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silvio berlusconi

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Settembre 17, 2011

L'uomo più povero del mondo

Leggo oggi sul Corriere: Silvio Berlusconi “Io ho due BAMBINE PICCOLE che è tanto che non vedo…”
Essendo una persona fiduciosa, qui io penso in prima battuta che lui si riferisca alle sue figlie, che stia dicendo a Gianpaolo Tarantini: guarda, stasera non posso proprio, devo vedere le mie ragazze… E invece no.
“… una fa la giornalista in Rai, in Mediaset allo sport, è una napoletana molto simpatica, molto dolce. Un’altra è una bambina di 21 anni brasiliana che mi ha pianto al telefono dicendomi che l’avevo dimenticata e allora la faccio venire…”.

Non posso fare altro che ripostare la lettera che segue, scritta alcuni mesi fa, chiedendomi che cosa provino le figlie di quest’uomo, ricche di tutto ma le più povere del mondo -come sono stata ricca io, avendo avuto un padre tanto dolce e premuroso!- di fronte a tanta miseria morale. E se lui non se lo chieda, e se non provi un’intima e profonda vergogna al loro cospetto per questo stato di bulimia sessuale che lo rende (in)capace di tutto e ricattabile da chiunque, e perché non scatti in lui quel senso paterno che lo preserverebbe dal degrado e dall’insensibilità nei confronti di queste ragazze che gli si concedono con sicuro disgusto in cambio di favori. E mi domando come si comporterebbe se qualcuno facesse alle sue figlie quello che lui fa a queste giovani donne. E se non si senta l’uomo più povero del mondo, povero come le sue figlie, quando le guarda negli occhi.

 

Signor Presidente del Consiglio,

sono abbastanza vecchia da non poter più aspirare a essere selezionata per i suoi party, ma anche abbastanza giovane da poter essere sua figlia (per bontà divina non lo sono). Quelle ragazze sono mie figlie, e lei è il loro nonno. Lei dice di aver diritto a godersi la vita, ma anche quelle ragazze hanno diritto a godersela. Se sua figlia o sua nipote, per godersi la vita, per trovare un posto nel mondo, o per legittima per quanto malriposta ambizione, dovessero danzare e spogliarsi per un vecchio quale lei è, o perfino accomodarsi tra le sue braccia, lei di sicuro ne soffrirebbe molto. Che queste ragazze siano minorenni o maggiorenni è un fatto che riguarda la legge. Ma anche se avessero  25 anni, rimarrebbe aperta una seria questione di coscienza.

Signor Presidente del Consiglio, attualmente lei gode ancora del consenso della maggioranza degli italiani, ma questo non la dispensa dalla più elementare legge morale, che è quella di non fare del male a chi è indifeso, e di non approfittare di chi si trova in una situazione di bisogno. Se quelle ragazze vengono ai suoi party, Presidente, non è perché la trovino attraente, ma solo perché sperano di ricavarne qualche vantaggio. Per qualunque donna giovane e feconda, non si faccia illusioni, il contatto con un uomo vecchio è ripugnante. Senza eccezioni. Lei compreso. Questo può essere molto doloroso per un uomo che provi ancora il desiderio di una donna, contravveleno alla paura della morte che si avvicina. A quanto ci viene raccontato da molta letteratura, da vecchi il desiderio può essere ancora lancinante, e perfino disperato. Ma vi è la possibilità che il dispositivo della coscienza sia più forte, che il desiderio venga sublimato, che l’istinto di proteggere chi è più piccolo, come quelle quasi-bambine, abbia la meglio. Su questa possibilità e su questa speranza basiamo grande parte del patto umano.

Ci sono anche i ragazzi, non solo le ragazze, a cui da molti anni, praticamente da quando sono al mondo, lei offre un modello di relazione tra uomini e donne basato sullo scambio sesso-potere-denaro. I suoi figli e i suoi nipoti, che la osservano, e si sentono certamente mortificati dal suo lassismo.

Signor Presidente, molti osservatori concordano sul fatto che il tempo del suo premierato è in scadenza, che siamo agli ultimi giorni di Pompei, e si sa che un impero alla sua fine esprime quasi sempre un collaterale degrado morale. Ma senza voler parlare di politica, stando all’essenziale della sua e anche della mia umanità, l’auspicio, Presidente Berlusconi, è che in uscita lei accetti i limiti e le responsabilità connessi alla sua età veneranda, che trovi la forza morale per esprimere qualche ravvedimento, per restituire in extremis alle giovani generazioni quello che, insieme a ben altro -la possibilità di un lavoro, di una casa, di una vita- è stato loro tolto: la fiducia nell’amore vero, costruito nel rispetto e nella dignità, e nella possibilità di costruire insieme, uomini e donne, quel poco di serenità in cui ci viene dato di sperare nella vita. Si lasci aiutare a farlo, se da solo non ci riesce.

Detto come da una figlia a un padre in gravi difficoltà, e provando una profonda compassione, per lei e per tutti.

economics, Politica Settembre 4, 2011

C'è qualcuno che mi darebbe 500 mila euro?

io, mentre aspetto i 500 mila euro

C’è per caso qualcuno che mi darebbe spontaneamente 500 mila euro a fondo perduto? E poi eventualmente 20 mila al mese, per le piccole spese? E già che ci siamo, mentre sono lì al rogito per comprarmi una casa, vado a incipriarmi il naso e quando torno il notaio mi dice: “Signora, siamo a posto così. Quando era in bagno è passato uno e ha pagato per lei”.

Perché sono cose che succedono, vedete? Viviamo in un paese meraviglioso.

Avrei dei lavori abbastanza urgenti da fare in casa, poi ho una vecchissima cascinotta di famiglia che andrebbe ristrutturata, magari avviare un’attività per mio figlio, pensavo anche di farmi un bel paio di tettone tipo quelle di Debbie Castaneda, eventualmente anche una tiratina, una spuntata al naso che è sempre stato importante, il guardaroba da rifare ex novo, mica posso andare a Cortina conciata in qualche modo, una barchetta, anche il dentista che ho una cosetta da sistemare, e ora non pretenderete che io vi dica tutti i fatti miei, scusate.

500 mila euro, e via, che cosa saranno? La gran parte di noi non li vedrà mai, tutta la vita lì a fare i conti, forse è meglio che imbianchiamo noi, quel dente lo posso lasciare andare, in vacanza quest’anno no, magari la zia ci ospita in Brianza, se finiamo in tempo col mutuo riusciamo a pagare l’università al ragazzo… Gesù, che gente.

Quando invece basterebbe dirlo: mi servirebbe mezzo milione per rifarmi una vita, che cosa sarà mai mezzo milione, vedrete che se qualcuno, tipo il premier, viene a saperlo, li sborsa subito, perché lui aiuta tutti.

Per contatti, benissimo il blog.

economics, Politica Luglio 5, 2011

Arlecchino Bossi e la Lega ad personam

Il problema del premier oggi, come quello di tutti i sultani, è di poter uscire di scena senza rimetterci soldi. La norma salva Fininvest è davvero incredibile nella sua sfacciataggine. Uno legge e rilegge e non ci crede. Gliel’ha fatta l’avvocato Ghedini, che in mancanza di leggi per salvare il suo assistito da quella che il figlio Piersilvio chiama “la mazzata”, ne ha confezionata una su misura, a pochi giorni dalla sentenza sul Lodo Mondadori, prevista per sabato, che potrebbe costringere Berlusconi a un esborso di 750 milioni a favore della Cir di De Benedetti.

Norma cucinata all’insaputa di Tremonti, leggo, che “ha tentato con ogni mezzo di opporsi”. Non con ogni mezzo. C’è un ottimo mezzo: le dimissioni. C’è un ottimo mezzo: minacciare di far cadere il governo. Questi mezzi non sono stati esperiti, a quanto pare.

Il comportamento della Lega è letteralmente suicidario. Titolo della commedia: Arlecchino Bossi e la Lega ad Personam. Se oggi  Bossi si presentasse a Pontida gli tirerebbero i pomodori. Lacrime e sangue per tutti, giusto una spuntatina minima alle spese per la politica, e questo regalone al Sior Paròn. La Lega sta facendo male i suoi conti. La Lega rischia un fine-corsa con ignominia. Soprattutto, si sta assumendo una gravissima responsabilità nei confronti, anzi contro il Paese. Padania compresa.

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Luglio 4, 2011

Dice Ritanna (su Strauss-Kahn e Ophelia)

Ricevo dall’amica Ritanna Armeni e volentierissimo pubblico:

Lo confesso, sono fra le donne che aveva provato una certa intima soddisfazione nel vedere il potente Strauss Kahn incriminato per aver violentato una cameriera. E non perché mi piacciano  il carcere e le manette. La soddisfazione, certo amara,  veniva dal fatto che quella denuncia per  stupro aveva acceso un faro e aveva illuminato la vita precedente di Strauss Kahn, la sua condotta sessuale, il suo rapporto con le donne, l’abuso di potere continuamente esercitato. Perchè tutti sapevano delle inclinazioni ( chiamiamole così) di Strauss Kahn, della sua propensione a pretendere prestazioni sessuali, di quello che, sempre molto misericordiosamente, giornalisti e politici chiamavano la sua debolezza, la sua ossessione, il suo demone e che invece era semplicemente e banalmente la concezione  e quindi l’esplicitazione, la concretezza del suo rapporto con le donne. Ma nessuno, fino al momento della denuncia della cameriera nera, aveva mai detto niente. Il rapporto che aveva  con le donne era considerato un fatto secondario, insignificante di fronte alla “politica”. Si trattava di una debolezza. E chi non ne ha?  Di una questione irrilevante di cui si poteva anche sorridere. Di un  gossip divertente  nei salotti della gauche. Del “personale” da rispettare. Quella denuncia finalmente aveva acceso un faro. Aveva fatto capire a molti che il rapporto con le donne, la sfera personale, certo vanno vissuti liberamente, ma  non possono non essere sottoposti a giudizio. Che gli uomini non possono dividere come una mela la sfera pubblica da quella privata, che un uomo di potere, non può impunemente estendere questo anche al rapporto sessuale. E’ quel faro che si cerca di spegnere. La inaffidabilità della vittima non solo rende  Strauss Kahn automaticamente innocente, ma sta cancellando ogni riflessione sul suo comportamento precedente. La sua condotta sessuale, il suo rapporto con le donne, l’abuso di potere tornano ad essere pettegolezzi da salotto, questioni secondarie, piccoli vizi che nulla hanno a che fare con le capacità dell’uomo pubblico. Strauss Kahn potrebbe fare il Presidente della repubblica francese? Perché no? I vertici del partito socialista francese parlano addirittura della possibilità che partecipi alle primarie. Non è più alla testa del Fondo monetario internazionale? E’ una palese ingiustizia che il grande uomo pubblico ha subìto. In uno stato di diritto un uomo o una donna vanno giudicati solo in base alla legalità dei loro comportamento. Questo devono fare i tribunali ed i giudici. Come si può non essere d’accordo? Ma basta –questo il punto – nel caso di Strauss Kahn limitare il dibattito pubblico alla legalità e alla esistenza del crimine? Solo su questo devono giudicare i cittadini e le cittadine quando scelgono i loro rappresentanti? Come devono comportarsi, ad esempio, quelle e quelli che devono decidere sulla presidenza della Repubblica francese? Devono dimenticare tutto? Spegnere il faro del Sofitel come troppo ed inutilmente accecante? Cancellare come irrilevante quello che la denuncia di stupro ha illuminato, il fatto che un uomo con grandi responsabilità pubbliche  chieda continue prestazioni sessuali? Ignorare l’asimmetria di potere fra l’autorità di lui e la donna incaricata di rassettare la sua stanza? Se lo è chiesto Franca Fossati su Europa e ha dato la risposta giusta.

Se Strauss-Kahn – ha scritto – diventa un Berlusconi qualsiasi, gli andrebbe chiesto, come al nostro premier, di non pretendere di rappresentare gli uomini e le donne del suo paese”. E questo anche se risulta completamente innocente nell’affaire Ofelia,  anche se in quella stanza del Sofitel lui non avesse degnato la cameriera nera neanche di uno sguardo. Cosa di cui francamente continuo a dubitare.

 

Politica Giugno 20, 2011

Tiren innanz

Potrebbe essere l’ultima volta di Bossi a Pontida, di sicuro. Non perché gli si auguri un male ingiusto -Dio protegga il vecchio guerriero!-ma perché se per stavolta il popolo leghista, che c’è e risponde vigorosamente all’appello, butta giù il boccone amaro della sfilza di promesse a breve e a medio termine, mettendo le briglie all’insofferenza, fingendo di credere che quello che non è avvenuto in anni capiterà in mesi, dando un po’ di tempo al capo perché trovi l’uscita navigando a vista, consolandosi con il sogno di Bobo Maroni premier, una prossima volta non ci sarà.

Tiren innanz, sapendo bene come lo sappiamo tutti, leghisti e non leghisti, che non ci sarà nessuna riforma costituzionale con dimezzamento dei parlamentari e Senato federale, garantita addirittura per il 3 luglio, che non ci sarà nessun ministero che fa gli scatoloni per spostarsi nella Villa Reale di Monza, il presidente Napolitano ha già tagliato corto-. E che le spese mostruose e inaccettabili della politica non saranno tagliate entro il 19 luglio, che il consiglio dei ministri -dove: a Roma o a Monza?- non darà il via libera alla riforma fiscale entro il 21 settembre, e così via.

Quello che forse ci sarà per la fine dell’estate sarà una Lega un po’ più pronta a tirare le somme che oggi non può ancora permettersi di tirare e a separare il suo destino da quello del premier Berlusconi senza farsi troppo male. E ci sarà un Paese ancora più malmesso.

A proposito: voi lettori del nord conoscete per caso qualcuno, leghista o non leghista, che vorrebbe quei tre ministeri al Nord? Perché io non ne ho mai incontrato uno…

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Giugno 14, 2011

Nessuno pensi di cavarsela con 4 collanine

L’immagine di Silvio Berlusconi che dopo la botta dei referendum compra collanine (per chi?), e non da Bulgari, ma in uno di quei negozietti che vendono pietre sciolte e accessori per farsele da sé, la faccia mesta di uno che comincia finalmente a capire che la festa è finita, e che lui è rimasto da solo sulla pista da ballo, potrebbe essere il presagio di un’uscita di scena a breve e senza troppi clamori, molto diversa dalle fantasie alla Caimano. Tutto finisce, ed è finito anche il berlusconismo, e ormai lo sa anche Berlusconi: il primo colpo a Milano, quello definitivo probabilmente fra pochi giorni a Pontida. Forse un governo balneare, poi un premierato Tremonti, e infine al voto, questo è uno degli scenari a oggi. Anche se qui si naviga a vista.

Questo post solo per dire che se Berlusconi piange, è un’intera classe politica a non poter ridere: la valenza antiberlusconiana del quorum e della valanga di sì è stra-evidente, ma -e lo dico avendo vissuto intensamente la vicenda milanese- il messaggio è inviato a tutti. Il voto referendario parla di una rivolta civica, e chiede un cambiamento vero. Non piccoli aggiustamenti e pateracchi, ma una stagione di riformismo radicale, nei tempi e nei modi.

Anche altre facce, sì: i leader politici e i veterani di Montecitorio e di Palazzo Madama ne prendano atto. I nostri indignados vogliono una nuova classe politica. La vogliono più femminile e la vogliono più giovane e quindi più efficace e più capace di innovare. Che prendano la foto ufficiale della neonata giunta milanese e la studino attentamente: il modello è quello, e non si torna più indietro. Donne e giovani, gli esclusi della politica, le uniche e gli unici a offrire la garanzia del cambiamento. E fine dei compromessi e dei lassismi di qualunque tipo.

L’accanimento con cui grande parte degli elettori di Giuliano Pisapia sta chiedendo che il neoassessore al Bilancio Bruno Tabacci, sia pure apprezzato per la sua onestà e la sua competenza, rinunci al suo mandato di parlamentare per non ricoprire un doppio incarico -accanimento che personalmente non condivido- è lì a dire con chiarezza un’esigenza di rigore e una fortissima richiesta di partecipazione a ogni atto di governo della città. Capita qui, e capiterà ovunque.

Sono queste le novità, e sono ineludibili. Nessuno pensi di cavarsela con quattro collanine.

Donne e Uomini, Politica Giugno 11, 2011

SANTANCHE' LA PENSA COME ME

So che sto per dire una cosa impopolare, ma a me Daniela Santanché è simpatica. Non condivido nulla di lei -quello che dice, come lo dice, e anche i suoi eccessi chirurgici– eppure mi è simpatica. Mi diverte la sua totale mancanza di automoderazione, il suo rompicoglionismo, il suo protagonismo, e il fatto che dalla sua faccia trapela quello che pensa.

L’altro giorno, mentre venivo bersagliata di pomodori dai liberi servi del Capranica, lei era in prima fila. Mentre dicevo le mie cose la guardavo, e lei ascoltava con attenzione, annuiva -forse malgrado se stessa-. Sorrideva, e non beffardamente. Quando per esempio ho detto che le milanesi hanno mollato Silvio Berlusconi esattamente come ha fatto sua moglie, che la bulimia sessuale del premier è un problema, che la misoginia di Letizia Moratti è stata colossale errore, che il berlusconismo è finito, lei, che oltretutto è di Milano, era d’accordo con me. Sarei pronta a giurarlo, anche se poi, salita a sua volta sul palco, mi ha massacrato.

Oggi leggo sui giornali le sue conversazioni intercettate con Flavio Briatore, e ne ho la certezza. La conversazione è di aprile, Briatore dice a Daniela che il premier ha cambiato villa, ma continua serenamente con i suoi bunga-bunga. In poche parole, è un sex-addicted. “Va be’, ma allora qua crolla tutto” dice lei. E ancora: “Io sono senza parole... Ma perché?”. E Briatore: “E’ malato, Dani! Il suo piacere è vedere queste qui, stanche, che vanno via da lui”. Eccetera. Il sottosegretario Daniela Santanché è sbigottita. Come tutte le altre donne di questo paese.

p.s: nelle intercettazioni si parla anche di Emilio Fede e di una certa sua “amica”, Manuela Zardo, a cui avrebbe comprato delle case. Ho conosciuto la signora Fede, Diana De Feo, signora di gran classe, colta, squisita ed elegante, ancora molto bella -e anche parecchio agiata di suo-. Ma perché diavolo non lo molla, mi domando…

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, esperienze, Politica Giugno 9, 2011

MEGLIO POMODORATA CHE EROIFICATA

 

 

Se permettete vorrei dire la mia sul Capranica ieri.

Anzitutto perché ci sono andata. Non sono una serva felice o una schiava radiosa. Sono una che ha vissuto da dentro e dal principio una lotta politica, quella di Milano, e che ha provato a raccontarla a chi non è di Milano, perché quello che è capitato qui non è facile da capire, soprattutto a Roma. E’ uno switch antropologico e culturale prima ancora che politico. L’ho fatto nel pezzo che vedete pubblicato nel blog, Da Berluscones ad Aranciones. Giuliano Ferrara ha detto che il pezzo gli era piaciuto ma che l’aveva fatto “molto soffrire”, e mi ha invitato a raccontare quelle stesse cose alla platea del Capranica. Ho accettato l’invito.

Lì ho detto quello che avevo scritto: che la rete era stata decisiva per la vittoria del centrosinistra, e che il centrodestra è molto in ritardo su questo fronte -ribadendo quello che aveva appena finito di dire il direttore del Tempo Mario Sechi-; che i soggetti dello switch erano stati tre: i ceti medi produttivi e creativi; le donne, molto importanti nel consenso a Berlusconi, che invece il 13 febbraio “lo hanno lasciato così come ha fatto sua moglie” (e qui ho aggiunto: “attenzione alle donne, senza di loro non si fa niente”) e che la misoginia di Letizia Moratti aveva aumentato il carico; e infine i giovani, un vero plebiscito per Pisapia che pure non conoscevano, perché per loro Berlusconi rappresenta il vecchio, la muffa, che le sue tv non le guardano più. E a muffa avrei voluto aggiungere “la forfora, un nonno che Google lo chiama Gogòl e a cui piacciono le ragazzine”.

Non stavo esprimendo la mia opinione su Berlusconi. Stavo raccontando quello che, a mio parere, i giovani che non l’hanno votato, tantissimi, pensano di lui. Ma sono stata interrotta da fischi e insulti francamente irripetibili. Meglio di tutti lo racconta stamattina Stefano Di Michele proprio sul Foglio, quando dice che io intendevo “vecchio” come “degasperiano nelle intenzioni, un filino Tino Scotti“: è proprio così. Anche i giornalisti del Foglio sono piuttosto giovani.

Forse dal video si nota: la contestazione non mi ha affatto agitato, e anzi mi ha piuttosto divertito, non mi manca il senso dell’umorismo. Raccontavo quello che avevo visto, lo raccontavo senza odio ma solo per fare capire, e in amore di verità. La parola “vecchio” era stato il detonatore, forse perché l’età media della platea era piuttosto elevata. La maleducazione è stata davvero notevole, devo però anche dirvi che molti, una volta scesa dal palco -questo sul video non si vede- sono venuti a scusarsi e a stringermi la mano, e a dire che era stato duro sentirsi dire certe cose, ma che probabilmente erano cose vere, ed era bene saperle. Che i colleghi Maurizio Belpietro e Mario Sechi sono stati “solidali” (concetto decisamente un po’ eccsssivo per la circostanza, che era anche molto comica). Che molti importanti esponenti del centrodestra in prima fila, donne e uomini, annuivano mentre parlavo: almeno parte di quelle cose le pensavano anche loro. La realtà è sempre più complessa di come appare.

Quindi sono comunque contenta di essere andata lì, un po’ meno di essere eroificata: il coraggio nella vita è proprio un’altra cosa. Per i miei gusti, meglio pomodorata che eroificata. Non mi piace la passione politica quando si esprime in tifoseria da stadio -parlare di violenza sarebbe improprio- preferisco provare a vedere l’amico nel nemico, e la parte di nemico che c’è nel tuo sodale.

Una volta Alexander Langer, maestro e fratello, uno che sui nemici-amici e sul gettare ponti aveva costruito la sua politica, mi fece fare un istruttivo esercizio talmudico: sostenere un’opinione A di fronte a un antagonista che diceva B; e dopo pochi minuti scambiare le posizioni: dire tu B e lui A. Molto istruttivo, fatelo.

Voglio anche aggiungere questo, per tutti i miei lettori di centrosinistra: non mi pare affatto strano che il centrodestra dopo la scoppola elettorale rifletta su se stesso e sulla sua leadership e intenda “rifondarsi”, e anzi è molto interessante quello che capiterà. E anche su questo ho detto la mia: che gli unici del centrodestra che, io credo, oggi a Milano possono rispondere alla domanda di buon senso e di ritorno ai fondamentali espressa dalla città sono gli efficientissimi ciellini di Formigoni. Cosa che da alcuni sarà ovviamente intesa come mio formigonismo e ciellinismo. Pazienza. Mi beccherò pure questa.

Chiudo su Alessandra Mussolini, la cui simpatia è veramente travolgente: ha detto che Lettieri, candidato Pdl a Napoli, “pareva un agente immobiliare, uno che vende le nude proprietà”, contro De Magistris, “bello guaglione”. “Lettieri, mangia“, ha concluso. Irresistibile.

P.S. A Roma ci si diverte molto di più che a Milano, anche in politica: per forza quando vanno là si “sconnettono” pure Bossi e Berlusconi.

Donne e Uomini, esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Giugno 3, 2011

DA BERLUSCONES AD ARANCIONES

Quello che è capitato a Milano, spiegato soprattutto ai non-milanesi

Ok, Milano non è facile da capire. Ma bisogna proprio non capirla per niente se hai la faccia di presentarti alle 6 di pomeriggio di fronte a una piazza in festa, accaldata e arancione, per strillare “Abbiamo espugnato Milano”. “Espugnati questa m…a”, chiosa uno sotto il palco accanto a me. Qualcuno spieghi a Nichi Vendola –poi gliel’ha spiegato perfino Pisapia- che Milano non era una cittadella assediata.

Milano aveva scelto liberamente e con entusiasmo un’ipotesi politica, un modello, uno stile, un Cavaliere rampante figlio del suo grembo e intriso dei suoi umori, e aveva voluto anche la sua Cavalieressa, signora della migliore borghesia che migliore non ce n’è. Milan e Inter uniti nella lotta contro Roma statalista lontana mille miglia, i milanesi che si sentono più a casa a Columbus Circle o a Piccadilly Circus che a Via del Corso.

Milano tutta questa roba l’aveva fortemente voluta. E a un certo punto, con sobria determinazione, non l’ha voluta più. A farla breve, la storia è tutta qui.

La prima, forse la vera festa è stata la sera del 16 maggio, primo turno, al teatro Puccini, uno di quegli storici teatri milanesi scampato per un pelo alla riconversione in Zara o H&M, proprio in corso Buenos Aires, arteria commerciale tra le più importanti d’Europa. Lì si è visto che la gran parte dei sondaggisti dovrebbe cambiare mestiere. Contro ogni previsione –le più ottimistiche lo davano pari o un paio di posizioni sotto- l’avvocato Giuliano Pisapia aveva staccato di sette punti Letizia Moratti, sindaca uscente. Lì si è capito quasi tutto. E non tanto per l’ovvia folla di militanti che si accalcava festante nel teatro, nella galleria liberty d’ingresso e sul marciapiede antistante, e che esplodeva in ole a ogni nuova tornata di dati. Quello che stava capitando lo si capiva meglio da quelle auto strombazzanti, utilitarie e suv, professionisti con la ventiquattr’ore sul sedile di fianco, cravatta gioiosamente agitata fuori dal finestrino. Tecnicamente, esteticamente, berluscones. E lo spettacolo dei berluscones esultanti per lo schiaffo a Berlusconi diceva tutto quello che c’era da dire. Partite Iva, professionisti urbani, creativi, addetti finanziari che brindavano con un Ferrarino nei vagoni ristoranti delle Freccerosse di ritorno da Roma dopo aver appreso la notizia sul Blackberry e sull’iPhone, ecco quello che stava capitando.

Si può anche mettere in termini di moderati o non moderati, cattolici e terzopolisti, o addirittura destra e sinistra, ma quell’immagine lo spiega meglio di tutto.

Era così, del resto, che era cominciata, e così stava andando a finire. La borghesia e i ceti medi produttivi non ne potevano più e si agitavano da tempo in cerca di una soluzione. I profili dei 4 candidati alle primarie la dicevano lunga.

Giuliano Pisapia, il primo a scendere in campo, ibrido tra la politica e le professioni. Stefano Boeri, architetto blasonato ma figlio di gente fortissimamente engagé, Cini, nota designer, e Renato, comandante partigiano e grande medico sociale. Uno che la politica l’aveva fatto da ragazzo e poi, come tanti, l’aveva mollata tentando il travaso della passione civile nel mestiere. Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale, scaricato dal Pd e capace di una rivincita di un certo successo. Il fisico ambientalista Michele Sacerdoti. Nemmeno una donna, peccato, in questo quartetto chiamato in campo da un fermento microfisico. Leggi: la città non va, non è amministrata, è sporca, inquinata, incocainata, infelice, lavorare e produrre diventa sempre più difficile, la burocrazia è soffocante, continuiamo a perdere colpi rispetto alle altre grandi metropoli europee, non c’è strategia, non c’è visione, i giovani sono costretti a fuggire.

Tutta gente che conosce il mondo, che va in giornata a Parigi, a Londra, a Berlino e a Barcellona –ma basterebbe anche Torino- poi torna la sera e mentre fa la fila di un chilometro ai tassì dell’aeroporto rimugina: “Perché loro sì e noi no?”. Come mai, per dirne una, questa città produce ed esporta bellezza nel mondo e non riesce a trattenerne neanche un po’? Perché i nostri bei palazzi ottocenteschi e Liberty deturpati da orribili recuperi di sottotetti geometra-style? Perché siamo costretti a scappare il venerdì sera a far respirare i bambini, sempre malati di bronchi? Decine di migliaia di macchine –provate a prendere la Milano laghi alle sette e mezzo del mattino-, una fiumana sgasante in ingresso con un solo passeggero a bordo non essendoci altro modo di venire a lavorare in città. Perché tanti luoghi cittadini, piazza XXV Aprile, porta di Brera, e la Darsena, sventrati da anni per farne parcheggi attira-auto? Perché tanta gente nata qui, soprattutto ragazzi e giovani coppie, costretta a sfollare nell’hinterland causa caro-affitti, con tutte le case vuote che ci sono? Perché la cultura muore? Perché le nostre scuole civiche, orgoglio municipale, sono state chiuse?

Se poi mentre sei lì e il tassì non arriva –essendo che la sindaca non smolla altre licenze per non irritare la lobby dei tassisti- ti torna in mente che per tutta la giornata hai dovuto dare spiegazioni sul bunga-bunga e sulle cazzate internazionali del premier ai tuoi colleghi parigini o berlinesi, se hai parlato a un convegno, come per esempio è capitato a me all’università di Barcellona, e per buona parte del tempo ti è toccato assicurare che le italiane non sono affatto tutte troie, che non tutte le ragazze vogliono diventare veline e favorite del sultano, che un conto è la rappresentazione che delle donne viene data da quella stramaledetta tv, un altro è la realtà, be’ non è difficile capire che il pieno è fatto.

C’è molto da dire sulla parte che le donne hanno avuto in questa storia. Ma prima voglio dire questo: com’è che Berlusconi e Bossi non hanno capito? Allora è proprio vero che quando uno da Milano va a Roma perde la trebisonda e si sconnette. Com’è che hanno perso totalmente il polso della città, e non hanno percepito che Moratti era una candidata non debole ma debolissima, detestata dalla Lega e anche da molta parte del Pdl, e che il malcontento montava in modo irresistibile ed esponenziale?

A un certo punto molti si erano fatti l’idea che al suo posto sarebbe stato candidato Roberto Maroni, tanto per dirne uno. Lo stupore è stato grande quando invece si è capito che la scelta sarebbe caduta nuovamente su di lei. Spiegano che non si poteva dire di no ai Moratti, con particolare riferimento al dovizioso supporto di Gianmarco alla candidatura della moglie. Una marea di milioni bruciati come in una tremenda sessione di borsa: anche questo ha infastidito, in un momento di sobrietà obbligatoria, ha ricordato le consulenze d’oro elargite dalla sindaca a personaggi improbabili e contestate dalla Corte dei Conti. Ecco: prendete tutto questo e shakeratelo con quella che in tutta tranquillità si potrebbe definire “questione morale”, le vicende di Arcore, la nipote di Mubarak, mesi di sconcezze e di balle spaziali che hanno paralizzato il dibattito politico e l’azione di un governo già in sé poco attivo. Una città poco propensa all’esibizione che si ritrova al centro di un megagossip internazionale con centinaia di troupe televisive piazzate in permanenza fuori da Palazzo di Giustizia. Prendete tutto questo, e il design della sconfitta si profila chiaramente.

Come hanno fatto Berlusconi e Bossi a dimenticare che la gente di questa città è sobria e misurata, capace di apprezzare l’estro e perfino una certa follia cabarettistica ma poco incline alle ostentazioni, gente che esce volentieri dalle righe ma ci rientra rapidamente: alle otto del 31 maggio, dopo una notte di festa, eravamo tutti calvinisticamente a laurà. Gente che ha in orrore la volgarità, capace di ingoiare molti rospi, come una moglie saggia e paziente che però a un certo punto ti presenta il conto e allora, come si dice qui, non ce n’è più per nessuno. Come hanno fatto a non sentire questo ardente desiderio di tornare a un minimo buon senso, ai fondamentali dell’esistenza: famiglia, lavoro, casa, salute, back to the basic, altro che tv, escort e Lele Mora. Ornella Vanoni per Letizia raccatta 38 voti, leggi: è meglio che canti, qui serve gente seria. Ascoltare Radio Padania avrebbe aiutato –detto tra parentesi, il Trota Bossi consigliere regionale non è stato mai mandato giù-. Ma bastava annusare nell’aria.

Incontro la sindaca per un dibattito tv poco prima del ballottaggio. E’ elegante, composta, spaesata. Sembra crederci ancora. Maschera perfettamente i suoi sentimenti. Dalla sua bocca escono cose inaudite: i campi rom “azzerati”, genere soluzione finale, gli zingari “liberi” in città –dovremmo imprigionarli?-, la moschea che va garantita da una specie di concordato con “uno stato islamico” –quale? l’Iran?-. Un’insipienza e un estremismo verbale che stonano con le fibbie argento delle sue Roger Vivier e che provocano la reazione della Chiesa ambrosiana e dei volontari dell’accoglienza.

Malgré moi l’empatia scatta, non posso farci niente: è una donna, sta sbagliando tutto, e l’hanno scaricata. Le telefonano che pure Gigi D’Alessio ha dato forfait e non canterà al concertone di chiusura campagna. Lei non si scompone. Sembra sedata. Vuole parlare di donne, mi dice. E’ stato uno dei suoi più colossali errori: una sola donna in giunta, Mariolina Moioli, pochissime ingaggiate per Expo –il Bureau parigino è costretto a richiamarla- nessun legame con la vitalissima e sempre più forte società femminile milanese. Signore che, tra le altre cose, hanno anche i dané.

Moratti è una di quelle donne a cui non piace affatto esserlo: si vede dalle sue tristi longuette, dal fatto che si sente potente e libera non perché è una donna, ma nonostante questo. Appare a tutte come un infelice ostaggio dei poteri forti e degli uomini. Promette meraviglie, adesso. Vuole imbarcare un bel po’ di compagne d’avventura, forse ha capito davvero. Troppo tardi. La sua lontananza dalle donne e dal loro linguaggio è il nucleo ghiacciato della sua algidity.

Di Michael Bloomberg, sindaco di NYC e 17mo nella classifica Forbes degli uomini più ricchi del mondo, si favoleggia che ogni mattina prenda il metrò dalla sua casa nell’Upper East Side fino al municipio per non perdere il polso della città. Forse è una balla, ma il metodo è buono.

Se Mrs Auto Blu Moratti l’avesse preso più di quella decina di volte in 5 anni, se non fosse andata in periferia come una sussiegosa signora che va far visita alla cameriera, avrebbe scoperto tra l’altro: a) che quella che per lei è la periferia per definizione, via Padova, da mortificare con i coprifuochi, sta a 3 fermate dal Quadrilatero; b) che gli “stranieri” magari mangiano un po’ troppo aglio, ma sono portatori di quella grande risorsa detta desiderio che secondo Giuseppe De Rita è proprio ciò che manca al Paese; c) che un’ordinaria mamma con passeggino, in mancanza di comunissimi scivoli, non può prendere il metrò e deve per forza muoversi in macchina: ne ho aiutata una giusto l’altro giorno, “tu tira su il carrozzino da dietro che io te lo sollevo davanti”.

Il 13 febbraio femminista Letizia Moratti l’ha proprio ignorato. Ora, una poteva essere d’accordo o non d’accordo, ma tutte quelle donne furibonde sono le tue cittadine, tu devi ascoltarle, metterti in qualche relazione con loro, parlarci. Quel moto di dignidad, sentimento sia pure ambiguo che sta traversando l’Europa, onda lunga delle rivolte che hanno scosso il Mediterraneo sud e che arriva indebolita a lambire le coste nord, nel nostro paese si è espresso anzitutto in queste piazze di donne, esacerbate dal machismo della politica italiana in generale, e da quello del premier Berlusconi in particolare.

L’avrai gradito o no, ma non puoi non tenerne conto. Molti milanesi, anche maschi, dicono di aver trovato in quel 13 febbraio la motivazione, l’energia e il mood che hanno alimentato il ribaltone del 30 maggio. Quel che è certo, non si poteva fingere che non fosse capitato. Non ci si poteva crogiolare nell’illusione dell’invincibilità. Non si poteva continuare a trattare le donne come minori da blandire.

In piena campagna, quando la debacle è ancora lontana, lo staff della sindaca mette in piedi una cena per mille donne all’hotel Marriott, impiegate e commesse precettate ed eccitate dall’invito al seratone vip: sembra quasi di essere in tv. Telefonata regolamentare del premier barzellettiere a metà cena, il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani che torna sul topos delle belle tope di destra, altro che le cesse di sinistra, reiterato poche ore dopo dal ministro Ignazio La Russa. Letizia Moratti non fa un plissé e mimimizza: “Battute”. Che però nel living del suo superattico non sarebbero certamente ammesse. E’ campagna elettorale anche questa: se sei veramente gnocca stai per forza a destra. E invece le donne, le gnocche e le meno gnocche, hanno portato il loro peso a sinistra. Decisive nella vittoria di Pisapia, attivissime nella campagna per le primarie e per l’elezione del sindaco, pazienti e determinate nel contrattare e strappare quel 50/50 che tutte le nuove giunte del centrosinistra hanno garantito, rebound inevitabile della politica supermacha –qualcuno davvero credeva che si sarebbe potuto continuare così?- e delle amichette piazzate nelle istituzioni rappresentative.

Ma la debacle assoluta è tra i giovani: tra i 18 e i 24 è un plebiscito per Pisapia. Guardatevi online l’incredibile show di una premiazione sportiva all’Arena, pochi giorni prima del voto. Ragazzini delle medie, 12-13 anni, che spontaneamente, come se fosse scontato, il massimo dell’up to date, di fronte alla sindaca cominciano a scandire “Pi-sa-pia! Pi-sa-pia!”. I prof imbarazzatissimi e il sorriso pietrificato di Moratti. La stanno condannando a morte. Le stanno dicendo: tu e i tuoi e la vostra tv siete il vecchio, roba da buttare, non siete smart, non capite niente. Pisapia probabilmente non l’hanno mai visto, ma è un dettaglio. Il fatto non è che lui vinca, ma che la Moratti perda. L’analisi del voto conferma: per la sindaca votano i più vecchi e i meno scolarizzati. La cosa vibra nell’aria, le antenne dei ragazzini captano e restituiscono.

I giovani hanno anche lavorato sodo per la vittoria del centrosinistra. Come per Zedda a Cagliari e per De Magistris a Napoli, anche per lo staff di Pisapia si è trattato di un contributo decisivo. Hanno lavorato gratis, portando in dote tutto il loro know how di nativi digitali –senza la rete questa svolta sarebbe stata impensabile-, la loro velocità, i flash mob, la naturalezza nel fare squadra: l’individuo per loro non esiste, la rete non è solo il medium, è il messaggio. L’altro pezzo della dote è stato la non-violenza, il non-odio. Questa dei figli dei baby boomer è una generazione innocente e quieta, che ha avuto la fortuna di non conoscere il male. L’etica e l’estetica resistenziale, che hanno nutrito l’immaginario militante della nostra generazione, si è esaurito. Noi occhiuti, sempre all’erta, alla ricerca di nemici, e questi che non lottano neanche contro i loro genitori. Non capivamo che cosa fossero, e qui si è visto: post-antagonismo, non-violenza, non-individualismo e rete, è questo a comporre la cifra. Oltre a un forte europeismo. Risposte virali e interstiziali, il nuovo che prende forma in micro-pratiche quotidiane, infinitesime, reticolari, subliminali. Un linguaggio più femminile che maschile. Yin, si potrebbe dire. E finché lo dico io, niente di nuovo. Fa tutt’altro effetto se a dirlo è Piero Bassetti: classe 1928, imprenditore, ex-olimpionico (staffetta 4X100) ed ex-politico Dc, primo governatore della Regione Lombardia, fondatore di quel Gruppo 51 (per cento) che nella contesa elettorale ha rappresentato il supporto a Pisapia da parte della cosiddetta “borghesia illuminata” milanese, e che oggi rivendica un ruolo decisivo in questa svolta. “La forza di Pisapia è una forza yin”.

Ecco. Se non si capisce tutto questo, non si capisce che cosa sta capitando a Milano.

Donne e Uomini, Politica Maggio 26, 2011

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Forse l’unico che si sta comportando da gentiluomo con Letizia Moratti è proprio il suo competitor Giuliano Pisapia. Che non si nega a una stretta di mano, anche se nessuno potrebbe biasimarlo se si sottraesse.

Si vede un bel po’ di gente, in quest’ultimo scorcio di campagna elettorale, saltare sul carro di quello che potrebbe essere il vincitore: segnale che vale più di mille sondaggi. Quanto agli alleati della signora Moratti, il governatore Roberto Formigoni invita doverosamente a votarla, dicendo che è meglio la sua padella che la brace di Pisapia. Il leghista Matteo Salvini dice che chiunque verrà eletto sarà anche il suo sindaco, affermazione pleonastica per il futuro prossimo, ma significativa per il presente. Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti sostiene che al sindaco uscente è andata già di culo con quel 41 per cento al primo turno, che non la voleva nessuno, il fatto è che si chiama Moratti, come si poteva fare? Umberto Bossi le tira le orecchie e le dà buca a un’iniziativa. E infine ieri sera a Porta a Porta il premier Silvio Berlusconi, oltre a dare con il consueto garbo della “gente senza cervello” a tutti quei milanesi, più della metà, che hanno votato Pisapia, assesta l’uppercut scrollandosi vigorosamente Moratti di dosso, dicendo che è una candidata debole, e facendo capire che il governo non andrà in nessun modo a fondo con lei.

Quasi in contemporanea a Linea Notte su Rai Tre, in un confronto con Stefano Boeri la signora Moratti annaspa, si contraddice, dà segni di grande fatica fisica e psicologica. Fossi in lei, essendo data per sconfitta, mi concederei un’uscita alla grande, togliendomi tutti i sassolini che posso dalle scarpe. Magari dicendo che sì, probabilmente lei non è una candidata così forte, ma che sfiderebbe chiunque a farcela, avendo dovuto correre zavorrata dalla presenza ingombrante di questo vecchio uomo senza il senso del limite, che ogni lunedì di campagna ha dovuto presentarsi in tribunale, a cui la maggioranza dei milanesi, stanchi della sua inefficacia, della perdita di buon senso e di misura e dai deliri di onnipotenza, e soprattutto le milanesi, umiliate dal suo disprezzo e dai suoi priapismi, hanno presentato il conto.

Prima o poi doveva capitare. Letizia si tolga la soddisfazione, lasci perdere Zingaropoli e tutte le volgarità che è stata costretta a dire, e metta in piedi un gran finale degno.