Di fronte, credo, alla ottantesima donna fatta fuori da un uomo in 6 mesi, 2 solo ieri, una a Napoli ammazzata a forbiciate, l’altra a San Donato Milanese, che dopo essersi presa un bel po’ di pugnalate si è buttata dalla finestra (dico, credo: scusate, faccio un po’ fatica a tenere la contabilità di guerra) e dopo che l’Onu ha accertato che in questo Paese lo Stato non fa affatto quello che serve per difendere le donne dal femminicidio (qui le cose che si dovrebbero fare,) mi autorizzo un pensiero violento, una specie acting out mentale.

Una volta a Napoli, via Chiaia, ho visto un bel ragazzo borghese assestare un calcio nel sedere alla sua ragazza. La quale, anziché restituire o andarsene, ha continuato a camminare al suo fianco, la testa bassa per l’umiliazione. Mi sono parata davanti al giovanotto in giacca e cravatta. Gli ho detto “Ora prendi a calci pure me. Fai il gradasso pure con me”, avendo almeno la soddisfazione di cogliere un lampo di vergogna rabbiosa nel suo sguardo. Sono certa di averlo colpito, a modo mio. Sono certa di averlo spiazzato, e di avere mostrato a lei che non era sola, e che non era affatto tenuta a subire, se per caso pensava questo.

Se viviamo in un Paese in cui gli stalker, assassini annunciati, non vengono messi in galera, o costretti a una terapia -io lascerei a loro la scelta-, se le forze dell’ordine non sono in grado di difendere una donna perseguitata e minacciata di morte, se la ministra delle Pari Opportunità e quella degli Interni -due donne- non picchiano il pugno sul tavolo e non esigono che la questione diventi una priorità politica, se la violenza sulle donne tutto sommato continua ad apparirci una fatalità, una specie di male necessario, o comunque un reato minore, allora forse si può fare come ho fatto io a Napoli. Fare da noi.

Organizzare delle squadre volontarie di Angel che vanno a prendere lo stalker e il violento e lo sbattono contro al muro, gli fanno paura. Avvisarlo: per uno schiaffo, per un pugno, te ne becchi dieci. Mettere in atto un vero e proprio contro-stalking. Aspettarlo sotto casa in dieci, in venti. Andare sul suo posto di lavoro e farlo sapere a tutti, compreso il datore, con dei flash mob: Mario Rossi picchia sua moglie, la minaccia, la perseguita. Svergognarlo. Fargli capire che è malato, e che deve curarsi. Offrire alla donna una difesa efficace, darle amicizia e forza, tenerla allegra.

Consentitemi questa fantasia di self-help. Tutto, pur di non continuare ad assistere impotenti alla strage.

 

p.s.   Per risottolineare quanto ho già detto nel post:
si tratta di una specie di acting-out mentale
allo scopo di rendere evidente l’assoluta inefficacia
delle iniziative fin qui intraprese (o non intraprese) contro la violenza,
inefficacia sottolineata dall’inviata delle Nazioni Unite.
Ora mi pare che questo accontentarsi della denuncia morale sia giunto al limite.
L’efficacia non mi pare un aspetto irrilevante delle cose che si fanno.
Per me non lo è affatto, su nessun fronte. E non solo per me, a quanto pare.
Marisa Guarneri della Casa delle Donne maltrattate di Milano,
una che se ne intende parecchio con la sua trentennale esperienza,
insieme alle sue compagne d’iniziativa ha intrapreso una riflessione su come
attivare nelle donne maltrattate “tutta la forza necessaria” per un’efficace autodifesa.
Non è più pensabile, mi dice a titolo di esempio, vedere una donna picchiata da un marito costretto in carrozzella. Occorre riflettere su che cosa impedisce a quella donna, fisicamente più valida
del suo aguzzino, di difendersi in ogni modo.

 

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