Si dovrà probabilmente attendere una precipitazione (nel senso della chimica) per poter dire qualcosa di sensato, ammesso che mai ci si riesca, sulle questioni che si sono aperte a partire dalla vicenda tragica di Eluana Englaro. Io voglio dire qui, a partire da me e senza la pretesa di un discorso coerente, quelle due o tre cose che mi pare di avere chiare.

Ho avuto un mio caro in coma, e mi sono augurata, sì, che Dio se lo prendesse in fretta. Pesava molto, in questa mia preghiera, la mia incapacità di vederlo in quelle condizioni, lui, che era stato un uomo di così grande charme. Ho chiesto al medico: quanto può durare? il medico ha allargato le braccia, e io sono stata presa da grande rabbia. Avrei voluto che lui vivesse per sempre, ma esigevo che quella situazione finisse subito. Volevo vivere. Conosco persone che sanno sopportare per anni e anni la grave infermità di un familiare, che si organizzano con il loro cucchiaino di omogeneizzato, e tuttavia cercano di restare sereni come possono. Non toglierei mai quel cucchiaino di omogeneizzato o di acqua zuccherata, non toglierei mai quella cannetta che porta alimenti liquidi allo stomaco. Io, dico. Non la toglierei nemmeno al mio cane.

La legge non è un feticcio, per me, perfino la legge altissima che è scritta nella Costituzione è fin troppo umana per farne oggetto di idolatria. L’unica legge di fronte alla quale forse mi fermerei è quella espressa nei comandamenti, dove si dicono i fondamentali della convivenza umana, ma anche con quella vorrei sempre poter contrattare. Tutte le leggi si possono cambiare e perfino trasgredire quando ciò che prescrivono ripugna alla nostra umanità. Antigone ha violato la legge della città in nome di una sua legge splendente non scritta. La legge è troppo poco a fronte dello splendore della vita e della compassione.

Le donne hanno troppo taciuto di fronte a questa terribile storia. La questione è stata dibattuta, analizzata, sminuzzata e fatta oggetto di contesa quasi unicamente tra uomini. C’è una madre scomparsa, in questa vicenda, e non è solo la madre di Eluana. Questo silenzio femminile non è assenza di coraggio e di competenza, le donne di coraggio e competenza su queste cose ne hanno da vendere. Sono soprattutto loro, da sempre, che lavano e nutrono i malati, che vanno a trovarli in ospedale, che vestono i morti, che mettono le mani nel sangue e nella materia, al principio e alla fine. Gli uomini da queste faccende si sono sempre defilati. Che Eluana non fosse più la bella ragazza che era, per loro non è fonte di stupore. I malati sono così, non sono mai un bello spettacolo. Questo silenzio femminile vorrei saperlo ascoltare. In questa afasia c’è probabilmente la chiave per uscire dignitosamente e compassionevolmente dal pantano morale.

E’ vita quella di un malato ridotto in queste condizioni? Io non so trovarle altro nome di quello di vita. Non è la vita che ci piacerebbe vivere e vedere vivere, ma è vita.

Su El Pais è scritto che “Eluana, vera purosangue della libertà, ha risposto con il silenzio definitivo ed ha impedito che una norma prefabbricata passasse alla storia con il suo nome”. Ecco, leggo questa cosa e provo un fortissimo malessere.

Invito anche voi, se volete, a dire qui ciascuno una cosa, una soltanto -è più efficace- che però sentite intimamente vera e certa, alla fine di questa storia amara.

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