rigide applicate in tutti i paesi, come prima della globalizzazione. Ho cominciato a lavorare nella City nel 1981, e quando suonava la famosa campana il mercato si chiudeva. Oggi sulle piazze telematiche compri e vendi quando ti pare. Non si può tornare alla campana, ma gli stati devono poter controllare quello che succede, stabilendo regole del gioco da seguire, pena l’esclusione”.

Quanto tempo ci vorrà per uscirne?

“Dipende da che cosa si farà. E non è detto che si farà quello che si deve. Non meno di 4-5 anni, comunque”.

Quello che faranno gli Stati Uniti è decisivo?

“Decisive saranno le scelte di Cina, Russia, Brasile e India, i 4 paesi “brick”, come si dice. La Cina ha già tagliato i tassi di interesse e sta investendo nelle infrastrutture statali: in pratica un New Deal. La Russia è intervenuta sul mercato finanziario e sta per farlo sull’economia. E ha molti soldi, il 12-13 per cento delle riserve mondiali di danaro. Soldi reali. Economia reale: quella che piace alle donne”.

Come possiamo far sentire la nostra voce?

“La crisi è una grande opportunità. Bisogna dire quello che pensiamo, sempre e ovunque: nei canali alternativi, sui blog, nel web… Bombardarli di pensiero femminile, senza paura. Perché il problema è anche questo: le donne tacciono. Sono bravissime e competenti, ma non osano. Per questo bisogna fare network, aiutarci, imparare a riconoscere l’autorità dell’altra. Non accontentarci di essere poche prime della classe, mosche bianche tra gli uomini. Così non si combina nulla”.

esperienze Novembre 23, 2008

E QUESTA E’ UN ANGELO

louise bourgeois

louise bourgeois

A Napoli, museo di Capodimonte, vista mostra di Louise Bourgeois, classe 1911, nata francese, trapiantata in America. I suoi ragni, le sue teste di stoffa, le sue “opere appese” installati tra Caravaggio, Botticelli e Goya.

Bourgeois dice una cosa, tra le tante -sa usare magnificamente le parole- parlando del sesso maschile. Mi è venuta in mente pensando al commercialista veronese che ha fatto strage della sua famiglia e di sé, terrorizzato che la moglie lo abbandonasse. Dice più o meno (non sono in grado di essere letterale, scusate): “Ho dovuto occuparmi dei miei uomini, e ho molta tenerezza per il pene. Però mi fa anche paura”. Un sentimento molto femminile (altro che invidia…).

Date fiducia all’arte. Quando un artista vi chiama, rispondete.

uno dei ragni di louise

uno dei ragni di louise

Donne e Uomini, Politica Novembre 7, 2008

DONNE, PARLIAMO DI ECONOMIA!

Sì, infatti. Non occupiamoci di Berlusconi e dell'”abbronzatura” di Obama. Amiche, parliamo di economia. Abbiamo due cose: una gravissima crisi di sistema, ma anche la rete. Soprattutto, abbiamo la competenza con cui da sole sappiamo gestire il day-by-day dei bilanci familiari, dei risparmi, degli investimenti.

Non facciamoci spaventare dal fatto che non capiamo il gioco finanziario degli uomini. E’ solo un gioco! Ed è un gioco che si è rivelato disastroso. Invadiamo la rete con il nostro pensiero economico. Diciamo quello che pensiamo, con tutto ciò che sappiamo della vita e tutto il nostro cuore. Usate questo spazio per dire la vostra. Dite anche alle vostre amiche di farlo. Scrivete voi quelo che hanno da dire, se non sanno usare Internet. Non abbiate paura! E’ la nostra vita! Aspetto di leggervi. Resto all’ascolto, con amore e attenzione.

Donne e Uomini, esperienze Novembre 4, 2008

TUTTI MASCHI

Mi arriva il cortese invito a un convegno milanese intitolato “Per uscire dalla crisi: +stato, +mercato, + Europa” (10 novembre ore 15.00, palazzo Mezzanotte). Partecipano: Paolo Bertoli, presidente Andaf, Alberto Bombassei, vicepresidente Confindustria, Luigi Casero, sottosegretario Ministero Economia e Finanze, Enrico Cisnetto, presidente Società Aperta, Luigi Ferraris, direttore Amministrazione Pianificazione e Controllo Enel, Gaetano Miccichè, responsabile Divisione Corporate e Investment Banking, Intesa Sanpaolo, Amministratore Delegato Banca IMI, Francesco Micheli, imprenditore. Conduce Gianfranco Fabi, vicedirettore Il Sole 24 Ore. Tutta gente che di sicuro se ne intende. E per intendersene evidentemente si ha da essere maschi: si è visto, infatti, a Wall Street. Non c’è una donna nemmeno per sbaglio. E dire che quei pazzi degli Islandesi per rimettere in sesto il sistema finanziario si sono affidati con fiducia a due signore, Elìn Sigfùsdòttir e a Birna Einarsdòttir, attribuendo loro il compito di “cambiare innanzitutto la cultura rischiosa dei bonus e delle stock option” e di aggiustare quello che la finanza maschile ha ridotto in pezzi. Sarà che lì c’è un clima diverso. E non solo meteorologicamente parlando.

Mi domando come mai agli uomini non venga mai in mente, ma nemmeno per caso, che le donne possono far bene e avere buone idee da suggerire nel campo dell’economia e della finanza. E che possono aiutare tutti a capire come scaravoltare questa crisi nel senso delle opportunità che contiene. Mi chiedo come mai non si domandino che effetto possa fare a una donna -a me, nella fattispecie- essere invitata a un convegno così congegnato, e perché la cosa non faccia un po’ di effetto anche a loro. Non è questione di violazione del galateo pariopportunitario: è che davvero di quello che pensano le donne non gli importa nulla.

Com’è noioso essere costrette a parlare ancora di queste cose.

Politica Novembre 3, 2008

FATTORE PALIN

Doveva essere un gran colpo, per il senatore McCain, la scelta di una donna -e che donna!- come candidata alla vicepresidenza, subito dopo che Obama si era liberato di Hillary, scelta che di sicuro gli costerà il sostegno  di molte autorevoli femministe americane, decise ad astenersi. E invece probabilmente si rivelerà un boomerang: Palin fa una figuraccia dopo l’altra.  L’ultima,  quelle due chiacchiere  con un finto Sarkozy  che le propone una battuta di caccia insieme, e lei che accetta con entusiasmo, fedele fino in fondo a quel grottesco modello di donna-sì-ma-non-troppo, di “donna con le palle”, come diremmo qui, di femmina bifronte, buona per le elettrici ma capace anche di convincere i conservatori più restii del fatto che, al momento buono, lei il bottone saprebbe schiacciarlo non diversamente da un uomo.

Quanto costerà, invece, Palin a Mc Cain? E quanto costerà, da un altro punto di vista, alle donne di tutto il mondo? Sarebbe il terzo tonfo globale consecutivo, dopo quelli di Ségolène e di Hillary, fatto che probabilmente  ri-congelerebbe ad libitum la pratica dell’accesso delle donne alle posizioni di potere. Ma sarebbe anche il tonfo di un’emancipata estrema e caricaturale, con il fucile in spalla. L’eliminazione dell’ingombro dell’emancipazione, delle sue illusioni e delle sue ridicolaggini, dal cammino della libertà femminile.

Con la vittoria di Obama, se sarà, si entrerebbe in un’era trans-razziale: non solo un nero, ma un nero anche un po’ bianco, e strettamente imparentato con i “gialli”. Come molti osservatori hanno già sottolineato, la cosa potrebbe avere l’effetto di fare piazza pulita di ogni discorso sulla razza e di accelerare in modo esponenziale la ricerca di soluzioni al problema della convivenza interetnica: problema che oggi in Italia, investita in pieno dall’onda migratoria, stiamo sentendo parecchio.

Che effetto avrebbe avuto, allora, una presidenza femminile? Quali sarebbero stati le sue dirompenti conseguenze simboliche e politiche? Che passi avanti ci avrebbe costretti a fare? Perché si nasce prima donne e uomini che bianchi, neri e gialli. Resta quella, la madre di tutte le differenze. Quella, la prima pacifica convivenza da immaginare e costruire.

scuola Novembre 2, 2008

LETTERA DA UNA MAESTRA

La furia devastatrice della politica della maggioranza ha avuto il suo epilogo in una giornata di pioggia. Il decreto “contro la scuola” è passato al Senato. La cosa non va chiusa.
Io che sono maestra di scuola dell’infanzia e madre di una bimba di nove anni e di un ragazzino di tredici, in merito ho molto da dire. La scuola infatti fa parte della mia vita. Ci ho investito tempo, energie, desideri, relazioni. E sono vent’anni che lo faccio.
Il decreto e il piano programmatico l’ho letto molto attentamente, ho letto le parole che vi sono scritte, una dopo l’altra. Non sono disinformata. Non ho frainteso. So leggere e so capire. E non ci sto. E’ troppo.
La scuola, materna ed elementare, non è né di destra né di sinistra: nei fatti è tenuta in piedi con straordinaria signoria dalle donne. Alla scuola dell’infanzia ci lavorano il 98% di donne. Alla scuola elementare una percentuale lievemente più bassa. Ci vanno i figli e le figlie che le donne hanno messo al mondo. Le madri e i padri, ma soprattutto le madri, ci hanno investito tempo, impegno, interesse.
Un’opera ammirata in tutto il mondo. Un’opera tutta femminile. Capace fino ad oggi, se pur con molti dolori, di reggere tutte le disposizioni, di ministri, di tecnici, di burocrati, calate dall’altro. Disposizioni che hanno sempre ignorano cosa in realtà significa fare scuola. Abbiamo comunque retto.
Oggi le nostre spalle non possono più portare niente, sono spiattellate per terra.
Un ministro, non ci siamo accorti che è donna, pertanto possiamo continuare a chiamarla ministro, sostenuta da altri politici eletti secondo la politica della rappresentanza, ignari della politica delle relazioni, hanno creduto di essere legittimati a fare tutto ciò che credevano giusto.
E no cari miei! C’è un’altra politica, quella delle donne che ha il suo centro attorno alle relazioni, al desiderio di metterci del proprio affinché il luogo dove lavoriamo, dove mandiamo i figli a crescere, possa essere un luogo intelligente, sapiente, accogliente, di incontro, di messa in circolo di nuove esperienze e di nuovi saperi. Ci siamo riuscite. Tutto il mondo ce lo riconosce, eccetto Voi !
Oggi abbiamo classi di 25/28 bambini, arriveremo a 30. Quante ore di scuola? Si sottolinea l’orario antimeridiano. Dunque 25 ore. In questa organizzazione saremmo una maestra, da sola, per ogni sezione.
E nelle sezioni ci saranno anche i bambini e le bambine di due anni. Se suddividessimo le  25 ore settimanali per trenta bambini, immaginando di quantificare quanto tempo potrò dedicare individualmente a ciascun bambino, scopriremmo che il risultato è di circa 50 minuti per bambino. Alla settimana, non al giorno.
La finanziaria taglia anche i bidelli, già ampliamenti tagliati negli anni precedenti.
I bambini piccoli hanno il pannolino. Con trenta, con sempre meno bidelle, li terremo bagnati fino all’ora di andare a casa? Li cambieranno i genitori a casa? Il pomeriggio nel piano programmatico viene contemplato ma solo a richiesta. A pagamento? Chi pagherà? Chi saranno le maestre del mattino e quelle del pomeriggio? Ci sarà una turnazione, o come un tempo quando c’era la maestra che faceva scuola alla mattina ci sarà quella, di serie B, che farà  assistenza al pomeriggio? Se il pomeriggio sarà a richiesta, ci sarà una decurtazione del personale? Chi si fermerà al pomeriggio? Quelli che hanno i genitori che lavorano? Quelli che hanno genitori che comprendono che alla scuola materna si impara, si cresce e si sta bene?
Oggi alla scuola materna accogliamo bambini, dai tre ai sei anni, le sezioni possono arrivare fino a 28. Siamo due insegnanti per classe. Ci turniamo per coprire mattino e pomeriggio. Tra le due maestre c’è una compresenza oraria di 10 ore. La scuola è aperta per quaranta ore settimanali. E’ previsto il prolungamento orario per i genitori che lavorano.
Abbiamo creato l’accoglienza, le attività di routine (c’è la merenda, il tempo per andare in bagno, e con le piccole creature per queste cose di tempo ce ne vuole, il ritrovarsi insieme e iniziare una nuova giornata, c’è il pranzo, il commiato), ci sono i progetti di sezione che variano a seconda delle scuole, c’è chi come me pratica la didattica laboratoriale, c’è l’attività motoria, la biblioteca, i progetti di intersezione mirati per fasce d’età omogenea, c’è il tempo del riposo pomeridiano per i più piccoli. C’è il tempo del grande gruppo, del piccolo gruppo, del rapporto individuale. Ci sono le uscite didattiche. C’è il tempo del gioco all’aperto quando il tempo lo consente. Dell’imparare dal più grande, del confronto, della soluzione dei conflitti, dell’aiutare l’amico in difficoltà. Il tempo di attesa che qualcosa accada. C’è il tempo mio, tuo, che poi diventa nostro. Il tempo della nostre soggettività, della ricerca e della scoperta e il tempo dell’errore. E anche quello di potere guardarsi con generosità.
Siamo in due per sezione, ma alla scuola materna abbiamo costruito una scuola senza porte chiuse. Ci confrontiamo, ci sosteniamo nelle emergenze per esempio quando una bambino si fa male. Magari anche niente di grave, una botta, una ferita. C’è bisogno di curare, di disinfettare, di mettere del ghiaccio, di avvertire i genitori. Siamo in due, c’è ancora la bidella, c’è la collega dell’altra classe.
Anche così è difficile. Nel frattempo magari le tempere sono state versate tutte per terra, il bagno è stato allagato, due bambini si sono azzuffati. A volte ringrazio il cielo che alla fine, per fortuna, sono cose che si possono rimediare. E domani?
Forse si pensa che i bambini abbiano bisogno di poco. Non è così. I bambini chiedono tantissimo. Noi maestre cerchiamo di rispondere, di esserci con tutta la nostra passione. Torno a casa che le gambe non me le sento più. Il lavoro di maestra è un lavoro che ci vede sempre esposte. Spesso mi porto a casa i bambini nei pensieri. A casa leggo, studio, mi preparo le proposte, chiamo la mia collega per parlarle del bambino che non tocca cibo, della bambina che dopo due mesi di scuola non ci ha ancora fatto sentire la sua voce, del nuovo inserimento in corso d’anno, della difficile situazione famigliare della bimba dagli occhi marroni. Ci parliamo, ci confrontiamo, cerchiamo delle strade da intraprendere. Condividiamo la fatica. A scuola ci sono le riunioni, ma il tempo per parlarci non è mai abbastanza. A scuola stiamo, con consapevolezza, in presenza dei bambini. Non ci assentiamo, a volte neanche per andare in bagno.
C’è l’aiuto delle mamme, per aggiustare il libri della biblioteca, per raccogliere i fondi per la macchina fotografica, per il registratore rotto. Ci portano la carta, fanno a spese loro le fotocopie,  cuciono le tende per le finestre. Alle feste ci sono le loro torte. Si aiutano tra loro, si parlano, si raccontano, si passano i vestiti dei loro figli.
Nella scuola materna, e anche nella scuola elementare, si muove a tutto tondo un mondo di gesti e di parole che appartengono a un modo di essere e di agire delle donne. Qui le donne hanno fatto mondo. Purtroppo poche sono le maestre che scrivono. Purtroppo poco lo spazio che le buone pratiche della scuola hanno trovato sui giornali, tolti quelli di settore. Fa più notizia il bullismo. Eppure chi lavora in una scuola materna o elementare, sa che le cose le sappiamo far funzionare, lo sappiamo noi maestre, lo sanno le madri e anche i padri, lo sanno i bambini e le bambine. Non è che non ci siano problemi, anzi, è difficile lavorare con la “carne” viva delle creature. Si arriva a giugno sfinite. Chi sta nella scuola o vicino alla scuola lo sa. Conosce le gioie e le fatiche. Chi non lo sa  è prima di tutto questo ministro e poi tutti gli altri della maggioranza. Forse non tutti. Molti, diciamo così, non sanno guardare alla politica che fa chi è nelle istituzioni come la scuola, quella cioè delle donne, migliaia di donne, che agiscono tutti i giorni con dedizione e impegno verso l’infanzia; quella politica che è fatta dei gesti della cura, dei gesti dell’educare, che permette di integrare le diversità, di conoscersi mano a mano tra gli altri e con gli altri, che è capace di produrre dei cambiamenti importanti per tutti, soprattutto per le bambine e i bambini, esseri che stanno crescendo, che stanno scoprendo sé stessi e il mondo. Per concludere non ho parole più vere di quelle di  Luisa Muraro quando scrive:  “C’è tanto da indagare ancora, da inventare e da innovare in questo mondo, ma oggi finalmente abbiamo capito che niente sarà veramente guadagnato e tutto potrebbe perfino voltarsi in peggio di prima, se non avremo imparato a riconoscere, rispettare e custodire quello che di buono già esiste, già si offre a noi come un regalo quotidiano del cielo o della terra”.

LAURA FORLIN, Lugagnano (Vr)

Politica Ottobre 31, 2008

LETTERA A EMMA, “TUTTA INTERA”

Emma Marcegaglia

Emma Marcegaglia

Gentile Dottoressa Marcegaglia, cara Emma,

un’amica, Zeynep Bodur Okya, grande industriale turca, parlando del rischio di civilization clash e della possibilità che le donne, con il loro talento per la mediazione, svolgano un ruolo di dialogo e di pace, mi ha detto con semplicità una cosa che sappiamo bene tutte: “Tra donne ci si capisce. Io sto nel mezzo, tra voi occidentali e le donne del Golfo. E mi trovo bene con tutt’e due. Ci sono sempre molte cose in comune. Sono una mamma ed è madre anche l’altra: questo ci unisce e ci unirà sempre, contro ogni stereotipo reciproco. Sono gli uomini che separano. Noi siamo sempre esseri umani tutti interi”.

Per questo la chiamo Emma. E parlo a lei “tutta intera” per raccontarle quello che certamente lei già sa: la grande sofferenza delle donne costrette a lavorare come uomini -con i modi, i ritmi, le modalità organizzative e i tempi pensati per gli uomini- anche in comparti produttivi fortemente femminilizzati; la loro solitudine di fronte ai compiti di cura, che restano comunque sulle loro spalle; e anche la loro enorme capacità di resistenza, visto che non mollano su nessuno dei due fronti, il lavoro della produzione e quello dell’amore. Un “doppio sì”, come dice il titolo del libro-inchiesta della Libreria delle Donne di Milano, a cui nessuna sembra volersi sottrarre. Salvo la fuga, ogni volta che sia possibile, nel lavoro autonomo, dov’è meno impossibile lavorare “da donne” e organizzarsi con quelle modalità flessibili che da decenni costituiscono il Graal per tutte noi.

La sua collega Annamaria Artoni, presidente degli industriali dell’Emilia Romagna, sostiene -sentita con le

Annamaria Artono

Annamaria Artoni

mie orecchie- che perfino l’industria manifatturiera sarebbe oggi in grado di introdurre il tempo flessibile. E allora, è la domanda, perché non capita? Che cosa continua a ostare a questa innovazione, che sarebbe uno straordinario fatto politico -parlo di politica vera, non di quella là-, proprio perchè cambierebbe, e in meglio, la vita delle donne, dei bambini, della comunità e della polis?

Il fatto che lei sia a capo di Confindustria costituisce una grande occasione storica, per lei stessa e per tutte e donne di questo paese, con l’auspicio che lei riesca a portare in quel ruolo se stessa “tutta intera”, con tutta la sua sensibilità e il suo sapere di donna. A pensare al lavoro femminile non più come l’eccezione a una norma maschile, ma come al lavoro tout court. E dunque non in chiave di tutele, di sostegni, di “permessi”, ma di centralità.

Certo: con l’arietta di recessione che tira, se vi saranno dei prezzi da pagare -e per colpe altrui, beninteso-, il rischio è che le donne siano le prime. Sappiamo che le cose di solito vanno così, i cocci sono sempre i loro. E parlare di orario flessibile e di organizzazione del lavoro può apparire un lusso quando è il lavoro a essere in forse. Ma lei sa benissimo che se le donne perdono, perdono anche le aziende e il progresso del paese, che dell’apporto del “genio” femminile, come diceva Giovanni Paolo II, hanno un grande e crescente bisogno. E sa anche che questa crisi, che ci costringe a ridiscutere i criteri liberistici che hanno de-regolato l’economia e la convivenza civile, può costituire anche l’occasione per una grande purificazione, e per un generale ripensamento che può riguardare anche i contenuti e i modi della produzione.

L’auspicio è che le donne siano protagoniste di questo ripensamento, come lo sono oggi del lavoro. Che il loro sapere e il loro “doppio sì” possa essere il perno di una pacifica rivoluzione del mondo del lavoro. E che lei, cara Emma, protagonista “tutta intera” della sua grande responsabilità, del tutto donna in un ruolo che è sempre stato degli uomini, insieme alle molte altre donne di Confindustria possa farsene promotrice e interprete.

Con fiducia e stima.