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ambiente, economics Settembre 25, 2015

60 milioni all’ex-ad Volkswagen: la redditività del Male

E così l’ad di Volkswagen Martin Winterkorn se ne va con una sessantina di milioni più frattaglie.

L’azienda sostiene che Winterkorn non sapeva dell’imbroglio e anzi lo ringrazia «per il suo elevato contributo» al gruppo, i cui ricavi sono quasi raddoppiati durante la sua guida. Lui però si è eroicamente assunto «la responsabilità delle irregolarità emerse riguardanti i motori diesel».

Capita spesso che gli ad vengano salutati con superliquidazioni anche quando hanno fatto danni, e magari un sacco di gente ci ha rimesso il posto di lavoro. Spesso si tratta di un premio per aver fatto diligentemente il lavoro sporco, o di un compenso per tener loro la bocca cucita su qualche, diciamo, irregolarità.

Dal punto di vista pedagogico, il messaggio è devastante. Anzi, demoniaco.

Il Male –nel caso Volkswagen la salute del pianeta e di chi lo abita- viene premiato con abbondante stercus diaboli. E chi prova invece a fare Bene sempre a lottare con il centesimo.

Può essere che questa sia la strada per guadagnarsi il Regno dei Cieli, e che gli ex ad stramilionari se la vedranno con le fiamme dell’inferno. La remuneratività del Male potrebbe avere una sua paradossale forza simbolica.

Ma qui sulla nostra povera Terra è dura da mandare giù.

esperienze Luglio 28, 2013

Se potessimo parlare del Diavolo

Se potessimo parlare del Diavolo -colui che si mette di traverso- come si faceva una volta, quando l’umanità era bambina, sarebbe tutto molto più semplice. Il linguaggio allegorico facilitava molto la comprensione.

Vedo e sento dappertutto un dire male, degli altri, di noi stessi. Di quello che non c’è, che non funziona, che va storto, che causa dolore. E quel poco di bene che c’è, che arranca su un piano scivoloso, ogni volta riprecipita daccapo nell’oscurità, con il senso che tutta quella fatica sia stata e sarà sempre inutile.

Se potessimo parlare di Dio, come cominciò a fare a un certo punto Etty Hillesum prima di finire ad Auschwitz, dicendo che se ne doveva “salvare un pezzetto dentro di noi“, perché lui ha bisogno del nostro aiuto, la cosa la capirebbe anche un bambino, anzi soprattutto i bambini, che sono puri di cuore.

A chi giova, questo continuo, ossessivo, meticoloso lavoro di demolizione di ogni cosa? Perché crediamo di poter edificare e di essere dalla parte del giusto soltanto distruggendo e facendo una zelante propaganda al male?

Giova solo al male, che si prende tutto lo spazio e nasconde il bene piccolo e tremulo. E invece dovremmo saperlo, dovremmo averlo definitivamente capito che Dio non molla.

Diamogli una mano.

 

esperienze, TEMPI MODERNI Marzo 5, 2009

DA SUBITO

Dopo la breve citazione del libro di Tolle, nei prossimi giorni vi parlerò di un altro libro molto importante, sempre in questa linea della fiducia. Che di questi tempi, mi rendo conto, è una parola grossa, e “grossa” lo intendo in un duplice senso -tutte le parole possono essere prese almeno in due versi-: cioè nel senso abituale di parola che oggi è arduo pronunciare, ma anche nel senso di qualcosa che, in mancanza di altro, prende spazio, diventa quasi l’unica cosa che conta e pesa, la più importante, e ci riporta all’essenziale del vivere. E tocca a chi, per propria natura o per particolari circostanze, di fiducia ne ha di più darne anche agli altri, spargerla, propagarla.

Qui io faccio spesso questa lotta, che ha i suoi fieri oppositori: di non lasciarmi mai andare più di tanto al peggio, di cederle soltanto una piccola parte delle mie e nostre attenzioni, di non lasciarmi rapire dall’ipnotica litania dell’elencazione dettagliata dei nostri guai. Perché, se ci pensate bene, ogni volta che lo facciamo perdiamo energie, non ce ne restano più per vedere il buono e per nutrirlo.

Vi dico che, per quello che vedo io, una volta fatto questo salto non si torna più indietro, il guado è passato, la rivoluzione è fatta per metà. E le categorie che ci sono servite fino a quel momento, organizzate intorno al predominio assoluto dello spirito critico, diventano zavorre di cui liberarsi prima possibile.

Dice per esempio sempre Tolle -qui lo cito non letteralmente- che finché, pur con tutte le migliori intenzioni, la metteremo nei termini di “fare la guerra a” (alla fame, alle ingiustizie, alla droga, eccetera), la cosa che conta è che continueremo a praticare la guerra e il suo linguaggio. Quello che c’è da fare, se la guerra non la si vuole, è smettere di farla da subito, depotenziarne e svuotarne il senso qui e ora, volgendo il consapevolmente nostro sguardo sul presente libero dalla guerra, facendo immediatamente esistere un mondo che la guerra non la fa, o meglio rendendoci noi stesse e noi stessi mediatrici e mediatori di quel mondo. Dandogli fiducia. E quello esisterà.

AMARE GLI ALTRI, ANIMALI, esperienze Dicembre 21, 2008

IL BENE CHE RITORNA

Qualcuno l’ha stampato come biglietto di Natale, da mandare gli amici. Mi fa molto piacere! Nel caso vi servisse…

Il mio vecchio cane Tom è pieno di artrosi. Gli massaggio le spalle e la colonna, gli muovo le articolazioni arrugginite, sperando di dargli sollievo. Lui ricambia le mie energiche carezze con sguardo dolcemente grato. Si capisce che quanto meno non gli dispiace. E ogni volta, alla fine del massaggio, le mie spalle sempre contratte sono un po’ più sciolte, la mia colonna meno indolenzita. Come se qualcuno avesse massaggiato me, e proprio in quegli stessi punti.
L’ho provato anche con gli umani: un’“impastata” al trapezio di un amico, e anche il mio trapezio si è sentito meglio. Non so esattamente come capiti. Deve avere a che fare con il meraviglioso e misterioso meccanismo dei neuroni specchio, che evidentemente funziona anche tra specie diverse. Tu vedi qualcuno che ha due occhi, un naso, una bocca come la tua: o anche tratti diversi, da vivente di altra specie, ma antropomorfizzato dal tuo amore. Cogli sul suo viso espressioni di gioia, di paura, di dolore. E nel tuo cervello si attivano gli stessi circuiti neuronali- della gioia, della paura, del dolore- che presiedono alle emozioni manifestate dall’altro. Senti quello che sente lui, o quasi. Su questo meccanismo stupefacente si basa la possibilità di empatia tra soggetti diversi, e quindi l’esperienza del legame.
Così, stiracchiando il ginocchio del mio Tom, ho pensato che così come fargli del bene mi fa stare bene, fargli del male mi farebbe stare male. E che ogni volta che auguriamo il male a qualcuno, o gliene facciamo, credendo di trarne soddisfazione -per rabbia, per vendetta, per antagonismo-, l’urto del male investe anche noi. Il male che fai, come dice la saggezza popolare, “ti ritorna”. L’odio che provi ti infesta. L’invidia ti corrode. Al contrario, disarmarsi e astenersi dai cattivi sentimenti –non è poi così difficile: si tratta di cominciare, e pian piano ci si abitua-, o addirittura, scandalosamente, “amare il tuo nemico” e provare compassione per lui, lo lascia stupefatto e lo disarma a sua volta, spalancando il suo cuore all’unisono con il tuo.

Ho pensato a un regalo da farvi a Natale, cari lettrici e lettori, e ho scelto questo. Tanta felicità per la luce che ritorna.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 dicembre 2008)

esperienze Novembre 21, 2008

IL DIAVOLO, PROBABILMENTE

Il fascino del negativo (parlo per me stessa, anzitutto) è irresistibile.

Ore, giorni, anni, vite intere spesi a scovare il male, a cercare tutto quello che non va, e a descriverlo minuziosamente, a farne una mappatura estenuante: i partiti, e i vecchi, e i corrotti, e la burocrazia… E quindi a servirlo, dedicandovisi con zelo e passione. Una vita intera non basterebbe, e se bastasse ci sarebbe subito pronto dell’altro male a cui dedicarsi, rapiti dal vortice, senza possibile via di fuga. Tutto il nostro tempo e le nostre energie investite nell’indagine adorante di quello che non va, quando lo sappiamo già tutti benissimo, l’abbiamo detto più e più volte, e da sempre, nei secoli dei secoli. Cambiano i particolari, ma la storia è sempre la stessa, e noi che collaboriamo con zelo a propagarla e perpetuarla.

il diavolo (rosalinda celentano) in "la passione di cristo" di mel gibson

Il diavolo (Rosalinda Celentano), da "La passione di Cristo" di Mel Gibson

Il diavolo, probabilmente: basterebbe dire questo, e sarebbe detto tutto. L’angelo caduto e invidioso che non può che tentarci e distrarci dal bene -dalla notte dei tempi non dispone di altre armi-, per abbagliarci e farci precipitare insieme a lui. Che ci impedisce di credere e di costruire, e ci consente come unica possibilità di illusorio movimento il cerchio snervante e soffocante di una rabbia e di un’indignazione sterili, sempre uguali a se stesse.

Ma è solo il bene a fare la differenza. E’ sul bene -o su Dio, sul Logos, su Amore, ognuno ha il suo modo di chiamarlo-che si dovrebbe tenere fisso lo sguardo, per mettersi al suo servizio e farlo crescere. Ed è così difficile. Ci vogliono occhi così limpidi, guariti da ogni male, e una tale fervida fiducia nella buona novella che ci si annuncia di continuo, e che chiede che la diffondiamo…

Se ci si riuscisse con continuità, a volere bene con tutto il nostro cuore, il più sarebbe fatto. E amen, o Om, che poi è dire lo stesso: sia ciò che E’, ora e sempre.

Archivio Settembre 6, 2008

CELEBRAZIONI

Nella vita, mi scrive Giovanni -buddisticamente- “tutto è impermanente”. E se provassimo viceversa a pensare che “tutto è permanente”? Ovvero che niente va perduto, nessun istante, per ciò che è, nel suo bene e nel suo male. E quindi non deve essere perduto, quindi ogni momento va vissuto e celebrato nel suo potenziale di unicità e di eternità, e mai sprecato? E per celebrarlo intendo dire, etimologicamente, proprio abitarlo, starci dentro. E quindi permanerci.

Certo, ci sono momenti in cui è più facile abitare. L’altro giorno, a Mantova, il bianco splendore di Palazzo Te, o quel magnifico affresco trecentesco che raffigura la città circondata dai suoi laghi. In qui momenti si resta volentieri, ed essi ricambiano restando a lungo con noi a irradiarci. Ci sono momenti invece da cui si vorrebbe solo fuggire, e anzi si può dire che siano molta parte dei momenti, dato come sono messe le nostre vite. E allora lì, sì, non si può che attaccarsi all’impermanenza, alla fiducia che prima o poi passino. E forse invece, con un po’ di allenamento, si può stare anche lì, celebrare anche quelli, cercare il bene che stenta se noi non gli andiamo incontro, se non gli diamo una mano a essere.

O Signore, io predico tanto bene e poi razzolo così male, con tutta l’inquietudine che ho addosso. Ma per esempio scrivere, e poi camminare, camminare, camminare, queste per me sono le palestre in cui mi esercito a celebrare, e ognuno ha certo le sue.

Voglio dire che quest’idea dell’impermanenza mi è sempre sembrata un po’ disumana, e animata da una sostanziale sfiducia. Si può stare fiduciosamente, invece, e celebrare la permanenza e l’eternità di ogni cosa che è, con un po’ di allenamento. E qualcuno a cui poter raccontare quello che viviamo e vediamo.

Archivio Agosto 25, 2008

GOOD NEWS

Sfoglio rapidamente le pagine di un quotidiano qualsiasi, in un giorno qualunque. Rapido colpo d’occhio ai titoli: “basta”, “uccisa”, “nemico”, “irresponsabili”, “senza freni”, “problema”, “rischia”, “fucili”, “manipolati”, “smembrare”, “odio”, “agguato”, “rivalità”, “addio”, “killer”, “morti”, “muore”, “coltello”, “guai”, “insoddisfatti”… Provate a rovesciare i termini nei loro contrari: “ancora”, “viva”, “amico”, “responsabili”, “moderati”, “opportunità”. E ancora “amore”, “nasce”, “soddisfatti”.
L’effetto che fa è addirittura fisico. Prima serie: diaframma contratto, respiro corto, irrigidimento muscolare, spalle alzate in difensiva. Seconda serie: pupille che si dilatano, pressione che scende, respirazione addominale, rilassamento, fiducia.
Leggo qualche settimana fa in “Est/Ovest”, rubrica firmata su queste pagine da Franco Venturini, che il Senato romeno ha approvato all’unanimità una norma che impone a tg una quota di buone notizie. Provvedimento assurdo, certo, e per almeno due ragioni: non si deve imporre mai nulla, in particolare quando si tratta di informazione; non è sensato guardare al mondo come divisibile tra bene e male. In realtà, e il collega Venturini lo sa molto meglio di me, l’applicazione di una quota di “buone notizie” –in gergo “colore”, “costume”, “rosa”, “gossip”- è pratica corrente nei mezzi di informazione. Compito di alleggerimento che spesso viene affidato alle cose di donne, o più semplicemente all’esibizione del corpo femminile, intero o in quarti.
Nei giornali pensati da-e-per uomini ma sempre più letti e-ahimè- ancora troppo poco scritti da donne, che il femminile venga individuato come correttivo ha una sua plausibilità. Ma ci si deve intendere: non è che le donne vogliano o portino solo “buone notizie”. Le donne –e penso ormai anche un gran numero di uomini- vogliono semmai poter vedere il bene che c’è in ogni cosa che capita, buona o cattiva che sia. Per dirla in modo un po’ più complicato, vogliono vedere le cose dal punto di vista di ciò che nasce. Dalla parte della  nascita, come diceva Hanna Arendt. Non c’è mai una notizia solo e assolutamente cattiva. Bene e male sono inestricabili. Si tratta di torcere la notizia verso il bene che inevitabilmente contiene, di spremerne tutto il bene e la speranza. Di portarla via alla morte. Di saper resistere al male, e al suo fascino.
(puublicato su “Io donna”-“Corriere della Sera” il 23 agosto 2008)

Archivio Agosto 4, 2008

FIORI DI AUSCHWITZ

Dai vostri commenti al mio post mi pare di poter dedurre una visione piuttosto romantica del bene, come qualcosa di lontano e astratto a cui tendere senza arrivarci mai davvero. Ma io intendevo dire invece che il bene è sempre qui, insieme al male, in ogni istante, e che gli si deve fare largo, tendendo tutti i sensi per scovarlo e attivando tutte le nostre risorse per farlo fiorire. Dentro di noi, prima di tutto, perché possa rampicare dovunque attaccandosi alle nostre relazioni con gli altri e con il mondo. La metafora del rampicante non è per caso e rivolgo ancora il mio pensiero a Etty Hillesum, la mia maestra ragazzina morta tanto presto ad Auschwitz, che del bene parla così:

“Il gelsomino della casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste degli ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose (…) ma dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio”.

Non sentite anche voi la fragranza del gelsomino di Etty, anche se quel profumo sembra non esserci mai stato davvero, o non esserci più? C’è a questo mondo un fiore che profumi più intensamente di quel gelsomino fatto vivere a ogni costo e con caparbia fiducia dentro di sé?

Archivio Agosto 2, 2008

IL BENE HA BISOGNO DI NOI

Il mio maestro di yoga è un uomo molto positivo e cerca di parlare di cose buone appena può. Un giorno, finita la lezione, si mette a dire bene della medicina, dei suoi progressi, del fatto che certe patologie, fino a poco tempo fa mortali, sono sempre più curabili, e di quella vecchietta sua allieva che poco dopo la sostituzione della testa del femore è già in piedi e si muove agevolmente.
Un paio di ragazze, le gambe ancora incrociate nel “loto”, protestano vivacemente: “Non sempre le cose vanno così”. “Potrei raccontarti storie ben diverse”. Certo. Potrei raccontarle anch’io, violando la mia privacy. Di quella volta che nessuno seppe per lungo tempo diagnosticarmi un serissimo problema ginecologico, ed è quasi un miracolo che io abbia potuto avere un bambino. Di quell’altra che a causa di un banalissimo intervento, la rimozione di una neoformazione benigna al collo, per l’imperizia del chirurgo ci ho rimesso una spalla, che da allora soffre di dolori cronici e non ha più ripreso la sua mobilità.
E invece mi viene da raccontare dell’incontro successivo con un ginecologo che mi ha salvato la capacità riproduttiva, oltre alla pelle. E del fatto che con la pratica costante di alcuni esercizi la mia spalla si muove e fa meno male di un tempo.
Dire il bene è farlo essere, dargli spazio e toglierne al male, farlo dilagare e contagiare quello che c’è intorno. Ma al bene si fa una grande resistenza, come per non dargli soddisfazione. E’ la “magica forza del negativo”, per rubare il titolo a un libro a firma delle filosofe di “Diotima”, che rende bene l’idea. E’ la trappola della critica, scambiata come l’unica possibilità di esercizio della libertà: e certo può esserlo, ma non sempre, comunque e in via esclusiva, portando vias spazio al resto.
Dire bene oggi può essere uno scandalo, nel senso etimologico di intoppo, inciampo, nel senso di qualcosa che ci impedisce di continuare nel nostro percorso di distruzione. Può scatenare rabbia e senso di impotenza. Mentre, a ben guardare, un potere più grande non c’è.

(pubblicato su “Io donna” – “Corriere della Sera”  il 2 agosto 2008)

Archivio Luglio 15, 2008

BUONE NOTIZIE

Ho scritto un libro, l’anno scorso, e mi pare la cosa sia abbastanza riuscita. Un libro riesce, mi sembra, quando arriva a formulare almeno una buona domanda. Una buona domanda è sempre qualcosa di vivo, che urge, chiede di essere ascoltato, e ti lavora silenziosamente dentro. La domanda qui alla fine è stata: che cos’è una donna? “Come si fa a diventarlo?”: a un dibattito una ragazza l’ha messa in questo modo.

Una donna, per esempio, è una che ogni mattina fa ordine, rimette a posto il mondo, lo fa risplendere di nuovo. Asseconda l’armonia, partecipa al suo disegno. Fa molta più fatica a farlo, sommersa com’è dalle cattive notizie: sapete, secondo un modo molto vecchio di vedere le cose, le uniche news sono le bad news. Una donna invece è una che cerca buone notizie, notizie in cui si annuncia qualche nascita, notizie che ti fanno sorridere e respirare.

Non si tratta di selezionare solo cose buone. Non ci sono mai cose assolutamente buone e cose assolutamente cattive. Si tratta di prendere quello che capita e scovare il suo buono, il suo punto di nascita. E di lì cominciare a ritessere, a fare ordine, con allegria.

Quando si parla di giornalismo, ci si concentra troppo su cose tipo: su carta o online? dove sta il futuro della notizia? Il futuro della notizia, io credo, sta nel torcerla ogni volta in direzione del bene. Di cercare sempre il bandolo che ti consente di farlo. Di resistere al fascino del male.