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economics, Politica Luglio 6, 2012

Un programma politico

Fare di più con meno, Milano, 5 luglio

 

Un programma politico, per come la vedo io

 

• critica radicale allo sviluppismo

limitazione dell’aggressività del mercato, riduzione dell’economia finanziaria

conversione ecologica e solidale, in tutte le sue declinazioni, come atto di realismo politico e per vivere più felicemente

• rivisitazione della famosa austerità Berlingueriana, intesa non come stringere la cinghia e autopunizione, ma come vita meno infelice per tutti, come meno consumi, più relazioni appaganti, convivialità semplice, soddisfazioni non principalmente economiche in tutte le attività umane, intesa come il grande lusso di ridurre la propria dipendenza dai soldi e non essere chiusi nell’angustia del piccolo potere del consumatore, unica cittadinanza consentita.

promuovere la desiderabilità sociale di nuovi stili di vita, di produzione e di consumo

 l’Italia come luogo del qualis contro il quantum, con tutto ciò che ne consegue: valorizzazione delle differenze contro ogni omologazione, bellezza come motore economico, la terra e il nostro scheletro contadino non come arcaismo ma come radice del futuro. Le imprese creative, la genialità. Abbiamo risorse uniche, che secondo alcuni osservatori internazionali basterebbero a fare di noi una tra le prime economie europee

• l’esperienza, la saggezza, la fantasia sociale del nostro popolo contro ogni espertocrazia sterilizzata e omologante

• restituzione di centralità politica alle comunità locali, noi siamo già il paese dei campanili, siamo facilitati in questo; centralità delle economie regionali (vedere il lavoro di Elinor Ostrom, premio nobel per l’Economia sul valore economico e politico delle comunità). Pensare globalmente e agire localmente.

 ascolto attivo dell’arte, e delle sue profezie, delle sue intuizioni sullo spirito del tempo: questa è la funzione sociale dell’arte

• meno maschile e più femminile

• meno Europa e più Mediterraneo: riconnettersi alla sponda sud del nostro mare per politiche comuni, tornare a valorizzare i legami naturali, culturali ed economici che ci legano alle altre popolazioni del bacino, rileggere in questo senso la nostra storia e la nostra vocazione di ponte tra Europa, Asia, e Africa, chiave decisiva della nostra identità nazionale e territoriale, per una politica comune e per una fratellanza euro mediterranea.

 

Donne e Uomini, Libri, Politica Giugno 23, 2012

Milanesi, libere da sempre

 

Tosta, la signorina milanese Rachele Pampuri, che nel 1852 fa causa ai fratelli Luigi, Carlo Maria e Dorotea per l’eredità del padre Serafino.

Generosa, madame Teodolinda Longhi, che redige testamento a favore dei poveri più bisognosi di Milano (31 luglio 1836).

E quelle ballerine della Scala che nel 1859, furibonde per l’irruzione di alcuni ufficiali francesi nel loro spogliatoio, si autotassano per finanziare l’acquisto di fucili destinati alle truppe di Garibaldi.

“Gli Archivi delle Donne 1814-1859-Repertorio delle fonti femminili negli archivi milanesi” (Roma 2012, Edizioni di Storia e Letteratura), due ponderosi volumi curati da Maria Canella e Paola Zocchi, storiche dell’Università Statale di Milano, si leggono come un romanzo brulicante di vita, opere, relazioni, passioni, arte e politica, in presa diretta attraverso memorie, diari, autobiografie e atti pubblici relativi a 17.533 donne milanesi del tempo (tutti quanti i bei nomi e cognomi nell’indice).

Ce ne sarebbe almeno per una decina di film o sceneggiati.

Milano e la Lombardia come terre di grandi emancipate ante litteram. Una viaggiatrice del tempo, Lady Morgan, racconta di avere osservato nel suo tour le signore dell’élite milanese “intente a discutere delle faccende pubbliche e nazionali”, eccezione nel panorama desolato del resto del Paese.

Migliaia di storie di donne d’impresa, ostetriche, nobili signore, sartine, carbonare e artiste. I libretti di risparmio, l’attività solidale, quello che oggi chiamiamo volontariato, o terzo settore, o meglio ancora politica prima. Il lavoro, la famiglia, le attività legate alla salute, i salotti, la partecipazione alla vita culturale. Tutto a dimostrazione di quanta vita, da sempre, “tiene su da sotto” quella che è stata chiamata Storia, rendendola possibile. E svelando la finzione di un “privato” segregato e astorico, senza il quale nessun “pubblico” sarebbe immaginabile.

Il tema della dialettica pubblico-privato oggi è riattualizzato dallo svuotarsi di senso e di consenso di una politica –e di un’economia- lontanissima dalla vita e dai suoi bisogni. Il lavoro colossale delle due amiche storiche e dei loro collaboratori offre materiale prezioso anche per indirizzare il desiderio che le donne hanno di contare politicamente, intendendo però la politica a modo loro, come non separabile dalla vita.

Proprio la politica che ci serve oggi.

 

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Donne e Uomini, femminicidio Maggio 3, 2012

Femminicidio n.56: analisi di un testo

Ieri a Milano il femminicidio numero 56 (casi pressoché quotidiani, negli ultimi giorni).

I fatti, nella loro essenzialità: via Rizzoli, periferia nordest di Milano, un uomo di 65 anni, Umberto Passa, in cura per depressione, accoltella a morte la moglie Matilde di 63 e poi si pianta a sua volta il coltello nel cuore.

Un’agenzia così dava la notizia:

E’ stato un omicidio-suicidio la morte dei due coniugi milanesi trovati accoltellati dal figlio nella loro abitazione. La malattia, le operazioni al cuore e un forte stato depressivo: Umberto Passa, sarto in pensione, era entrato in un tunnel da cui non e’ piu’ stato in grado di uscire, se non uccidendo la moglie e poi togliendosi la vita. Litigavano spesso perche’lei, ex infermiera, voleva tornare in Puglia. Avevano preso casa, ma Umberto aveva paura di lasciare i medici che lo avevano operato“.

Qui non intendo parlare del caso, ma di questo testo, che è esemplare.

Il giornalista dell’agenzia parte da lui, dall’omicida-suicida, dei suoi problemi di salute, della sua depressione, della sua condizione di pensionato: scatta subito in chi legge e comprensibilmente -neuroni specchio- l’empatia, la compassione per un uomo sofferente.

Si spiega poi che l’uomo “era entrato in un tunnel da cui non e’ piu’ stato in grado di uscire, SE NON uccidendo la moglie e poi togliendosi la vita“. Dunque, SE NON l’avesse uccisa (e poi non si fosse suicidato) non sarebbe uscito dal tunnel. Quindi non aveva scelta: doveva farlo, se voleva uscire dal tunnel. Quindi se un uomo è depresso e malato, uccidere la moglie è una possibilità, anzi forse la principale possibilità, per uscire dal tunnel e smettere di soffrire. Altre possibilità di azione -cure mediche, relazioni terapeutiche o amicali, diverse scelte esistenziali, o anche, tragicamente, uccidere se stesso- forse non sarebbero state ugualmente efficaci.

(ripeto, qui sto parlando di questo testo, non della vicenda,  testo che ho risentito pari pari in un radiogiornale stamattina: per brevità e per sintesi, le notizie d’agenzia sono quelle che si prestano meglio per notiziari radio, tv e online).

Ultimo passaggio del testo: lei voleva tornare in Puglia, ma lui si opponeva perché “aveva paura di lasciare i medici che l’avevano operato“. Quindi: lei, nonostante la malattia, la depressione e la paura di lasciare i medici di lui voleva tornare in Puglia. Qui scatta -anche in me, lo riconosco- un sentimento uguale a contrario a quello che si è prodotto per lui: antipatia, riprovazione per il suo egoismo. Ma come: lui sta male, è sofferente, vuole stare vicino ai suoi medici, e tu te ne vuoi tornare in Puglia? E’ poi così strano che lui ti abbia piantato un coltello nella gola? Che cosa poteva fare, pover’uomo, SE NON ucciderti?

(leggo poi sui giornali stamattina che questa povera donna, ammazzata nel sonno, sperava di tornare a Francavilla perché lì vive la figlia in attesa del suo secondo figlio: voleva stare vicino alla figlia, darle una mano con i bambini, stare vicino alla nascita, alla vita, rilanciare con fiducia, probabilmente pensava che anche al marito avrebbe fatto bene avere i nipotini accanto).

Ripeto, è un’analisi del testo. Non sto giudicando quell’uomo, la cui sofferenza era certa, tanto quanto quella di lei. Non sono autorizzata a giudicare. Provo compassione per lui. Sto giudicando la trattazione mediatica di un caso che ha, come esito, di fare apparire come “vera” vittima l’omicida-suicida, e la donna come vittima secondaria, in qualche modo necessaria, certamente “forte”. E mi impedisce quello che è giusto, di provare compassione soprattutto per lei.

Così non va.

Donne e Uomini, Politica Marzo 16, 2012

Vendita Sea: giunta in diretta, per favore

in coda a palazzo marino per stringere la mano al neoletto pisapia

A nome di tutti que* cittadin* che hanno messo faccia, energie, desideri, fiducia, tempo, lavoro, passione, amor mundi, lotta, allegria, dico che sulla vicenda di una possibile turbativa d’asta per la vendita di Sea, azienda che gestisce gli aeroporti milanesi, al fondo F21 di Vito Gamberale (vedi L’Espresso in edicola oggi) va fatta in tempi rapidi la massima chiarezza, e con la massima trasparenza.

Perché il disinganno sarebbe feroce, e il danno irreparabile: al patrimonio morale dei/le milanesi che ci hanno creduto, prima ancora che a quello pecuniario. A tutta quella gente che si è messa in fila per andare a stringere la mano al nuovo sindaco, subito dopo la sua elezione. Gesto simbolico e commovente, che dice la fiducia tra due esseri umani.

Se qualcuno dentro la giunta ha garantito illegittimamente interessi privati, traendone un suo vantaggio, anziché il bene pubblico, insomma, se qualcuno ha rubato, perché l’essenza della faccenda è questa, che sia cacciato con ignominia e tempestività.

Domenica è indetta una riunione di giunta: che la discussione sia pubblica. Si monti uno schermo davanti a Palazzo Marino, o in piazza San Fedele, come si fece al debutto della nuova amministrazione, in modo che * cittadini possano sentire, vedere, capire.

Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Marzo 15, 2012

Tutte ai Tavoli! (ma il bilancio?)

Le proposte elaborate sono molte e interessanti, ma la novità più importante costituita dai partecipatissimi Tavoli delle cittadine milanesi, a cui il Comune di Milano si è aperto come una “casa comune”, sta nel metodo: ovvero nel fatto che sono le istituzioni, qui in particolare rappresentate dalle consigliere Anita Sonego e Marilisa D’Amico, a chiedere alle donne della città di portare all’interno della politica “seconda” le pratiche, le esperienze e i modi della politica prima, prossima alla vita, alle relazioni e ai bisogni. E nel fatto che le cittadine si siano riunite per portare in dono ai vari assessorati competenti il loro sapere e i loro desideri.

Non si tratta cioè di una contrattazione -le cittadine che chiedono alle istituzioni- ma di uno scambio all’insegna della gratuità e della permeabilità tra governo e governat*. Di una politica che si muove e si baricentra sempre più fuori dalle istituzioni, alle quali è chiesto di accoglierla, di valorizzarla, di farsene mediatrici riducendo gli ostacoli. Nel caso delle donne, questo scambio in direzione di una “democrazia partecipata” sembra funzionare particolarmente bene.

Numerose le proposte elaborate e presentate ieri sera.

Lavoro/welfare: per dirne alcune, una conferenza sul lavoro delle donne a Milano; il curriculum anonimo (che non indichi sesso, età e nazionalità); progetto coworking; album comunale baby sitter; congedo obbligatorio di tre giorni per i neopapà per i dipendenti comunali; “nidi” flessibili.

Salute: oltre a un progetto sulla violenza sessista, le “Giardiniere” (così si sono chiamate) promuovono un’idea di salute che non coincida con le prestazioni sanitarie, ma abbia al suo centro modello di sviluppo; un’indagine conoscitiva sui consultori

Spazi: istituzione di una Casa delle donne.

Proposte ottime, buone e meno buone (ognuna avrà il suo punto di vista: per esempio a me l’idea di una Casa delle donne appare un po’ regressiva) ma all’insegna del metodo innovativo che dicevamo.

Che tuttavia dovrebbe applicarsi anche ad altre questioni rilevanti per la città: è un peccato, ad esempio, che le cittadine non esprimano il loro punto di vista su questioni come la vendita di Sea e il bilancio, alle quali la politica degli uomini (ieri sera sostanzialmente assenti, salvo il presidente del Consiglio Comunale Basilio Rizzo) sta riservando la sua attenzione prioritaria.

Mi pare che di bilancio le donne si intendano parecchio. Anche questa competenza va messa alla prova. 

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Marzo 3, 2012

Famiglia senza

"Rocco e i suoi fratelli", dalla mostra "Famiglia all'italiana". A Milano, Palazzo Reale

 

Si è aperta questa settimana a Milano, Palazzo Reale, la mostra “Famiglia all’italiana”: la sua evoluzione raccontata dalla immagini del nostro cinema, da “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica, al neorealismo, fino a”Quando la notte” di Cristina Comencini.

Insomma: che cos’è la famiglia, in questo Paese?

Quando era una ragazzina mi avevano assicurato che era “schizofrenogena” (Ronald D. Laing), e io ci avevo fermamente creduto, praticando la mia fede. L’avevo anche studiato all’università, se non sbaglio. Chi ha la mia età sa di che cosa sto parlando.

Poi ho visto tanti amici, gente come me, che quatti-quatti una famiglia se la sono fatta. Disertori. Traditori. Codardi.

Si sono messi insieme, hanno fatto dei figli, si sono sposati –e per una buona metà hanno divorziato-.

Alla fine ho ceduto anch’io. Ho la mia famiglia. Tanta fatica, quella sì, ma schizofrenia al momento non mi pare.

Oggi le cose sono diverse. Ma resta in sottofondo l’idea che la famiglia, se non schizofrenogena, sia un residuo del passato, un istituto arcaico a cui ci si rassegna giusto per evitare di restare soli.

Che sia qualcosa di antimoderno, un freno al progresso e alla maturità civile.

E’ un senso che ho sentito vagamente risuonare anche nelle parole della ministra Anna Maria Cancellieri, quando ha invitato i giovani a staccarsi “da mamma e papà” e a fare i bagagli.

Come se quell’attaccamento fosse una remora, un impedimento alla crescita, il nucleo di un’italianità d’antan che non vuole cedere al luminoso West dell’Individuo.

Il mio unico figlio non lo vorrei a Shanghai o in India o chissà dove, e mi sento quasi una disfattista. 

Bisogna che sulla famiglia ci mettiamo d’accordo, perché semmai oggi sono le politiche – o meglio, le non politiche- sulla famiglia a essere schizofrenogene.

Si piange, ad esempio, sulla denatalità. Ma se ti azzardi a fare un bambino sei quasi una luddista, una vera incosciente,

e se possono –e possono sempre di più- ti cacciano dal posto di lavoro.

Quanto a sostegni, aiuti, servizi: zero. Ma se il welfare non esiste, ci dovrà pure essere qualcosa che fa da rete di protezione: una famiglia? che cosa dite? Il cane si morde la coda.

Nel frattempo il 65.4 per cento degli italiani pensa che la famiglia sia la nostra struttura fondamentale (rapporto Censis 2011). Si può dargli torto? In mancanza d’altro almeno quel punto fermo, alla portata di tutti.

Puoi anche metterci su in caso di necessità, una di quelle piccole o medie imprese così importanti per la nostra economia,   

A giugno il Papa sarà a Milano per il Forum mondiale delle famiglie.

Anche per i non-cattolici potrebbe essere l’occasione per una riflessione sul tema.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Febbraio 14, 2012

Ma che cos'è questo Movimento Arancione?

Una bella sciarpa arancione al collo di Marco Doria, vincitore delle primarie del centrosinistra a Genova. Ce l’aveva anche Don Gallo, decisivo in questa vittoria, e Nichi Vendola -molto meno decisivo-.

L’arancione l’abbiamo visto nascere quasi spontaneamente a Milano, e credo che sia venuto il momento di capire cos’è.

Qualche dirigente nazionale Pd, scornato dalla sconfitta genovese, ha parlato frettolosamente di “vittoria dell’antipolitica”. Errore. Il desiderio arancione è desiderio di politica, e di politica partecipata. La sconfitta semmai è dei partiti, e in particolare del Pd, visto come ostacolo a questa partecipazione.

Quanto poi al Pd ligure, forse è il peggior Pd che si possa immaginare. Irriducibile partito del cemento, in una regione che di cemento sta morendo.

Perseverando in queste letture sbagliate e autoconsolatorie il Pd rischia di grosso. E’ vero che nei sondaggi si piazza bene, ma è anche vero che in caso di primarie nazionali, l’effetto Milano e Genova potrebbe riprodursi. E non indire primarie nazionali sarebbe un autogoal. Insomma, Scilla e Cariddi.

Per evitare i quali, c’è solo una strada: rinnovamento radicale. Ovvero fare capitare nel partito ciò che, non capitando dentro, capita fuori dal partito: ed ecco Pisapia, Doria, eccetera.

Rinnovamento radicale significa che Bersani, D’Alema, Veltroni e compagnia cantante devono mollare. Al posto delle loro facce se ne devono vedere altre. Resistere a questo rinnovamento, rimandare il turnover significa rischiare il patrimonio rappresentato dal Partito Democratico e dalla sua storia. Serve un gesto di generosità e di responsabilità: portare la rivoluzione arancione dentro il partito.

Anche perché al momento il movimento arancione è fatto più di generali che di truppe. Singoli uomini con i loro staff, che verosimilmente si stanno preparando e coordinando per il salto nazionale. Il cosiddetto movimento arancione non è organizzato, non ha rappresentanti eletti eccetera. Singoli uomini con i loro uomini cooptati. E io continuo a sentirmi più garantita dai partiti che dai singoli uomini -pur stimabilissimi uomini-. Le possibile derive dei singoli uomini le conosciamo. Convincetemi del contrario.

Questo è quello che vedo.

Quanto poi al fatto che a Genova hanno perso le donne: le donne perdono sempre nella politica degli uomini se non stringono un patto tra loro. Parlo di un patto dell’origine, di un patto di genere come quello stretto tra uomini. Che si fanno la guerra, ma questo patto, su cui si fonda anche la loro politica, l’hanno alle spalle. Se tu vai a fare la politica degli uomini da sola, e per di più contro un’altra, e avendo come unica fedeltà quella al partito -le donne, da neofite della politica degli uomini, sono superzelanti- ti fai molto male.

Che non si usi l’argomento Genova per ostacolare l’ingresso delle donne nella politica!

 

 

Politica, TEMPI MODERNI Febbraio 12, 2012

Triennale Milano: politica vecchia e politica nuova

la triennale di milano

Cos’è la “politica vecchia”, e cos’è la “politica nuova”?

Per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia sarebbe “politica vecchia” interferire con la scelta “autonoma” del cda della Triennale, prestigioso ente culturale milanese, che ha nominato presidente Claudio De Albertis, già presidente di Assimpredil, l’associazione dei costruttori. Il Re del Cemento, che è la malattia più seria del nostro territorio.

Per me “politica vecchia” è invece una nomina che non tiene affatto conto del merito e delle competenze, e non si capisce allora che cosa tenga in conto, e viene perciò da pensare male.

Ma c’è anche il fatto che De Albertis è titolare dell’impresa che sta realizzando il contestatissimo parcheggio in piazza Sant’Ambrogio, scempio che non preoccupa solo i residenti, ma viene guardato con orrore anche dal resto del mondo, che parla di “assedio” della basilica:

http://www.europeanhistories.com/santambrogio-under-siege

A mio parere, infine, è “politica vecchissima” trattare l’arte e la cultura e la bellezza, compresa la bellezza naturale, come “sovrastruttura” e in qualche caso come merce di scambio, in linea con chi scelleratamente pensa che “la cultura non si mangia”.

E invece la cultura si mangia eccome. La cultura, le bellezze artistiche e naturali potrebbero essere il pane, e non solo le rose, per il nostro Paese. E sorprende molto che la nuova nuovissima giunta milanese questo lungimirante nuovo, questo possibile nuovo Rinascimento non l’abbia al centro delle sue politiche, ancora troppo sensibile alle ragioni di chi pensa al territorio in termini di superfici edificabili e cubature.

Perciò sottoscrivo senza esitazioni e vi invito a sottoscrivere l’appello di un gruppo di intellettuali che trovate qui:

http://www.petizionionline.it/petizione/appello-al-sindaco-di-milano-per-la-nomina-del-presidente-della-triennale-di-milano/6318

E in attesa di sentire una parola dal sindaco, che questa nomina inopportuna può bloccarla -è nei suoi poteri-, ringrazio l’assessore Boeri per essere stato l’unico a porre con forza la questione in giunta, testimone solitario di questo nuovo che fa fatica ad affermarsi contro una vecchia politica che nella giunta arancione resta, ahinoi, piuttosto ben rappresentata.

esperienze, Politica Febbraio 6, 2012

Il Celeste e la Rozza

Ieri al teatro Dal Verme di Milano, dove era in corso un’iniziativa su Expo, il governatore Roberto Formigoni è stato contestato come mai prima d’ora -qui sul Corriere.it trovate il filmato-.

Si vede dalla sua faccia: sorridente e composto come sempre, da politico di razza quale è, tuttavia non riesce a nascondere del tutto il suo stupore. Il bizzarro format dell’evento, a metà tra teatrale e politico, ha offerto il contesto ideale per la contestazione. Le proteste raggiungono il climax quando il governatore ha la strampalata idea di rendere l’onore delle armi all’ex-sindaca Moratti.

I contestatori non erano blac block, né truppe cammellate. Erano milanesi qualunque, verosimilmente simpatizzanti per il centrosinistra, che esprimevano la loro insofferenza per il capo di un’istituzione che sta passando svariati guai, e che rappresenta ciò che resta di un passato di cui la grande parte della città ha voluto disfarsi. Quei milanesi, quindi, esprimevano l’umore maggioritario di chi vuole il cambiamento anche in Regione.

Due fischi e qualche ululato non hanno mai ucciso nessuno. L’ultima volta che è capitato a me personalmente, che pre non sono una politica, al Capranica di Roma, nella tana del lupo, me li sono serenamente beccati, e vi dirò che mi sono pure divertita. Era nelle cose, che andasse così.

Mi fa perciò piuttosto ridere che l’immarcescibile capogruppa del Pd in Comune Carmela Rozza, sempre troppo ansiosa di dire la sua, sprechi una parola importante come “solidarietà”. Il dissenso fa parte dei rischi del mestiere di chi vuole fare il politico, che ai momenti di gloria si alternino fasi di disgrazia è nelle cose.

E’ dovere di ogni politico difendere il diritto all’espressione anche rumorosa del dissenso -purché, certo, non violenta- anziché stringersi solidalmente al collega contestato. Tanto più che la capogruppa del Pd il cambio di guida alla Regione dovrebbe auspicarlo. O no?

Altra domanda, se è consentito: ma chi ha votato Pd alle ultime elezioni ha votato Carmela Rozza o ha votato Pd?

 

 

AMARE GLI ALTRI, Politica, TEMPI MODERNI Gennaio 31, 2012

Un Pd diverso

Mi pareva un po’ strano. Ci ero cascata anch’io, in questo manifesto del Pd. Che in realtà è stato un affettuoso “trappolone” teso da alcuni militanti e deputati omosessuali (Anna Paola Concia, Rosaria Iardino, Aurelio Mancuso e altri) al segretario Bersani. “Vieni che ci facciamo una foto”. Foto di cui poi è stato realizzato un manifesto per il tesseramento che oggi è un po’ surreale vedere in giro per Milano, con il manicomio in corso tra giunta e consiglio comunale sulle coppie di fatto.

Per esempio scrive su Fb il piddino Mattia Abdu: “… alcuni consiglieri del PD e non solo la capogruppo continuano a subordinare il tema del registro alla venuta del Papa, per rispetto alla sensibilità dei cattolici del PD. Se questa la concezione che si ha di rispetto dei cattolici nel gruppo consiliare direi che si sta facendo esattamente il contrario e non è questo il PD che in tanti in questi anni abbiamo contribuito a costruire. Che i due provvedimenti (fondo anticrisi e registro) siano collegati è un’altra forzatura politica di chi non capisce che il PD che vince a Milano nel maggio 2011 è una cosa diversa da quel carrozzone timido e impallato che ha perso elezioni su elezioni da quando è nato …  Ma con chi diavolo volete dialogare??? Con De Corato? Moioli? Masseroli? Morelli? Salvini? Mi dispiace sono molto deluso di come vanno le cose nel gruppo, ma non perderò mai le energie per denunciare che in tanti, la maggior parte direi, abbiamo votato e stiamo in un PD diverso “.

Il silenzio dei dirigenti del partito è fragoroso. Vuoto che viene di volta in volta riempito dalle esternazioni di questo o quell’amministratore, di questo o quel militante. Un dibattitone en plen air, che induce una domanda: ma chi è il Pd? E com’è possibile che la presidente cattolica Rosy Bindi parli di diritti delle coppie omoaffettive e l’atea capogruppo Carmela Rozza dica che per ora “il nostro impegno deve andare al Forum per le famiglie”? . Che cos’è, il mondo alla rovescia?

E un’altra: che cosa diavolo c’entra la visita del Papa con il fatto di concedere qualche minima tutela alle coppie non sposate? E un’altra ancora: perché diavolo si deve continuare a discutere di un tema che è già stato dibattuto per anni e in tutte le salse, quando il registro delle coppie di fatto è un punto di programma della giunta?

E ancora: possiamo continuare a pensare ai cattolici di questo Paese come a un monoblocco di non-laici intenti a tenersi fette di salame sugli occhi, avulsi dalla realtà, illiberali, intolleranti e furenti, tutti ovviamente eterosessuali e omofobi, arcigni, giudicanti e spietati nei confronti dei peccatori non-coniugati? E come possono tollerare i cattolici di essere ritratti in questo modo grottesco, caricaturale e offensivo dal primo politicante da strapazzo, trasformista in carriera che predica male e razzola malissimo, e il cui unico scopo, altro che amor mundi, è raccattare quattro voti?