Come saprete, l’Europa ci “invita” a parificare tra i sessi l’età pensionabile: 65 anni per tutti, uomini e donne. Ci inviterebbe a essere pari anche sul lavoro (trattato di Lisbona), e non solo all’uscita: almeno il 60 per cento di occupazione femminile. E invece siamo al 46.7 per cento, terzultimo posto, con enormi differenze tra Nord (quasi 75 per cento) e Sud (nemmeno 35 per cento). Ma su questo non sembra esserci altrettanta fretta e attenzione da parte del governo, nonostante tutte le analisi concordino sul fatto che aumento dell’occupazione femminile e aumento del Pil siano praticamente sinonimi. C’è poi il fatto che le pensioni delle donne sono vistosamente inferiori a quelle degli uomini, corrispettivamente alla differenza di retribuzioni: e anche qui, nessun impegno per sanare la palese ingiustizia. E infine, ma sarebbe la questione da considerare per prima, noi italiane che oggi andiamo “comodamente” in pensione a 60 anni siamo le europee che erogano più ore-lavoro domestico e di cura, lavoro non monetizzato e non valutato ai fini pensionistici, visto che i nostri uomini non se ne fanno in alcun modo carico: ma anche qui, si fa finta di non vedere.

Ergo: nella mia vita io ho lavorato molto più di un uomo, guadagnando molto meno di un uomo, ed erogando moltissimo lavoro invisibile e gratuito, ma solo alla fine divento miracolosamente pari a un uomo, parità nominale e beffarda che mi viene inflitta come una condanna (anche se poi nei fatti resto impari, visto che la mia pensione sarà notevolmente più bassa). Se si deve riformare, riformiamo tutto.

Mi pare che ci sia molta materia di discussione. E allora discutiamone.

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