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AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, diritti Ottobre 7, 2014

Perché ho dato i miei ovociti: parla una donatrice

Anna ha 32 anni, vive in Sicilia, è laureata in Scienze Politiche e lavora in una società finanziaria. Soffre di policistosi ovarica, e ha messo al mondo due gemellini con fecondazione assistita. Dalla stimolazione ovarica a cui si è sottoposta sono “avanzati” 11 ovociti congelati. Dopo averne parlato con suo marito, Anna ha deciso di donare i suoi ovociti: 6  a coppie con problemi di infertilità, 5 alla ricerca.

La interrogo sulla sua esperienza. Il tono di Anna è piuttosto infervorato:

 

“E’ stata una scelta di civiltà. L’ho fatto per il mio Paese, non sopporto che si debba andare all’estero per una donazione di ovociti o di seme. Un giorno potrebbe capitare anche ai miei figli. Bisogna passarci per capire che cos’è”.

Come è arrivata alla decisione?

“Avevo questi ovociti congelati, ne ho discusso con mio marito. Abbiamo deciso di donarli e mi sono rivolta a un centro per la fecondazione assistita”.

Gli ovociti sono già stati utilizzati?

“Ancora no”.

Come la sta vivendo?

“In modo del tutto sereno. Solo chi conosce il problema può comprendere. Gli altri magari lo capiscono di testa, ma è un’altra cosa, mi creda”.

Il resto della famiglia è a conoscenza del suo dono?

“I miei sì, e sono d’accordo. Poi magari ci sono zie e cugini che restano perplessi”.

Non è semplice come donare il sangue…

“Ovvio che ci sia qualche difficoltà, ma è solo questione di mentalità. Se posso aiutare una coppia perché non dovrei farlo? Avendo una policistosi ovarica la stimolazione mi ha fatto produrre molti ovociti. Non ho dimenticato nulla del mio percorso. Lì sì che è stata dura, non la donazione”.

Ha sofferto molto?

“15 giorni ricoverata con flebo di albumina. Non potevo camminare. Avevo liquido nell’addome che arrivava fino ai polmoni. Un calvario. Non capita sempre così con le stimolazioni ovariche. A me è successo per la mia patologia. Non voglio che altre soffrano come ho sofferto io”.

Secondo lei è possibile che qualcuna decida di sottoporsi a stimolazione ovarica all’unico scopo di donare i suoi ovociti?

“Molto difficile, credo. Ci saranno anche donne che lo fanno, ma ci vuole una grande motivazione, una grande consapevolezza. Più facile che le donazioni avvengano quando ci sono ovociti in più, come nel mio caso”.

Che effetto le fa l’idea di avere al mondo figli genetici che non incontrerà mai?

“Nessun effetto. Non ci penso affatto. L’unica speranza è che chi utilizzerà i miei ovociti lo faccia in piena consapevolezza, e voglia bene a quel bambino. La genetica non ha niente a che vedere con i sentimenti“.

Mi pare un’affermazione categorica. Per altri non è così.

Non penso a quei bambini come a miei figli e come a fratelli dei miei gemellini. Sono figli di chi li chiamerà al mondo”.

La sua donazione è anonima, la legge italiana dispone così. Ma se un giorno uno di quei bambini manifestasse il desiderio di conoscerla?

“Non so. Da un lato potrei essere incuriosita. Ma dall’altro non vedo la necessità di questo incontro”.

A quanto pare la vedono molti nati da eterologa. Proprio in seguito ai loro ricorsi le legislazioni di molti paesi sono passate dall’anonimato al non anonimato.

“Sinceramente non mi sono posta il problema. Ho pensato ai bisogni della coppia, non ai bambini“.

Il fatto è proprio qui. Le leggi e le convenzioni internazionali convergono sul superiore diritto del minore. Al centro dovrebbero stare i suoi bisogni, non quelli della coppia.

“Bisogna passarci per sapere cos’è, non riuscire ad avere un figlio”.

Immagino sia una grande frustrazione e un grande dolore. Ma i diritti di chi viene chiamato al mondo vengono prima di tutto.

“Ma se si può fare qualcosa per aiutare queste coppie perché non si dovrebbe?”.

Glielo diranno, quando utilizzeranno i suoi ovociti?

“Sì. Ho chiesto anche di essere informata sul decorso dell’eventuale gravidanza, e di sapere quando il bambino nasce“.

Perché?

“Per curiosità. Mi interesserebbe saperlo”.

Pensa che proverà qualche emozione?

“Felicità per la donna, per il fatto di essere riuscita ad aiutarla”.

E per il bambino?

“No, non credo. L’unica cosa che conta è che sia amato“.

 

(grazie ad Aidagg, associazione di donatori di gameti, per il contatto con Anna)

 

 

bambini, Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Ottobre 2, 2014

Piano per la fertilità? No, serve un piano contro la cattiva politica

Spiacente, ma il nome non funziona. Perché non imposta correttamente il problema. C’è falsa coscienza. 

“Piano nazionale per la fertilità”, come l’ha chiamato la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, annunciando un tavolo che studierà la nostra denatalità (1.23 figli per donna) e le misure per incrementare le nascite, ricorda troppo i “figli alla patria”, non pone al centro la libertà femminile, che è il principale fattore in gioco, e la politica che la ostacola.

Vero: alle ragazze e ai ragazzi va ricordato che la funzione riproduttiva è un meccanismo delicato e a tempo -non c’è fecondazione assistita che tenga – e che le infezioni a trasmissione sessuale possono compromettere la fecondità. Che ci sono comportamenti -come l’abuso di sostanze, dal tabacco alla marijuana, i disturbi dell’alimentazione e l’eccessiva sedentarietà- che diminuiscono le probabilità di concepire. Ma se poi la politica non mette fuori legge gli ftalati, componenti di oggetti in plastica, creme solari, saponi e dentifrici (le ricerche hanno ampiamente dimostrato che sono un vero killer per la fertilità maschile) c’è poco da dirgli di non farsi le canne.

Il principale fattore di rischio resta senz’altro l’età, giusto avvisare.

Da noi l’età media in cui una donna partorisce il primo figlio è 31.4 anni, quando la possibilità di concepire è già ridotta del 60-70 per cento (nella gran parte dei paesi europei le primipare hanno 27-29 anni). Ma se la politica non interviene contro inoccupazione, instabilità del lavoro, scarsa o nulla tutela della maternità per non occupate, lavoratrici autonome e precarie, dimissioni in bianco, carenza di welfare e servizi di cura, caro affitti e zero mutui; se la politica non promuove un cambiamento culturale, assumendo con determinazione l’evidenza che le donne fanno più figli quando lavorano e non quando stanno a casa come piacerebbe ancora a molti uomini, politici compresi, c’è poco da incoraggiare a fare i figli prima.

L’intervento sociale, quindi, è prioritario per una prevenzione dell’infertilità e sterilità. Lavoro per le donne e welfare = aumento del Pil e delle nascite. Le politiche francesi hanno quasi raddoppiato la natalità. Non impedendo più alle donne che lo desiderano -se lo desiderano- di mettere al mondo bambini.

E’ il libero desiderio delle donne a essere decisivo, e a non dover essere ostacolato dalla cattiva politica.

 

AGGIORNAMENTO sabato 4 ottobre: mi spiegate a che cosa serve studiare l’infertilità italiana, se poi si aumentano le rette degli asili nido?

 

bambini, diritti, Donne e Uomini, Politica, scuola Settembre 12, 2014

Una-dieci-cento eterologhe: ogni regione a modo suo

Non sarà il Far West, ma in tema di fecondazione eterologa la confusione è totale.

Se in Toscana per essere sottoposti a un ciclo di trattamento (raramente ne basta uno) si pagherà un ticket di 500 euro, in Emilia la prestazione sarà gratuita, mentre in Lombardia sarà la coppia a dover sostenere interamente la spesa, intorno ai 3 mila euro.

Inoltre le coppie lombarde (eterosessuali) che richiederanno la prestazione dovranno dimostrare con certificazione medica che almeno uno dei due è affetto da “sterilità irreversibile” (perfettamente dimostrabile solo per una minoranza dei richiedenti).

Ergo: una coppia lombarda non avrà gli stessi diritti di una coppia emiliana o toscana. Si sta riproponendo quindi a livello regionale quell’ “ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica” stigmatizzato dall’ultima sentenza della Consulta sulla legge 40, che aveva giudicato inammissibile il divieto di fecondazione eterologa anche in base alla discriminazione tra coppie che potevano permettersi il turismo procreativo fuori Italia e coppie che non avevano questa possibilità. Sulla base di ciò, non si possono escludere nuovi ricorsi (il legislatore lombardo non ci ha pensato?).

Il tutto reso ancora più surreale dal fatto che donatori di gameti non ce ne sono, quindi la discussione al momento resta quasi solo teorica.

Insomma, un caos assoluto. Che prelude a una ripresa del turismo procreativo (anche solo interregionale) e a nuove battaglie legali, in attesa di una normativa nazionale unica.

bambini, Corpo-anima, Politica, salute Settembre 4, 2014

Eterologa: varate le linee guida. Stessa pelle e donatore anonimo

Le Regioni hanno varato le nuove linee guida per la fecondazione eterologa. Questo consentirà ai centri pubblici e privati di erogare il servizio secondo norme equiparate e certe.

Restano a mio parere alcune problematicità che meriterebbero un dibattito parlamentare e una definizione per legge, e dimostrano il non riconoscimento del superiore diritto del minore:

1. il nascituro dovrà avere lo stesso colore di pelle dei riceventi: per quanto possibile si manterrà, cioè, lo stesso fenotipo della coppia in relazione al colore della pelle, dei capelli e anche rispetto al gruppo sanguigno. A me pare un’enormità: il figlio “eterologo” dovrà cioè essere “simil-omologo”, come, cioé, a cancellare (per maggiore comodità dei genitori) le modalità dell’origine, che invece il figlio ha il diritto di non vedere occultate o “mascherate”. O come ad allontanare il sospetto, nel caso il nascituro fosse di pelle diversa da quella dei genitori, di essere originato da un “tradimento” della madre. O come, infine, se si volesse affermare che per dei genitori bianchi è meglio evitare un figlio di pelle nera (e viceversa). I principi sottesi a questa decisione, che affermano un concetto di “comodo” che non ha niente a che vedere con lo slancio d’amore genitoriale, mi paiono del tutto incondivisibili.

2.  Il nato da eterologa avrà la possibilità di chiedere di conoscere l’identità del padre o madre biologici una volta compiuti i 25 anni di età: a questo punto il donatore viene ricontattato e, solo se è d’accordo, conoscerà il figlio biologico. Con l’eccezione di tale caso, il documento prevede l’anonimato del donatore: si potrà risalire a notizie relativi ad aspetti genetici del donatore solo per esigenze mediche del nato. La questione non può essere frettolosamente liquidata dalle linee guida, che dovrebbero limitarsi a fissare paletti essenziali. Come dicevamo qui, il tema dell’anonimato del donatore/trice è sensibilissimo e ha visto molti Paesi, partiti dalla non notorietà del genitore biologico, cambiare rotta in seguito ai frequentissimi ricorsi dei figli di eterologa. Concedere a 25 anni (e perché non alla maggiore età????) il diritto di conoscere le generalità del donatore (che difficilmente avrà cambiato idea sul proprio anonimato, e quindi non concederà il proprio consenso) è un arzigogolo che, di nuovo, mette in secondo piano i diritti del minore rispetto a quelli di chi lo ha chiamato al mondo. Sul tema dell’anonimato è necessario un approfondito dibattito del legislatore.

bambini, diritti, Politica, Senza categoria Agosto 31, 2014

La giustizia è lenta. Ma sui diritti corre più della politica

Giusto, una riforma della giustizia. Con l’alto costo dell’energia e l’orrore della burocrazia, le lungaggini giudiziarie sono uno tra i principali disincentivi agli investimenti nel nostro Paese.

Ma se  la lentezza dei tribunali ci blocca, sul fronte dei diritti civili le aule di giustizia oggi fanno da locomotiva: fecondazione eterologa, trascrizione – in alcuni comuni- dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero. E ora stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner, anche per le coppie omosessuali: in una coppia in cui uno dei due abbia un figlio naturale, l’altro può adottarlo, diventandone genitore a tutti gli effetti. Il Tribunale per i Minorenni di Roma ha riconosciuto questo diritto a una coppia di donne: la compagna della madre biologica di una bimba di 5 anni, che vive insieme a entrambe, potrà adottarla e diventare a sua volta genitore della piccola.

Il Tribunale ha sentenziato sulla base dell’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 149 del 2001, che prevede l’adozione in casi particolari nel superiore interesse del minore a mantenere anche formalmente con il genitore “sociale” il rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo. L’eventuale separazione delle due donne, quindi, o la scomparsa della madre biologica, non pregiudirebbe il rapporto tra la bambina e la madre adottiva, garantendo la potestà genitoriale e la continuità affettiva.

Mentre i Tribunali corrono, Governo e Parlamento sembrano aver messo nel cassetto il tema dei diritti, dalle coppie di fatto alla legge 194 al testamento biologico, fino alla frenata sull’eterologa. Riforme che non avrebbero necessità di investimenti, o quanto meno non prioritariamente, ma non vengono mai calendarizzate. I Tribunali -compresi quelli europei- suppliscono con le loro sentenze, venendo incontro a bisogni reali che la politica sembra non voler considerare.

Ma la strada non può essere questa: quella di una giustizia che in materia di diritti va più veloce della politica, procedendo a colpi di sentenze. Questo non è il mestiere dei tribunali. Questo sarebbe il mestiere del Parlamento e del governo.

Corrispettivamente, la latitanza del legislatore e del governo sui diritti rende imperfetto quel cammino di rinnovamento del Paese che il nostro giovane premier intende rappresentare.

bambini, Corpo-anima, Politica, salute Agosto 11, 2014

#Fecondazioneeterologa: il governo non rispetta la legge

A quanto pare il governo non intende rispettare la sentenza della Corte Costituzionale che rende praticabile anche nel nostro Paese la fecondazione eterologa. Si potrebbe anche dire così: prevale nel governo la contrarietà alla fecondazione eterologa, sentenza o non sentenza, e si cavilla per rinviarne l’applicazione sine die.

La ministra della Salute Beatrice Lorenzin aveva prospettato un decreto in tempi strettissimi, che avrebbe sostanzialmente integrato la legge 40 con alcune linee guida (max dieci concepimenti per donatore, limite d’età per i donatori, inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza, registro nazionale dei donatori per la tracciabilità donatore-nato in caso di necessità per la tutela della salute del concepito, eccetera).

Il Consiglio dei ministri ha ritenuto invece di rinunciare al decreto e di reinviare tutta quanta la materia alla discussione parlamentare, con ciò intendendo che la fecondazione eterologa non sarà praticabile fintanto che il Parlamento non avrà deliberato su tutte le questioni aperte. Questo significa che nell’intento del governo la fecondazione eterologa di fatto resterà vietata, e presumibilmente per anni.

Potrebbe in questo modo crearsi un blocco non dissimile da quello che impedisce di fatto l’applicazione della legge 194: anche in quel caso la legge c’è ed è in vigore, ma resta sostanzialmente inapplicata a causa della massiccia obiezione di coscienza. In questo caso sarebbe la politica a obiettare, non calendarizzando la discussione sulla legge 40 e bloccando di fatto la fecondazione eterologa.

Il presidente della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro ha un bel ribadire il fatto che la sentenza non ha creato alcun vuoto normativo, e che l‘eterologa si può fare da subito: la questione è politica, non tecnico-giuridica. La resistenza all’eterologa è fortissima, la maggioranza del governo non intende mollare e preferisce che si continui con il turismo procreativo (magari anche solo interregionale, visto che Regione Toscana ha già dato il via). Nel frattempo in alcuni centri privati in altre regioni italiane il servizio è già erogato, nel rispetto della sentenza della Consulta, con esiti quanto meno caotici e nuove presumibili battaglie legali.

La sentenza della Corte Costituzionale non lascia dubbi: la fecondazione eterologa non è più vietata nel nostro Paese, e vi si può ricorrere qui e ora. Le linee guida possono essere rapidamente ed essenzialmente aggiornate sul modello dei Paesi europei in cui l’eterologa è già consentita da tempo. Ma il governo non intende accettare questa sentenza.

Il dibattito parlamentare si potrebbe semmai esercitare su alcune questioni (sulle quali sarebbe inaccettabile che si legiferasse per decreto). Tra le altre:

• il tema sensibilissimo dell’anonimato del donatore e della donatrice (in molti Paesi europei, come in Gb, Svezia, Norvegia, Germania, Austria, Olanda da tempo si è passati dall’anonimato al non-anonimato, in particolare in seguito ai ricorsi presentati dalle associazioni dei nati da eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere)

• la possibilità di accesso alla fecondazione medicalmente assistita, oltre che per le coppie infertili, anche per le coppie non infertili ma portatrici di malattie genetiche e cromosomiche, con diagnosi preimpianto sugli embrioni

• la possibilità di revoca del consenso alla fecondazione medicalmente assistita con adottabilità degli embrioni non impiantati

• la possibilità di maternità surrogata solidale (utero non “in affitto”, ma “in prestito” per amore) nella trasparenza di relazione tra la coppia, la madre portatrice e il nascituro. Nel 2001 il Tribunale di Roma ha acconsentito all’uso solidale: una donna che ha condotto la gravidanza per conto di una coppia alla quale era affettivamente legata.

 

Il dibattito su questi e altri temi non osterebbe, comunque, all’immediata praticabilità della fecondazione eterologa.

 

Aggiornamento 18 agosto:

COMUNICATO STAMPA

IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SMENTISCE IL MINISTRO: L’ETEROLOGA SI Può FARE SUBITO.

Accolto ricorso della coppia e ordinato al centro di PMA Sismer di effettuare l’eterologa

In un ricorso presentato innanzi al Tribunale di Bologna ormai oltre 3 anni fa una coppia chiedeva di praticare al centro di PMA SiSMeR di Bologna. In subordine veniva chiesto al Tribunale di Sollevare la q.l.c della legge. Il Tribunale non si pronunciava. Nel maggio 2014 , all’indomani della sentenza della Corte Cost. del 9 aprile con il quale veniva pronunciata la declaratoria di incostituzionalità della legge 40/04 in punto di divieto assoluto di PMA eterologa, veniva chiesto dall’odierna difesa che il giudice procedesse, venuto meno il divieto e precisato in sede di motivazioni dalla Consulta che nessun vuoto normativo si era determinato, ad ordinare al centro di PMA di eseguire la metodica eterologa.

In data 14 agosto il Tribunale di Bologna emetteva ordinanza con la quale accoglieva le richieste dell’attore per le seguenti motivazioni:

A)    LA PMA Eterologa è una species di quella omologa  

La Corte costituzionale ha avuto cura nel ribadire che quella di tipo eterologo è una specie di tecnica appartenente allo stesso genere (la procreazione medicalmente assistita) delle altre, di tipo omologo: dunque, va anch’essa ricondotta al quadro normativo delineato dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40.

In altri termini, la PMA di tipo eterologo è oggi una delle tecniche consentite per realizzare le finalità previste dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40 (cfr. l’art. 1, l. cit.).

Ciò significa, in primo luogo, che interventi di PMA di tipo eterologo possono essere realizzati solo nelle strutture autorizzate (artt. 10, 11, 12, 5° co., l. cit.) e nel rispetto delle disposizioni della l. n. 40/2004 concernenti i presupposti o requisiti oggettivi (art. 4, 1°) e soggettivi (art. 5) e dei principi di gradualità e del consenso informato (art., 4, 2° co.).

Sul punto, si vedano anche i rilievi svolti da Corte cost. n. 162/2004 (par. 11.1).”

B)   Non vi è vuoto normativo

 

Il Tribunale di Bologna, nel ricordare che la Regione Toscana ha emanato in proposito una regolamentazione tecnica di dettaglio che disciplina taluni aspetti del fenomeno in punto di presunto vuoto normativo da colmare con legge ricorda come la Corte Costituzionale nella sent 162/14 evidenzi quanto alla eccezione più volte sollevata, risulti del tutto

 

“ infondata l’eccezione di inammissibilità relativa al paventato <<vuoto normativo>>, la Corte costituzionale è stata chiara nell’escludere <<nella specie>> (ossia, con riferimento ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione, del tutto assimilabili a quello qui in esame) l’esistenza di incolmabili lacune concernenti la regolamentazione essenziale (<<i profili di più pregnante rilievo>>) dell’accesso alla PMA con donazione di gameti, sia quanto ai presupposti che quanto agli effetti.

Al contrario, essa ha affermato, da un lato, che <<nella specie sono […] identificabili più norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo, anche perché il legislatore, avendo consapevolezza della legittimità della PMA di tipo eterologo in molti paesi d’Europa, li ha opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano (e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa ricorso, come in effetti è accaduto in un non irrilevante numero di casi>> e, dall’altro, che <<non>> vi sono <<incertezze in ordine all’identificazione dei casi nei quali è legittimo il ricorso alla tecnica in oggetto>>.

Si rimanda alla motivazione di Corte cost., n. 162/2014, paragrafi 10, 11, 11.1, 12.

Oltre alle disposizioni della legge 40/04 vengono richiamate i D.Lvi 191/07 e 16/10 componendosi un quadro normativo che non abbisogna di integrazioni in punto di stoccaggio, trasferimento , conservazione, privacy e anonimato del materiale genetico donato

Nei limiti della compatibilità, in ipotesi di PMA con donazione di gameti (salva l’introduzione di una nuova e specifica disciplina) troveranno dunque applicazione le vigenti disposizioni in tema di donazione di cellule riproduttive anche se non proveniente da un partner (si applicheranno dunque i criteri di selezione del donatore di tessuti e/o di cellule e si eseguiranno gli esami di laboratorio richiesti per i donatori in generale), ma pur sempre nel rispetto dei requisiti soggettivi fissati dall’art. 5, l. n. 40/2004 (cfr. l’art. 2, 1° co., lett. b), d. lgs., n. 16/2010)”.

C)     I pericoli invocati dal ministro (numero max  donazioni, esami genetici ed infettivi da effettuare sul donatore, etc ) non sussistono e sono demandati ad una disciplina attraverso disposizioni mediche e di dettaglio che in attesa delle Linee Guida possono essere individuate nei protocolli delle Società Scientifiche.

Quanto alle disposizioni tecniche e di dettaglio nel ribadire che non vi è necessità di una legge viene evidenziato che i centri dovranno attenersi alle direttive mediche più “aggiornate e accreditate” cioè elaborate dalle società scientifiche e contenute nei protocolli medici internazionali. Dunque in attesa delle Linee Guida ministeriali che sono la sede per disciplinare gli aspetti tecnici della metodica i centri di PMA in Regione Toscana dovranno attenersi alle direttive mediche allegate alla Delibera fuori dalla Regione Toscana dovranno rifarsi alle linee guida emanate dalle società scientifiche

“Nessuna incertezza sorge in ordine allo status del nato Ciò non toglie che debba darsi attuazione al diritto riconosciuto da Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, applicando laddove necessario le norme in materia di donazione di tessuti o cellule. Nessuna incertezza può sorgere in ordine allo status del nato da PMA eterologa (è figlio della coppia che ha espresso la volontà di accedere alla PMA) e all’assenza di relazione parentale rispetto al donatore di gameti. Oltre al novellato art. 8, l. n. 40/2004, si veda l’art. 9, 3° co., che nella sua attuale formulazione così dispone: <<In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi>> (estranea al tema qui in esame è la particolarissima vicenda trattata da Trib. Roma, ord. 8 agosto 2014). A garanzia del nascituro, una volta divenuto persona, erano già previste le speciali misure di cui all’art. 9, 1° e 2° co. (divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre) nel segno della autoresponsabilità di chi accede alla PMA.

Restano fermi il divieto di commercializzazione di gameti o embrioni e il divieto di surrogazione di maternità (art. 12, 6° co., l. n. 40/2004) ed il divieto di selezione a scopo eugenetico degli embrioni o dei gameti (art. 13, 3° co., lett. b)) (v. anche il passaggio di Corte cost., n. 162/2014 al par. 9).

D)    Preso dunque atto della natura di diritto fondamentale della persona (salute art 32 cost) autodeterminazione art 13 cost)  della pretesa di eseguire la PMA eterologa, il Tribunale afferma

“il diritto dei ricorrenti a ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo secondo le migliori e accertate pratiche mediche;

autorizza la società convenuta ad applicare la tecnica richiesta dalla coppia ricorrente nel rispetto delle disposizioni richiamate in motivazione e delle più aggiornate ed accreditate conoscenze tecnico-scientifiche in materia di PMA con donazione di gameti;

In conclusione

Dopo il presidente Tesauro anche il Tribunale di Bologna conferma che non vi è alcun vuoto normativo, che non vi è un pericolo medico sanitario né di anonimato o compatibilità genetica tra nato e donatore. Dunque posto che le norme tecniche e di dettaglio inerenti n di donazioni ed esami da effettuare hanno natura medica, esse dovranno essere contenute in atti amministrativi, Linee Guida (Statali e/o Regionali), e non in inutili leggi. In loro assenza i centri di PMA potranno comunque eseguire la PMA eterologa seguendo le Linee Guida elaborate dalle più accreditate organizzazioni scientifiche.

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Politica Luglio 29, 2014

#Legge40: no all’anonimato del donatore

1978: i quotidiani britannici annunciano la nascita di Louise Brown, la prima bambina nata “in provetta”

Oggi la ministra per la Salute Beatrice Lorenzin presenterà in Commissione Affari Sociali della Camera i contenuti di un imminente decreto legge sulla fecondazione medicalmente assistita.

Come saprete c’è un certo caos dopo la sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile la fecondazione eterologa, ovvero con donazione di gameti: la stessa Consulta ha chiarito che la sentenza non apre alcun vuoto normativo e che l’eterologa è immediatamente praticabile, ma il Ministero per la Salute frena; sono già in corso gravidanze ottenute con donazioni, Regione Toscana ha già dato autonomamente il via libera. Prima si chiarisce il quadro con linee guida nazionali e meglio sarà.

Sembra certa la conferma dell’anonimato assoluto del donatore, la cui identità deve rimanere segreta. Perfino sulla tracciabilità genetica, ovvero sulla possibilità di accedere ai dati genetici del donatore per ragioni di salute, a quanto pare sarà prevista solo nel caso in cui per il nascituro si ponesse la necessità di un trapianto di midollo. Ma attendiamo di conoscere le proposte.

Sull’anonimato, tuttavia, non dovrebbero esserci sorprese.

Molti fra voi sapranno che su questo punto le legislazioni si dividono. In Svezia e in Gran Bretagna, nazioni pioniere in materia di fecondazione assistita (Louise Brown, la prima “figlia della provetta”, è nata nel 1978 a Oldham, Regno Unito) l’identità del donatore o della donatrice deve essere nota.

L’Human Fertilisation and Embriology Act, stilato nel 1990 nel Regno Unito, è uno dei documenti fondamentali in materia. Il testo originario, che stabiliva l’anonimato del donatore/trice, nel 2005 è stato così implementato:

…any donor who donated sperm, eggs or embryos from that date onwards is, by law, identifiable. Since that date, any person born as a result of donation is entitled to request and receive the donor’s name and last known address, once they reach the age of 18”.

Il diritto del figlio-a essere informato sulle sue origini  è ritenuto quindi prevalente rispetto al diritto del donatore a restare anonimo, nonché della coppia a “cancellare” il donatore. Il superiore diritto del minore è peraltro sancito dall’art. 7.1 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che riconosce, appunto, il “diritto […] nella misura possibile, a conoscere i suoi [del bambino] genitori”. Con il termine “genitore” si indicano qui sia il genitore genetico, sia il genitore biologico che partorisce (madre surrogata: attualmente vietata in Italia), sia il genitore psicologico, ossia colei/colui che cresce e si prende cura del minore per un periodo significativo della sua vita.

Il non-anonimato non è “comodo” per nessuno. Né per il donatore, che deve accettare il “rischio” di una relazione con la creatura nata dai suoi gameti (e infatti in Gran Bretagna e in Svezia il numero di donazioni è significativamente basso), né per i genitori, a cui tocca invece il rischio dell’irruzione di un minaccioso “terzo” nella vita del figlio o della figlia a scompaginare il quadro familiare. Ma questo “terzo” esiste, sia che venga nominato, sia che venga “cancellato”, ed esiste in primis nella vita del nascituro. Contro il cui superiore diritto non valgono né gli argomenti di “mercato” (con la notorietà del donatore si ridurrebbe il numero delle donazioni), né il diritto del donatore e dei genitori a non essere “disturbati”, né la salvaguardia dello statuto familiare, che prevede un solo padre e una sola madre.

Tutti i diritti sono secondari a fronte di quello della creatura che chiamiamo al mondo. Per questo sono fermamente a favore del non-anonimato del donatore/trice.

p.s. Detto a latere: sono molto stupita del fatto che si consideri progressista battersi per i diritti di una coppia infertile, anche di età avanzata, che intenda accedere a fecondazione assistita per avere un figlio; mentre battersi perché ragazze e ragazzi non infertili possano dare corso per via naturale al loro desiderio di bambini, riducendo gli ostacoli (la mancanza di lavoro e di servizi, la difficoltà di accesso ai mutui casa, etc.) che impediscono loro di realizzare il progetto genitoriale, e contribuendo a un aumento dei bassissimi livelli di natalità nel nostro Paese, è ritenuta una battaglia conservatrice, genere “figli alla patria”, quando non in odore di reazione.

 

Ultim’ora: sul tema dell’anonimato del donatore Lorenzin rinvia al dibattito parlamentare.

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Luglio 22, 2014

Fecondazione assistita: anche per le single?

Nella sua ultima sentenza sulla legge 40 che regola la fecondazione medicalmente assistita, dichiarando incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa la Corte Costituzionale chiarisce anche che la legge sta comunque in piedi, cioè che non si è aperto alcun vuoto normativo e che servono solo linee guida essenziali per la sua applicazione: in particolare, vanno garantite sicurezza sanitaria e tracciabilità genetica, ovvero la possibilità per il nascituro di accedere ai dati genetici del donatore che ha “contribuito” alla sua venuta al mondo.

Servirebbe invece l’intervento del legislatore se si volesse modificare il testo della legge 40. Tra i tanti, pongo alla vostra attenzione 3 possibili temi di intervento legislativo:

1. oggi la legge consente l’accesso alla fecondazione assistita solo a coppie infertili, non invece a coppie che non hanno problemi di sterilità ma sono portatrici di malattie genetiche o cromosomiche e che grazie alla fecondazione assistita potrebbero assicurarsi di mettere al mondo figli sani

2. il donatore e la donatrice -nel caso di fecondazione eterologa- sono anonimi: anche nel caso di tracciabilità genetica, la loro identità anagrafica non è nota. In molti Paesi, per esempio in Gran Bretagna, è invece riconosciuto il diritto del figlio e della figlia ad accedere ai dati anagrafici del “genitore” biologico

3. in Italia non è previsto l’accesso dei single alle banche dei gameti. Molte donne single, turiste procreative, si rivolgono ai centri spagnoli, belgi, inglesi, danesi e altri, dove invece è ammessa questa possibilità. Esiste anche un commercio online di kit per l’home insemination, non sufficientemente garantiti dal punto di vista sanitario e genetico. Le cose sono diverse per i single uomini: dal punto di vista procreativo non esiste simmetria tra i sessi. Nel caso dei single maschi, infatti, oltre all’ovodonazione sarebbe necessaria una madre surrogata, ovvero un utero in affitto. Ma la nostra Costituzione vieta la libera disponibilità del corpo o di parti di esso, con l’eccezione di un uso solidale com’è il caso della donazione di sangue, di midollo, di un rene tra congiunti, e anche di gameti. Nel 2001 il Tribunale di Roma ha autorizzato una donna a condurre una gravidanza per conto di una coppia a cui era affettivamente legata. In nessun caso è autorizzata la commercializzazione dell’utero.

Stiamo quindi al caso delle donne single: la legge italiana dovrebbe autorizzarle ad accedere alle banche del seme?

In attesa di vostro argomentato parere. Grazie

(il mio punto di vista lo dirò poi)

 

 

bambini, diritti, Donne e Uomini, questione maschile Luglio 13, 2014

Storia del nuovo cognome

Prendo in prestito il titolo del bel romanzo di Elena Ferrante per segnalare che oggi alla Camera prenderà avvio la discussione sul cognome dei nuovi nati: i quali, secondo il testo uscito dalla commissione Giustizia della Camera, potranno portare quello del padre, quello della madre o entrambi.

Un primo colpo contro il cognome paterno nel gennaio scorso, quando una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, alla quale si era appellata una coppia milanese, ha stabilito che l’attribuzione automatica alla “casata” del padre –con sparizione della genealogia materna- rappresentava una chiara discriminazione, e che l’Italia doveva agire contro questa violazione.

Ed ecco il testo in discussione, secondo il quale i genitori potranno scegliere se dotare il nuovo nato del cognome del padre, della madre, o del doppio cognome. Nel caso la coppia non trovasse un accordo, il neonato sarebbe registrato all’anagrafe con entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Gli eventuali successivi figli della coppia porterebbero obbligatoriamente lo stesso doppio cognome del primogenito/a.

La norma prevede anche che la figlia o il figlio, una volta maggiorenni, possano decidere di aggiungere il cognome della madre a quello paterno –o, caso più raro, viceversa- con una semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile.

Quanto invece ai figli dei figli, non essendo pensabile il quadruplo cognome, il padre e la madre potranno trasmettere uno solo dei rispettivi doppi cognomi.

Iole Natoli conduce da anni e quasi in solitaria la battaglia per il doppio cognome. Ma non è affatto convinta che la norma in discussione tagli in modo netto con i codici patriarcali.

Primo obiettivo polemico, l’eventuale ordine alfabetico in caso di disaccordo tra i genitori: “E’ solo una scorciatoia” dice. “Il figlio nasce dalla madre, c’è una prossimità neonatale che va riconosciuta e non nascosta di nuovo. Il primo cognome è ragionevole che sia quello materno, salvo accordi diversi: e non perché la madre abbia più diritti del padre, ma perché il diritto al cognome viene esercitato dal figlio e dalla figlia -che ne sono i titolari- all’atto della nascita, quando esiste una sola relazione già maturata, quella con la madre. La relazione con il padre si genera dopo”.

Secondo punto di insoddisfazione, il 1° comma dell’art. 4, secondo il quale il figlio maggiorenne può aggiungere al proprio cognome “singolo” il secondo cognome della madre o del padre. “Al figlio e alla figlia” spiega Iole Natoli “è quindi concesso soltanto di aggiungere il cognome dell’altro genitore, se ne ha ricevuto uno solo. Non può invece modificare la sequenza dei  cognomi, né sopprimerne uno, benché i genitori abbiano potuto scegliere per lui. “Inoltre, poniamo il caso di figli di genitori che abbiano entrambi un doppio cognome. Se li attribuissero tutti al figlio questi avrebbe un cognome “quadruplo”, cosa non prevista. Di conseguenza ciascun genitore dovrà scartarne uno dei propri e attribuirne al figlio uno
soltanto. I due cognomi scartati da entrambi i genitori scompariranno.
Ma quei cognomi scomparsi non sono il nulla. Sono cognomi che contribuiscono a determinare l’area familiare del figlio, che comprende anche nonni, zii, cugini e indicano rapporti di parentela. Non è detto che la scelta operata dai genitori soddisfi il figlio o la figlia, che invece potrebbe preferire portare invece uno o entrambi i cognomi che sono stati cancellati dai genitori. Il diritto al cognome è suo e non di altri. Inoltre” aggiunge Natoli “conosco  diversi casi di persone -donne e uomini- che non volevano più portare il cognome del padre, quindi non volevano aggiungere ma sostituire. Le difficoltà e i soprusi a cui si è sottoposti quando si fa una richiesta del genere sono enormi. Si devono documentare situazioni terribili, se non si vuole essere additittura derisi… Il testo in discussione non tutela minimamente questi soggetti, lasciando  invariata la situazione”.

A chi le obietta che queste sono sottigliezze eccessive, Iole Natoli risponde che entrambe le sue critiche segnalano un problema: nella norma così concepita il diritto di trasmissione del cognome da parte dei genitori continua a prevalere sul diritto di acquisto da parte del figlio e della figlia. “In poche parole, non smette di agire il concetto di potestà genitoriale, basata sull’idea dei figli come proprietà, fondamento del patriarcato. Da questo punto di vista, quindi, si permane in un’ottica patriarcale”.

Possibile che queste obiezioni diventino emendamenti al testo di legge. Stiamo a vedere.

La nuova norma potrebbe diventare operativa nel giro di un anno.

AGGIORNAMENTO 16 LUGLIO: sembrava fatta, e invece no.

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, bambini Luglio 1, 2014

Embrioni scambiati: di chi sono figli i figli

Avrei potuto intitolare questo post anche “Il potere risanante della relazione“. Oppure: “La fecondazione assistita non è uno scherzo“.

Il caso degli embrioni scambiati all’ospedale Pertini di Roma è destinato a rimanere negli annali della cosiddetta bioetica. A causa di un errore umano – e la scienza è costellata di errori umani-  c’è una donna che sta per dare alla luce i figli biologici di un’altra, un maschio e una femmina, impiantati per sbaglio nel suo utero. Per la legge -e anche per la donna che sta portando avanti la gravidanza- la madre è chi partorisce. Ma i genitori biologici di quei bambini si sentono, a dispetto della legge, la loro “vera famiglia“.

L’identità di entrambe le coppie è coperta dal segreto. I genitori biologici, donatori involontari, hanno tentato di mettersi in contatto con i genitori “surrogati”, che hanno fermamente rifiutato. Ora i primi si sono rivolti al Tar del Lazio per chiedere di poter conoscere il nome della donna che sta per mettere al mondo i “loro” bambini. “Siamo convinti” hanno dichiarato a Margherita De Bac del Corriere della Sera “che se ci incontrassimo, noi quattro e basta, senza gli avvocati, potremmo trovare una soluzione, chissà. Il dialogo è importante“.

Un bimbo a voi, uno a noi: se fosse una fiaba, la soluzione potrebbe essere questa. Forse i genitori biologici hanno in mente qualcosa del genere. La madre surrogata, oltre al dettato della legge, potrebbe opporre il fatto che gli embrioni hanno attecchito nel suo utero, cosa che magari nell’utero della madre biologica non si sarebbe verificata. E che in nove mesi di gestazione si instaura un fitto dialogo biochimico e psicologico tra la gestante e le creature (ditelo a chi pensa all’utero in affitto come mero contenitore).

Insomma, le questioni sono molte, e nessuna può essere rimossa.

Sbagliano i genitori surrogati a ritenere che sia sufficiente darsi alla fuga per cancellare ogni traccia di ciò che è avvenuto nella vita dei “loro” figli: la cosa c’è e ci sarà sempre, anche nel caso non venisse mai nominata (anzi, forse di più). E hanno ragione i genitori biologici a confidare nel dialogo: non tanto per congegnare soluzioni più o meno salomoniche e spartitorie, quanto per il fatto che in un caso come questo la relazione è davvero l’unica strada, ed è la soluzione in sé. Una relazione non solo per il qui e ora, non per trovare una via d’uscita, ma per trovare la porta d’entrata. Una relazione per sempre, con tutti i rischi, le complicazioni ma anche le gioie e il guadagno che ogni relazione comporta.

Ci sono loro quattro, ci sono anzitutto quei due bambini (il cui bene è la priorità assoluta): una relazione a sei, venuta al mondo per caso, che c’è già, e la cui esistenza non può essere negata.

Non sempre la strada più facile è quella giusta.

 

Aggiornamento domenica 27 luglio:

secondo la Consulta di bioetica “nessuna delle due coppie deve essere esclusa dalla vita dei figli”. E’ quello che ho detto qui. Intanto i genitori biologici fanno ricorso.