Avrei potuto intitolare questo post anche “Il potere risanante della relazione“. Oppure: “La fecondazione assistita non è uno scherzo“.

Il caso degli embrioni scambiati all’ospedale Pertini di Roma è destinato a rimanere negli annali della cosiddetta bioetica. A causa di un errore umano – e la scienza è costellata di errori umani-  c’è una donna che sta per dare alla luce i figli biologici di un’altra, un maschio e una femmina, impiantati per sbaglio nel suo utero. Per la legge -e anche per la donna che sta portando avanti la gravidanza- la madre è chi partorisce. Ma i genitori biologici di quei bambini si sentono, a dispetto della legge, la loro “vera famiglia“.

L’identità di entrambe le coppie è coperta dal segreto. I genitori biologici, donatori involontari, hanno tentato di mettersi in contatto con i genitori “surrogati”, che hanno fermamente rifiutato. Ora i primi si sono rivolti al Tar del Lazio per chiedere di poter conoscere il nome della donna che sta per mettere al mondo i “loro” bambini. “Siamo convinti” hanno dichiarato a Margherita De Bac del Corriere della Sera “che se ci incontrassimo, noi quattro e basta, senza gli avvocati, potremmo trovare una soluzione, chissà. Il dialogo è importante“.

Un bimbo a voi, uno a noi: se fosse una fiaba, la soluzione potrebbe essere questa. Forse i genitori biologici hanno in mente qualcosa del genere. La madre surrogata, oltre al dettato della legge, potrebbe opporre il fatto che gli embrioni hanno attecchito nel suo utero, cosa che magari nell’utero della madre biologica non si sarebbe verificata. E che in nove mesi di gestazione si instaura un fitto dialogo biochimico e psicologico tra la gestante e le creature (ditelo a chi pensa all’utero in affitto come mero contenitore).

Insomma, le questioni sono molte, e nessuna può essere rimossa.

Sbagliano i genitori surrogati a ritenere che sia sufficiente darsi alla fuga per cancellare ogni traccia di ciò che è avvenuto nella vita dei “loro” figli: la cosa c’è e ci sarà sempre, anche nel caso non venisse mai nominata (anzi, forse di più). E hanno ragione i genitori biologici a confidare nel dialogo: non tanto per congegnare soluzioni più o meno salomoniche e spartitorie, quanto per il fatto che in un caso come questo la relazione è davvero l’unica strada, ed è la soluzione in sé. Una relazione non solo per il qui e ora, non per trovare una via d’uscita, ma per trovare la porta d’entrata. Una relazione per sempre, con tutti i rischi, le complicazioni ma anche le gioie e il guadagno che ogni relazione comporta.

Ci sono loro quattro, ci sono anzitutto quei due bambini (il cui bene è la priorità assoluta): una relazione a sei, venuta al mondo per caso, che c’è già, e la cui esistenza non può essere negata.

Non sempre la strada più facile è quella giusta.

 

Aggiornamento domenica 27 luglio:

secondo la Consulta di bioetica “nessuna delle due coppie deve essere esclusa dalla vita dei figli”. E’ quello che ho detto qui. Intanto i genitori biologici fanno ricorso.

 

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