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pippo civati

Politica Settembre 6, 2013

Ritorno alla Leopolda

Angelo Panebianco sul Corriere di oggi dedica il suo editoriale al bandwagoning, “quasi tutti” scrive “che saltano sul carro del vincitore“. Sta evidentemente parlando di Matteo Renzi, “corpo estraneo” del Pd che ormai la stragrande maggioranza della dirigenza rottamanda del partito (prima D’Alema, poi Franceschini, Fioroni, Veltroni) indicano come segretario (e/o) futuro premier. Non si parte, cioè, dal dibattito sui contenuti per indicare un leader. Si parte dal leader, e quanto al resto si vedrà: mutazione genetica in direzione del partito-persona.

Solo il Pd di Renzi avrebbe chance di battere Berlusconi, che starebbe vertiginosamente risalendo nei consensi (condizionali d’obbligo quando si parla di sondaggi). In effetti, in assenza di un partito –nessuno sa che cosa vuole il Pd, tanto meno il Pd– non si vede strada diversa, berlusconianamente, dal marketing su una singola faccia. Ma: 1. attenti, quando si tratta di essere berlusconiani, Berlusconi il più bravo di tutti  2. chiunque può rendersi conto del fatto che su Superman-Renzi l‘abbraccio del vecchio apparato può avere l’effetto della kryptonite verde.

Renzi, d’altro canto, è politicamente molto abile. Non gli sfuggirà che è la vecchia dirigenza ad avere bisogno di lui, e non lui di lei. Con la vittoria congressuale in tasca, o almeno così dicono, può pertanto decidere in libertà quali saranno i suoi principali interlocutori. In primis, io credo, quelli che insieme a lui, alla prima Leopolda, hanno dato avvio al percorso di rinnovamento: Pippo Civati, Debora Serracchiani. Si tratta di riprendere quel dialogo generazionale interrotto, allargandolo, come suggerisce il king maker Goffredo Bettini, a personalità come Cuperlo, Pittella, Puppato, Boeri e altre, per un rinnovamento autentico e profondo. Per fare squadra, insomma, senza la quale anche il miglior play maker combina poco o niente. E per fare grande politica: un tandem Renzi-Civati (il primo premier, il secondo segretario del partito: questa sarebbe stata la soluzione ideale) rivolterebbe questo Paese come un guanto.

Questo se le cose andranno dove il destino e i sondaggi sembrano volerle fare andare. In verità, la strada è ancora lunga, e può davvero capitare di tutto.

 

Politica Maggio 8, 2013

Pd: risorgere dal resort

Visto che qualcuno ha ricominciato con la solfa di Anna Finocchiaro (Mrs Ikea-con-scorta, Mrs Non-Siamo-Mica-Bidelle, Mrs Grazie-Elsa-Fornero-per-la-tua-fantastica-riforma-del-lavoro, Mrs Vieni-qui-Schifani-che-ti-bacio- eccetera, non proprio la più amata dagli italiani),

Visto che Finocchiaro Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato non basta, e qualcuno la vuole segretaria del Pd (nel totonomi insieme a Cuperlo, Epifani, perfino Speranza), la sensazione forte è che il Pd non sia affatto guarito dalle sue patologie: insieme alla nota e rovinosa Sindrome del Popolo Eletto, lo Sfasamento Temporale Cronico. Ovvero la tendenza a registrare le evidenze con ritardo fatale, giusto il tempo che serve ad assicurarsi il fallimento; l’incapacità di registrare in tempo reale quello che sta capitando, per poi doversi arrendere di fronte a cosine tipo i sondaggi che ti vedono precipitare in zona 20 per cento e chiudersi in uno sdegnato e ringhioso arroccamento, serrando le fila, facendo la conta delle tessere, tagliando fuori i “semplici” elettori, dicendo che la colpa è tutta di Facebook e Twitter, in un loop senza fine.

La realtà sarà anche fastidiosa, ma sembra dire questo: o il governo Letta dal conclave nell’abbazia a 5 stelle, proprietà (ohiohi) figlia di Cuccia, camere con antiquariato e design comme-il-faut (se poco poco si rendessero conto di che effetto fanno queste cose sull’elettore medio, perché è anche così, e con i pranzi politici al Four Season, che si perdono voti) se ne uscirà con una serie di idee geniali e a rapida fattibilità, tali da indurre la base annichilita dalla Chimera a larghissime intese a dire: ma sì, ingoiamo il rospo e tiriamo avanti almeno un pezzettino. O risorgerà dal resort. O il calcolo costi-benefici tornerà velocemente. O l’assemblea nazionale di sabato terrà pragmaticamente il basso profilo, come indicano Pippo Civati, Fabrizio Barca, Stefano Boeri e altri, indicando ragionevolmente un reggente pro tempore e rinviando la scelta definitiva della segreteria a un congresso vero, con un dibattito vero, a cui partecipi il Pd vero e non solo le oligarchie correntizie. Insomma, o ci si terrà almeno su queste minimi, o l’esperienza democratica rischia grossissimo, come mai prima d’ora.

Detto così, en passant.

 

 

 

Politica Aprile 29, 2013

Dis#occupyPd

Può anche essere che al governo Letta, come dice la senatrice Laura Puppato, non ci siano alternative. Che sostenere questo governo sia attualmente l’unica cosa ragionevole e responsabile. E che anche chi aveva minacciato di non votare la fiducia a questo punto si sia convinto che sia la cosa giusta da fare. La politica non è fatta di strenue coerenze, come si sa è l’arte del possibile, e quella del governo Letta -su cui pesano tuttora molte incognite, a cominciare da quella della sua durata- è effettivamente una possibilità.

Ma perché questo cambio di posizione dei dissidenti del PdGozi e Zampa, oltre a Puppato, mentre Civati si riserva di decidere nelle prossime ore- non risulti una resa incondizionata al cosiddetto inciucio -veniva chiamato così, fino a poche ore fa- è necessario che agli elettori e agli iscritti che il governo di larghe intese non lo volevano, come i giovani di #OccupyPd, per esempio, e un’amplissima parte dell’elettorato, si spieghi molto bene a quali condizioni si è deciso invece di appoggiare questo governo ad alto tasso Pdl (le ultime danno Silvio Berlusconi come possibile Presidente della commissione Bicamerale per le riforme). Che si dica che cosa è successo di tanto importante, per cui una soluzione che fino a sabato mattina veniva stigmatizzata come insostenibile, sabato pomeriggio è diventata improvvisamente sostenibile.

Il documento degli ex-dissidenti, a mio parere, non lo spiega a sufficienza.

Il rischio da evitare –rischio per il Pd, intendo- è che questa ampia parte di iscritti ed elettori si senta ulteriormente sballottata, abbandonata e non considerata, rischio ovviamente subordinato a quello che il governo Letta farà o non farà. Il rischio -sempre per il Pd, dico- è che tutta questa bella gente decida di rivolgersi altrove.

Biaognerebbe spiegarsi meglio, io credo, senza troppa retorica, senza giri di parole, senza reticenze e alla buona.

p.s. Ultim’ora: Pippo Civati ha comunicato che uscirà dall’aula al momento del voto di fiducia.

Politica Aprile 26, 2013

Poi alle urne vi espelleranno gli elettori

E insomma, viste da oggi le vicende del Pd di appena ieri e dell’altroieri appaiono più chiare: Bersani ha lottato strenuamente -magari anche goffamente e non sempre avvedutamente- contro la prospettiva di un governo con Berlusconi. E non ce l’ha fatta.

In poche parole, nel Pd ha vinto chi sull’inciucio non si è mai fatto troppi problemi, o magari di più, lo ha voluto proprio con determinazione (senza dirlo apertamente, beninteso). E perché lo ha voluto? Per sopravvivere personalmente, in buona parte dei casi. Ma forse, why not?, c’è anche chi crede in buona fede che la strada giusta sia questa.

La bizzarra situazione è quella di un partito in cui il 90 per cento dell’attuale classe dirigente vuole qualcosa che ripugna al 90 per cento dei suoi iscritti ed elettori: e ripugna è la parola esatta. Si può anche pensare di farla fuori, la base, come suggeriva Bertolt Brecht: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Non è forse questa la logica quei dirigenti che invitano a ignorare Facebook e Twitter, dove il “popolo” riottoso si manifesta minuto per minuto? Si possono anche espellere quei parlamentari, Laura Puppato, Pippo Civati e forse perfino Rosy Bindi, che manifestano la loro contrarietà a un governo Berlusconi tris (esagero ma neanche troppo).

Sta di fatto che prima o poi quei dirigenti con il loro popolo riottoso dovranno reincontrarsi, e convincerli a rivotarli. Ma domani è un altro giorno, e poi arriverà Renzi-salva-tutti -immagino che il ragionamento sul futuro sia questo, ammesso che ve ne sia uno-. Intanto per ora nessuno ci schioderà di qui, ed è quello che conta: il qui-e-ora.

I colpi di coda del vecchio che non vuole morire possono essere terribili, perfino violenti. Si tratta che chi il cambiamento lo vuole davvero -e in particolare quei parlamentari che non intendono dare la loro fiducia a qualcuno di cui non si fidano affatto– non receda, e sappia che c’è un’altra nottata da passare, un ulteriore tempo supplementare. E adotti la postura adatta a questo difficile passaggio. E sia politicamente creativo.

L’amica filosofa Luisa Muraro, nel suo nuovissimo saggio “Autorità” (Rosenberg & Sellier) propone questo: l’autorità, che “può agire sulle persone senza mezzi materiali… coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà, una scommessa senza limiti al meglio ma consapevolmente alternativa al culto del dio potere“.

Suggerisco la lettura e la meditazione del suo pensiero.

Politica Aprile 8, 2013

#OccupyCamera?

Detto così, occupazione della Camera, fa un po’ impressione. Magari non lo faranno o sarà un’azione solo simbolica, un presidio o cose del genere, ma rinnovamento significa anche cambiare creativamente le forme della politica, inventarsi qualcosa che stressa le regole del gioco e fa prevalere la volontà politica. E del resto quando si dice “mandare lì tante donne”, e il discorso vale anche per il ringiovanimento della rappresentanza, si sta dicendo fare entrare nelle istituzioni ousider capaci di scaravoltare non soltanto le agende e le priorità, ma anche le forme della politica.

Il Movimento 5 Stelle minaccia un’azione clamorosa e irrituale per far partire le Commissioni parlamentari, ma anche Sel e un buon numero di parlamentari del Pd, tra cui Pippo Civati e Laura Puppato,  ritengono che non si possa più aspettare e che ci si debba mettere al lavoro da subito, senza attendere la soluzione del rebus del governo. La presidente della Camera Laura Boldrini è di questa opinione. Il presidente del Senato Piero Grasso, invece, parrebbe intenzionato ad attendere il nuovo governo. Quel che è certo, le cose da fare subito, i temi su cui legiferare non mancano, dopo un mese e mezzo di paralisi: per esempio la nuova legge elettorale.

Stiamo a vedere. Ma certo questo stallo non si può più sopportare.

Vedere un Parlamento finalmente al lavoro ci darebbe un po’ di ossigeno psicologico.

Politica Marzo 16, 2013

La zampata di Bersani

Non so se sia stata tutta farina del suo sacco, anzi si sa per certo che dietro la decisione di presentarsi a sorpresa con le splendide candidature di Laura Boldrini e di Piero Grasso, c’è il lavoro notturno e indefesso dei “giovani”, da Civati a Orfini, per dissuadere il segretario dal presentarsi alla Camera e al Senato con candidature “di apparato”, come quelle di Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, bissando l’errore di quelle liste piene di derogati e notabili messe insieme dopo le primarie.

Ma la decisione alla fine l’ha presa Bersani e ci deve essere voluta non poca forza. E quella forza ha pagato, anche con il Movimento 5 Stelle, che non ha potuto permettersi il lusso di far cadere Piero Grasso. Dimostrando che effettivamente “uno vale uno”, e che nessun diktat -che peraltro non risulta- può fermare il buon senso. Movimento 5 Stelle che ha dato una bellissima e decisiva spinta al rinnovamento: il risultato di oggi è anche -per alcuni soprattutto- suo.

Se l’operazione potesse ripetersi anche per la presidenza del Consiglio, con alcune variabili significative, saremmo a cavallo: Bersani che rinuncia alla premiership -continuerebbe a non avere alcuna chance- per fare un’altra offerta che non si può rifiutare, proponendo un candidato/a premier di assoluta eccellenza. Meglio ancora, proponendo ai 5 Stelle: il nome -o la rosa di nomi-, della stessa tipologia di Boldrini e Grasso, fatelo voi, e noi lo valuteremo.

E’ troppo? Può essere. Ma qualcuno avrebbe mai potuto immaginare, ieri sera, una giornata come quella di oggi?

E si può sprecare, tanto ben di Dio?

p.s. domenica mattina: Hey, Pigi. E se generosamente proponessi Boldrini per la Presidenza del Consiglio, vista la straordinaria accoglienza?
(per la Camera si trova qualcun altro).

AMARE GLI ALTRI, leadershit, Politica Marzo 7, 2013

Ho fatto una cavolata

 

Potrebbe essere il self-portrait di una generazione -la vera generazione perduta- questa lapidaria frase-testamento (“Ho fatto una cavolata”) lasciata scritta in un biglietto da David Rossi, responsabile comunicazione di Monte dei Paschi di Siena suicidatosi ieri sera. E lo dico con il massimo rispetto, con il più assoluto rispetto.

Sarebbe potuta bastare come sintetica auto-analisi anche per il Pd, che ieri ha tenuto in streaming la sua direzione nazionale. Dove le lancette della Storia sono miracolosamente tornate indietro: sembrava un’assise di qualche anno fa. Una delle cavolate maior, dopo l’exploit delle primarie, è stato riaprire le gabbie ai brontosauri che si sono immediatamente divorati  la tenera erbetta di quella “primavera”. Ma non uno di loro, tra quelli intervenuti ieri, che abbia detto: “Sono alla quarta, quinta, sesta legislatura. Ho fatto una cavolata a ricandidarmi”.

Tra le tante cavolate che ho pazientemente ascoltato -con poche eccezioni, come gli interventi di Laura Puppato, Renato Soru, Pippo Civati– segnalo per esempio quella di Alessandra Moretti, che ha parlato di “presidiare la rete”: due concetti, quello antico e arrogante (e maschile) di “presidio” e quello di “rete” che non stanno insieme neanche a piangere. Perché “presidio” è l’esatto contrario di “rete”. Chi dice “presidiare la rete” non ha capito granché: della rete, dello spirito del tempo, della crisi dei partiti, della leadershit.

Ma la cavolata che ha unificato un bel po’ di interventi è stata la reiterazione di quel “noi” e “loro”: noi, il partito, e loro, i cittadini, gli italiani, gli elettori, la “ggente”. Noi, la politica, e loro che soffrono, sono allo stremo, non campano più. Noi che non siamo stati capaci di intercettare il loro disagio. Anche perché noi a disagio non lo siamo affatto.

Come a confermare: noi non abbiamo esperienza diretta dei loro problemi. Anzi: noi, se non ci fossero loro che ci puntano l’indice, che non credono più in noi e non ci votano, continueremmo a stare alla grande. Accidenti a loro. Perché noi non siamo loro.

Giusto un passetto prima delle “brioches”.

Non un errore di comunicazione, no. E’ uno svarione ontologico.

 

Politica Marzo 3, 2013

Un governo “a progetto”: parla Civati

 

Se un dialogo ci fosse, il neodeputato Giuseppe Civati detto Pippo sarebbe uno dei pochi rappresentanti del Partito Democratico a poter dialogare con il Movimento 5 Stelle: per oggettiva convergenza su molti temi, e per avere da sempre considerato i grillini interlocutori politici a pieno titolo. La sua ipotesi è quella di un “governo a progetto” appoggiato dai 5 Stelle.

“Non si può pensare di procedere con i soliti schemi” dice. “Ovvero: prima si trova una maggioranza a tavolino e poi la si riempie di contenuti. Il quadro si è rovesciato. Meglio, è stato rovesciato dagli elettori. Non essendoci una maggioranza chiara, si individuino le priorità, ovvero quei punti che escono con maggiore chiarezza dal voto, e si discutano con la massima trasparenza. Se l’accordo su quei 5 o 10 punti si trova, allora c’è anche una maggioranza per fare un governo. Mi pare invece che il Movimento 5 Stelle mitizzi un po’ l’idea della “fiducia”. Dare la fiducia a un governo non significa sposarsi, significa fare un accordo a termine. Giusto per il tempo che serve a portare a casa le riforme condivise. Alla fine si tirano le somme, e si vede come andare avanti”.

Sta parlando dei punti di Bersani?

Sto parlando dei miei punti. Pubblicati e ampiamente argomentati un anno fa, e non il giorno dopo le elezioni: legge sul conflitto di interessi, nuova legge elettorale, legge contro la corruzione, riduzione delle spese militari, cancellazione dell’Imu sulla prima casa fino ai 500 euro, reddito di cittadinanza, revisione della spesa, riforma del sistema bancario, sostegno all’economia con incentivo al microcredito e abbassamento delle tasse su chi lavora e produce, e ovviamente riforma della politica, con riduzione di compensi e indennità per parlamentari e ministri e tetto massimo per gli stipendi dei manager”.

Non mi pare siano diventati centrali nella campagna del Pd.

“Nemmeno a me, purtroppo. Ma su buona parte di questi punti, se non su tutti, con i 5 Stelle la convergenza c’è”.

C’è consapevolezza, nel Pd, degli errori commessi nella gestione del patrimonio-primarie?

“Molti hanno capito. Altri invece sostengono di non aver condiviso l’impostazione della campagna elettorale: curiosamente proprio quelli che sono andati di più in tv, e che questa campagna l’hanno fatta in prima linea… E poi ci sono quelli, come me, che hanno tentato di lanciare messaggi “stellari”, con scarso successo”.

Oggi la sua impostazione è condivisa nel partito?

“Molto, tra gli elettori. Tra i dirigenti le posizioni sono le più varie. I più giovani sono convinti della necessità di un progetto alto e a termine. Per il resto si va dal Monti-bis, al governo del Presidente, all’ “inciucione” Pd-Pdl: e se i toni del confronto continueranno a essere quelli di oggi, il rischio che si concretizzi questa ipotesi è piuttosto alto”.

Che segnali arrivano dai 5 Stelle?

“Vedremo l’esito dei loro incontri. Sostanzialmente c’è una tendenza costruttiva e una più distruttiva, tanto peggio-tanto meglio. Ma se si dovesse tornare al voto, l’esito sarebbe insondabile: i 5 stelle potrebbero fare il pieno oppure ridimensionarsi. Potrebbe vincere Berlusconi. Oppure noi… Il quadro è molto mobile. Per questo dai 5 Stelle mi aspetto segnali chiari, e massima serietà: dicano che cosa intendono fare. Anche solo per cambiare la legge elettorale un governo serve”.

In che tempi si chiarirà il quadro?

“Nel giro di un paio di settimane, suppongo. Quando ci vedremo per la prima volta in Parlamento, il 15 marzo, sapremo dove si va a parare. Se tutti rimangono fermi sulle loro posizioni, il presidente Napolitano darà un incarico in base alla congruità dei programmi”.

Si fa il nome di Giuliano Amato

“Poi lo voglio vedere tagliare i costi della politica, con una pensione che supera i 31 mila euro al mese!”.

Me ne fa qualche altro?

Fabrizio Barca. O Stefano Rodotà. Entrambi molto stimati. Ma io penso che il primo a provarci dovrebbe essere il leader dello schieramento che ha vinto le elezioni, come capita in ogni Paese civile. Ovvero Pierluigi Bersani”.

Qualcuno auspica l’incarico a un giovane o a una donna, come segno di forte discontinuità.

“Purché chiunque venga incaricato dimostri coraggio e senso di responsabilità. E non faccia prevalere ragionamenti di convenienza personale, o la paura di essere bruciato”.

Si riferisce a Matteo Renzi?

“Mi riferisco a chiunque, uomo o donna, sia incaricato dal Presidente. In sostanza, tutto ruota intorno a due cardini: niente snobismi nei confronti di nessuno; e un po’ di rigore da parte di tutti gli attori, altrimenti si rischia di dover tornare al voto. E ribadisco: a vantaggio di chi è tutto da vedere”.

 

ambiente, Politica Febbraio 8, 2013

Un Pd a 5 Stelle?

 

Il Movimento 5 stelle dice che non intende farsi intruppare in alleanze: giusto, anch’io al posto loro farei così. Venderei carissima la pelle dopo il trattamento che gli è stato riservato. Il vicesegretario del Pd Enrico Letta ha detto: piuttosto che votare Grillo, meglio il Pdl. Ok che lì ci ha lo zio, ma anche dal punto di vista del Pd mi pare smodato. Suppongo che nel frattempo sia stato costretto a cambiare idea, visti gli effetti dello Tsunami tour: ogni sondaggio dice la sua -si va dal 15 a oltre il 20 per cento-ma tutti concordano sul fatto che con ogni probabilità i 5 stelle saranno il terzo partito del Paese.

Da oggi sondaggi non ne vedremo più, ci arriveranno solo rumours dalle rilevazioni dei partiti. Sentiremo qualche altra #propostachoc, scrutereremo i fondi del caffè per capire dove andranno i tantissimi voti degli incerti: qui dall’Ohio posso dirvi che non ce ne sono mai stati tanti, e che probabilmente l’incertezza dei più si protrarrà fino al 24 mattina.

Ma sul fatto che il Pd sarà il primo partito, il Pdl il secondo e i 5 stelle il terzo ormai sembrano esserci pochi dubbi. E osservando il ricco e articolato programma di Beppe Grillo, a forte impronta green, le probabilità di convergenze programmatiche con il Pdl appaiono molto scarse. Qualche possibilità, e forse necessità di dialogo in più con il Pd.

Può essere molto utile guardare all’esperienza siciliana: per governare il piddino Crocetta ha bisogno dei 5 stelle. E i siciliani non sembrano scontenti della cosa, se è vero che proprio in Sicilia Grillo farà il suo en plein. Vista alla distanza, quella tra il Pd e i 5 Stelle in Sicilia è una relazione complicata ma feconda, interessante proprio per il fatto di costringere il Pd, sempre molto ambiguo sui temi ambientali (in certe regioni, come in Liguria, il Pd è il vero devastatore del territorio) a farci più strettamente i conti. Se si crede, io lo credo, che l’ambiente è il “core” politico, il tessuto connettivo di tutte le possibili buone riforme in tema di economia e di sviluppo, non si può che spingere a favore di questo dialogo.

Si tratta di mettere tutta la buona volontà politica per riuscire a smussare gli angoli. E da parte del Pd, di conferire ruoli di peso, in un eventuale futuro governo a guida Pd, a figure come quelle di Laura Puppato, Pippo Civati e Monica Frassoni (candidata Sel) che hanno già dimostrato competenza e impegno sui temi della green e blue economy, che godono della stima dei grillini, e su cui si potrebbe incardinare un dialogo programmatico.

Aggiornamento del 22.o2.13, ore 9.20:

come volevasi dimostrare… leggete qui

 

Politica Dicembre 11, 2012

Pd: il rischio delle “non-primarie”

Il Porcellum: la più antidemocratica tra le leggi elettorali

Mercoledì 12 dicembre il Partito Democratico deciderà in merito alle primarie per le candidature alle prossime elezioni politiche.

In poche parole, sussistendo il Porcellum, orribile legge elettorale che in deroga alla democrazia impedisce l’esercizio del diritto cardine -scegliere liberamente i candidati con l’espressione di preferenze-, le primarie consentirebbero la selezione democratica dei nomi che andrebbero a comporre le liste bloccate. Elezioni prima delle elezioni, in poche parole, visto che la legge elettorale non si è voluta cambiare, nonostante la volontà espressa attivamente da un milione e duecentomila cittadini.

Auspicate da chi desidera un ricambio con molta aria “civica” nella truppa parlamentare, per ragioni uguali e contrarie le primarie per le candidature sono fortemente osteggiate da chi questo ricambio non lo vuole: e in particolare da una parte dei già-parlamentari e da una parte dei parlamentari in pectore, o quasi-parlamentari,  ovvero da coloro che in seguito a regolare percorso interno al partito ritengono di aver maturato i requisiti necessari.

Vox populi dice che le primarie sono bell’e andate, a causa -o con la scusa- della brusca accelerazione della tempistica elettorale: le liste dovrebbero essere depositate più o meno a metà gennaio, quindi mancherebbe il tempo materiale per organizzarle. Ma proprio allo scopo di non  rinunciare a questo passaggio, ritenuto un tratto identitario irrinunciabile del partito -e contro il Parlamento dei nominati-, i piddini Pippo Civati e Salvatore Vassallo chiedono alla ministra degli Interni Anna Maria Cancellieri di posticipare di qualche giorno la data di presentazione delle liste, e indicano il 12 o il 13 gennaio come data possibile per il “voto primario”. Si tratterebbe di primarie aperte, con le stesse regole adottate per la scelta del candidato premier, con candidati iscritti-al-partito-e-non, e con la possibilità di esprimere 2 voti, purché per un uomo e per una donna –doppia preferenza di genere-.

Vedremo come va a finire. Quel che è certo, rinunciare al passaggio primario non sarebbe a costo zero per il Pd, che a questo processo di democratizzazione deve buona parte dei suoi plus-consensi di oggi; che indicendo primarie non lascerebbe al Movimento 5 Stelle l’esclusiva della pre-selezione democratica e “staccherebbe” gli altri schieramenti politici, che di primarie per le candidature non hanno mai nemmeno parlato: una differenza non da poco, per la platea elettorale.

Il rischio di dover presentare agli elettori liste “appesantite” da un eccesso di ricandidature potrebbe minimizzare se non vanificare i consensi guadagnati nel lungo e appassionante processo delle primarie per la premiership, e alimentare un estremo ma decisivo rigurgito antipolitico.

Insomma, Partito Democratico: coraggio, ancora un piccolo sforzo. E’ il rush finale.

Non è il caso di farsi prendere dalla paura a poche lunghezze dal traguardo.

Una petizione qui

Ultim’ora: si voterà il 29 e/o 30 dicembre, le regole le sapremo lunedì 17, essendo la data assurda -gente che in quel periodo non dico che sta ai Caraibi o a Sharm o a Courmayeur, ma magari semplicemente a trovare la famiglia lontana, sarebbe necessario congegnare una soluzione. Tipo: voto online per chi è già registrato o si registrerà all’albo degli elettori del centrosinistra, max modernità, o almeno un pre-voto per chi ha già prenotato treni e aerei e anche se volesse non riuscirebbe a rientrare in sede.