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Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Marzo 10, 2012

Il tempo-miracolo delle donne (quello per Saint-Cyr)

Ottomarzo tremendo quello appena passato, amiche e sorelle.

Ottomarzo anche stupendo. Dipende da quale parte lo si è  guardato.

Se dal lato del backlash, il contrattacco partito dopo l’uscita di scena del Cav. O da quello dell’opportunità storica che ci si para davanti.

Il Cav. doveva mollare, poche storie. E la “forza delle donne” veniva molto utile. Non irritatele, blanditele, parlatene sui giornali, rimettete le mutande alle smutandate in tv.

Ora che il Cav. è tornato nelle retrovie, la forza delle donne non serve più. Anzi. Ingombra. Fa problema. Smobilitare, prego. Sciogliere l’adunata. Circolare.

E ri-ecco, as usual, perché ce ne convinciamo, perché ci togliamo qualunque grillo dalla testa, gli inguini farfallati in primetime, le mamme pazze per il bianco più bianco, le pubblicità di Miss Patata, la politica for men only, che decide tutto dalla legge elettorale al welfare. Ecco quegli osceni contratti antimaterni.

Scenari italiani, tradizionali come le colline del Chianti. Non risiamo al bunga-bunga, ma poco manca.

Solo che la forza delle donne, accidenti, non se ne va. Resta lì, tutta intatta. Anzi: cresce. La stramobilitazione continua, ed è un fatto quasi commovente: andate online, pagine e pagine, blog che si moltiplicano, reti, social network. E comitati, convegni, riunioni, iniziative, imprese.

Le donne di questo Paese non dovrebbero avere tempo per nulla, e invece più gliene porti via -per il lavoro, per la famiglia, per la supplenza ai servizi che mancano- e più loro ne trovano per mobilitarsi, discutere, progettare, andare avanti.

E’ la miracolosa relatività del tempo femminile.

Come diceva Madame de Maintenon, moglie morganatica di Luigi XIV: “Il re si prende tutto il mio tempo; do il resto a Saint-Cyr”, ovvero alla scuola per fanciulle da lei fondata. E’ in quel resto paradossale che lei trovava la sua forza.

Funziona così. Faremo tutto. Non smobiliteremo. Non perderemo l’opportunità che abbiamo, che è quella di portare la nostra idea di politica e le nostre priorità in quella politica, il nostro sguardo su tutte le cose del mondo, la nostra differenza nello spazio pubblico.

E se proprio ci costringeranno a lottare, lotteremo.

Lo spirito del tempo è dalla nostra parte. Noi troveremo anche il tempo per Saint-Cyr.

Insomma, io questo ottomarzo l’ho visto stupendo.

Donne e Uomini, esperienze Giugno 5, 2010

UN PO’ DI TEMPO PER ME

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Che cosa vi fa venire in mente l’espressione “un po’ di tempo per me”? A me un massaggio. Non si capisce perché. Io massaggi non ne faccio mai. Detesto avere addosso mani che non conosco. Ma c’è questo stereotipo della donna che trova “un po’ di tempo per sé” e allora beata si concede un massaggio, una seduta dal parrucchiere –noia mortale-, o una di quelle corsette idiote sul tapis rulant. Ma quello non è affatto tempo per me. Piuttosto faccio i vetri. Mentre tiro la carta di giornale e scruto gli aloni in controluce, lo spirito si libera e va dove vuole.
C’è quest’idea che il tempo per te è quello che sottrai agli altri: finalmente per i fatti tuoi, coiffeur a parte. Ritorno a un’omeostatica solitudine. Sarà perché la vita femminile è sempre un crocevia per le vite altrui: dal tuo corpo passa di tutto. E non nego che di tanto in tanto un bel filmetto senza che nessuno ti interrompa per chiederti “dove hai messo le mie mutande?”, un sorso di vino da meditazione in cucina, in pace, mentre i barbari sono allo stadio… be’, ci sta. Ma quelle sono semplici pause. Del “tempo per me” ho un concetto più alto. Il tempo per me è quello in cui ci sono tutta, per quella che sono. Tempo non alienato, marxianamente parlando. Ed è tutto da dimostrare che più stai per i fatti tuoi e meno alienata sei.
Gli altri fanno parte fin dal principio del misterioso ente che chiamiamo “io”. Non è che stanno solo lì fuori –non-io- a disegnarne i confini e a limitarne i movimenti. Ci passano attraverso, sono il nostro scheletro spirituale, senza il quale ci afflosciamo e dissecchiamo come meduse spiaggiate. Alle spalle di ogni individuo c’è una relazione, e il panorama davanti è tale e quale. Il tempo per me, in cui ci sono tutta per quello che sono, è pieno di gente, di pensieri per gli altri.
Il lavoro da fare, allora, non è semplicemente quello di prendersi qualche pausa, che pure può servire. Si tratta piuttosto di fare diventare gran parte della nostra vita tempo per noi, in cui ci siamo tutte e tutti, interi, per quello che siamo. A casa, sul lavoro, in qualunque circostanza. E’ trasformare le nostre vite in tempo da vivere pienamente, e non in apnea, nell’attesa di tempi migliori. Il tempo migliore è adesso.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 5 giugno 2010

esperienze Maggio 11, 2010

L’ANNO SENZA ESTATE?

Calzettoni

Per come conosco il meteorologo Mario Giuliacci non mi pare un fanatico. Quando dice una cosa in genere è quella. E se dice che per un complicato e stamaledetto gioco di correnti nel golfo di Guinea e di monsoni atlantici troppo sonnolenti i due anticicloni estivi, quello nordafricano e quello delle Azzorre, stenteranno a installarsi dove dovrebbero, e in conseguenza di ciò, ALMENO fino alla fine di giugno (almeno) ce la vedremo con continue perturbazioni atlantiche, il che vuole dire pioggia e basse temperature, specialmente al Centronord, bene: se dice questo, che motivo avremmo per non credergli?

E se a tutto ciò aggiungiamo l’eruzione di quel cavolo di vulcano, circostanza analoga a quella che fece del 1816 “l’anno senza estate”, che cosa dobbiamo pensare? Be’, direi questo: che l’estate 2010 probabilmente ce la sogneremo.

E se davvero l’estate non verrà, a parte sperare che a compensazione non venga nemmeno l’inverno, che cosa potrebbe capitarci?

Donne e Uomini Febbraio 28, 2010

DONNE A PEZZI

kali

Detesto l’espressione: un po’ di tempo per me. Si dice sempre: ho da fare questo e quest’altro, ma devo trovare anche un po’ di tempo per me. E in genere si pensa -parlo per le donne- a un parrucchiere, un massaggio e così via. Voglio dire questo: che anche il tempo che io do agli altri è per me. Il tempo del lavoro è per me. Non sempre, certo, ma la lotta è perché il più possibile della mia vita sia per me. Ed è l’esatto contario dell’egoismo. E’ solo volerci essere, con tutto il cuore, in ogni luogo.

Bisogna combattere contro chi ci fa a pezzi, cioè smembra la nostra vita in mamme, figlie, mogli, donne al lavoro, amanti, eccetera, e poi parla di conciliazione. Noi siamo una, tutta intera, tutto ci serve per fare quello che siamo, va impedito che ci dividano in tante parti l’una in lotta contro l’altra. Io non potrei scrivere quello che scrivo e cucinare quello che cucino se non fossi la madre, la figlia che sono. E viceversa.

La libertà è poter essere sempre quella che siamo, una intera, in tutte le cose che facciamo, in tuti i posti dove andiamo e non in apnea e piene di sensi di colpa, affaticate come se vivessimo in terra straniera. Questo diminuisce molto lo stress, ci rende efficaci e più serene.

esperienze, Politica Novembre 22, 2009

MAGIC MOMENT

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In un eccellente convegno milanese (21 minuti) sento parlare Gilead Sher, già capo di Gabinetto del governo Barak in Israele e capo negoziatore nei colloqui di pace di Camp David. Tra le molte altre cose, racconta questo: di un tavolo parigino di negoziazione, Barak da una parte, Arafat dall’altra. Dopo molte ore di colloqui si era a un soffio dall’accordo. Ma il presidente Chirac continuava a chiamare gli illustri ospiti per invitarli a un rinfresco, e si decise di interrompere i colloqui per accettare il suo invito. Dopo il rifresco, Arafat non si ripresentò al tavolo. Tutto in fumo. E le violenze ripresero, con ritmo quotidiano.

Sher dice che c’è un momento unico nel tempo, per firmare un accordo. Che quando si è in quel momento bisogna siglare, fosse anche su un tovagliolino di carta. “Si deve essere nel tempo” dice “con la massima consapevolezza. Il momento giusto non si ripresenta una seconda volta“.

Lezione che vale per le negoziazioni internazionali e per qualunque altra cosa.

Gilead Sher

Gilead Sher

esperienze Giugno 21, 2009

STARE QUI

Ci sono molti modi per classificare noi esseri umani. Uno dei tanti è questo: gli umani che vivono nel passato, e quelli protesi verso il futuro; quelli di oriente e quelli di occidente; quelli che ruminano i ricordi, abbarbicati all’irripetibile che è stato e incapaci di gioire di ciò che è, e quelli che si sentono vivi solo proiettando se stessi nel subito-dopo, costantemente dislocati in un maniacale “poi” dove tutto quello che oggi manca finalmente sarà.
Preferisco i secondi, a dire il vero, se non altro perché appartengo a questa categoria di inquieti cronici e fattivi, e li capisco meglio. Ho pena per loro e per me stessa perché so benissimo che le meraviglie del domani, salvo poche eccezioni, si depotenzieranno nelle carenze di un nuovo oggi, con nuova inutile fuga in avanti -o nel falso buon-presente del cibo, delle droghe e altro-.
Nella mia vita imparo sempre cose nuove, sono un’apprendista permanente e la considero una fortuna. Ma questa cosa no, non riesco proprio a impararla una volta per tutte, è difficilissima. A stare nel presente, intendo, anche se so che è l’unica possibile location del Regno dei cieli e di tutti i bei posti di questo tipo. Un presente schiuso al futuro e pieno di possibilità! Riesco a starci un po’, chissà perché, quando sono al sdraiata al sole, a patto che ci sia un po’ di brezza: lì ho questa bizzarra sensazione di un presente pieno. O quando la grande arte mi rapisce; quelle due-tre volte che sono stata innamorata; nell’armonia di buone relazioni umane; quando pratico un intenso lavoro fisico; con mezzo bicchiere –non di più- di buon vino; nella scrittura; o durante una buona lezione di yoga. Situazioni accomunate proprio dal poter stare saldi nel presente, sottratti al tempo, nel godimento estatico, in una fervida quiete.
Innamorati sempre non si può: ma tutto il resto –mezzo bicchiere di vino, arte, buone relazioni, scrittura, lavoro fisico: ora et labora– può essere praticato con regolarità.
La costanza di certe pratiche può insegnare come si fa a stare nel presente scovando sempre quel po’ di buono che c’è. Perfino in quei momenti in cui la vita ti fa proprio male, e allora avresti ragione a voler scappare via. Ma il più delle volte, sapete, non si può…

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 giugno 2009)

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, Politica Giugno 10, 2009

ANZI, SAPETE CHE C'E'?

Mary-Lou Bagley, Step into Kairόs

Mary-Lou Bagley, Step into Kairόs

Anzi, sapete che c’è? Per rispondere alle domande del nostro amico Francesco, frequentatore del blog, ci ho messo un po’ di tempo e molte buone energie mattutine. Pertanto trasporto qui in primo piano quello che gli ho scritto , perché si veda meglio, in una logica antispreco, così ne parliamo meglio.

Mi chiedeva Francesco:

che cos’è la politica?
diciamo che oggi la politica chiede meno rappresentanza e più relazione, e chiede che si tenga conto che la polis è bisessuata (le donne non sono più estromesse, appena da un pugno di anni). Per questo penso che le più grosse novità possano venire dalle soggette e dal modo in cui loro pensano la polis. Una polis anche femminile nessuna sa bene che cosa sia, ma è già politica il fatto di cercarla costantemente, e da parte degli uomini di favorire questa ricerca, ascoltando con attenzione le donne così come le donne devono ascoltare loro stesse. Per la felicità di tutti, donne e uomini.

– quali la sua funzione e i suoi ambiti?
La funzione della politica è la minimizzazione delle infelicità per il maggior numero dei viventi, donne, uomini, animali e piante, e quindi l’organizzazione della convivenza con questo obiettivo.

– la politica necessariamente rappresenta interessi?
Immagino di sì, ma la lotta grande da fare è districare l’idea di interesse da quella di denaro. L’interesse umano è il guadagno, ogni vivente vuole guadagnare, cerca un plus, ma il denaro è solo uno dei mezzi. Solo denaro o troppo denaro allontana dall’obiettivo della minore infelicità possibile. Occorre testimoniare questo, continuamente.

– caratteristiche essenziali del politico?

Il fervido desiderio degli altri, dall’altro più vicino a quello più lontano. La pratica instancabile della relazione e della mediazione. La fiducia profonda che senza l’altro nemmeno si è. La testimonianza di un interesse solo relativo per il possesso di cose. Il volere bene.

– metodo selettivo affinchè solo i migliori arrivino a tale ruolo?

nella chiave che io dico chiunque può essere politico. Se si ammette che il sistema della rappresentanza è difettoso e chiede di essere ripensato, convertito in un modello postdemocratico che si fonda sulla cittadinanza bisessuata, la questione della selezione si pone diversamente. Non c’è alcuna speranza fondata che i partiti scelgano i migliori. I partiti sono macchine destinate a spendere il 99.9 per cento delle loro risorse ed energie all’autoalimentazione e all’autoriproduzione, e solo il residuale 0,1 per cento alla politica. Non c’è scampo. Un’autoriforma non è immaginabile. Ogni eccezione è del tutto occasionale. Ma queste proporzioni (99,9 e 0,1) non possono essere mantenute ancora a lungo. Le cose sono andate così nei secoli, si dirà, anche se oggi sembra un po’ peggio (e non è così, c’è e c’è stato molto peggio di questo peggio). Perché a questo punto dovrebbero cambiare? Perché oggi entra in campo la variabile femminile, necessariamente rivoluzionaria, nel senso in cui sono state rivoluzionarie le donne nell’ultimo secolo (senza palazzi d’inverno e spargimenti di sangue, intendo). E la faccenda, come si sa, riguarda le donne e gli uomini. Questa variabile tocca le fondamenta della democrazia, che è nata come conventio ad excludendum, tra uomini tenendo fuori dalla polis le donne. Ma probabilmente la rivoluzione della democrazia non avverrà nella politica, negli ambiti di quella che oggi chiamiamo la politica (i partiti, e così via) ma per esempio nel mondo del lavoro. E lì, che la nuova polis bisessuata prenderà forma. E’ lì che si formeranno e si cominceranno a praticare i modelli.

Aggiungo questo: che molti, magari concordando con le cose che io dico, potrebbero opporre che per tutto questo servirà un tempo infinito. Il che, ad un tempo, è vero e non è vero. E’ vero in una logica di tempo lineare e quantitativo, che non si fa mai raggiungere, alla cui coda cerchiamo di aggrapparci senza mai riuscire a prenderla, come in quelle giostre dei bambini (krόnos). Non è vero in una logica di kairόs, di momento opportuno e tempo qualitativo (per i Greci era il “tempo di Dio”), un tempo in cui qualcosa di speciale può capitare, e all’improvviso. Un tempo che non ha bisogno della mediazione del tempo, che può essere qui e ora, in ogni momento, subito. Proprio quando il tempo lineare sembra non procedere, frenando il cambiamento, si apre uno spazio propizio per il tempo qualitativo, che si fa largo tra le maglie del presente. Che dà corpo, in squarci subitanei e rivelatori, al mondo che vorremmo che fosse. E anche alla politica, come stiamo cercando di pensarla. E’ anzitutto dentro di noi, che questi due tempi sono in lotta.

TEMPI MODERNI Novembre 14, 2008

IN CARRIERA? NO, SUL TRALICCIO

Giuly, attenta e acuta blogger, ci segnala un articolo del New York Times sul tema del lavoro, croce e delizia. Gentilmente lo traduce per sommi capi, e io aggiungo un piccolo editing (non fate troppo caso alla forma…).

Ve lo propongo. Idee per datori di lavoro illuminati. Speranza per lavoratrici e lavoratori. Buone pratiche organizzative per essere tutti più felici (o meno infelici). Leggete e fate leggere. E dite la vostra.

SU PER LA SCALA? VECCHIO E SEMPLICISTICO

cathy benko

cathy benko

di Cathy Benko – Vice Presidente e Responsabile Talenti – Deloitte L.L.P, multinazionale di consulenza e servizi alle imprese.

Quando pensiamo a come le carriere sono costruite, molti di noi visulaizzano una scala, i cui pioli vengono scalati dal lavoratore man mano che sale nella gerarchia dell’organizzazione. Da quando sono state inventate le gerarchie aziendali il successo personale è sempre stato rappresentate con questo modello. Ma le gerarchie non sono più quelle di una volta. Nel giro di due generazioni la fisionomia della forza lavoro è cambiata per la presenza di un maggior numero donne, per l’invecchiamento della generazione dei baby boomer, e per l’arrivo delle generazione Y; ma anche perché sono cambiati i comportamenti dei lavoratori in generale. Le regole che governano le organizzazioni però sono rimaste sono quelle dell’età industriale: one-size-fits-all (taglia unica) e continuous full time climbing (impegno in carriera continuo e a tempo pieno).
La sfida di oggi è: “adattare il lavoro alla vita, e la vita al lavoro”, e l’esperienza dice che non si può pervenire a un modello unico. La convergenza di lavoro e vita sta producendo un cambiamento che “sega la scala”. La relazione tra vita e lavoro sta diventando più complessa, e il concetto di carriera è in via di ridefinizione. Continuiamo a guardare le cose con le lenti del passato, mentre un po’ ovunque ci sono esempi di carriera non lineare. La metafora che può essere usata per descrivere il nuovo modello di carriera è quella del “traliccio”: un traliccio come quelli che si vedono nei giardini, piattaforme viventi per la crescita delle piante con spinte in varie direzioni. Il traliccio quindi è qualcosa che ti permette di muoverti in più direzioni, a zig zag.
Un tempo una mossa a lato o addirittura verso il basso poteva essere considerata il capolinea di una carriera. Oggi i lavoratori sono molto più inclini a raggiungere un soddisfacente livello di responsabilità e di retribuzione e fermarsi lì per un certo periodo, in modo da conciliare le necessità della vita e quelle del lavoro. In seguito alcuni riprenderanno la loro scalata verso l’altro, altri no. Il confine tra casa e lavoro è diventato labile, ed è il momento di adottare un modello più vicino al fatto che viviamo in un “mondo traliccio”.
Alla Deloitte abbiamo sviluppato un approccio tagliato “su misura” (caso per caso) per lo sviluppo delle carriere, pervenendo a un modello in cui le organizzazioni e le persone considerano le varie opzioni, operano le loro scelte e infine concordano una soluzione in grado di bilanciare quattro dimensioni: ritmo di carriera, mole di lavoro, sede e orari di lavoro e ruolo. L’obiettivo è una soluzione vantaggiosa sia per il lavoratore, sia per il datore di lavoro. Questo modello riconosce che le priorità del lavoratore possono cambiare nel tempo. In sintesi, rimpiazza l’immagine della scala con quella del traliccio, incoraggiando adattabilità e lungimiranza. Il nostro obiettivo è offrire ai dipendenti la possibilità di conciliare tra lavoro e e vita, garantendo ai datori di lavoro la lealtà dei loro migliori e più brillanti collaboratori.

http://www.nytimes.com/2008/11/09/jobs/09pre.html

Archivio Luglio 25, 2008

QUASI SANTI

Se imparassimo che la vita non ha inizio -è cominciata, a un certo punto, e non è più finita- e quindi non ha fine, e noi siamo parte di questo tutto che fluisce, ne siamo manifestazioni temporaneamente individuate, e il tempo -quindi la fine- riguarda solo i fenomeni che siamo e non questo tutto; e se non permettessimo al pensiero del futuro di sbranare il presente, lasciando che il qui e ora si dilati, sottratto alla tirannica illusione del tempo, fino a somigliare all’eternità di cui è intessuto. Se noi imparassimo queste due cose e le tenessimo entrambe sempre ben presenti, con l’aiuto di quotidiane pratiche di consapevolezza, le nostre vite ne sarebbero drammaticamente mutate, e con esse il mondo. Ma si deve essere quasi santi per arrivare a questo punto, e la santità non è troppo up-to-date.

Archivio Luglio 7, 2008

LO SPAZIO PER PERDERSI NEL TEMPO

C’è sensibilità, vedo, intorno al fatto che ai bambini non è concesso di perdere tempo. Io direi meglio: perdersi nel tempo, sfuggire a quell’unico senso del tempo per trovarne un altro, un tempo “magico”, come direbbero loro, un tempo di cui essere quasi gli unici testimoni, insegnandone ai noi adulti. Capiamo, evidentemente, che non perdere tempo vuole dire perdere qualcosa d’altro che è molto prezioso.

Il fatto è che si deve offrire loro lo spazio per perdersi nel tempo. Detto in una parola: chi può far loro compagnia, mentre fanno questo “lavoro”? Se le mamme e i papà lavorano, e lavorano sempre, e sempre di più, “chi guarderà i bambini?”, come si chiedeva il titolo del saggio di una psicoanalista francese? Come si deve fare?