La furia devastatrice della politica della maggioranza ha avuto il suo epilogo in una giornata di pioggia. Il decreto “contro la scuola” è passato al Senato. La cosa non va chiusa.
Io che sono maestra di scuola dell’infanzia e madre di una bimba di nove anni e di un ragazzino di tredici, in merito ho molto da dire. La scuola infatti fa parte della mia vita. Ci ho investito tempo, energie, desideri, relazioni. E sono vent’anni che lo faccio.
Il decreto e il piano programmatico l’ho letto molto attentamente, ho letto le parole che vi sono scritte, una dopo l’altra. Non sono disinformata. Non ho frainteso. So leggere e so capire. E non ci sto. E’ troppo.
La scuola, materna ed elementare, non è né di destra né di sinistra: nei fatti è tenuta in piedi con straordinaria signoria dalle donne. Alla scuola dell’infanzia ci lavorano il 98% di donne. Alla scuola elementare una percentuale lievemente più bassa. Ci vanno i figli e le figlie che le donne hanno messo al mondo. Le madri e i padri, ma soprattutto le madri, ci hanno investito tempo, impegno, interesse.
Un’opera ammirata in tutto il mondo. Un’opera tutta femminile. Capace fino ad oggi, se pur con molti dolori, di reggere tutte le disposizioni, di ministri, di tecnici, di burocrati, calate dall’altro. Disposizioni che hanno sempre ignorano cosa in realtà significa fare scuola. Abbiamo comunque retto.
Oggi le nostre spalle non possono più portare niente, sono spiattellate per terra.
Un ministro, non ci siamo accorti che è donna, pertanto possiamo continuare a chiamarla ministro, sostenuta da altri politici eletti secondo la politica della rappresentanza, ignari della politica delle relazioni, hanno creduto di essere legittimati a fare tutto ciò che credevano giusto.
E no cari miei! C’è un’altra politica, quella delle donne che ha il suo centro attorno alle relazioni, al desiderio di metterci del proprio affinché il luogo dove lavoriamo, dove mandiamo i figli a crescere, possa essere un luogo intelligente, sapiente, accogliente, di incontro, di messa in circolo di nuove esperienze e di nuovi saperi. Ci siamo riuscite. Tutto il mondo ce lo riconosce, eccetto Voi !
Oggi abbiamo classi di 25/28 bambini, arriveremo a 30. Quante ore di scuola? Si sottolinea l’orario antimeridiano. Dunque 25 ore. In questa organizzazione saremmo una maestra, da sola, per ogni sezione.
E nelle sezioni ci saranno anche i bambini e le bambine di due anni. Se suddividessimo le  25 ore settimanali per trenta bambini, immaginando di quantificare quanto tempo potrò dedicare individualmente a ciascun bambino, scopriremmo che il risultato è di circa 50 minuti per bambino. Alla settimana, non al giorno.
La finanziaria taglia anche i bidelli, già ampliamenti tagliati negli anni precedenti.
I bambini piccoli hanno il pannolino. Con trenta, con sempre meno bidelle, li terremo bagnati fino all’ora di andare a casa? Li cambieranno i genitori a casa? Il pomeriggio nel piano programmatico viene contemplato ma solo a richiesta. A pagamento? Chi pagherà? Chi saranno le maestre del mattino e quelle del pomeriggio? Ci sarà una turnazione, o come un tempo quando c’era la maestra che faceva scuola alla mattina ci sarà quella, di serie B, che farà  assistenza al pomeriggio? Se il pomeriggio sarà a richiesta, ci sarà una decurtazione del personale? Chi si fermerà al pomeriggio? Quelli che hanno i genitori che lavorano? Quelli che hanno genitori che comprendono che alla scuola materna si impara, si cresce e si sta bene?
Oggi alla scuola materna accogliamo bambini, dai tre ai sei anni, le sezioni possono arrivare fino a 28. Siamo due insegnanti per classe. Ci turniamo per coprire mattino e pomeriggio. Tra le due maestre c’è una compresenza oraria di 10 ore. La scuola è aperta per quaranta ore settimanali. E’ previsto il prolungamento orario per i genitori che lavorano.
Abbiamo creato l’accoglienza, le attività di routine (c’è la merenda, il tempo per andare in bagno, e con le piccole creature per queste cose di tempo ce ne vuole, il ritrovarsi insieme e iniziare una nuova giornata, c’è il pranzo, il commiato), ci sono i progetti di sezione che variano a seconda delle scuole, c’è chi come me pratica la didattica laboratoriale, c’è l’attività motoria, la biblioteca, i progetti di intersezione mirati per fasce d’età omogenea, c’è il tempo del riposo pomeridiano per i più piccoli. C’è il tempo del grande gruppo, del piccolo gruppo, del rapporto individuale. Ci sono le uscite didattiche. C’è il tempo del gioco all’aperto quando il tempo lo consente. Dell’imparare dal più grande, del confronto, della soluzione dei conflitti, dell’aiutare l’amico in difficoltà. Il tempo di attesa che qualcosa accada. C’è il tempo mio, tuo, che poi diventa nostro. Il tempo della nostre soggettività, della ricerca e della scoperta e il tempo dell’errore. E anche quello di potere guardarsi con generosità.
Siamo in due per sezione, ma alla scuola materna abbiamo costruito una scuola senza porte chiuse. Ci confrontiamo, ci sosteniamo nelle emergenze per esempio quando una bambino si fa male. Magari anche niente di grave, una botta, una ferita. C’è bisogno di curare, di disinfettare, di mettere del ghiaccio, di avvertire i genitori. Siamo in due, c’è ancora la bidella, c’è la collega dell’altra classe.
Anche così è difficile. Nel frattempo magari le tempere sono state versate tutte per terra, il bagno è stato allagato, due bambini si sono azzuffati. A volte ringrazio il cielo che alla fine, per fortuna, sono cose che si possono rimediare. E domani?
Forse si pensa che i bambini abbiano bisogno di poco. Non è così. I bambini chiedono tantissimo. Noi maestre cerchiamo di rispondere, di esserci con tutta la nostra passione. Torno a casa che le gambe non me le sento più. Il lavoro di maestra è un lavoro che ci vede sempre esposte. Spesso mi porto a casa i bambini nei pensieri. A casa leggo, studio, mi preparo le proposte, chiamo la mia collega per parlarle del bambino che non tocca cibo, della bambina che dopo due mesi di scuola non ci ha ancora fatto sentire la sua voce, del nuovo inserimento in corso d’anno, della difficile situazione famigliare della bimba dagli occhi marroni. Ci parliamo, ci confrontiamo, cerchiamo delle strade da intraprendere. Condividiamo la fatica. A scuola ci sono le riunioni, ma il tempo per parlarci non è mai abbastanza. A scuola stiamo, con consapevolezza, in presenza dei bambini. Non ci assentiamo, a volte neanche per andare in bagno.
C’è l’aiuto delle mamme, per aggiustare il libri della biblioteca, per raccogliere i fondi per la macchina fotografica, per il registratore rotto. Ci portano la carta, fanno a spese loro le fotocopie,  cuciono le tende per le finestre. Alle feste ci sono le loro torte. Si aiutano tra loro, si parlano, si raccontano, si passano i vestiti dei loro figli.
Nella scuola materna, e anche nella scuola elementare, si muove a tutto tondo un mondo di gesti e di parole che appartengono a un modo di essere e di agire delle donne. Qui le donne hanno fatto mondo. Purtroppo poche sono le maestre che scrivono. Purtroppo poco lo spazio che le buone pratiche della scuola hanno trovato sui giornali, tolti quelli di settore. Fa più notizia il bullismo. Eppure chi lavora in una scuola materna o elementare, sa che le cose le sappiamo far funzionare, lo sappiamo noi maestre, lo sanno le madri e anche i padri, lo sanno i bambini e le bambine. Non è che non ci siano problemi, anzi, è difficile lavorare con la “carne” viva delle creature. Si arriva a giugno sfinite. Chi sta nella scuola o vicino alla scuola lo sa. Conosce le gioie e le fatiche. Chi non lo sa  è prima di tutto questo ministro e poi tutti gli altri della maggioranza. Forse non tutti. Molti, diciamo così, non sanno guardare alla politica che fa chi è nelle istituzioni come la scuola, quella cioè delle donne, migliaia di donne, che agiscono tutti i giorni con dedizione e impegno verso l’infanzia; quella politica che è fatta dei gesti della cura, dei gesti dell’educare, che permette di integrare le diversità, di conoscersi mano a mano tra gli altri e con gli altri, che è capace di produrre dei cambiamenti importanti per tutti, soprattutto per le bambine e i bambini, esseri che stanno crescendo, che stanno scoprendo sé stessi e il mondo. Per concludere non ho parole più vere di quelle di  Luisa Muraro quando scrive:  “C’è tanto da indagare ancora, da inventare e da innovare in questo mondo, ma oggi finalmente abbiamo capito che niente sarà veramente guadagnato e tutto potrebbe perfino voltarsi in peggio di prima, se non avremo imparato a riconoscere, rispettare e custodire quello che di buono già esiste, già si offre a noi come un regalo quotidiano del cielo o della terra”.

LAURA FORLIN, Lugagnano (Vr)

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