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bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, Femminismo, lavoro, questione maschile Settembre 28, 2015

Sempre più mamme “saltano” il congedo di maternità. Una pessima notizia: per le madri, per i bambini e per il mondo

Leggo su La 27ora l’ottimo report su maternità e lavoro: in stretta sintesi, il vecchio congedo di maternità si va estinguendo. Sempre più neo-mamme rinunciano alla “pausa-bambino” e rientrano al lavoro prima possibile. Il web è pieno di testimonial offerte come modello da seguire –ad, politiche, business women- che staccano giusto il tempo del parto per tornare alla scrivania dopo pochi giorni.

Non riesco a leggerla come una buona notizia. Per tante si tratta di fare di necessità virtù: meno ti assenti, meno rischi il posto (o per le più fortunate, la carriera). Più interessanti invece le forme di flessibilità in sostituzione del congedo: riduzione d’orario, part time.

Resto convinta che un bambino appena nato ha bisogno di stare con la mamma, e la mamma con il bambino. Si tratta di un unico organismo vivente che gradualmente diventa un due. Il momento del parto non interrompe la simbiosi –natura non facit saltus-, ne cambia semplicemente la forma. Spiega la psicologia che il processo di individuazione del nuovo nato –cioè il tempo che serve alla creatura per percepirsi come uno/a distinto dalla madre- dura ben 3 anni: i cuccioli della nostra specie sono i più lenti nell’acquisizione di autonomia. Per una lunga fase il bambino/a sente di essere la madre, com’è stato per i 9 mesi di gestazione (e in parte anche la madre “si sente” il bambino/a).

I tempi della riproduzione non cambiano in base alle esigenze della produzione: se potessero ci imporrebbero gestazioni di due mesi, o meglio ancora gravidanze extracorporee -non manca tanto-, asettiche e inodori.

Come la gran parte delle mamme sono tornata al lavoro dopo 3 mesi. Mi è mancato molto, con il senno di poi, non poter assecondare la gradualità del processo che dicevo: l’allattamento, un unico ritmo di sonno-veglia e così via. Ho perso qualcosa di importante per la mia identità, e ho fatto perdere ben di più a mio figlio.

Permettetemi di essere brutale: quando comprate un cucciolo di cane potete portarlo a casa solo dopo due mesi, quando sarà pronto ad affrontare il distacco dalla madre. Gli allevamenti più seri allungano il periodo a tre mesi. Perché non dovrebbe valere per gli esseri umani quello che vale per i cuccioli di altre specie?

Non intendo colpevolizzare le neomamme –non più di quanto colpevolizzi me stessa-, ma penso che quel tempo speciale, diverso da tutti gli altri tempi della vita, non mi sarà più restituito, e percepisco la cosa come una perdita. Soprattutto sento di aver tolto qualcosa di importante al mio bambino. A maggior ragione non posso salutare con felicità il fatto che le giovani mamme rinuncino perfino a quelle poche settimane di tempo “differente” (nel senso di occasione irripetibile per sperimentare la propria differenza femminile).

Per andare meglio, il mondo avrebbe bisogno di somigliare di più al mondo delle donne e alla coppia madre-figlio, assumendo come fondamentale e non più aggirabile il valore della cura che nella maternità trova il suo imprinting. E invece ci vogliono sempre più uguali agli uomini. L’eccesso di maschile si perpetua.

La maternità è sempre più un fastidio, un ingombro da far fuori con una guerra simbolica e reale.

Si tratta di una sconfitta radicale.

 

bambini, Corpo-anima, cronaca, diritti, Donne e Uomini Agosto 17, 2015

Il bambino “dell’acido” e i figli dell’utero in affitto. Anche loro “strappati alla madre”. Ma qui, nessun problema

Sono madre, posso ben capire come si sente Martina Levato, disgraziata ragazza “dell’acido” a cui il piccolo è stato tolto subito dopo averlo partorito. Strazio che si aggiunge a quello di una vicenda assurda in cui stavano già soffrendo in tanti: il ragazzo sfregiato a vita, i due sfregiatori -in galera si sta male-, le loro famiglie. E anche, almeno momentaneamente, quel piccolo solo nella sua culletta alla Mangiagalli, privato del latte e del contatto con il corpo della madre, da cui si sente ancora indistinto.

La pm Annamaria Fiorillo ha chiesto che il bambino venga dichiarato “in stato di abbandono per totale e irreversibile incapacità e inadeguatezza del padre e della madre a svolgere funzioni genitoriali”, e forse già nelle prossime ore il Tribunale dei Minori deciderà, nell’esclusivo interesse del piccolo, se restituirlo alla madre perché lo cresca in un istituto a custodia attenuata, se affidarlo temporaneamente ai nonni, o a una famiglia estranea in attesa di adozione.

A quanto pare i giudici non potevano agire diversamente. E del resto, nel caso il neonato venga dichiarato adottabile, strapparlo a sua madre fra qualche giorno o fra qualche settimana sarebbe probabilmente ancora più doloroso, per il piccolo e anche per lei: e con buona pace dei molti forcaioli esultanti, massimizzare la sofferenza dei detenuti non è l’obiettivo della giustizia umana.

Ma sono alcuni commenti a lasciarmi sconcertata. Per esempio, Gianna Schelotto, Corriere di oggi: “I bambini durante la gravidanza assorbono tensioni, ansie, gioie. E Daniela Monti, sulla 27 ora: “a quel bambino abbiamo già tolto il diritto al primo sguardo materno, alla prima poppata, al primo rapporto esclusivo – visivo, gestuale, di nutrimento – con la madre su cui tanti studi insistono, rintracciando proprio in quei primi istanti amorevoli le basi per un corretto equilibrio psichico e relazionale“.

Mi domando se questo non valga anche per quei bambini nati da donne-contenitori, o uteri in affitto. Loro forse non assorbono dalla madre “tensioni, ansie, gioie”? Loro non sono forse privati di quel “diritto al primo sguardo materno, alla prima poppata, al primo rapporto esclusivo” e a tutto ciò che dovrebbe seguirne?

Perché, com’è giusto, ci preoccupiamo per questo bambino nato a Ferragosto da una madre detenuta per un reato odioso, e non diciamo mai una parola sulle centinaia o migliaia di bambini che ogni giorno vengono tolti alle povere donne che li hanno partoriti in forza di un contratto economico? Perché in questi casi non permettiamo al dubbio di assillarci? Perché lì non vediamo il legame che viene spezzato?

Forse perché le madri surrogate sono donne povere e invisibili? Forse perché quando si tratta di “libero” mercato il valore dei soldi e il diritto a procurarsi ogni genere di merce spazzano via tutti gli altri valori, e così sia?

*aggiornamento 18 agosto: il Tribunale dei Minori concede a Martina di vedere il bambino, ma non di allattarlo. Nel contempo avvia la procedura di adottabilità. Mi pare che si stia navigando a vista, come sempre quando la legge cerca di normare i fondamentali della vita.

 

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Luglio 21, 2015

Una coppia gay, la loro bambina e la madre surrogata che non la vuole lasciare

Gordon, Manuel e la piccola Carmen

Gordon e Manuel sono una coppia gay. Hanno un bimbo di 23 mesi, Alvaro, nato con ovodonazione e maternità surrogata in India. E una piccola appena nata, Carmen, partorita da una donna thailandese. Carmen è biologicamente figlia di Gordon e di una donatrice sconosciuta. La donna che l’ha partorita non ha alcun legame  genetico con la bambina. Ma ora questa donna rifiuta di firmare le carte che permetterebbero alla famiglia di lasciare il Paese, e la coppia è bloccata a Bangkok, in una località sconosciuta, insieme ai due bambini. Il terrore è che le autorità thailandesi portino via loro la piccola.

La madre surrogata ha cambiato idea sul permesso di espatrio per la bambina quando ha scoperto che sarebbe stata figlia di due uomini. Ha detto che non lo sapeva, e che è molto preoccupata per lei.

Da febbraio in Thailandia la maternità surrogata non è più consentita in seguito ad alcuni casi drammatici (un businessman giapponese che si era procurato in questo modo 16 figli e un bambino down rifiutato dalla coppia che l’aveva “commissionato”). Non è chiaro, quindi, quale potrebbe essere l’esito della vicenda di Carmen: le autorità potrebbero acconsentire all’espatrio della bambina, decidere di affidarla alla madre surrogata o dichiararla adottabile.

Toccare i fondamentali della vita comporta spesso dilemmi irresolubili, se non con decisioni umanamente arbitrarie.

Carmen è figlia biologica di Gordon, ma la madre portatrice, a sorpresa, rivendica di voler prendere parte alle decisioni che la riguardano, manifestando l’instaurarsi di un legame con lei nel corso della gestazione. Con ogni probabilità è stata pagata per il suo “lavoro”, ma non le basta. Per la bambina che ha partorito “pretende” un padre e una madre. Ma in effetti, al netto delle sue legittime convinzioni etiche, non avrebbe alcun diritto di separare la bambina dal padre biologico.

Intanto c’è una bimba che sta vivendo le sue prime settimane in un clima drammatico, e un bimbo di 23 mesi insieme a lei.

A chiunque tocchi la parte di Salomone in questa piccola grande tragedia, si aggrappi a questa certezza: i bambini, prima di tutto. Tutti i diritti sono loro. I grandi che a vario titolo li hanno chiamati al mondo -con i loro gameti o con il proprio utero- se ne dovranno fare una ragione.

 

 

bambini, diritti, Donne e Uomini Giugno 29, 2015

I gay, le donne e l’utero in affitto

Travolta da piccola bufera di inizio estate. Qualcuno che mi accusa di essere contro i matrimoni gay e contro le adozioni gay, e quindi omofoba. Il fatto è che io sono a favore dei matrimoni gay e pure delle adozioni gay, più precisamente sono a favore della non-discriminazione in base all’orientamento sessuale. Quindi mi domando da dove nasca questa colossale cretinata.

So bene da dove nasce: da una mia posizione di grande cautela in tema di fecondazione assistita, e in particolare sulle pratiche di donazione –o acquisto- di gameti e sull’utero in affitto. La mia posizione non discrimina affatto fra etero e gay. Vero che quella dei gay è almeno in teoria la platea più interessata all’utero in affitto, quindi la mia posizione di cautela sembra voler interferire con quello che è ritenuto un proprio diritto (anche se il diritto a un figlio non esiste per nessuno, né etero, né gay). Ma il genere e l’orientamento sessuale di chi compra ovociti e affitta uteri per me è del tutto indifferente.

I principi a cui mi radico sono due: il superiore diritto del bambino e della bambina, che sta saldamente in cima alle priorità; e il diritto delle donne a non essere sfruttate per ragioni economiche.

Quanto ai bambini, norme e statuti nazionali e internazionali riconoscono loro il diritto a conoscere il più possibile delle proprie origini. Non sempre, nel caso degli adottandi, questo è realizzabile. Ma nel caso dei nati da provetta certamente sì. La battaglia della prima generazione dei figli della provetta è riuscita a spostare il più dei paesi dall’anonimato a non anonimato del donatore, in modo che i figli possano accedere, se lo vogliono, a informazioni sui loro genitori biologici. Il che naturalmente ha ridotto il numero di donatori e donatrici. In Italia, per esempio, sono pochissimi, e l’affitto di utero non è consentito se non in rari casi autorizzati da sentenze sull’ “utero solidale”, ovvero quando vi sia un comprovato legame affettivo tra chi chiede e chi offre. Ma come si sa non è difficile trovare altrove gameti da comprare e uteri da affittare.

Nel caso dei donatori, basta l’emissione di un po’ di seme, pratica a rischio zero. Nel caso delle donatrici la cosa è decisamente più complessa: stimolazioni ormonali, prelievo di ovociti in anestesia o in sedazione con qualche rischio per la salute. Quindi creazione degli embrioni, impianto in utero –normalmente di un’altra donna-, rischi connessi alla gestazione e al parto, rischi psicologici legati all’esperienza e al distacco dalla creatura (che anch’essa patisce il distacco). Come si vede, la cosa è innegabilmente più complicata. Qui si fonda la naturale asimmetria tra una donna che intenda procreare “da sola” o in un progetto con la propria compagna, e un uomo che intenda procreare da solo o in un progetto con il proprio compagno. La differenza sessuale vale per tutti, etero e gay. Il corpo esiste. Perfino Judith Butler, caposcuola delle contestatissime “gender theory”, poco tempo dopo ha ammesso l’esistenza incontrovertibile di un fondamento materiale, arrivando a dire cose tipo “il corpo è mio e non è mio”. Ma qui non l’ha ascoltata più nessuno.

Quanto alle donatrici e alle madri surrogate: solo in un numero decisamente minore di casi si tratta di una libera scelta. Scelta difficilmente comprensibile per il più delle donne, ma possibile. Nella grande maggioranza dei casi, invece, si tratta di mettere a disposizione parti del proprio corpo –e della propria psiche- per ragioni di bisogno economico. Da questa “cessione” può certamente derivare molta felicità al “richiedente”, ma se  le donne in questione, spesso cittadine di Paesi poveri, potessero evitare l’esperienza, non è azzardato ipotizzare che la eviterebbero volentieri. Dobbiamo restare indifferenti di fronte a questo sfruttamento?

Essere consapevoli di queste criticità non equivale a essere pro-life, integralisti cattolici o militanti del Family Day . Voler considerare in primis i diritti dei minori, e insieme la condizione di queste donne, rese minori dalla povertà e dal bisogno, non può essere letto come omofobia. La filosofa Sylviane Agacinski è super-laica, e così l’eurodeputato dei Verdi José Bové, il saggista anticristiano Michel Onfray, e tutte le militanti femministe europee, americane, australiane, indiane, africane che in Francia hanno sottoscritto un duro appello contro l’utero in affitto  recentemente pubblicato dal quotidiano Libération, che non è certo Avvenire.

Segue furioso dibattito. Cerchiamo di darci tutti una calmata, e proviamo a ragionare in una logica di riduzione del danno per il maggior numero. A cominciare dai più piccoli e indifesi: principio non negoziabile. E sempre diffidando di conformismi, neoconformismi e pensieri unici.

Il corpo esiste. Ed esistono anche la testa e il cuore.

p.s: sarebbe bello poter fuoruscire dalla logica dei diritti contrapposti, l’un contro l’altro armato.

 

 

 

bambini, Corpo-anima, diritti, TEMPI MODERNI Marzo 30, 2015

The Body affitta un body per avere un figlio a 51 anni

La ex-stra-top Elle Macpherson (The Body), 51 anni, vorrebbe un terzo figlio. Per via naturale, com’è ovvio, non ce la farebbe mai, perciò avrebbe deciso per una madre surrogata. The Body affitterebbe un altro body in cui fare impiantare i suoi ovuli (congelati anni fa) fecondati con il seme del terzo  marito Jeffrey Soffer, anche lui già ampiamente padre insieme ad altre donne.

Di figli, volendo, ce ne sarebbero già abbastanza. Ma Elle e Jeffrey ne vorrebbero uno tutto loro, e avrebbero già individuato l’utero, quello di una donna di trent’anni. Non so come escano certe notizie: forse è un modo per avere i riflettori, o forse il close-insider è la candidata-utero che vuole arrotondare e ha spifferato tutto alla rivista Woman’s Day, che ha diffuso la notizia.

Per i paladini e le paladine delle “libertà” femminili –sempre pronte-i  a difendere in il diritto di ciascuna di vendere o affittare il proprio corpo, con particolare riferimento agli annessi sessuali: perché i diritti sono inviolabili, mentre vagina, utero etc sono violabilissimi– dico che se The Body maiuscolo e the body minuscolo trovano un accordo, e se la legge lo consente (in Italia no), si potrebbe anche dire che sono affari loro.E dico anche che mi piacerebbe vederli sostenere, con uguale accanimento, il diritto di avere figli entro la scadenza biologica, contro tutto e contro tutti (le aziende che non ti assumono o ti licenziano, le banche che non ti danno il mutuo casa, etc.).

Quanto a me penso che una coppia di cinquantenni già plurigenitori, in buona salute e pieni di soldi dovrebbero ringraziare Dio ogni giorno, fare del bene per condividere la propria buona sorte, e magari baloccarsi con il pensiero di un bambino tutto loro, e poi guardarsi negli occhi e dirsi: “Ma no, lasciamo stare…” e aspettare e sperare nei bambini dei propri figli.

E a quella ragazza così bisognosa, al punto di affrontare gravidanze per conto terzi, offrire il proprio aiuto senza pretendere niente in cambio.

Non metterebbero al mondo un bambino, ma ho la sensazione che darebbero alla luce qualcosa di più grande: un’umanità più adulta, capace di accettare il limite.


bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, scuola Marzo 24, 2015

Contro l’educazione sessuale

 

C’è un limite anche al cretinismo progressista e laicista, in sostanza: tutti possiamo fare tutto e abbiamo diritto a qualunque cosa senza alcun limite, la fase dell’onnipotenza infantile tirata fino agli 80 anni.

Fa parte di suddetto cretinismo anche un certo concetto di “educazione sessuale” per infanti e adolescenti, espressione che è quasi un ossimoro perché il sesso è tutto fuorché educato. Basterebbe leggersi un bigino di Michel Foucault per inquadrare la questione: detto alla buona, meno parole si fanno sul sesso e meglio è, per il piacere. Perché poi lui avverte che la sessualità non esiste, esistono i corpi e i piaceri.

Mi viene la pelle d’oca, quindi, all’idea che dei formatori appositamente formati (il business della formazione oggi è colossale) pretendano di spiegare a dei ragazzini-e come dovranno regolarsi nelle cose di sesso, addirittura come ci si masturba e altre idiozie del genere. Corre anche una certa ipocrisia, se vogliamo, perché siamo stati tutti bambini e bambine e dovremmo ricordare che quanto a corpi-e-piaceri, da liberi e perfetti perversi polimorfi, sono i ragazzini e le ragazzine a poter formare gli adulti, liberandoli dalla parola normativa (ricordo come un’enorme violenza ogni intervento invadente del mondo adulto sui nostri giochi).

La cosa che si dovrebbe fare è dare una mano ai genitori a fare meno danni possibili, e collaborare con loro in questo senso, attenendosi a due semplici principi educativi:

  1. rispetto del-la partner, a qualunque genere appartenga, sempre e comunque
  2. responsabilità procreativa di ciascuno, che sia maschio o femmina, e protezione di se stessi e dei partner dalle malattie a trasmissione sessuale (+ altre informazioni sanitarie, se servono).          Punto. Finito. Impostati i due binari, gioco assolutamente libero. Questa è la sola educazione sessuale che concepisco. Anche il sesso, come i temi eticamente sensibili, vuole il minimo indispensabile di parole.

 

bambini, diritti, Donne e Uomini Marzo 17, 2015

In difesa di Dolce & Gabbana

Difficile, in questo bailamme, capire che cosa abbiano effettivamente detto D&G -entrambi, o l’uno, o l’altro-, scatenando l’ira di Elton John.

Sto ai virgolettati che vedo: “Tu nasci e hai un padre e una madre”. “Non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici” qui a parlare è Domenico Dolce. “Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni”.

E ancora, qui dovrebbe essere Stefano Gabbana: “Un figlio? Sì, lo farei subito. Ma sono gay, e non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. Una di queste è la famiglia”.

Sono sicura che Elton John e il suo compagno -e Ricky Martin, e Miguel Bosè- amino immensamente i loro bambini. Ma che si nasca da un padre e da una madre (anche se in questi casi la madre è criptata) è un fatto indiscutibile. “Figli della chimica, bambini sintetici” suona un po’ duretto, ma la femminista Mary Daly ci andava anche più dura, parlando di “madri maschili” e di “tecnorapina delle uova”. Perché poi, romanticismi a parte, nel 99,9999 per cento dei casi le donne che cedono i loro ovociti e affittano i loro uteri lo fanno perché hanno bisogno di soldi.

Ma la frase che mi interessa maggiormente è questa: “Un figlio? Sì, lo farei subito. Ma sono gay, e non posso avere un figlio“. Bene, dico a Stefano Gabbana: la questione non è affatto l’essere gay o etero. La questione è l’essere uomini. Ci vuole sempre una donna, per mettere al mondo un figlio. Per una donna non è difficile reperire del seme maschile. Per un uomo trovare ovociti e uteri è decisamente più complicato, e comporta la mediazione di una scienza al servizio del mercato, e di leggi che regolino la materia. Non c’è simmetria.

Uno può mettere al mondo un figlio con una donna, in una relazione affettuosa, anche se è gay: il punto non è questo. Il punto è pretendere di far sparire la madre: perchè se a te non piacciono sessualmente le donne, questo non comporta che a tuo figlio non piaccia avere accanto sua madre, o quanto meno sapere chi diavolo sia.

La nostra legge non permette l’utero in affitto, nel rispetto della Costituzione che vieta atti dispositivi del corpo o di parti del corpo. Sì, la nostra bella Costituzione -lo segnalo a chi strilla di libertà priva di limiti, libertà obbligatoria– dice anche questo. E che lo sfruttatore sia gay o etero, verde, giallo o blu, non cambia nulla. Io difenderò usque ad sanguinis effusionem questo sacro principio. Come difenderò il diritto di tutti di esprimere liberamente le proprie opinioni, senza sentirsi obbligato in quanto omosessuale a intrupparsi nel mainstream gay, o viceversa.

Boykott the intolerance!

Aggiornamento sabato 21 marzo: qui un’intervista di Cnn a D&G. Sui social network li stanno linciando. Io non capisco che cosa stiano dicendo di sbagliato.

 

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, Politica Dicembre 17, 2014

Mosè nato in mezzo al mare. Su nave Etna, Canale di Sicilia

Mosè, nato in mezzo al mare

Ieri notte a bordo di nave Etna nel Canale di Sicilia è nato Mosè. La mamma è una giovane eritrea di 20 anni, sola, assistita nel parto dalla ginecologa torinese volontaria della Fondazione Francesca Rava NPH Italia Onlus (la Fondazione Rava è da oltre un anno a bordo delle navi MM con oltre 60 medici e infermieri che hanno prestato assistenza a  60.000 persone).

 

La stessa Maita nei giorni scorsi aveva inviato una testimonianza straziante su una storia che invece è finita male.

“Con la luna piena e il mare relativamente calmo gli sbarchi sono assicurati.
Negli ultimi due giorni abbiamo raccolto circa 350 persone che confrontati con i numeri dell’estate sono poca cosa. Questi però sono i più poveri. Un interprete ci ha detto che un viaggio di questi tempi costa circa 1000 euro perchè è su gommoni. In estate costa il doppio perchè è su barconi. In genere d’estate viaggiano i Siriani che adesso non vediamo. Questi profughi sono tutti ragazzi tra i 20 e 25 anni più docili e collaborativi con noi e fra loro. Le donne sono poche e giovani anche loro. I casi più frequenti che vediamo sono di scabbia e ustioni di secondo grado, a volte molto diffuse soprattutto ai glutei e in zona genitale, per la reazione fra acqua di mare e carburante.
In questo gruppo c’è una mamma che ha perso nel viaggio il suo bambino di circa 5 mesi che stava ancora allattando. E’ arrivata sconvolta,in stato confusionale, con un importante ingorgo mammario. 
L’ho accudita facendole una fasciatura contenitiva del seno alla vecchia maniera. Fra qualche ora verrà sbarcata.
Nel piccolo ospedale da campo allestito sul ponte sono accolti un giovane papà di un bimbo di circa due anni. La mamma è partita con loro ma nel viaggio durante la notte ci sono stati dei tafferugli sul loro barcone, si è fatta male. Il marito dice che la moglie è già in ospedale a Lampedusa.
In realtà non ci sono notizie e tutti temiamo il peggio.
Il bimbo è buono e sorridente. Ha riconosciuto i pannollini sul tavolino dove viene cambiato, mangia e beve da solo. Un infermiere gli ha fatto una pallina di cotone e nastro adesivo con cui adesso gioca in infermeria”.
dal Canale di Sicilia, pochi giorni prima di Natale

 

bambini, cronaca, Femminismo Dicembre 12, 2014

Alle mie amiche ricordo che la vittima è il piccolo Loris. Non sua madre

Un bambino barbaramente ucciso. E sua madre, una ragazza -per cui vale, come per tutti, la presunzione di innocenza- indicata dagli inquirenti come la sua assassina. Ma circola un femminismo giustificazionista che rischia di fare il paio con il colpevolismo mediatico. E’ per questo che scrivo questo post, rompendo un istintivo riserbo su questo dramma.

No al colpevolismo mediatico. No all’innocentismo ideologico.

Fin dal principio della storia ho temuto che le cose potessero essere andate nel modo in cui gli inquirenti ritengono che siano andate: che una madre poteva avere ucciso il suo bambino. E’ già capitato e capiterà ancora. Così come capiterà ancora che, per un misterioso meccanismo di denegazione, la donna finita nel gorgo orrendo del figlicidio neghi fino alla fine di averlo commesso -davvero convinta di non averlo commesso- perfino dopo essere stata condannata, perfino dopo aver scontato la condanna.

Nella “sarabanda infernale” (Winnicott) che è il rapporto madre-figlio è contemplata anche la possibilità che lei uccida la creatura, e che la creatura uccida lei.

Vero che tanti uomini uccidono i loro figli, e molto più spesso delle madri (quasi il 90 per cento di tutti gli omicidi sono commessi da uomini): ma per quanto sia orribile, è un orrore che non sembra non arrivare a uguagliare quello di una madre figlicida. Quando una madre uccide siamo scossi fino alle fondamenta, perché mater semper certa est, il suo amore non meno certo, gratuito e scontato, una madre deve sempre essere assolutamente buona.

Si possono dire tante cose. Si può scandagliare fino agli abissi. Ma non si può trarne, come mi pare di infraleggere in alcuni commenti, una richiesta di impunità. Se la ragazza Veronica ha ucciso il suo bambino, anche tenendo conto di un’eventuale instabilità mentale, è necessario che paghi il suo delitto.

Il rischio di una generosità che si spinge solidalmente a cercare nella vita di lei ogni possibile chiave per giustificare -traumi, disagi, solitudine, una madre “cattiva”: perché poi, paradossalmente, per la madre della madre non ci sono attenuanti, lei è assolutamente cattiva- è quello di inchiodare le donne a una sorta di cittadinanza minore, che le dispensa da un’assunzione piena delle proprie soggettive e oggettive responsabilità. Quest’operazione giustificazionista ha altissimi costi, ed è profondamente ingiusta.

Se Veronica ha davvero ucciso Loris, il più dei sentimenti di pietà di cui sono capace è per il bambino. Senza tentennamenti.

Tutti possiamo essere vittime di qualcosa o di qualcuno. Anche Veronica, certo, e anche la sua mamma che non esitiamo a pensare come “cattiva”. Ma in questa catena di dolore e di colpe è il più debole e indifeso ad avere pagato.

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, esperienze Ottobre 9, 2014

Perché ho dato il mio seme: parla un donatore

Anna ci ha raccontato la sua esperienza di ovodonatrice. Parliamo ora con Paolo, donatore di seme.

38 anni, Paolo è avvocato e vive a Catania. Sposato con una quarantenne, è in attesa della prima figlia che nascerà a novembre.

“Concepita con fecondazione assistita omologa” racconta. “Sei cicli, tre anni di tentativi, e infine mia moglie è rimasta incinta. Al centro restava una parte del mio seme congelato. Anziché distruggerlo ho pensato di donarlo“.

Anche se distruggere del seme non è come distruggere ovociti: produrne di nuovo è semplicissimo, e non richiede alcun intervento medico…

“Capisco che possa sembrare strano. Ma chi non vive queste situazioni non può comprendere fino in fondo. C’è troppa disinformazione, c’è paura, c’è l’idea che sia qualcosa di oscuro e di magico. Il 95 per cento della gente con cui parli non sa nulla di queste faccende. Il centro ci ha comunicato la possibilità di donare il seme residuo. E io mi sono detto: perché buttarlo?“.

Quindi ha deciso di donare.

“Prima della sentenza della Consulta che ha autorizzato l’eterologa in Italia mia moglie e io avevamo pensato anche a tentare un’eterologa all’estero, con donazione di ovociti. Nel nostro caso il problema era una scarsa qualità ovocitaria…”.

Forse perché la signora non era più giovanissima.

“L’età ha la sua importanza, certo. Ma questa condizione si può verificare anche in donne più giovani. In ogni modo, come dicevo: poco prima che lei rimanesse incinta anche noi stavamo considerando di ricorrere a eterologa, o in alternativa di adottare. Quindi avremmo potuto avere necessità di una donazione: quel bisogno l’ho conosciuto da vicino. Ecco perché ho deciso di donare“.

Ne ha parlato con sua moglie?

“Sì. E non è stato difficile decidere. Per me è come una qualunque altra donazione in vita: come donare sangue, o midollo... Certo, ha agevolato il fatto che quel seme era già lì, disponibile. Se avessi dovuto produrre del seme a questo scopo, non so… Forse avrei donato, forse no. Non saprei dire”.

La impressiona l’idea di bambini nati dal suo seme?

“No, affatto. Sarebbe come sapere che qualcuno vive grazie a un tuo rene“.

Ha chiesto di sapere se il suo seme verrà utilizzato e se si avvieranno delle gravidanze?

“No. Non voglio sapere nulla. Ho donato, e fine. Sono assolutamente sereno”.

E se un giorno volessero sapere loro? I bambini nati dal suo seme, intendo.

Se l’anonimato non fosse garantito non avrei mai donato. Non voglio essere rintracciabile. La cosa potrebbe turbare la mia serenità familiare“.

Anche la serenità di quei bambini potrebbe essere turbata dal fatto di non poter conoscere le proprie origini biologiche.

Non è un obbligo dirgli come sono venuti al mondo“.

Però la gran parte delle linee guida consiglia la strada della verità.

“I figli sono di chi li cresce. Se qualcuno di questi bambini volesse sapere chi è il padre biologico, purtroppo non potrà saperlo. Tutto qui”.

Lei sarà a conoscenza dei ricorsi presentati da molti figli di eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere.

“Questo non ha ostacolato la mia decisione. Ribadisco: impossibile capire se non ci si è passati”.

Dal fatto di non riuscire ad avere figli, intende?

“Sì. Per noi era un grosso problema. Una pesante privazione. Certo, se non ci fossimo riusciti alla fine ce ne saremmo fatta una ragione…”.

Una domanda delicata: posso?

“Prego”.

Non c’è anche un piccolo sogno di onnipotenza, dietro la scelta di donare il proprio seme? La volontà inconscia di massimizzare le occasioni per i propri geni?

“Ma no, mi creda. Si tratta di semplicissimo altruismo. Nessuna esaltazione. Insisto: chi non sa sulla propria pelle non può capire”.

 

(grazie a Aidagg, Associazione dei donatori di gameti, per il contatto con Paolo)