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AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, economics, esperienze, lavoro Dicembre 17, 2011

Lavoro a km zero: la soluzione quasi di tutto

coworking

Ieri a Milano sciopero dei mezzi e traffico impazzito. C’è vento di neve, per fortuna, che diminuisce gli inquinanti. Mentre litigavo con un tassista sulle liberalizzazioni, mezz’ora di viaggio a caro prezzo e sempre discutendo, ho pensato che il telelavoro, o lavoro a km zero sarebbe la soluzione di un sacco di problemi. Pensiamoci.

Oggi una parte notevole del lavoro può essere svolta “in remoto”, ovvero da casa o da dove si vuole, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, internet, skype e via dicendo, tutte a basso costo e pulite. Questo significa non esigere di detenere fisicamente i dipendenti, ma pretendere prestazioni valutabili quantitativamente e qualitativamente. Da questo discende un notevolissimo alleggerimento del traffico urbano nelle ore di punta, la spaventosa transumanza inquinante delle 8 del mattino e delle sei di sera, a cui possono esere aggiunte misure di limitazione del traffico, di potenziamento dei mezzi pubblici, oltre a piste ciclabili, car sharing eccetera, misure che da sole sono solo palliativi.

A ciò va aggiunto il risparmio di carburanti e in generale il risparmio energetico che si produce smantellando quegli enormi e costosissimi luoghi di detenzione che sono le aziende, che vanno riscaldate, refrigerate, illuminate, etc., oltre a una maggiore produttività: un sacco di gente passa molto tempo negli uffici a smanettare online in attesa di svolgere qualsivoglia compito, mentre si dovrebbe organizzare il lavoro sulla effettiva produttività e sulla qualità dei prodotti.

Un altro effetto virtuoso sarebbe un miglioramento della qualità della vita familiare e una rivitalizzazione dei quartieri, che non sarebbero più dormitori ma luoghi di vita. I bambini piccoli non dovrebbero più essere depositati nei nidi alle sette del mattino -altre auto sgasanti-, ci si potrebbe organizzare con servizi flessibili e modulari per il baby sitting e anche per la spesa e altre necessità, magari all’interno dello stesso condominio. Chi non può lavorare in casa potrebbe raggiungere a piedi o in bicicletta un “ufficio condiviso” o postazione di coworking, organizzando liberamente i suoi tempi. La comunità locale diventerebbe il baricentro di tutto, lavoro e vita non sarebbero più separati, le relazioni non si limiterebbero alla sterile colleganza, la condivisione sarebbe ben più estesa e feconda. Le città diventerebbero più belle, perché più curate e vissute. E si potrebbe continuare molto a lungo. Io lavoro da anni in questo modo e benissimo, ma siamo ancora troppo pochi.

Durante la campagna elettorale avevo proposto che la grande macchina amministrativa comunale diventasse laboratorio trasparente di questa utopia concreta, modello sperimentale virtuoso ed epicentro di una vera rivoluzione urbana e metropolitana.

Siamo sempre in tempo.

Corpo-anima, esperienze, TEMPI MODERNI Marzo 21, 2011

AGENDE PIENE

E’ un periodaccio. Agenda piena ogni minuto della giornata, tutto scandito in chiave di impegno. ne parlavo con Lorella Zanardo stamattina, anche lei messa come me: che fine ha fatto il principio di piacere? Anche le cose che normalmente ti piacciono, messe in questo modo non ti piacciono più. Ti lasci trascinare dalla tua agenda, con quella sensazione perenne di pianto in gola.

Poi un giorno uno degli impegni salta, ti ritrovi mezz’ora inaspettatamente vuota, fai due passi, e in quella mezz’ora ti pare di combinare molto di più che nel resto delle ventitre e mezzo efficientisticamente scandite.

Non so più che cosa sarebbe la vita, fuori da questa trappola, e ho la sensazione di sbagliare tutto.

Donne e Uomini, economics Settembre 29, 2009

IMMAGINA CHE IL LAVORO

Mentre state correndo per andare a lavorare, o siete già sedute e seduti -spesso infelicemente- alla vostra scrivania, separate e separati dalla vostra vita, sentite qui:

“…Puoi dimostrare che non ha senso separare tempo di vita e tempo di lavoro e quindi pretendi che cambi il concetto di lavoro e di tempo di lavoro. E a partire da qui, dal lavoro inteso come unità di lavoro retribuito e di relasioni, pretendi di ridefinire l’economia, la teoria sociale e politica… Tutto ciò ipotizza un cambiamento di civiltà (primum vivere) oltre che di misure e di regole economiche… Non possiamo più permettere che siano le condizioni di lavoro, spesso nemiche dei nostri più elementari desideri, a cambiarci nell’intimo, come persone…”.

Eccetera. C’è molto altro. 8 pagine di riflessioni per un Manifesto del lavoro delle donne e degli uomini, scritto da donne e rivolto a tutti, “perché il discorso della parità fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta più”.

Il manifesto è scritto da un gruppo di donne di diverse età ed esperienze che da anni, per tutte e per tutti, si sono date il tempo di riflettere sul tema del lavoro. Per averne copia, potete scrivere a questo indirizzo e-mail: painuz@tin.it o passare dalla Libreria delle Donne a Milano, via Pietro Calvi 29.

Il prossimo 24 ottobre, in contemporanea in molte città italiane, si dibatterà sul manifesto in gruppi di discussione a cui anche voi potrete partecipare, o che anche voi potrete contribuire organizzare, rivolgendovi allo stesso indirizzo e-mail.

esperienze Luglio 31, 2009

MI COSTRINGETE

Mi costringete a rientrare in pista, perché l’amico Augusto ci ha inviato un video molto importante, e non vorrei che vi sfuggisse. E’ l’ultima conferenza, all’Oprah Winfrey Show, di un giovane professore americano che sa di avere poco da vivere. Un anno dopo se n’è andato. Ma ci ha lasciato questo.

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Febbraio 11, 2009

STATO CONFUSIONALE

Si dovrà probabilmente attendere una precipitazione (nel senso della chimica) per poter dire qualcosa di sensato, ammesso che mai ci si riesca, sulle questioni che si sono aperte a partire dalla vicenda tragica di Eluana Englaro. Io voglio dire qui, a partire da me e senza la pretesa di un discorso coerente, quelle due o tre cose che mi pare di avere chiare.

Ho avuto un mio caro in coma, e mi sono augurata, sì, che Dio se lo prendesse in fretta. Pesava molto, in questa mia preghiera, la mia incapacità di vederlo in quelle condizioni, lui, che era stato un uomo di così grande charme. Ho chiesto al medico: quanto può durare? il medico ha allargato le braccia, e io sono stata presa da grande rabbia. Avrei voluto che lui vivesse per sempre, ma esigevo che quella situazione finisse subito. Volevo vivere. Conosco persone che sanno sopportare per anni e anni la grave infermità di un familiare, che si organizzano con il loro cucchiaino di omogeneizzato, e tuttavia cercano di restare sereni come possono. Non toglierei mai quel cucchiaino di omogeneizzato o di acqua zuccherata, non toglierei mai quella cannetta che porta alimenti liquidi allo stomaco. Io, dico. Non la toglierei nemmeno al mio cane.

La legge non è un feticcio, per me, perfino la legge altissima che è scritta nella Costituzione è fin troppo umana per farne oggetto di idolatria. L’unica legge di fronte alla quale forse mi fermerei è quella espressa nei comandamenti, dove si dicono i fondamentali della convivenza umana, ma anche con quella vorrei sempre poter contrattare. Tutte le leggi si possono cambiare e perfino trasgredire quando ciò che prescrivono ripugna alla nostra umanità. Antigone ha violato la legge della città in nome di una sua legge splendente non scritta. La legge è troppo poco a fronte dello splendore della vita e della compassione.

Le donne hanno troppo taciuto di fronte a questa terribile storia. La questione è stata dibattuta, analizzata, sminuzzata e fatta oggetto di contesa quasi unicamente tra uomini. C’è una madre scomparsa, in questa vicenda, e non è solo la madre di Eluana. Questo silenzio femminile non è assenza di coraggio e di competenza, le donne di coraggio e competenza su queste cose ne hanno da vendere. Sono soprattutto loro, da sempre, che lavano e nutrono i malati, che vanno a trovarli in ospedale, che vestono i morti, che mettono le mani nel sangue e nella materia, al principio e alla fine. Gli uomini da queste faccende si sono sempre defilati. Che Eluana non fosse più la bella ragazza che era, per loro non è fonte di stupore. I malati sono così, non sono mai un bello spettacolo. Questo silenzio femminile vorrei saperlo ascoltare. In questa afasia c’è probabilmente la chiave per uscire dignitosamente e compassionevolmente dal pantano morale.

E’ vita quella di un malato ridotto in queste condizioni? Io non so trovarle altro nome di quello di vita. Non è la vita che ci piacerebbe vivere e vedere vivere, ma è vita.

Su El Pais è scritto che “Eluana, vera purosangue della libertà, ha risposto con il silenzio definitivo ed ha impedito che una norma prefabbricata passasse alla storia con il suo nome”. Ecco, leggo questa cosa e provo un fortissimo malessere.

Invito anche voi, se volete, a dire qui ciascuno una cosa, una soltanto -è più efficace- che però sentite intimamente vera e certa, alla fine di questa storia amara.

TEMPI MODERNI Febbraio 8, 2009

GUARDARE E NON TOCCARE

Ai cortei di ieri si è gridato che “la Costituzione non si tocca” (qualcuno anche “Berlusconi sciacallo infame”: un odio per l’avversario politico che per me resta inaccettabile). La carta costituzionale, naturalmente, non è un’ opinione che può essere cambiata con disinvoltura, e nemmeno una legge che può essere modificata seguendo l’iter ordinario. La procedura per la revisione del testo costituzionale è ovviamente più complessa e precisamente indicata dal testo costituzionale stesso.

Forse sbaglio, ma mi domando: non è idolatria ritenere intoccabile una Carta, seppure solenne e maiuscola, e ritenere invece possibile ogni manovra disinvolta sui fondamentali della vita? Non vi spaventa di più, o almeno allo stesso modo, che si possa intervenire per legge sulla nascita e sulla morte (eventualmente sbrigandosela in 2-3 giorni) in qualunque direzione si legiferi?

TEMPI MODERNI Novembre 14, 2008

IN CARRIERA? NO, SUL TRALICCIO

Giuly, attenta e acuta blogger, ci segnala un articolo del New York Times sul tema del lavoro, croce e delizia. Gentilmente lo traduce per sommi capi, e io aggiungo un piccolo editing (non fate troppo caso alla forma…).

Ve lo propongo. Idee per datori di lavoro illuminati. Speranza per lavoratrici e lavoratori. Buone pratiche organizzative per essere tutti più felici (o meno infelici). Leggete e fate leggere. E dite la vostra.

SU PER LA SCALA? VECCHIO E SEMPLICISTICO

cathy benko

cathy benko

di Cathy Benko – Vice Presidente e Responsabile Talenti – Deloitte L.L.P, multinazionale di consulenza e servizi alle imprese.

Quando pensiamo a come le carriere sono costruite, molti di noi visulaizzano una scala, i cui pioli vengono scalati dal lavoratore man mano che sale nella gerarchia dell’organizzazione. Da quando sono state inventate le gerarchie aziendali il successo personale è sempre stato rappresentate con questo modello. Ma le gerarchie non sono più quelle di una volta. Nel giro di due generazioni la fisionomia della forza lavoro è cambiata per la presenza di un maggior numero donne, per l’invecchiamento della generazione dei baby boomer, e per l’arrivo delle generazione Y; ma anche perché sono cambiati i comportamenti dei lavoratori in generale. Le regole che governano le organizzazioni però sono rimaste sono quelle dell’età industriale: one-size-fits-all (taglia unica) e continuous full time climbing (impegno in carriera continuo e a tempo pieno).
La sfida di oggi è: “adattare il lavoro alla vita, e la vita al lavoro”, e l’esperienza dice che non si può pervenire a un modello unico. La convergenza di lavoro e vita sta producendo un cambiamento che “sega la scala”. La relazione tra vita e lavoro sta diventando più complessa, e il concetto di carriera è in via di ridefinizione. Continuiamo a guardare le cose con le lenti del passato, mentre un po’ ovunque ci sono esempi di carriera non lineare. La metafora che può essere usata per descrivere il nuovo modello di carriera è quella del “traliccio”: un traliccio come quelli che si vedono nei giardini, piattaforme viventi per la crescita delle piante con spinte in varie direzioni. Il traliccio quindi è qualcosa che ti permette di muoverti in più direzioni, a zig zag.
Un tempo una mossa a lato o addirittura verso il basso poteva essere considerata il capolinea di una carriera. Oggi i lavoratori sono molto più inclini a raggiungere un soddisfacente livello di responsabilità e di retribuzione e fermarsi lì per un certo periodo, in modo da conciliare le necessità della vita e quelle del lavoro. In seguito alcuni riprenderanno la loro scalata verso l’altro, altri no. Il confine tra casa e lavoro è diventato labile, ed è il momento di adottare un modello più vicino al fatto che viviamo in un “mondo traliccio”.
Alla Deloitte abbiamo sviluppato un approccio tagliato “su misura” (caso per caso) per lo sviluppo delle carriere, pervenendo a un modello in cui le organizzazioni e le persone considerano le varie opzioni, operano le loro scelte e infine concordano una soluzione in grado di bilanciare quattro dimensioni: ritmo di carriera, mole di lavoro, sede e orari di lavoro e ruolo. L’obiettivo è una soluzione vantaggiosa sia per il lavoratore, sia per il datore di lavoro. Questo modello riconosce che le priorità del lavoratore possono cambiare nel tempo. In sintesi, rimpiazza l’immagine della scala con quella del traliccio, incoraggiando adattabilità e lungimiranza. Il nostro obiettivo è offrire ai dipendenti la possibilità di conciliare tra lavoro e e vita, garantendo ai datori di lavoro la lealtà dei loro migliori e più brillanti collaboratori.

http://www.nytimes.com/2008/11/09/jobs/09pre.html

Archivio Agosto 4, 2008

ADDIO A SOLGENITSYN

E’ morto Aleksandr Solgenitsyn, premio Nobel per la letteratura e soprattutto testimone dell’orrore dei gulag. Il quale pure diceva che se avesse dovuto costruirsi personalmente una vita non avrebbe saputo “inventarne una migliore di quella che Dio mi ha dato”.

La morte di uomini e donne come Solgenitsyn, che hanno vissuto tanto pienamente e generosamente la loro avventura terrena, è tutto sommato un avvenimento ininfluente, che non diminuisce tanta pienezza. Quando si vive così, in un certo senso si sconfigge la morte, la si relativizza, perché si è vissuto eternamente, secondo le leggi armoniche dell’eternità -soprattutto l’amore- contro cui la morte non può nulla.

Archivio Luglio 15, 2008

LA TERRA PIATTA

Mi scrive Marcos: “Buone e cattive notizie; penso a come il racconto della nostra esistenza non esca granchè azzeccato dai giornali e dalla letteratura e neanche dalle riprese televisive; è come quando s’immaginava la terra piatta… Vale la pena di raccontare il presente?”.

E’ bella questa cosa della terra piatta. La domanda che mi faccio è: dove è nascosto il racconto vero della nostra vita? O pensate che sia possibile per un essere umano, creatura simbolica, vivere senza raccontare e raccontare senza vivere?

Ho pensato anche che quando questo blog sarà un vero ricchissimo blog -anche con le figure- mi piacerebbe una rubrica “preghiere esaudite” (è Truman Capote, se non ricordo male) o qualcosa del genere, in cui si racconta della possibile bellezza della vita.

Archivio Maggio 29, 2007

IL VUOTO CHE LASCIAMO

Quando qualcuno che abbiamo amato se ne va, gli amici gli rendono omaggio parlando del grande vuoto che lascia. Non è una formula retorica. Il sentimento immediato è questo, per i più intimi soprattutto, per tutti quelli che hanno goduto più da vicino di quell’esistenza: una mancanza incolmabile, una smagliatura violenta nella trama della propria vita. Eppure nel parlare di vuoto, anche se per amore, c’è qualcosa di ingiusto e di disperante.
E’ vero: chi da vivo ha fatto molto, chi la sua vita l’ha ben spesa, quando se ne va non potrà più fare nulla, e questo mancherà a tutti coloro che da quel fare hanno tratto beneficio. Specie se il cerchio dei beneficiari è stato ampio. Ma questo significa lasciare un “pieno”. Significa avere seminato a piene mani e generosamente, lasciando profonde tracce di sé negli altri e lungo le strade che si sono percorse. Questo vuol dire che quella vita sarà in qualche modo eterna, che quella coscienza continuerà a germogliare e fruttificare.
Quando una vita si sporge verso gli altri, e in questo sporgersi, con tutto il suo bene e anche con i suoi errori, trova il suo senso più profondo –e non c’è bisogno di essere intellettuali, né di raggiungere chissà quali vette: basta un po’ d’amore- la sua fine illumina un “pieno”, una ricchezza che non si esaurirà. Attraverso il vuoto dell’assenza continuerà a fluire ciò che di meglio quella vita è stata. Quel vuoto è solo un passaggio aperto da chi se ne è andato, una strada che chiama a incamminarvisi, a seguire il percorso.
Il vuoto vero, secondo me, lo lasciano altri. Chi ha vissuto rapacemente, intento solo a se stesso. Chi non ha fatto che prendere per sé, spargendo sale intorno dopo essersi riempito le braccia. Chi ha pensato solo al danaro, dimenticando che il danaro è solo la più comoda, non necessariamente la più feconda, tra le mediazioni possibili. Chi non ha sbagliato mai, sempre via dritto e a petto in fuori, per totale mancanza di generosità e di passione. Chi non ha saputo capire per tempo che tutti abbiamo bisogno di tutti, e che quel poco di senso della vita che ci è dato di intendere sta nel darsi da mangiare l’un l’altro.
Chi ha vissuto così quando se ne va lascia un vuoto tremendo, davvero incolmabile. Quel pezzetto di terra che ha abitato è così arido e prosciugato che ci vorranno molto tempo, molto lavoro e le energie generose di tanti per vederlo rifiorire.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)