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femminicidio

Donne e Uomini, esperienze, femminicidio Maggio 29, 2013

Le calabresi che vogliono restare

La redazione di “Fimmina Tv” a Roccella Jonica

 

Sapete qual è la regione italiana che nel 2012 ha registrato il maggior numero di femminicidi? La Lombardia, con 19 casi.

No, questa non è una buona notizia. La buona notizia, semmai, è che ieri la Camera ha sancito l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sessista e il femminicidio, e lo ha fatto all’unanimità. La mobilitazione delle donne, e quella di molti uomini di buona volontà, ha condotto a questo primo importante risultato.
Ma di notizia confortante ce n’è un’altra. Poche ore dopo la morte straziante della giovanissima Fabiana Luzzi, accoltellata e bruciata viva dal fidanzato a Corigliano Calabro, il “Corriere” ha pubblicato la lettera di Francesca Chaouqui, trentenne direttora delle relazioni esterne di una multinazionale a Milano, nata in Calabria e fuggita da quella terra dove «sono poche quelle che restano, poche quelle che amano liberamente, poche quelle che hanno compagni che le considerano loro pari in ogni cosa».
La lettera di Chaouqui e altri commenti sul “tribalismo calabrese” hanno provocato la reazione di molte donne di quella regione che, a quanto pare, di lì invece non se ne vogliono andare (i sociologi parlano di “restanza”), che lì vogliono costruire liberamente la loro esistenza e non si riconoscono affatto in quel ritratto privo di speranza.
Scrive Raffaella Rinaldis, direttora di Fimmina Tv, emittente tutta femminile di Roccella Jonica:

«Pensavo che morire una volta fosse già abbastanza, ma credo che la brama di sangue non freni nessuno, dobbiamo far morire una ragazzina due volte e con lei tutte le ragazze meridionali, descritte come povere vittime di un sistema becero. (…) Mi ritrovo spiazzata, annichilita davanti ad un susseguirsi di luoghi comuni, di aggressioni malcelate da parte di persone che hanno toccato la terra calabra ma forse non l’hanno mai vista davvero. La verità è che si, esistono aree della regione e soprattutto fasce sociali degradate dove accade che una ragazzina venga promessa in sposa ad un mafioso, o che passi dalla proprietà del padre a quella del marito, è vero che ci sono ragazze che non possono andare a scuola anche volendolo. La verità, però, è che queste ragazze sono pochissime e stanno diminuendo sempre di più; la verità è che la stragrande maggioranza delle ragazze calabresi è indipendente, libera, con i mille problemi tipici della ragazzine di qualsiasi altra parte d’Italia; ragazze magnifiche, buttate nel degrado dalla faciloneria, quanto è potente l’arma della penna! E quanto se ne approfitta! La verità è che nessuno si deve permettere di parlare delle donne calabresi se non le donne calabresi! La verità è che se la società calabrese non viene raccontata nella sua realtà come possiamo pretendere di aiutare i ragazzi e le ragazze a fare un passo ulteriore? A comprendere l’orrore di un gesto disumano e a cercare cosa non va nel sistema sociale che ha portato a questo? La verità è che il male sociale più orribile è la discriminazione»

Sul blog “daSud” l’invito è a non semplificare:

«Alcuni neurologi e psichiatri intervistati in trasmissioni televisive e radiofoniche hanno interpretato il gesto del fidanzato come un atto di violenza intriso di “tribalismo calabrese”, così alcuni articoli di giornalisti e opinionisti si sono concentrati sulla componente “mafiosa” della cultura calabrese. Come è successo nei confronti di migranti, anche nel caso di Fabiana la violenza di genere rischia di essere utilizzata per costruire discorsi pubblici che insistono sulla minaccia incombente della diversità e dell’inferiorità culturale.(…) Violenza originata dall’alterità calabrese, portatrice di una cultura arretrata e subalterna. (…) Nel nostro Paese le donne muoiono perché donne, indipendentemente dalla razza, dall’etnia e dalla cultura dell’uomo violento».

E ancora, Josephine Condemi, giovanissima e brillante giornalista reggina, che scrive:

«Non so spiegare la regione in cui sono nata e vivo, la Calabria. E quando qualcuno me lo chiede, più o meno incuriosito, mi sento come una rappresentante indigena chiamata a testimoniare. (…). La domanda del giorno è se la Calabria sia maschilista o matriarcale. A rotazione seguono: omertà o denuncia? Stato o mafia? E così via. A me non viene di chiedere a un milanese: “com’è Milano?”. Perché la rappresentazione sembra così univoca, limpida, la definizione così scontata. Lo stereotipo raramente viene messo in discussione. E invece la Calabria no. La Calabria resta sconosciuta. E non so perché. Abbiamo così bisogno di un esotico su cui fantasticare?  E’ normale che una nazione si interroghi in un caso come quello di Fabiana Luzzi. Ma è meno normale, secondo me, voler scaricare tutte le colpe sul contesto. E’ una giustificazione sempre troppo facile. E’ successo perché è lì. Perché non sono come “noi”. (…)  Dai, che se scappi ti salvi. Chi parte, chi resta. La Calabria ha un problema di identità, e rispecchia in maniera più o meno deformata, come tutte le frontiere, la nazione in cui è inserita. In Calabria la logica binaria non regge. Non è mai tutto bianco o tutto nero, ma neanche tutto grigio. La Calabria, terra di emigrazione e di immigrazione, è un crogiuolo di identità che si stanno reinventando.  Se ne discute sempre più spesso, qui a Sud, guardando l’Italia sottosopra. Anche di recente, in occasione della Regione Ospite al Salone del Libro di Torino, ci si è interrogati sugli stereotipi accettati o negoziati. L’emigrazione meridionale, come hanno documentato i ragazzi di LiberaReggioLab, ha ripreso i ritmi del dopoguerra. Io non so perché non se ne parla. (…)  Non dovrebbero esserci sfumature. E invece ci sono. Se la Calabria fosse solo patriarcale non ci sarebbero le donne a tenere le fila delle relazioni fondamentali (affettive e non solo). Se la Calabria fosse solo matriarcale ci sarebbero meno uomini ad occupare lo spazio pubblico. E quindi, la logica binaria non regge. L’identità è negoziazione delle differenze. Quando cominciano a essere percepite solo come minacce da tenere sotto controllo, abbiamo un problema. Adesso, sottosopra, guardate l’Italia».

La buona notizia è in questo attaccamento e questo amore, da cui non può che venire molto bene. La buona notizia è questa abbondante libertà femminile, che può fare del Sud il baricentro della rinascita.

(pubblicato anche dal blog “Buone notizie” del Corriere della Sera)

Donne e Uomini, femminicidio, media, questione maschile Maggio 28, 2013

Fabiana: la “rabbia sfogata” del povero assassino

Sulla straziante vicenda di Corigliano Calabro, Fabiana Luzzi, 15 anni, accoltellata e bruciata viva da un femminicida di 17, leggo sulla Stampa.it un resoconto esemplare.

“…. Il ragazzo, che ha indicato ai militari in luogo della tragedia, ha spiegato d’essere andato a prendere Fabiana all’uscita di scuola col suo scooter venerdì mattina poco dopo le 13.30, per chiarire l’ennesima lite legata a gelosie da adolescenti. Lei non voleva salire, ma alla fine s’è convinta di fronte alle sue insistenze. Un gesto di buon cuore che le è costato la vita. Si sarebbero poi appartati in località Chiubbica di Corigliano, cominciando a discutere. Ma presto il dialogo si sarebbe acceso, coi due che si sarebbero rinfacciati delle piccole infedeltà. Il presunto omicida ha raccontato che Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata (1).   Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale (2),   lasciandola tra l’erba alta e i rovi della campagna alla periferia della cittadina. In questo frangente un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi (3)   le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Ma la compagna le ha risposto osservando che era andata via da scuola assieme a lui. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il giovane, almeno così hanno ricostruito gli inquirenti, avrebbe deciso di tornare in contrada Chiubbica per chiudere definitivamente il dramma con un epilogo agghiacciante. Così, per strada, si sarebbe fermato a prendere un po’ di benzina. (4)   Quando s’è trovato nuovamente di fronte a Fabiana, la ragazzina era agonizzante ma ancora viva“.

1. “Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata”. Insomma, a un certo punto lei lo ha provocato, accendendo la sua “rabbia sfogata”. Non era lei, ragazza “di buon cuore” ad essere stata provocata, costretta a un appuntamento che non avrebbe voluto. La rabbia semmai era di lui, che aveva dovuto lottare di fronte all’iniziale rifiuto della ragazza. E in quanto tale subito “sfogata”, come una scarica irresistibile e immediata. Rabbia e sfogo fanno un tutt’uno.

2. Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale: quindi il femminicida, dopo lo “sfogo” (una ventina di coltellate, che richiedono un certo tempo e una certa lotta), rimonta sconvolto in moto e si allontana, lasciandola ad agonizzare tra i rovi.

3. Un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi, le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Insomma: il femminicida è sconvolto, ma non al punto tale di non tentare immediatamente di precostituirsi un alibi, il che comporta un certo grado di lucidità, anche se la ragazza che “ama” (mi scuso per il termine) sta morendo in un prato. Incontra un’amica di Fabiana e controllando perfettamente le sue emozioni le chiede notizie di lei, elaborando all’impronta un piano e mettendolo in atto subito.

4. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il femminicida va in cerca di benzina. Vediamo: il femminicida pensa che la ragazza sta morendo nel prato dove l’ha colpita con venti coltellate, anzi probabilmente è già morta. Dopo aver fatto finta con l’amica di non sapere dove fosse Fabiana, pensa a far sparire il suo corpo, e la cosa più logica da fare è bruciarlo. E il modo più semplice per bruciarlo è cospargerlo di benzina e dargli fuoco. Quindi è con il massimo del raziocinio che, si suppone, va a cercare una tanica, quindi si avvia dal benzinaio, la riempie, paga, rimette in moto lo scooter, torna nel campo dove immagina di trovare Fabiana morta. Peccato che lei è ancora viva, e che lotta con le poche forze che le sono rimaste per evitare la fine che fa in tempo a intuire. Ma lui ha deciso che Fabiana deve essere morta, e procede lucidamente e senza alcun moto di pietà nel mettere in atto il suo disegno orribile.

Il testo giornalistico -non firmato- che ho analizzato è esemplare perché rivela un pensiero inconscio diffuso e molto attivo: l’idea che quando una donna viene ammazzata da un uomo, una spiegazione logica deve sempre esserci (per esempio, una provocazione, a innescare la miccia del discontrollo maschile, presentato come un dato di natura, e in quanto tale immodificabile); e che quando un uomo uccide una donna, compie il suo gesto preda di un’estasi demoniaca, di una confusione malefica, il famoso “raptus”, un impossessamento diabolico che, a quanto pare, può durare anche un’oretta o due, e ammette comunque pause raziocinanti durante le quali il “rapito” può preconfezionare un abbozzo di alibi, e procurarsi tutto quello che serve per portare a termine l’impresa delittuosa, salvo tornare preda del “raptus” alla vista della vittima ancora agonizzante.

C’è insomma una volontà inconscia di giustificazione e quasi di perdono del femminicida che non si verifica in nessun altro caso di brutale omicidio. In ultima analisi, l’attribuzione alla donna di una colpa atavica: quella, forse, di imprigionare l’uomo nel desiderio, di attentare al suo ordine rammentandogli la sua dipendenza e la sua bisognosità. Il rischio di essere chiamate a pagare questa colpa è sempre molto alto.

Un altro testo esemplare lo trovate analizzato qui.

p.s. preciso che in entrambi i casi si tratta di analisi di testi, non di profili dell’assassino, per realizzare i quali non ho titoli.

 

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Maggio 27, 2013

Negare l’evidenza: il femminicidio non esiste

Alla Camera si discute della ratifica della convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, e l’aula è semivuota. Si dovrebbe discutere anche di questo, a quanto pare. Intanto ripubblico qui un lungo post di Loredana Lipperini sui negazionisti che minimizzano la portata del fenomeno. 

 

Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio.
Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto quotidiano, Il Post, Quithedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Ci sono, naturalmente, varianti nei toni usati: da quelli gelidi di Tonello nel distinguere l’assassinio di una donna dallo sfregio con l’acido (“dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì”), a quelli sprezzanti di De Luca, passando per l’esposizione dotta di Patruno fino alla “bava alla bocca” delle “neofemministe” evocata con compiacimento da Davide-Quit the doner.
Cosa altro hanno in comune questi post, a livello generale? La sensazione che, tutti, si rivolgano a interlocutori che hanno le sembianze di spettri, e che quegli spettri esistano solo nella loro testa, si tratti di giornalisti distratti, politici occhiuti, femministe, appunto, bavose. Non donne e uomini reali, ma caricature. Come se la denuncia del femminicidio venisse da un soggetto unico, che è facile incarnare nel vecchio stereotipo della femminista arrabbiata, livorosa, profittatrice, isterica, bisbetica. Le argomentazioni, infatti, non vengono quasi mai riferite a chi le ha effettivamente usate: si denuncia all’ingrosso complottismo, uso sbagliato o addirittura truffaldino dei dati, voglia di sensazionalismo, senza mai fare nomi e cognomi; come se tutte e tutti coloro che si sono occupati e si occupano del tema fossero indistintamente accomunati da intenzioni subdole, ignoranza, protervia, isteria, ricerca affannosa di un attimo di celebrità.
Veniamo al punto. Le argomentazioni statistiche usate dal drappello sono quattro.

a. Il numero di donne uccise è costante negli anni e l’incremento percentuale è dovuto al fatto che vengono uccisi sempre meno uomini, per cui il femminicidio non esiste;
b. In Italia le morti di donne sono di molto inferiori alla media internazionale, quindi il femminicidio non esiste;
c. Dalla combinazione incestuosa di a. e b., discende la variante forse più stupefacente di negazionismo statistico: siccome la frequenza delle donne uccise registra dei minimi – nel tempo e nello spazio – che si collocano attorno al valore di 0,5 casi l’anno ogni 100.000 abitanti, se siamo in prossimità di quel valore (e in Italia lo siamo) abbiamo raggiunto il “minimo fisiologico” e possiamo essere sereni;
d. I dati non sono attendibili in quanto raccolti in modo non scientifico, quindi il femminicidio non esiste;

Le argomentazioni “politiche” sono invece tre:

1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo;
2. E’ stato fatto del mero sensazionalismo, creando la percezione di una escalation che i dati non confermano e anzi smentiscono;
3. Non ha senso chiedere leggi più severe per gli omicidi derivanti da questioni di genere, perché la vita di una persona non è più preziosa di quella di altre persone.

La cosa che impressiona è che il drappello dice cose molto simili a quanto sostenuto da Michela Murgia e da me, ma arrivando a conclusioni opposte. Certo, i dati sono pochi e confusi, perché non esiste un’indagine statistica dedicata. Certo, bisogna porre la massima attenzione quando i numeri vengono forniti. Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento). Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico. E, certo, i numeri ci dicono che altrove si uccide di più. Per chiarezza, ecco un passo da L’ho uccisa perché l’amavo:

“ Gli statistici improvvisati vanno, abitualmente, in cerca di rapporti, specie le statistiche dell’Onu sull’omicidio (UNODC homicide statistics) grazie alle quali si può sottolineare che si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere, e dunque la percentuale di morte è in Norvegia il 41,4% in Svezia e Danimarca il 34,5% in Finlandia il 28,9%, in Spagna il 33,1% in Francia il 34,5%; in Giappone il 50%, negli USA il 22,5%. Contro il 23,9% dell’Italia. Dunque, ci vien detto, se in Italia le vittime di sesso femminile non arrivano al 25%, è logico e conseguente che a morire siano soprattutto i maschi, che dunque vanno considerati le vere vittime. (…)
Ma guardiamoli bene, i dati che riguardano il nostro paese. Nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro. In poche parole, se il numero cresce, ed è sempre quel tipo di omicidio, la crescita è il fenomeno, e non il numero, che è effettivamente tra i più bassi al mondo. Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69 , i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti passionali sono cresciuti del 98 per cento. Inoltre. Se si guarda la tabella relativa ai rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia fra il 2001 e il 2006, nel 66,7 per cento dei casi (due donne su tre) è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Infine, se in assoluto sono i maschi a essere vittime maggiori di omicidio volontario, si nota però, che mentre le donne erano il 15,3 % nel 1992, sono arrivate a essere il 26 nel 2006.
Ancora. Nel Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010, curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo per Ministero dell’Interno − Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Fondazione ICSA e Confindustria, i risultati sono così sintetizzati: “Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta. Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio””

Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente, per cominciare: sostenere che il femminicidio non esiste perché il numero resta fisso, abbiamo un numero di donne morte inferiore alla media e i dati non sono attendibili non ha consequenzialità logica. Diremmo forse che la mafia non esiste, in base alla constatazione che ormai il numero di morti ammazzati è costante da anni, c’è scarsità di dati e la mafia russa ammazza molta più gente? Quanto al “minimo fisiologico”, colpisce che chi bacchetta l’atteggiamento non scientifico di altri ricorra a sua volta a una vera e propria fola: chi l’ha certificato, questo minimo fisiologico? Sulla base di quali evidenze scientifiche? Facciamo un parallelo: si parla molto di malasanità; mentre l’OCSE colloca il nostro sistema sanitario addirittura al secondo posto dietro quello francese, e soprattutto lo attestano i fatti, con una durata media della vita degli italiani che è seconda solo a quella dei giapponesi. Nonostante questo, tutti i giorni negli ospedali italiani si muore, e non per malattia: si muore per infezioni ospedaliere, per errori medici, per guasti alle attrezzature vitali. Considerando le prestazioni erogate ogni anno, che sono milioni, si potrebbe ben sostenere che gli episodi riportati dai giornali siano un “minimo fisiologico”, che stiamo bene così e nessun intervento è dovuto. Non c’è emergenza. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che è “fisiologico” venire ammazzati in ospedale, sia pur involontariamente; siamo tutti consapevoli che il famoso “minimo fisiologico” probabilmente esiste, ma nemmeno vogliamo conoscerlo (ammesso che sia possibile) e lo stesso pretendiamo che ogni sforzo venga fatto per spostare quel limite il più possibile verso lo zero. La domanda da un milione di dollari è: perché invece parlando di femminicidio tanta gente ritiene che ci si debba accontentare? Non è di vite umane, che stiamo parlando?
Venendo ai dati, vera e propria croce per chi voglia seriamente indagare questo fenomeno, i negazionisti perdono regolarmente l’occasione per sottolineare questa carenza e additarla per quello che è: un problema da risolvere, e non una comoda cortina fumogena utile per avvolgere tutto nella notte in cui tutte le vacche son nere. Dire che i numeri non vengono da una fonte autorevole è giusto; dire che sono sbagliati è un fatto che va dimostrato. I negazionisti non si rendono conto che proprio l’assenza di dati è un fatto in sé gravissimo. Non solo: quando Patruno (da cui sono nati gli altri post, evidentemente) sostiene che l’incidenza percentuale dei femminicidi (che aumenta a fronte di numeri assoluti calanti per gli omicidi di altra natura) conta “assai poco” e che a contare sono “i numeri assoluti e le dinamiche di questi numeri nel tempo”, fornisce un’interpretazione tutta sua, e per nulla scientifica. Le percentuali non dicono “assai poco”: dicono una cosa diversa e complementare rispetto alle frequenze assolute (che in statistica sono sinonimo di numero, n.d.r.), integrando l’informazione. In questo caso specifico potrebbero ad esempio dire che, avendo trovato il modo di ridurre certi tipi di omicidio ma non quello ai danni delle donne, è giunta l’ora di mettere in campo risorse specificamente destinate a questo scopo.
Risorse non significa leggi: la maggior parte delle persone e delle associazioni impegnate nella lotta alla violenza contro le donne non chiede leggi ad hoc, ma semplicemente la rigorosa applicazione delle normative esistenti e, soprattutto, la protezione delle donne che denunciano e il finanziamento di strutture in cui possano essere accolte e aiutate.
Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che NON lo abbiamo.
Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più.

Per questo post un grazie di cuore va a quello che di fatto ne è l’autore, lo statistico Maurizio Cassi, e a Giovanni Arduino per aver suggerito il termine giusto per ribaltare quello, a rischio di abuso, di fact-checking: fact-screwing. Ovvero, incasinare i dati invece di analizzarli.

 

Questo post di Loredana Lipperini  è ripubblicato dalle Blogger UniteD

Giovanna Cosenza

Giorgia Vezzoli

Lorella Zanardo

 

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Maggio 21, 2013

Rivoglio il mio uomo violento

Rosaria Aprea, 20 anni, la milza spappolata dalle botte del compagno

 

“Io lo amo, e voglio tornare con lui“. Sta in un letto d’ospedale, le hanno asportato la milza spappolata dalle botte e dai calci del compagno, che ora è in carcere per tentato omicidio, ma Rosaria Aprea, ventenne casertana non ha dubbi: «Non voleva sicuramente farmi male» dice al Corriere del Mezzogiorno «Ci amiamo e non vedevamo l’ora di andare a vivere insieme con nostro figlio. Sto male al pensiero che sia rinchiuso in carcere. Vorrei poterlo incontrare perché sono certa che si è pentito. Vorrei potergli dire da vicino: mi manchi tanto, vorrei tornare a passare le nostre serate assieme sul divano della tavernetta». (la denuncia potrà anche ritirarla, ma non serve: per tentato omicidio la Procura procede d’ufficio).

Lo sconcertante “voltafaccia” di Rosaria mi fa tornare in mente la storia di quella settantenne milanese che aveva denunciato il marito per averla accoltellata, e qualche mese dopo aveva chiesto al Gip che concedesse all’uomo un permesso “per passare il Natale insieme”. O la protagonista del film “East is East”, inglese sposata con un pakistano manesco: dopo l’ennesima violenza contro la madre i figli si rivoltano contro il padre, ma lei difende il suo aguzzino.

I comportamenti di queste donne -della stragrande maggioranza delle donne abusate che non sporge denuncia, o di quelle che la denuncia la ritirano- non vanno giudicati, ma attentamente interrogati (va peraltro detto che se a Milano, e verosimilmente anche nel resto del Paese,  più di metà delle denunce per maltrattamenti o per stalking viene archiviata senza alcun atto d’indagine, spesso denunciare serve solo a esacerbare gli aguzzini).

Rosaria sta dicendo questo: non voglio una vita peggiore -il carcere- per lui; quello che voglio è una vita migliore per tutti noi. Voglio la tavernetta, e i giochi con il bambino. Quello che mi ha fatto è stata una violenza, ma lui NON E’ un violento.

C’è la speranza di poter salvare la relazione, di cacciare fuori dalla storia tutti quelli che sono intervenuti nel momento dell’emergenza e riprendere il filo interrotto dell’amore. C’è il desiderio di cancellare quello che è capitato, e di farcela da soli, lei e lui senza l’incomodo di terzi, a uscire dai guai (e invece senza un terzo non se ne esce). C’è l’ingenua caparbietà del sogno d’amore -la ragazza ha vent’anni-, e c’è un bambino, che soffrirebbe ad avere il padre in galera.

Queste donne sbagliano un sacco di cose, certo. Ma c’è in loro anche una tenacia nella ricerca delle mediazioni, il tentativo di non distruggere tutto, di farcela a uscirne insieme. C’è il non affidarsi del tutto alla “legge che fa chiagnere”, per dirla con Filumena, la nostra Antigone, la legge che taglia i bambini a metà, che mette in galera e che recide i fili. C’è una pazza ostinazione nel ricucire, nel rilanciare, nel credere che l’amore alla fine l’avrà vinta.

E questa non è tutta roba da buttare, insieme all’acqua sporca della violenza maschile.

Conversando con Vandana Shiva, le ho detto che il patriarca in declino è un animale morente. E lei mi ha risposto: “Un animale morente è sempre feroce. C’è solo un modo per fronteggiarlo: non-violenza, compassione. Diversamente saremo specchi che riflettono quella paura, quella violenza. E fermeremo il cambiamento”.

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Maggio 14, 2013

Femminicidio Show

 

L’orrore che vedete qui è il monumento alla Violata, fortissimamente e improvvidamente voluto dalla Commissione Pari Opportunità della Regione Marche e collocata sul lungomare di Ancona.

“Orrore” non tanto per le qualità estetiche del manufatto, quanto per l’insieme dell’operazione: alcune migliaia di euro, di cui la lotta alla violenza -quella vera- avrebbe massima necessità, investite in un aggeggio inutile, vagamente porno, e che oltretutto non comunica il vero. E cioè il fatto che la maggior parte delle violenze sulle donne avviene tra le mura domestiche a opera di qualcuno a cui la donna è affettivamente legata. E non da parte di uno sconosciuto per la strada, come lascerebbe supporre la signorina verde con borsetta.

La spettacolarizzazione mediatica di violenza e femminicidio non sta portando risultati concreti, e anzi è causa di problemi.

Instant-book, format tv, show, associazioni e sportelli che nascono come funghi, esperte improvvisate che mettono in piedi progetti pariopportunistici al solo scopo di intercettare finanziamenti comunitari, una specie di business della violenza. Oltre al vittimistico attaccamento al tema, che impegna la grande parte delle energie politiche femminili. Un diffuso e universale piagnisteo che satura l’attenzione e fa immaginare che sulla violenza si stia facendo molto. E invece si sta facendo poco, e male.

Presidente onoraria della Casa delle donne maltrattate di Milano aperta ormai 25 anni fa, Marisa Guarneri esprime ad alta voce tutta la sua “indignazione per quest’ultima spiaggia delle pari opportunità, che non hanno saputo far guadagnare alcuna libertà alle donne. Oggi sembra che per parlare e agire sulla violenza non serva alcuna preparazione. Ma se si vuole davvero lottare contro il femminicidio e la violenza serve altro”.

Mentre una ragazza di vent’anni sta lottando tra la vita e la morte dopo che il compagno le ha spappolato la milza a calci, una pensionata è ricoverata in ospedale per essere stata accoltellata a freddo dal marito ottantacinquenne, una bambina di 11 anni è scappata da casa, a Cornate d’Adda, dove il padre aguzzino la violentava da due anni, e una donna di San Giuliano milanese è stata sequestrata, torturata, picchiata e stuprata dall’ex-convivente (sono solo gli ultimissimi casi di cronaca), vediamo un po’ di dati veri -niente show- stringendo l’obiettivo sulla realtà milanese. La Lombardia, con le sue 19 morte ammazzate del 2012 (su un totale di 120), si piazza sorprendentemente in cima alla sanguinosa classifica.

Sulla base del suo osservatorio -220 donne accompagnate nel percorso di uscita dalla violenza nel 2012- la Casa delle donne maltrattate segnala l’86.8 per cento di casi di violenza psicologica, il 70,9 di violenza fisica, il 25.9 di violenza economica, il 15 per cento di stalking e il 13 per cento di violenza sessuale, nella stragrande maggioranza dei casi agita da un uomo ben conosciuto e tra le mura di casa (i vari tipi di maltrattamento possono coesistere).

Il 67 per cento delle donne viene maltrattata in casa, nel 46 per cento dei casi l’aguzzino è il marito, si sale al 52 per cento contando gli ex-mariti. Nel 18 per cento si tratta del convivente e nel 4 per cento dell’ex.

Il maggior numero di violenze si concentra tra i 28 e i 47 anni, fascia d’età in cui la donna è socialmente più attiva, e quindi più autonoma. Nel 59 per cento dei casi la donna lavora: non basta a preservare. Ha una scolarità alta nel 35 per cento dei casi, e media per il 17.7 per cento: il titolo di studio non è una variabile significativa.

Le straniere sono il 31 per cento delle assistite.

In 8 casi su 10 non ci sono problematiche di dipendenza da alcol o droghe, né prostituzione, né si rilevano disturbi psichiatrici: tutti luoghi comuni da sfatare.

Solo il 30 per cento delle maltrattate denuncia: il 67,2 non lo fa (più del 3 ritira la querela): le donne non credono che denunciare le metta in sicurezza, “sentono” anzi di essere a maggior rischio dopo aver denunciato –ed è effettivamente così-. Molte sono costrette a continuare a vivere sotto lo stesso tetto con il denunciante, in assenza di provvedimenti di tutela immediata.

Ma i dati più sconcertanti emergono dalla ricerca delle avvocate della Cadmi sui procedimenti giudiziari, da cui emerge che il goal della Procura milanese è l’archiviazione del maggior numero possibile di casi: le richieste di archiviazione sono aumentate in modo esponenziale, fino a superare il 50 per cento delle iscrizioni per i maltrattamenti in famiglia, ritenuti casi di banale conflittualità familiare. Nonostante il fatto che, come notavamo prima, solo in una minoranza dei casi e dopo un doloroso percorso la donna arriva alla denuncia.

L’avvocata della Cadmi cita per tutti il caso di un autorevole magistrato che ha inoltrato richiesta di archiviazione perché alla denuncia è allegato “un solo” certificato medico, e comunque potrebbe trattarsi di “legittima difesa” del marito.

La parola d’ordine è “sfoltire”. Eventualmente proponendo come alternativa la mediazione tra le parti (come se si trattasse di ordinaria conflittualità civile) a opera della polizia municipale (!) a cui manca la necessaria preparazione. E anche se la convenzione di Istanbul contro la violenza sessista, recentemente sottoscritta dal governo italiano, vieta espressamente la mediazione in quanto inefficace e pericolosa.

L’equivoco tra violenza sessista e conflitto familiare mette ulteriormente a rischio la vita delle donne, e chiede di porre la massima attenzione, oltre che alla questione urgente del finanziamento dei centri antiviolenza, al tema della cultura con cui le istituzioni –forze dell’ordine, magistratura, politica- stanno affrontando, almeno a parole, l’emergenza.

 

Casa delle donne maltrattate di Milano, via Piacenza 14, 02 55019609.

Per destinare il 5X1000, indicare il codice fiscale 97086840150   

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Maggio 6, 2013

Forza Laura

Ne è valsa la pena, mi dicevo ieri, e vorrei dirlo anche alle tante scettiche, ancora convinte che non sia valsa la pena di battagliare perché ci fossero più donne nelle istituzioni rappresentative. Sempre tenendo a mente che quella è e rimane solo una delle cose da fare, ma che comunque andava fatta.

Per esempio la Presidente della Camera Laura Boldrini, che impone ai primi posti in agenda il tema della violenza sessista e del femminicidio, urgenza subito raccolta dalla ministra Josefa Idem che pensa all’istituzione di una task force; vederla fare tante altre cose buone, pur nei limiti del suo ruolo; insomma, una come noi, finalmente, che approfitta del suo ruolo istituzionale per dire e fare tante cose che diremmo e faremmo noi, e senza necessità di autorizzazione maschile, pienamente protagonista della sua avventura politica.

Se è consentito, Laura, un abbraccio per quello che ti è capitato in rete. Si parva licet, qualcosa abbiamo visto anche da queste parti. Violenza, minacce, insulti e disprezzo sono un’esperienza abituale per noi blogger.

Laura Boldrini viene colpita perché esercita in modo autonomo e con mano ferma la sua autorità femminile, autorità che eccede il ruolo di potere che le è stato conferito. Perché Laura è forte e libera non nonostante il suo essere donna, ma proprio per il fatto che lo è. Perché il suo essere donna è reso ancora più evidente dalla sua bellezza, che lei non mortifica e non nasconde. Questo insieme –autonomia, forza e bellezza, attributi della madre– può risultare insopportabile per i più fragili tra gli uomini, che ricorrono all’arma del disprezzo, come i bambini maschi che in un momento preciso della loro evoluzione, si stringono nel patto contro “le femmine” (l’ontogenesi che ricapitola la filogenesi).

Non è un caso, voglio dire, che questo capiti proprio a lei.

Forza Laura, siamo accanto a te.

 

Donne e Uomini, femminicidio, media, questione maschile Febbraio 19, 2013

La bella morta ammazzata

La salma di Reeva Steenkamp, uccisa da quel campione di Oscar Pistorius, giace da giorni in qualche obitorio di Johannesburg. Proprio in queste ore si sono svolte le esequie.

A partire dalla notte di San Valentino, Reeva è un cadavere in decomposizione, il ripugnante per definizione. Ma i siti dei giornali di mezzo mondo non la lasciano morire in pace, e insistono sulla “bella Reeva”, “tra le più sexy al mondo”, corredando di sempre nuove gallery di lei splendida in bikini o sulla spiaggia del suo ultimo reality. Una profanazione postuma davvero impressionante. Quelle gallery attirano lettori, come sempre l’esibizione del corpo femminile, aumentano i contatti, eventualmente eccitano i necrofili, perché no?

Il moto di pena è tutto per Pistorius e il suo “dramma”: Pistorius che piange, che si mette il cappuccio in testa, che singhiozza: “Ci amavamo”. Nessuna compassione per lei, e per la sua carne esibita post mortem.

Sarebbe bene ricordare che l’assassino, volontario o accidentale, è lui. E che la “bella” Reeva -bella ovvero in vantaggio su di lui, bella perciò capace di fare impazzire un pover’uomo, oltretutto gravemente disabile, insomma bella colpevole di esserlo, e magari perfino sul punto di tradirlo- è la vittima, una trentenne morta ammazzata: nella migliore delle ipotesi da un cretino criminale che spara sulle ombre, nella peggiore da una belva sanguinaria.

Dal trattamento mediatico di questa vicenda traspare un terribile disordine simbolico, che la dice lunga sul fatto che il discorso sulla violenza sessista e sul femminicidio al momento ha spostato ben poco, e solo in superficie.

Scrivo queste parole anche dure per fare un po’ di ordine.

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze, femminicidio, WOMENOMICS Gennaio 28, 2013

One Billion Rising: parla Eve Ensler

 

“La danza è una “via diretta alla verità”. E’ pericolosa, gioiosa, sensuale, sacra, dirompente, contagiosa, e rompe le regole. Si può ballare in ogni momento, in ogni luogo, con chiunque, e gratis. Il ballo unisce e spinge ad andare oltre: questo è il cuore di One Billion Rising”.

Per il prossimo 14 febbraio (15° V-Day, movimento contro la violenza sulle donne) Eve Ensler, la creatrice di “I Monologhi della Vagina” Eve Ensler ha invitato il mondo a una festa da ballo planetaria. R.S.V.P.: e il mondo, 189 paesi (ne mancano appena 9) ha accettato l’invito.Si danzerà dappertutto per fermare la violenza che opprime ogni giorno un miliardo di donne nel mondo.  Ma se “un miliardo di donne violate è un’atrocità” dice Ensler “un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione”.

One Billion Rising è una protesta creativa e non violenta a cui hanno aderito “singoli e associazioni di tutti i tipi. Intellettuali, star come Robert Redford, Rosario Dawson, Jessica Alba, Sally Field, Yoko Ono, Laura Pausini. Personalità politiche come Michelle Bachelet, ex-presidente del Cile, e Berenice King, figlia di Martin Luther King. Lavoratori migranti. Contadini e ballerini professionisti. Grandi organizzazioni mondiali, da Amnesty International ai sindacati americani. Piccoli centri antiviolenza. Il Dalai Lama, che ha dichiarato: “E’ necessario che ricorriamo al nostro buon senso, e che incoraggiamo gli altri a fare altrettanto, per capire quello che la violenza contro le donne e le ragazze comporta. Non ci sono circonstanze che la rendono giustificabile, dalla violenza non viene mai niente di buono. La sola cosa certa è che dove c’è violenza c’è sempre e inevitabilmente sofferenza. Capire che la natura della violenza è la sofferenza ci aiuta a comprendere la sua inutilità e la sua nocività”. E ancora, tante tante attiviste grintose e appassionate. Gente di tutti mondi e di ogni posizione politica, economica, sociale ed etnica che lotta e balla insieme per un comune obiettivo. Mi pare straordinario”.

Eve, torniamo un po’ indietro. Raccontaci il tuo personale V-day: il giorno in cui ti è nata l’idea di “I Monologhi della Vagina” ed è cominciata la tua travolgente V-Adventure.

“E’ andata così: io e un’amica stavamo parlando di menopausa, e ci è capitato di nominare la vagina. Mi sono improvvisamente resa conto di non sapere nulla del modo in cui le donne “sentivano” questa parte del loro corpo. Non c’erano parole a raccontarlo. Tutto è nato da questa grande curiosità”.

Come ti spieghi il successo virale e planetario dei Monologhi?

“Siamo costrette al segreto e al tabù su molte cose, e questo provoca sofferenza. Quando hai l’opportunità di rompere il silenzio ti senti sollevata ed eccitata. Ti rendi conto di quanto sia importante comunicare, e di come prendere parola può cambiare la tua vita. Questo è capitato con i Monologhi a milioni di donne in ogni luogo del mondo”.

Qual è stata l’emozione più forte legata allo show?”.

“Al Superdome di New Orleans, decima rappresentazione. Io che di fronte a 18 mila spettatori ho aperto lo show saltando fuori da un’enorme vagina!”.

Dai Monologhi, l’idea del V-Day…

“Dopo gli spettacoli tantissime donne venivano a raccontarmi le loro storie. Nella gran parte dei casi erano storie di abusi sessuali, di incesto, di violenza. Non avrei mai potuto continuare a fare i Monologhi se non avessi rotto il silenzio su questo enorme sommerso di dolore. Così nel 1998 abbiamo deciso di usare lo show per aumentare la consapevolezza sulla violenza nascosta e per raccogliere fondi destinati all’obiettivo”.

E per il prossimo V-Day, l’One Billion Rising, danza planetaria.

“La danza è occupazione di spazio, e anche se non c’è una coreografia lo faremo tutte insieme”.

Sei appena rientrata dall’India, dove hai preso parte alle grandi manifestazioni contro la violenza sessuale.

“Lo stupro di gruppo che ha provocato la morte di Jyoti Singh Pandey è stato un fatto orribile, che ha risvegliato le masse, provocando una vera frattura nelle coscienze di tutti. E’ la prima volta, nella mia lunga vita di attivista, che vedo la violenza sessista diventare la questione principale di una società, con enorme risonanza nel resto del mondo”.

Saprai certamente che in Italia stiamo vivendo un’emergenza femminicidio: come spieghi questo violento “contrattacco” maschile?

“In Italia c’è il quartier generale della Chiesa Cattolica, la più potente confessione del mondo, l’unica a possedere uno stato, una banca, una propria polizia. Una Chiesa che ha sempre avuto paura del femminile, e che continua a insegnare alle donne a stare ai margini, silenziose e ubbidienti. Anziché incoraggiare amore e rispetto tra i sessi, padri, preti e governo pretendono di decidere quello che le donne possono o non possono fare del loro corpo e delle loro vite. Il che non è saggio né sensato, crea odio e paura, fa crescere la violenza. Ma anche nel mondo cattolico qualcosa sta cambiando: ho incontrato molte suore che lottano insieme a noi. In un recente viaggio nelle Filippine ho conosciuto sorella Mary John, straordinaria monaca benedettina, esempio vivente di fede nella parola di Gesù e nella rivoluzione delle donne. Che piaccia o meno, una femminista radicale”.

Robert Redford definisce la violenza una “crisi globale”: pensi che la sensibilità maschile stia crescendo?

“Gli uomini amorosi e saggi –ce ne sono tanti- sanno di non poter più voltare la testa dall’altra parte. Riconoscono che la violenza contro le donne è sempre stato un problema maschile. Nelle manifestazioni indiane c’erano anche molti uomini. E tanti aderiscono a One Billion Rising: emozionante”.

Ti capita mai di sentirti sovrastata da questo enorme impegno?

“Certo che sì. Ma da 3 anni, da quando sono guarita dal cancro, sento in me un’enorme energia, qualcosa che non ho mai sperimentato prima. Il sostegno di tanta gente in tutto mondo mi solleva e mi incoraggia, malinconie e stanchezza si trasformano in gioia e senso di possibilità”.

Che cosa ti ha insegnato l’esperienza della malattia?

“Parlo proprio di questo nel mio prossimo libro, “In the Body of the World”, che uscirà ad aprile”.

Raccontaci un po’ di programmi…

“Il mio impegno non ammette vacanze. Il V-Day è ormai un movimento mondiale che richiede attenzioni quotidiane e ininterrotte. Da tempo sono attratta in particolare dalla vita e dallo spirito di continenti come Asia e Africa, che pulsano di energie fresche e di nuove visioni. L’Occidente è depresso e autoindulgente, sopraffatto dal desiderio di avere sempre di più, o semplicemente di non perdere potere e privilegi. Dobbiamo fare spazio per concepire un nuovo mondo, una nuova visione, un altro stile di vita”.

Dove ballerai, il 14 febbraio?

“A Bukavu, in Congo, nella “mia” “City of Joy”, villaggio che ho fondato e finanziato con gli incassi dei “Monologhi” e con il contributo dell’Unicef, e che ogni anno ospita e rimette al mondo 180 donne vittime di brutali violenze. Ballerò insieme a migliaia di donne che stanno trasformando in forza le loro sofferenze, e a migliaia di uomini che sostengono il nostro progetto”.

 

Tutte le altre notizie le trovate qui.

 

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Gli eventi di ONE BILLION RISING si svolgeranno in location celebri come la cattedrale di St. John The Divine a New York, la Grace Cathedral di San Francisco e il Parlamento Britannico.

 

Qui come avere tutte le info sulle LOCATION ITALIANE (al momento hanno aderito 70 città)

(in prossimità del 14 febbraio meglio verificare eventuali cambiamenti di location e orari già indicati)

 

ALESSANDRIA

Etimo Donna  http://etimodonna.blogspot.it/   –  etimodonna@gmail.com

Micaela Balice    micaela.balice@yahoo.it

 BARI

Angela Saracino  saracinoangela@libero.it

La grande madre   Alessandra Cappiello

BENEVENTO

Gruppo Exit Strategy

BERGAMO

Americana Exotica scuola di ballo:http://www.americanaexotica.it/tag/dancehall-bergamo/
Beatrice Secchi  –  beatrice.secchi88@gmail.com

BOLOGNA

Casa delle donne

http://www.casadonne.it/cms/

info.casadonne@women.it

Associazione Anatroccolo Rosa – http://www.anatroccolorosa.it/

Chiara Cretella  chiara.cretella@gmail.com

La corte delle fate www.lacortedellefate.org

BRESCIA

Laura Nicoletto – ing.nicolettolaura@bresciaonline.it

Chiara  Caffi – chiara.fontanella@yahoo.it

CALTANISSETTA

ONDE IN MOVIMENTO  http://ondedonneinmovimento.blogspot.it/

Lidia Trobia    ondedonneinmovimento@gmail.com

CATANIA

UDI Catania  udichiama.catania@gmail.com

CERVETERI

SNOQ Cerveteri  https://www.facebook.com/senonoraquando.cerveteri

snoq.cerveteri@gmail.com  Luisa Ermini

http://senonoraquandocerveteri.blogspot.it/

CUNEO (Largo Audifreddi, ore 16-20)

SNOQ Cuneo  http://www.senonoraquando.eu/?tag=snoq-cuneo

Giulia Conte  senonoraquando.cuneo@gmail.com

FERRARA

Caterina Tavolini

info@fabriziobonora.net 

Alessandro Suardi  a.suardi@gmail.com

www.alessandrosuardi.altervista.org

FIRENZE  (piazza della Repubblica , ore 15)

SNOQ Firenze  http://senonoraquandofirenze.wordpress.com/

Stefania La Rosa   stefanialarosa64@gmail.com

Artemisia http://www.artemisiacentroantiviolenza.it/index.php?n=Artemisia.Associazione

Nicoletta Livi Bacci  nicobacci@virgilio.it

CGIL Toscana   coordinamento Firenze,Prato,..  CGIL , SNOQ, centri antiviolenza

Anna Maria Romano      aromano@tosc.cgil.it

Libere tutte

http://liberetuttefirenze.blogspot.it/  Pagina FB: Libere Tutte

Coro “Le Musiquorum”  Pagina FB: /MusiQuorum

Centro Ideazione Donna http://www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it/

Nicoletta Livi Bacci  nicobacci@virgilio.it

The Global Teatre Project      info@theglobaltheatreproject.org

Clelia Marmugi clelia@florencetheatre.com
Bari Hochwald  bari@florencetheatre.com

BAGNO A RIPOLI (FI)

roberta montanari   robyger77@yahoo.it

GENOVA

SNOQ Genova http://www.senonoraquando.eu/?tag=snoq-genova

Eva Provedel evaprovedel@gmail.com    senonoraquandogenova@gmail.com

Rita Falaschi Provincia di Genova – falaschi.r@provincia.genova.it

Direzione Risorse Umane, Finanziarie e Patrimonio
Servizio Organizzazione e Sviluppo- Ufficio Benessere Organizzativo e pari Opportunità

IMOLA

Trama di Terre  www.tramaditerre.org

Silvia Torneri info@tramaditerre.org

centrointerculturaledelledonne@tramaditerre.org

JESI

Chiara Bizzani

LANUSEI

Loredana Rosa Brau

https://www.facebook.com/events/321065521344677/

LECCO
Telefono donna lecco www.telefonodonnalecco.it
Giusi Panzeri –  tiarsa@alice.it   + Associazione Ballatella

DonneViola   http://donneviola.wordpress.com/

Marta Proserpio marta.prose@gmail.com

LIVORNO

UDI  Pieralda Giovacchini   pieraldagiovacchini@gmail.com

scuola di Ballo EOS – Stagno Collesalvetti  Anna Caiazzo occhiverdi64@hotmail.it

LODI

SNOQ Lodi  snoqlodi@gmail.com

Katia Menchetti

LUCCA

SNOQ Lucca http://www.senonoraquando.eu/?tag=se-non-ora-quando-lucca

Brunella Peschiera anastasia.b@fastwebnet.it

MASSA (Piazza Aranci, ore 18)

SNOQ Massa

MILANO (Stazione Centrale, ore 19: ma la location non è ancora definitiva)

Cooperativa Sociale A R. – Contro La Violenza Alle Donne http://cerchidacqua.org/?p=29

info@cerchidacqua.org  –  Daniela Lagomarsini

milanoonebillionrising@gmail.com

Livia  Grossi   livia.grossi@tiscali.it

Rete delle reti femminili  http://www.facebook.com/LaReteDelleRetiFemminili

rotelle@portaledelledonne.org

INTERVITA  http://www.intervita.it/IT/default.aspx

Greta Nicolini greta.nicolini@intervita.it

 

MODENA (piazza Grande, ore 18-21)

Ass. Il Cacomela ilcacomela.blogspot.com

Agnese – ilcacomela@gmail.com

Casa delle donne di Modena  http://associazioni.monet.modena.it/cddonna/casa.htm

Centro documentazione donna:http://associazioni.monet.modena.it/cddonna/casa.htm
cddonna2@comune.modena.it – Vittorina maestroni

LAG – Libera associazione genitori http://www.lagvignola.it/info@lagvignola.it

Barbara Pasquariello b.pasquariello@lagvignola.it

Vivere donna centro antiviolenza di Carpi http://viveredonna.org/vd/
viveredonna@gmail.com   Paola Vigarani

NAPOLI

-Rosaria Guarino -Patrizia Cipullo  – Antonella Marini   https://www.facebook.com/events/239565799509882/

Associazione Rio Abierto   Anna Tucci    tucana53@alice.it

ARZANO (NA)  
Paola Serra

PADOVA
Padova donne  http://www.padovadonne.it/  –  padovadonne@gmail.com

Roberta Lotto  roberta.lotto@gmail.com

Elena  Ditadi   sue.ditadi@gmail.com

Rete studenti medi Padova  http://reds-retedeglistudentipadova.blogspot.it/

reds.padova@gmail.com

PAESTUM
Commissione Pari Opportunità di Capaccio

ARTEMIDE

Gabriella  Paolucci – http://www.facebook.com/groups/186881198009132/

PALERMO (Piazza Verdi -teatro Massimo)
Coordinamento Antiviolenza 21 luglio Palermo: www.coordinamento21luglio.altervista.org
Stefania Savoia – Coordinamento21lugliopalermo@gmail.com

PARMA (piazza Garibaldi + Centro commerciale Le Torri)

CENTRO VIOLENZA PARMA http://www.acavpr.it/AcavPR/

Sara Conz  sara.conz@live.it
Marinella Milanese     

PESCARASNOQ Pescara http://www.senonoraquandopescara.org

comitato@senonoraquandopescara.org  Maristella

PRATO

Coordinamento Donne della C.d.L. -CGIL Prato

Nora Toccafondi ntoccafondi@prato.tosc.cgil.it

RAVENNA  (3 flash mob scuole + Centro commerciale)
Ecco la danza http://www.facebook.com/groups/eccoladanza/

Maurizia Pasi  mauriziap@gmail.com

Casa delle donne

Diva Ponti  pontidiva@libero.it

REGGIO CALABRIA
UDI NAZIONALE   udinazionale@gmail.com

RIMINI

Associazione – Centro Antiviolenza “Rompi il silenzio” http://www.rompiilsilenzio.org/

Paola Gualano presidente –  rompiilsilenzio@virgilio.it

ROMA  (Casa internazionale delle Donne, ore 18.30)

SNOQ

Luisa Rizzitelli, luisa.rizzitelli@gmail.com  –

Cinzia Guido, cinziaguido@gmail.com

Loredana Taddei loredana.taddei@gmail.com

Giorgia Serughetti giorgia.serughetti@gmail.com

Carlotta Cerquetti  carlottacq@gmail.com

Casa Internazionale delle Donne Roma – Francesca Koch  francescakoch@tin.it

Accademia Nazionale di Danza- Margherita Parrilla margherita.parrilla@libero.it

LEI –DONNE IN MOVIMENTO  leidonneinmovimento@live.com

Lobby Europea delle Donne – Maria Ludovica Tranqulli Leali      m.tranquillileali@virgilio.it

Laboratorio Donnae – Pina Nuzzo  –  laboratoriodonnae@gmail.com

LABICO (RM)

Associazione Socialmente Donna, Argia Simone

ROVERETO (TN)
Veronica Loperfido

SIRACUSA

Centro antiviolenza Tiziana Biondi   titti.1973@hotmail.it
Biagioni  martina      erocapinera@yahoo.it

Stonewall    www.stonewall.it

TARANTO
Ethra http://www.associazioneethra.org/  Angela Petra Blasi

TORINO
Ass. Alma Terra. Centro interculturale della donna:

http://www.almaterratorino.org/
roni_ud@hotmail.com

Raffaella Gallo

TRENTO

Giovanna Covi

VERONA 

Scuola di danza   Marinella  Marchiori – marinella.marchiori@alice

Il Laboratorio del Movimento Martine Susana    martinesusana@alice.it

VIAREGGIO

Casa delle donne    http://www.casadelledonne.it/

VITERBO

CENTRO ANTIVIOLENZE ERINNA

BOLSENA (VT)

Sirka – sirkarte@gmail.com

 

per aggiornamenti e altre info:

http://obritalia.livejournal.com

www.facebook.com/groups/onebillionitalia

contatti:

Nicoletta Corradini: nico@onebillionrising.org

Elena Montorsi: elena@onebillionrising.org

Nicoletta Billi : nicolettabilli@gmail.com )

 

 

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VANDANA SHIVA  

 

COME LA VIOLENZA ECONOMICA CONTRIBUISCE ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

 

Sul tema della violenza sessista e del femminicidio è recentemente intervenuta su Al Jazeera Vandana Shiva, ecofemminista, attivista per la biodiversità e i diritti dei contadini, vincitrice del Premio Nobel Alternativo – Right Livelihood Award – nel 1993, autrice di oltre 20 libri e 500 dissertazioni accademiche, fondatrice della “Fondazione per la ricerca nella scienza, la tecnologia e l’ecologia”.

Titolo della sua relazione: “How Violent Economic ‘Reforms’ Contribute to Violence Against Women” (“Come le “riforme” economiche violente contribuiscono alla violenza contro le donne”).

 Nella nota introduttiva, Vandana Shiva ha detto: “La coraggiosa vittima dello stupro di gruppo di Delhi ha tratto il suo ultimo respiro il 30 dicembre 2012. Questo articolo è un tributo a lei e alle altre vittime della violenza contro le donne”.

 

La violenza contro le donne è vecchia quanto il patriarcato, ma recentemente si è intensificata ed è divenuta più pervasiva. Ricorre a forme più brutali, come nel caso della morte per stupro di gruppo a Delh,i e in quello del suicidio della 17 enne vittima di stupro a Chandigarh.

Negli anni i casi di stupro e di violenza sono aumentati. Il National Crime Records Bureau (NCRB) registrava 10.068 casi di stupro nel 1990, che sono aumentati a 16.496 nel 2000. Con la cifra di 24.206 nel 2011, i casi di stupro fanno un incredibile balzo del 873 per cento dal 1971, quando l’NCRB cominciò a registrarli. New Delhi si rivela come la “capitale dello stupro dell’India”: vi accadono il 25 per cento dei casi.

Si deve sostenere il movimento per fermare questa violenza, fino a che giustizia sarà fatta per ciascuna delle nostre figlie e sorelle che è stata violata. Ma mentre intensifichiamo la nostra lotta perché le donne abbiano giustizia, dobbiamo anche chiederci perché i casi di stupro sono aumentati del 240 per cento a partire dagli anni ’90, quando le nuove politiche economiche furono introdotte. E’ necessario esaminare le radici della crescente violenza contro le donne.

C’è una relazione fra la crescita di politiche economiche violente, ingiuste e imposte in modo non democratico, e la crescita dei crimini contro le donne? Io credo di sì.

In primo luogo, il modello economico che si concentra in modo miope sulla “crescita” comincia con una violenza contro le donne, non tenendo in conto il loro contributo all’economia. Più il governo parla, sino alla nausea, di “crescita inclusiva” e di “inclusione finanziaria”, più esclude i contributi delle donne all’economia e alla società.

Secondo i modelli economici patriarcali, la produzione per il sostentamento vale come “non-produzione”. La trasformazione del valore in disvalore, del lavoro in non-lavoro, della conoscenza in non-conoscenza, si ottiene tramite il numero più potente che governa le nostre vite, il costrutto patriarcale detto “Prodotto Interno Lordo” (PIL), che molti commentatori hanno cominciato a chiamare “Problema Interno Lordo”. I sistemi contabili nazionali che sono usati per quantificare la crescita come PIL sono basati sull’assunto che se i produttori consumano ciò che producono, in effetti non hanno prodotto per nulla, perché si situano fuori dai confini dell’area produttiva.

L’area produttiva è un’invenzione politica che lavora per escludere da sé i cicli di produzione che implicano rigenerazione e rinnovo. Perciò, tutte le donne che producono per le loro famiglie, per i loro bambini, per le loro comunità e società, sono trattate come “non-produttive” e “inattive economicamente”. Quando le economie sono confinate nel mercato, l’autosufficienza economica è percepita come deficienza economica. La svalutazione del lavoro delle donne, e del lavoro fatto nelle economie di sussistenza del Sud, è il risultato naturale di confini di produzione costruiti dal patriarcato capitalista.

Restringendosi ai valori dell’economia di mercato, così come definita dal patriarcato capitalista, i confini della produzione ignorano il valore di due vitali economie che sono necessarie alla sopravvivenza ecologica e umana. Nell’economia della natura e nell’economia di sussistenza, il valore economico è la misura di come la vita della Terra e la vita umana sono protette. La sua moneta corrente sono i processi che danno la vita, non il denaro o il prezzo di mercato.

In secondo luogo, un modello di patriarcato capitalista che esclude il lavoro e la creazione di ricchezza fatti dalle donne, approfondisce la violenza cacciando le donne dagli ambienti naturali da cui dipendono le loro vite: le loro terre, le loro foreste, la loro acqua, i loro semi, la loro biodiversità. Riforme economiche basate sull’idea di una crescita illimitata in un mondo limitato possono essere mantenute da un potere che si appropria delle risorse di chi è vulnerabile. L’arraffamento delle risorse che è essenziale per la “crescita” crea una cultura dello stupro: lo stupro della Terra, delle economie locali autosufficienti, delle donne. L’unico modo in cui questa “crescita” è “inclusiva” è che include numeri sempre più grandi nei suoi cerchi di violenza.

Ho ripetuto più volte che lo stupro della Terra e lo stupro delle donne sono intimamente connessi, sia metaforicamente, nel dare forma a visioni del mondo, sia materialmente, nel dare forma alle vite quotidiane delle donne. La sempre più profonda vulnerabilità economica delle donne le rende più vulnerabili a ogni forma di violenza, incluse le aggressioni sessuali, come abbiamo scoperto durante una serie di udienze pubbliche relative all’impatto delle riforme economiche sulle donne, organizzate dalla Commissione nazionale sulle donne e dalla Fondazione per la ricerca nella scienza, la tecnologia e l’ecologia.

In terzo luogo, le riforme economiche tendono a sovvertire la democrazia e a privatizzare i governi. Il governo parla di riforme economiche come se essere non avessero nulla a che vedere con la politica e con il potere. Parlano di tenere la politica fuori dall’economia, mentre stanno imponendo un modello economico a cui danno forma politiche specifiche per genere e classe. Le riforme neoliberiste lavorano contro la democrazia. Le riforme guidate dalle corporazioni economiche creano una convergenza di potere economico e politico, approfondendo le diseguaglianze e la crescente separazione tra la classe politica e la volontà del popolo che si suppone essa rappresenti. Questa è la radice della sconnessione fra i politici e l’opinione pubblica, di cui abbiamo fatto esperienza durante le proteste contro lo stupro di gruppo di Delhi.

Peggio ancora, una classe politica alienata ha timore dei suoi cittadini. Questo spiega l’uso della polizia per schiacciare le proteste nonviolente che abbiamo testimoniata a Nuova Delhi, le torture e gli arresti (Sori Sori a Bastar, Dayamani Barla a Jharkhand), le migliaia di violenze contro le comunità che lottano per non avere una centrale nucleare a Kudankulam. Uno stato privatizzato dalle corporazioni economiche deve giocoforza diventare in fretta uno stato di polizia. Perciò i politici devono circondarsi di sicurezza al massimo livello, distogliendo le forze dell’ordine dai loro compiti di protezione dei cittadini ordinari e delle donne.

In quarto luogo, il modello economico del patriarcato capitalista si basa sulla mercificazione di tutto, donne incluse. Quando fermammo i lavori del WTO ministeriale a Seattle, il nostro slogan era: “Il nostro mondo non è in vendita”. Un’economia “liberalizzata” che deregolarizza il commercio, privatizza e mercifica semi e cibo, terre e acqua, donne e bambini, rinforza il patriarcato ed intensifica la violenza contro le donne. I sistemi economici influenzano le culture e i valori sociali. Un’economia di mercificazione crea una cultura di mercificazione, dove tutto ha un prezzo e niente ha un valore. La crescente cultura dello stupro è l’esternalizzazione sociale delle riforme economiche. Dobbiamo tenere udienze pubbliche istituzionalizzate per le politiche neoliberiste, che sono lo strumento centrale del patriarcato nella nostra epoca. Se vi fossero state udienze pubbliche di chi lavora nel nostro settore dei semi, 270.000 contadini non si sarebbero suicidati in India, come invece è avvenuto sin da quanto le nuove politiche economiche sono state introdotte. Se vi fossero state udienze pubbliche di chi lavora sul cibo e in agricoltura, non avremmo un Indiano su quattro che ha fame, una donna indiana su tre malnutrita, e un bambino su due perduto o devastato a causa della denutrizione. L’India, oggi, non sarebbe la Repubblica della Fame di cui ha scritto Utsa Patnaik.

La vittima dello stupro di gruppo a Delhi ha innescato una rivoluzione sociale. Dobbiamo sostenerla, approfondirla, espanderla. Dobbiamo chiedere che la giustizia per le donne sia più veloce e più efficace, che i processi condannino rapidamente i responsabili di crimini contro le donne. Dobbiamo assicurarci che le leggi cambino, di modo che la giustizia non sia così elusiva per le vittime di violenza sessuale. Dobbiamo continuare a chiedere che vengano resi noti i nomi dei politici che hanno precedenti penali. E mentre facciamo tutto questo, dobbiamo cambiare il paradigma vigente che ci viene imposto in nome della “crescita” e che sta alimentando i crimini contro le donne. Mettere fine alla violenza contro le donne include il muoversi oltre l’economia violenta formata dal patriarcato capitalista, verso le economie pacifiche e nonviolente che rispettano le donne e la Terra.

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile, Senza categoria Dicembre 27, 2012

Il prete brutto

Mentre don Pietro Corsi affiggeva una stampata di queste schifezze sul portone della sua chiesa a San Terenzo -in sintesi: «Le donne devono fare un esame di coscienza: provocano gli istinti e vanno a cercare guai”-, all’altro estremo della Liguria, Bordighera, un uomo uccideva la moglie e la cognata, tentando poi il suicidio, incapace di accettare la separazione. Le ultime vittime, speriamo, di un anno record. 

San Terenzo, frazione di Lerici, è un borgo marinaro così bello, fateci un salto se non lo conoscete, e non merita un parroco così brutto. Il vescovo di La Spezia ha ingiunto a Don Corsi di rimuovere subito quel manifesto obbrobrioso (il sito Pontifex da cui è tratto reagisce parlando oggi di “crociata dei pezzenti”, cioè noi). Forse la curia farebbe bene a rimuovere il parroco e non solo il manifesto, destinandolo a funzioni meno delicate di quella pastorale, per la quale forse non è portato.

Nei piccoli paesi il prete è forse il primo se non l’unico, insieme al medico di base, ad accogliere il segreto di donne che vivono in situazioni di violenza. E anzi, i sacerdoti andrebbero adeguatamente formati per gestire correttamente queste situazioni.

Non contento di quello che aveva fatto, Don Corsi ha invece dato del “frocio” al giornalista del Gr2 che lo intervistava, sbattendogli la cornetta in faccia.

Accusando le donne di essere delle provocatrici e dando sprezzantemente del “frocio” a un uomo evidentemente diverso da lui, il prete brutto ha delineato un efficace sexual self-portrait, e forse dovrebbe seriamente chiedersi perché odia fino a questo punto le donne e il femminile, e se non è il caso di capire qualcosa di più di se stesso. Alla triste vicenda di cui è protagonista, che ha avuto un’eco internazionale, va attribuito quanto meno il merito di mostrare la faccia del demone che agita il cuore di molti uomini.

La gran parte dei misogini violenti, messi davanti ai loro misfatti, si giustificano esattamente nello stesso modo: lei mi provocava, era esasperante. Ci vuole un bel po’ perché riconoscano i propri atti come violenti e assolutamente inammissibili.

Quando un uomo molesta, perseguita, picchia, violenta o addirittura uccide una donna, quello che sta facendo è cercare di ridurre a cosa a propria completa disposizione chi non accetta di esserlo. E’ questo il cuore della questione maschile.

Domani 28 dicembre a San Terenzo, ore 17.30, un presidio con candele accese e fiori gettati in mare per ricordare le tante vittime di femminicidio in questo sanguinoso 2012 italiano.

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Ottobre 21, 2012

I palpeggiatori di Piazza Tahir

Dalla pagina Fb di lotta delle donne arabe.
Sul cartello c’è scritto: “Sono Menna, egiziana. Partecipo alla rivolta delle donne nel mondo arabo perché non posso accettare più il silenzio su quegli sguardi allucinati e su quelle mani addosso nelle strade del mio Paese”.

 

Venerdì sera in Piazza Tahir (Il Cairo) una giornalista francese di France 24, Sonia Dridi, è stata aggredita da una folla di maschi che l’hanno palpeggiata e molestata, aprendole la camicia e cercando di slacciarle la cintura (qui il video).

Soccorsa da un collega, ha evitato il linciaggio sessuale rifugiandosi in un fast food. I palpeggiatori hanno continuato a picchiare sulle vetrine, rivendicando il possesso della loro “preda”, e successivamente hanno circondato il taxi con il quale Sonia è riuscita ad allontanarsi in stato di choc. Prima di lei, altre giornaliste straniere hanno denunciato episodi simili. Qui il video dell’aggressione alla francese Caroline Sintz. L’americana Natasha Smith, a sua volta vittima delle violenze dei maschi egiziani, le racconta così:  “Quegli uomini erano come dei leoni intorno a un pezzo di carne, avevo le loro mani dappertutto sul mio corpo e sotto i vestiti. Gli sguardi erano quelli di animali. Mi sbattevano a destra e a sinistra, come se fossi uno straccio e non un essere umano” 

Moltissime donne egiziane, sottoposte quotidianamente a queste violenze, subiscono invece in silenzio, vista la non-reazione delle autorità e il pericolo di ritorsioni.

Dopo la primavera rivoluzionaria, di cui le donne sono state protagoniste, piazza Tahir è diventata la scena di un violento ed estremo colpo di coda patriarcale. Quasi a compensare quel protagonismo e a neutralizzare quella straordinaria forza femminile, molti maschi egiziani adottano il palpeggiamento e l’umiliazione fisica come forma di lotta sessista, il cui significato è lampante: “tu sei soltanto una cosa a mia disposizione, non hai una tua vita e tuoi desideri autonomi”. Il corpo delle donne resta uno dei principali campi di battaglia. 

La politica egiziana non è meno violenta nei confronti delle cittadine: nella bozza di Costituzione l’articolo 36 stabilisce che la parità fra i sessi non deve entrare in conflitto con «i principi della sharia» e lo Stato deve far sì che una donna possa conciliare «i propri doveri nella famiglia e il suo lavoro nella società», si parla di nuova legalizzazione delle mutilazioni genitali e del matrimonio per le bambine.

Le donne del mondo arabo lottano e mostrano il loro volto nella piazza virtuale, insieme a quello di molti uomini “nuovi” che sostengono i loro diritti essenziali. Cliccatissima su Facebook la pagina ”The uprising of women in the Arab world”, visitiamola tutt* e mettiamo il nostro “mi piace” contro la barbarie.

L’Egitto non è solo un posto per vacanze low cost. L’Egitto oggi è uno dei tanti luoghi del mondo in cui le nostre sorelle soffrono.