Emma Marcegaglia

Emma Marcegaglia

Gentile Dottoressa Marcegaglia, cara Emma,

un’amica, Zeynep Bodur Okya, grande industriale turca, parlando del rischio di civilization clash e della possibilità che le donne, con il loro talento per la mediazione, svolgano un ruolo di dialogo e di pace, mi ha detto con semplicità una cosa che sappiamo bene tutte: “Tra donne ci si capisce. Io sto nel mezzo, tra voi occidentali e le donne del Golfo. E mi trovo bene con tutt’e due. Ci sono sempre molte cose in comune. Sono una mamma ed è madre anche l’altra: questo ci unisce e ci unirà sempre, contro ogni stereotipo reciproco. Sono gli uomini che separano. Noi siamo sempre esseri umani tutti interi”.

Per questo la chiamo Emma. E parlo a lei “tutta intera” per raccontarle quello che certamente lei già sa: la grande sofferenza delle donne costrette a lavorare come uomini -con i modi, i ritmi, le modalità organizzative e i tempi pensati per gli uomini- anche in comparti produttivi fortemente femminilizzati; la loro solitudine di fronte ai compiti di cura, che restano comunque sulle loro spalle; e anche la loro enorme capacità di resistenza, visto che non mollano su nessuno dei due fronti, il lavoro della produzione e quello dell’amore. Un “doppio sì”, come dice il titolo del libro-inchiesta della Libreria delle Donne di Milano, a cui nessuna sembra volersi sottrarre. Salvo la fuga, ogni volta che sia possibile, nel lavoro autonomo, dov’è meno impossibile lavorare “da donne” e organizzarsi con quelle modalità flessibili che da decenni costituiscono il Graal per tutte noi.

La sua collega Annamaria Artoni, presidente degli industriali dell’Emilia Romagna, sostiene -sentita con le

Annamaria Artono

Annamaria Artoni

mie orecchie- che perfino l’industria manifatturiera sarebbe oggi in grado di introdurre il tempo flessibile. E allora, è la domanda, perché non capita? Che cosa continua a ostare a questa innovazione, che sarebbe uno straordinario fatto politico -parlo di politica vera, non di quella là-, proprio perchè cambierebbe, e in meglio, la vita delle donne, dei bambini, della comunità e della polis?

Il fatto che lei sia a capo di Confindustria costituisce una grande occasione storica, per lei stessa e per tutte e donne di questo paese, con l’auspicio che lei riesca a portare in quel ruolo se stessa “tutta intera”, con tutta la sua sensibilità e il suo sapere di donna. A pensare al lavoro femminile non più come l’eccezione a una norma maschile, ma come al lavoro tout court. E dunque non in chiave di tutele, di sostegni, di “permessi”, ma di centralità.

Certo: con l’arietta di recessione che tira, se vi saranno dei prezzi da pagare -e per colpe altrui, beninteso-, il rischio è che le donne siano le prime. Sappiamo che le cose di solito vanno così, i cocci sono sempre i loro. E parlare di orario flessibile e di organizzazione del lavoro può apparire un lusso quando è il lavoro a essere in forse. Ma lei sa benissimo che se le donne perdono, perdono anche le aziende e il progresso del paese, che dell’apporto del “genio” femminile, come diceva Giovanni Paolo II, hanno un grande e crescente bisogno. E sa anche che questa crisi, che ci costringe a ridiscutere i criteri liberistici che hanno de-regolato l’economia e la convivenza civile, può costituire anche l’occasione per una grande purificazione, e per un generale ripensamento che può riguardare anche i contenuti e i modi della produzione.

L’auspicio è che le donne siano protagoniste di questo ripensamento, come lo sono oggi del lavoro. Che il loro sapere e il loro “doppio sì” possa essere il perno di una pacifica rivoluzione del mondo del lavoro. E che lei, cara Emma, protagonista “tutta intera” della sua grande responsabilità, del tutto donna in un ruolo che è sempre stato degli uomini, insieme alle molte altre donne di Confindustria possa farsene promotrice e interprete.

Con fiducia e stima.

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