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femminicidio

Uncategorized Settembre 14, 2020

Cira-Ciro, le masculille, il queer

C’è una parola napoletana, “masculilla”, corrispettivo del più noto “femminiello” per raccontare Cira-Ciro Migliore, la giovane donna (il suo corpo è femminile e all’anagrafe è donna) brutalmente aggredita dal fratello della sua compagna Maria Paola Gaglione, uccisa nella spedizione punitiva.

In quella cultura antica che precede di millenni la tassonomia queer, alcune creature decidono di non appartenere al genere che sarebbe loro assegnato in base al sesso di nascita. E vivono, si abbigliano, si comportano come se appartenessero a un genere terzo, né precisamente maschile né precisamente femminile, tradizionalmente accettati nella loro scelta dalla comunità che attribuisce loro un posto e un ruolo preciso.

I femminielli della tradizione non si dicono donne anche se sono ammessi a vivere tra le donne. Discendenti dei Coribanti della dea Cibele, svolgono alcuni compiti rituali: la “tombolata del femminiello” -ancora in uso- allude a questi riti ancestrali. Idem le più rare “masculille” che non si dicono uomini ma fanno parte di un genere terzo e non sono costrette a una scelta tra i due generi. Tant’è che la madre di Cira-Ciro, testimone di quella cultura, la chiama alternativamente “mia figlia” e “mio figlio”.

La subcultura queer interviene su questo tessuto, delicato come una trina antica, e lo strappa rovinosamente: la tragedia di Caivano non si può leggere e decifrare con le lenti classificatorie di origine anglosassone (è sempre bene ricordare che fino al 1982 la Gran Bretagna ha perseguito l’omosessualità come reato penale). Quella subcultura mainstream sta distruggendo ciò che resta di una tradizione mediterranea millenaria, piegandolo a un uso politico contingente e usando questo orribile fatto di cronaca per promuovere il cosiddetto self-id: ovvero la possibilità di definirsi liberamente uomo o donna a prescindere dal corpo sessuato di nascita senza alcun atto pubblico che accompagni e sancisca il passaggio (è già pronta una legge).

Molte donne partecipano con empatia al dolore di Ciro-Cira e accettano di chiamarla “ragazzo”: è bene però che sappiano che la loro empatia sarà usata politicamente contro di loro, e dovranno conseguentemente accettare di chiamare “ragazza” qualunque uomo che con il corpo di uomo intatto vorrà accedere ai loro spazi, godere delle -poche- azioni positive destinate alle donne, delle quote lavorative e politiche, partecipare -e vincere- alle competizioni sportive femminili per il fatto che “si autoidentifica” come donna, anche in mancanza di qualunque percorso di transizione pubblicamente regolato. Sono pronte ad accettarlo?

Cira-Ciro è una masculilla che amava -riamata- una ragazza. Lei e il suo amore sono state vittime della prepotenza inaudita di un maschio che ha ritenuto suo compito difendere l’onore della famiglia e decidere della sessualità della sorella: si chiama violenza patriarcale misogina, è antica tanto quanto, ed è la prima cosa che dovrebbe balzare all’occhio in questa tragica storia.

Si chiama femminicidio, e ce ne intendiamo.

Donne e Uomini, Femminismo Giugno 11, 2016

Femminicidio: effetto contagio. Più si uccide e più si uccide

Tutto farebbe pensare che se un uomo sta covando il proposito di uccidere, di fronte a una tragedia come quella di Sara e alla sua beffarda inutilità -lei morta, lui in galera e intorno a loro solo un immenso dolore- possa fermarsi catarticamente a riflettere, rinunciare al suo piano, fermare la sua mano.E invece capita il contrario, come in un mostruoso contagio: più si uccide, e più si uccide.

femminicidio, questione maschile Agosto 13, 2013

Non basta un decreto a fermare gli #stalker

Vittorio Ciccolini, penalista veronese, stalker e femminicida

Terribile giornata di violenza sessista, ieri.

A Genova una donna è stata gravemente ustionata con l’acido da un uomo all’interno dell’ospedale dove lavorava. Rischia di perdere un occhio.

Ad Avola Antonella Russo è stata uccisa a fucilate dal marito, padre dei suoi 3 figli, dal quale viveva separata. L’uomo si è poi suicidato. La donna viveva da tempo a casa della madre, lui la perseguitava.

Ma è soprattutto il femminicidio di Lucia Bellucci, 31 anni, a Verona, che pare costituire una prima tragica risposta al decreto antiviolenza recentemente varato dal governo Letta, e delle cui criticità avevamo parlato qui.

Vittorio Ciccolini, 45 anni, assassino confesso, è un noto penalista del foro veneto. Lei lo aveva lasciato da un anno, lui non si dava pace. C’era stata una denuncia per stalking. Dopo una cena a due –gravissimo errore, anche la donna di Avola era stata convinta dal marito a una “passeggiata”: non farlo, mai!- lui l’ha strangolata e pugnalata al cuore. Il corpo è stato ritrovato nella Bmw di Ciccolini, parcheggiata nel garage della madre.

Il caso veronese è esemplare perché l’avvocato  femminicida era perfettamente consapevole, mentre perseguitava la sua ex, di adottare un comportamento penalmente rilevante. Ed era certamente più informato di tutti noi dell’aggravio di pena disposto dal decreto. Tutto questo non è bastato a fermarlo e a interrompere la classicissima escalation dallo stalking al femminicidio.

E che cosa avrebbe potuto fermarlo? Verosimilmente solo due cose, in alternativa: che la ex avesse ceduto alle sue pressioni tornando con lui; che un terapeuta lo avesse accompagnato nell’accettazione e nell’elaborazione del lutto costituito dall’abbandono.

Un uomo che uccide la donna che lo lascia è come un neonato di 80 chili che agisce le sue fantasie distruttive contro la madre che minaccia di togliergli il seno e abbandonarlo a morte sicura. Un uomo che uccide la donna che lo lascia si sente destinato a morire, separato dal corpo di lei che lui percepisce come un tutt’uno con il proprio corpo, senza soluzione di continuità (ecco infatti spesso, dopo l’omicidio, il suicidio, a raffigurare questa inseparabilità). Un uomo che uccide la donna che lo lascia non ha mai portato a termine quel processo di individuazione-separazione dalla madre che si dovrebbe compiere entro i primi tre anni di vita, permanendo in una fusionalità patologica.

Lo stalking funziona come una droga per attenuare la sofferenza. Finché alla fine non basta più.

E’ difficile che uno stalker smetta da solo. Non è difficile che l’esito dello stalking sia il femminicidio. Come dicevamo qualche giorno fa, solo un percorso terapeutico obbligatorio, eventualmente alternativo alle pene detentive, può disinnescare la bomba. Ma di tutto questo nel decreto Letta non c’è traccia.

Molte fra noi si occupano di questi temi da decenni. E’ davvero incredibile che il governo Letta di tutta questa sapienza non si sia voluto giovare.

 

 

Donne e Uomini, questione maschile Dicembre 9, 2012

Gli stalker non smettono da soli

Lo stalker è un addicted. La persecuzione della vittima è la sua droga, è ciò che dà senso alle sue giornate. Non farà che pensare a quello: come, quando, dove mettere in atto violenze e molestie. In una buona percentuale di casi, lo stalking avrà un esito mortale.

Lisa Puzzoli, 22 anni, udinese, ultima vittima di femminicidio, aveva denunciato tre volte il suo ex compagno, che l’altro ieri l’ha accoltellata a morte. In 7 casi su 10, il femminicidio è stato preceduto da un periodo di stalking.

Difficilmente lo stalker smetterà da solo. Le denunce non bastano a farlo retrocedere. Spesso, anzi, funzionano come un eccitante, alzando il livello della sfida. E i tempi della giustizia sono troppo lenti per fare fronte a situazioni che richiedono procedure d’emergenza: c’è una vita -spesso più d’una- di mezzo.

Serve lo strumento della custodia cautelare. Accompagnato dall’obbligo di intraprendere un percorso terapeutico serrato. Possono passare molti mesi prima che uno stalker riesca a dare il nome di violenza ai propri atti persecutori, e a cominciare l’elaborazione.

La violenza sulle donne va combattuta con ogni mezzo, e la terapia è uno di questi. Servono fondi ad hoc, che finanzino anche punti di ascolto e di accompagnamento per quegli uomini che, incapaci di affrontare un abbandono o di gestire un conflitto emotivo, si sentano tentati dalla violenza.

In questo precisa domenica mattina, decine di migliaia di donne italiane sono impegnate a tenere a bada il mostro che le perseguita o camminano in punta di piedi nelle loro case per evitare che la bomba esploda. Tra loro ci sono le prossime vittime.

C’è una strage in atto, e non si può più aspettare.

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Luglio 3, 2012

Farsi giustizia da sole

Di fronte, credo, alla ottantesima donna fatta fuori da un uomo in 6 mesi, 2 solo ieri, una a Napoli ammazzata a forbiciate, l’altra a San Donato Milanese, che dopo essersi presa un bel po’ di pugnalate si è buttata dalla finestra (dico, credo: scusate, faccio un po’ fatica a tenere la contabilità di guerra) e dopo che l’Onu ha accertato che in questo Paese lo Stato non fa affatto quello che serve per difendere le donne dal femminicidio (qui le cose che si dovrebbero fare,) mi autorizzo un pensiero violento, una specie acting out mentale.

Una volta a Napoli, via Chiaia, ho visto un bel ragazzo borghese assestare un calcio nel sedere alla sua ragazza. La quale, anziché restituire o andarsene, ha continuato a camminare al suo fianco, la testa bassa per l’umiliazione. Mi sono parata davanti al giovanotto in giacca e cravatta. Gli ho detto “Ora prendi a calci pure me. Fai il gradasso pure con me”, avendo almeno la soddisfazione di cogliere un lampo di vergogna rabbiosa nel suo sguardo. Sono certa di averlo colpito, a modo mio. Sono certa di averlo spiazzato, e di avere mostrato a lei che non era sola, e che non era affatto tenuta a subire, se per caso pensava questo.

Se viviamo in un Paese in cui gli stalker, assassini annunciati, non vengono messi in galera, o costretti a una terapia -io lascerei a loro la scelta-, se le forze dell’ordine non sono in grado di difendere una donna perseguitata e minacciata di morte, se la ministra delle Pari Opportunità e quella degli Interni -due donne- non picchiano il pugno sul tavolo e non esigono che la questione diventi una priorità politica, se la violenza sulle donne tutto sommato continua ad apparirci una fatalità, una specie di male necessario, o comunque un reato minore, allora forse si può fare come ho fatto io a Napoli. Fare da noi.

Organizzare delle squadre volontarie di Angel che vanno a prendere lo stalker e il violento e lo sbattono contro al muro, gli fanno paura. Avvisarlo: per uno schiaffo, per un pugno, te ne becchi dieci. Mettere in atto un vero e proprio contro-stalking. Aspettarlo sotto casa in dieci, in venti. Andare sul suo posto di lavoro e farlo sapere a tutti, compreso il datore, con dei flash mob: Mario Rossi picchia sua moglie, la minaccia, la perseguita. Svergognarlo. Fargli capire che è malato, e che deve curarsi. Offrire alla donna una difesa efficace, darle amicizia e forza, tenerla allegra.

Consentitemi questa fantasia di self-help. Tutto, pur di non continuare ad assistere impotenti alla strage.

 

p.s.   Per risottolineare quanto ho già detto nel post:
si tratta di una specie di acting-out mentale
allo scopo di rendere evidente l’assoluta inefficacia
delle iniziative fin qui intraprese (o non intraprese) contro la violenza,
inefficacia sottolineata dall’inviata delle Nazioni Unite.
Ora mi pare che questo accontentarsi della denuncia morale sia giunto al limite.
L’efficacia non mi pare un aspetto irrilevante delle cose che si fanno.
Per me non lo è affatto, su nessun fronte. E non solo per me, a quanto pare.
Marisa Guarneri della Casa delle Donne maltrattate di Milano,
una che se ne intende parecchio con la sua trentennale esperienza,
insieme alle sue compagne d’iniziativa ha intrapreso una riflessione su come
attivare nelle donne maltrattate “tutta la forza necessaria” per un’efficace autodifesa.
Non è più pensabile, mi dice a titolo di esempio, vedere una donna picchiata da un marito costretto in carrozzella. Occorre riflettere su che cosa impedisce a quella donna, fisicamente più valida
del suo aguzzino, di difendersi in ogni modo.

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica Giugno 8, 2012

Aborto: l’agenda delle donne la dettano gli uomini

E rieccoci qui a parlare d’aborto.

L’appuntamento è per il 20 giugno. La Corte Costituzionale dovrà decidere se la legge 194 è anticostituzionale. La questione è stata sollevata da un giudice di Spoleto che ha negato l’interruzione di gravidanza a una minorenne, riferendosi a una sentenza europea del 2011 che dichiarava l’inviolabilità dell’embrione umano (sentenza che però si riferiva alla ricerca scientifica).

Secondo l’amica Marilisa D’Amico, costituzionalista, sono ottime probabilità che la consulta giudichi inammissibile il quesito (la ragazza ha avuto il permesso dei genitori e ha già abortito). E un conto è la ricerca, un altro l’interruzione di gravidanza. Ma se capitasse invece che la Corte decidesse di esaminare la questione, non c’è dubbio: le donne di questo Paese dovrebbero tornare a mobilitarsi in favore della legge 194, già sostanzialmente inapplicata e disattesa causa massiccia obiezione di coscienza.

Nessun dubbio anche sul fatto che di fronte al numero impressionante di femminicidi (siamo sulla settantina di casi in poco più di 5 mesi) e alla pervasività della violenza maschile, non è possibile sottrarsi alla stramobilitazione e all’impegno su questo fronte.

Ma ritrovarsi oggi a dover parlare di violenza e di aborto, che io oggi sia qui a scrivere di questo, come ieri ho scritto di violenza, è già una sconfitta, e va letta come tale.

Viviamo un  momento cruciale e potenzialmente “rivoluzionario” per la nostra democrazia. Che le donne, già vessate, indebolite e infiacchite dalla riforma del lavoro e delle pensioni e dall’assoluta mancanza di welfare debbano spendere le poche residue energie per difendere i minimi vitali (non morire d’aborto, non morire per mano di un uomo), sottraendone alla battaglia per la partecipazione al governo del Paese, fa gran comodo alla politica misogina.

Gli uomini ci stanno dettando l’agenda politica.

Corriamo grandi rischi. Se dopo aver proclamato l’obiettivo del 50/50 dovessimo portare a casa solo modesti risultati, com’è molto probabile in assenza di una forte e immediata iniziativa, il backlash, il contrattacco, potrebbe essere davvero terribile, con un attacco concentrico sul piano dei diritti.

Solo potendo contribuire a decidere le agende politiche porteremo a casa veri risultati sulle questioni che ci interessano: lavoro, welfare e anche violenza e aborto. Per questo dico che dobbiamo rimanere ben concentrate sul tema della rappresentanza.

Stanno facendo di tutto per distrarci. E ci stanno riuscendo

Donne e Uomini, Politica Maggio 14, 2012

Donne assassine/ Donne assassinate

Non sono politicamente casuali i toni violenti della manifestazione “pro-life” di ieri a Roma.

Quel “donne assassine” è la risposta, precisa e puntuale, alla grande mobilitazione delle ultime settimane sulla violenza e sul femminicidio. Fa parte a pieno titolo del backlash, un colpo di coda particolarmente duro che dà man forte a tutti quegli uomini -qui, nel mio blog, ne trovate un ricco campionario- che non intendono ripensare le relazioni con le donne fuori da una logica di dominio.

Un vero atto di guerra organizzato, il cui vero scopo è obbligare le donne in difensiva per non perdere il minimo vitale -si tratta, per l’appunto, di non morire-, distraendo energie dalla lotta per il lavoro e il welfare. E dalla lotta per la rappresentanza, in quest’anno cruciale. Eccoci qua, a dover riparlare di violenza e di aborto. Il messaggio è chiaro. Vogliono impedirci di volare.

La presenza attiva del sindaco Gianni Alemanno -le donne romane, ne stia certo, tutte le donne, anche le cattoliche, anche le donne del suo stesso schieramento politico non dimenticheranno- ha conferito particolare rilevanza politico-istituzionale alla truculenta manifestazione.

Le donne non sono a favore dell’aborto. Le donne pretendono di non morire d’aborto. Fra le due cose c’è una profondissima differenza.

Non risulta che il sindaco Alemanno si sia mobilitato a favore della vita e della nascita quando il governo Berlusconi ha abolito la legge 188 sulle dimissioni in bianco, obbligando le donne a una contraccezione forzata per non perdere il posto di lavoro. Questa sì, sarebbe stata politica pro-life.

Aiutare le giovani coppie che non riescono ad accedere a un mutuo. Offrire servizi adeguati per l’infanzia: questa sì, sarebbe una politica pro-life.

Se tiene tanto alle nascite, la domenica il sindaco Alemanno se ne stia a casa a pensare come strutturare una politica dell’accoglienza e una città amica delle donne e dei bambini.

Qui, per aderire all’appello di Se Non Ora Quando Città, dal titolo “Rispetto per le donne, la 194 non si tocca”.

La 194 non si tocca.

Donne e Uomini, Politica Maggio 10, 2012

Non farsi sbranare dalla violenza

La violenza cerca di fermare la libertà femminile. Il fatto che cresca la violenza significa anche che quella libertà sta crescendo molto di più. In alto i cuori, quindi.

Farsi sbranare dalla violenza non è solo nel fatto di soccombere fisicamente e spiritualmente a chi ci violenta, ma anche nel fatto di mettere tutte le energie nella lotta alla violenza e al femminicidio, che certo è UNA delle cose che vanno fatte, ma che non deve saturare le nostre agende politiche, costringerci a ridimensionare i nostri desideri, condurci a un’autovittimizzazione e a un’autosvalorizzazione.

Abbiamo detto tante volte che della violenza sulle donne oggi dovrebbero essere gli uomini a parlare, che noi ne abbiamo già detto di tutto e di più. Ma il backlash in corso, portato anche della crisi che stiamo attraversando, ci costringe a rimettere i nostri pensieri lì. Iniziative dappertutto, convegni, progetti che nascono in grande parte dal desiderio di fare, che sono espressione della politica prima. Ma c’è anche chi balza sulla tigre del tema mediaticamente rilevante per costruirsi o consolidare la sua carriera nella politica seconda.

Io mi affido con fiducia all’esperienza di donne come Marisa Guarneri che parla qui, per dire che grande parte del lavoro va fatto ben lontano dai riflettori, nella discrezione della relazione: lei mi dice che è questa la cosa che funziona, e io mi affido a lei. Mi piace l’idea dei camper che girano i quartieri, gestiti da donne opportunamente formate ma non da donne delle istituzioni, prima possibilità di rompere l’isolamento, rappresentazione di quel terzo che può irrompere nella relazione violenta. La violenza è nascosta è capillare, anche il lavoro sulla violenza deve essere almeno in parte nascosto e certamente capillare.

Le cose da fare allora sono due: chiedere continuità di finanziamento ai centri antiviolenza e prestare lì la propria opera, se vi è il desiderio di lavorare su questo. Meno soldi spesi in convegni, progetti e kermesse: ci sono già un grande sapere, una grande pratica che vanno nutriti e utilizzati.

L’altra cosa da fare è non farsi sbranare politicamente dalla violenza e tornare a mettere le energie in altre questioni, come il lavoro e la rappresentanza. Su quest’ultima insisto molto, perché finché non vi sarà un numero cospicuo di donne a stabilire le priorità delle agende politiche non avremo mezzi sufficienti per agire su questioni che interessano tanto a tutte le donne. Come il lavoro, appunto. E come la violenza.

Quest’anno dobbiamo dedicarci molto al tema della rappresentanza. Non facciamoci distrarre troppo da altro.

p.s.   Per ragioni misteriose non riesco a caricare immagini. Pazienza, oggi solo testo e niente immagini.

Donne e Uomini, Politica Maggio 1, 2012

Scampato femminicidio n. 55

valentina pitzalis di carbonia: nell'aprile 2011 il marito ha cercato di ucciderla con il fuoco

 

Ieri a Monza un uomo, lasciato dalla moglie per la sua violenza, ha puntato la pistola contro la donna per convincerla a tornare con lui. Poi l’ha puntata contro se stesso. Ma quando ha visto sua figlia quindicenne che piangeva, ha infilato la porta e se n’è andato senza sparare. I carabinieri l’hanno arrestato mentre vagava in stato confusionale.

Qui si vede bene quello che è: patriarcato in agonia. Il dispositivo del dominio che diventa inefficace a causa della libertà femminile. Che è come ritrovarsi senza baricentro, senza identità, senza scheletro. I maschi più fragili, i più poveri di spirito non sanno affrontare il passaggio di civiltà. Ma è anche la prova che il passaggio di civiltà sta avvenendo, che la civiltà del dominio di un sesso sull’altro sta finendo, ed è su questo grande orizzonte occorre tenere con fiducia gli occhi mentre si fa conta dei femminicidi, terribile colpo di coda del patriarcato morente.

Quello di Monza poteva essere il femminicidio n. 55, e non è stato. Mi piace pensare, anche se so benissimo che non è così, che quell’arma si è abbassata anche per ciò che è avvenuto, per la grande risposta da parte di donne e uomini di buona volontà all’appello di Se non ora quando, diffuso da noi blogger unite e ripreso da mezzo web.

Prendiamo quell’arma che si abbassa come un guadagno simbolico, come un segno di ciò che può e deve avvenire sempre più spesso. Come la comprensione da parte degli uomini che la strada dev’essere un’altra, quella del poter essere uomini rinunciando al dispositivo del dominio, assumendo la libertà femminile, avendo fiducia nel fatto che camminando fianco a fianco -l’embrione di quella che l’antropologa Riane Esler nel suo bellissimo saggio “Il Calice e la Spada” chiama nuova Civiltà Gilanica– c’è meno infelicità per tutti.

Le donne hanno già fatto tutto ciò che c’era da fare perché questo capitasse. Ora tocca agli uomini. Lo diciamo ormai da tanto tempo. Il più di quello che deve capitare sul fronte della violenza sessista, come tante volte abbiamo detto, oggi capiterà nella testa e nel cuore degli uomini. Teniamolo sempre ben presente, quando penseremo a nuove iniziative a progetti contro il femminicidio: oggi si tratta essenzialmente di un fra-uomini.

L’iniziativa di Se non ora quando segna una vigorosa ripresa di protagonismo politico da parte di questa complessa organizzazione, definendone meglio l’identità di rete in grado di catalizzare e valorizzare ciò che di vero e di meglio capita tra le donne, con un ottimo senso del tempo e dell’opportunità (kairòs).

Anche se qualche problema si è visto, e vale la pena di tenerlo presente: a fronte di un’adesione massiccia, immediata e di slancio, alcune hanno ritenuto di dover chiosare, puntualizzare, analizzare, eccepire, o addirittura tristemente affondare il comitato centrale Comencini&Co (che) approfitta della vicenda di Vanessa e dell’onda emozionale che questo suscita per infilare qualche rigo sul 13 febbraio (tutto oramai viene diviso in Avanti13feb e Dopo13Feb), giusto per attribuirsi la nascita delle lotte contro la violenza sulle donne”. 

Tutto, naturalmente, può essere discusso, e tutto può venire meglio. Ed è certo che sul tema del femminicidio siamo stramobilitate in molte e da molti anni -anche in questo blog ne abbiamo parlato tantissimo- in particolare quelle, come Marisa Guarneri a Milano, Elvira Reale a Napoli e decine di altre, oscurate dai media e praticamente senza aiuti, che stanno in prima linea nel sostegno alle donne maltrattate. Ma, mi dico, se nemmeno su una questione “blindata” come la violenza e il femminicidio le ansie di protagonismo si placano per convergere senza esitazioni in una strategia condivisa, che cosa capiterà su temi che predispongono naturalmente al conflitto, come quello della rappresentanza?

Come molt* sanno, anche sulla rappresentanza c’è molto lavoro in atto: almeno su un fatto, il 50/50 –che ora piace pure a Hollande!- siamo tutte d’accordo. Ma prova ad azzardare un’ipotesi sul “chi”, e si scatena l’inferno dei veti incrociati. Appena una mostra di avere le caratteristiche auspicabili -desiderio, capacità politiche, quel minimo di visibilità- per una candidatura, parte la sparatoria e la guerriglia. Ma queste 50 da contrapporre ai 50 da quelche parte andranno pur trovate, io credo. A meno che, quando sarà il momento, non le importiamo dall’estero.

E ora, per aver detto questo, vado a infilarmi il giubbotto antiproiettile.

Buon Primo Maggio.

p.s. Nella foto, Valentina Pitzalis, di Carbonia. Nell’aprile del 2011 il marito l’ha cosparsa di kerosene e ha appiccato il fuoco, incapace di accettare la separazione. Valentina è molto forte, e lotta per ricominciare a vivere. Ha bisogno di cure costose e di amicizia. Contattatela sulla sua pagina Facebook.

Corpo-anima, Donne e Uomini, media, TEMPI MODERNI Aprile 27, 2012

Mai più complici (Femminicidio n. 54)

vanessa scialfa

Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo.
L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sottosotto il ponte di una strada statale.
I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora
invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise
nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI.
E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la
responsabilità di chi le uccide perché incapace accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di aprire gli occhi, di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini, Marina Terragni, Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne

Per adesioni info@senonoraquando.eu