La salma di Reeva Steenkamp, uccisa da quel campione di Oscar Pistorius, giace da giorni in qualche obitorio di Johannesburg. Proprio in queste ore si sono svolte le esequie.

A partire dalla notte di San Valentino, Reeva è un cadavere in decomposizione, il ripugnante per definizione. Ma i siti dei giornali di mezzo mondo non la lasciano morire in pace, e insistono sulla “bella Reeva”, “tra le più sexy al mondo”, corredando di sempre nuove gallery di lei splendida in bikini o sulla spiaggia del suo ultimo reality. Una profanazione postuma davvero impressionante. Quelle gallery attirano lettori, come sempre l’esibizione del corpo femminile, aumentano i contatti, eventualmente eccitano i necrofili, perché no?

Il moto di pena è tutto per Pistorius e il suo “dramma”: Pistorius che piange, che si mette il cappuccio in testa, che singhiozza: “Ci amavamo”. Nessuna compassione per lei, e per la sua carne esibita post mortem.

Sarebbe bene ricordare che l’assassino, volontario o accidentale, è lui. E che la “bella” Reeva -bella ovvero in vantaggio su di lui, bella perciò capace di fare impazzire un pover’uomo, oltretutto gravemente disabile, insomma bella colpevole di esserlo, e magari perfino sul punto di tradirlo- è la vittima, una trentenne morta ammazzata: nella migliore delle ipotesi da un cretino criminale che spara sulle ombre, nella peggiore da una belva sanguinaria.

Dal trattamento mediatico di questa vicenda traspare un terribile disordine simbolico, che la dice lunga sul fatto che il discorso sulla violenza sessista e sul femminicidio al momento ha spostato ben poco, e solo in superficie.

Scrivo queste parole anche dure per fare un po’ di ordine.

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