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Donne e Uomini, economics, Femminismo, Politica Marzo 31, 2014

La ragazza con l’orecchino di diamante. Segni di autorità femminile

Si è svolto domenica 30 a Roma -partecipatissimo- l’incontro “Invito al passo avanti, d’autorità”.

Qui un resoconto della giornata di lavori -parziale e in soggettiva: mi scuso per le non-citate e per chi sarà menzionata solo in sintesi- presso la splendida Casa Internazionale delle Donne (che invidia, amiche romane!).

Graziella Borsatti, ex-sindaca di Ostiglia: “La parola responsabilità è ciò che ci rende diverse dal potere. Si tratta di trovare le pratiche per la nostra politica. Nei luoghi dell’amministrare c’è quasi la vergogna di affermare il primato delle relazioni e il linguaggio della differenza. E’ necessario mostrare al mondo questo modo diverso di stare nella politica“.

Loredana Aldegheri, Mag Servizi di Verona: “Noi pratichiamo un’economia che non si vuole disgiunta dalla vita. Ciò che abbiamo imparato a fare nei contesti piccoli oggi può servire nei contesti grandi, per una nuova civiltà che agisce e prospera. Si tratta di guadagnare con sobrietà per guadagnare tutti. Ma parlo anche di un guadagno non monetario, di un guadagno di relazioni e di fiducia. E’ necessario, come dice Luisa Muraro, togliere al denaro l’esclusività di renderci grandi. Autorità è esserci integralmente, con i desideri e la responsabilità”.

Luana Zanella, ex-deputata, ex-assessora a Venezia: “Oggi faccio una politica più libera, fuori dalle istituzioni. Cercare di portare la differenza in politica è stata una traversata della città infinita. Eppure perfino l‘Onu oggi riconosce le donne come leader di una nuova civiltà, presenza indispensabile dove ci sono rischi per il pianeta. Pensiamo a tante donne di paesi terzi, che hanno assunto responsabilità di governo in quanto “sanno come si fa”. Si tratta di fare incontrare questa domanda con l’offerta, e di esercitare questa autorità nei contesti. In Italia ci sono 930 sindache (più o meno il 10 per cento del totale) e moltissime assessore, consigliere, oltre alle dipendenti. Un’enorme massa di donne che si dovrebbe intercettare e mettere in rete“.

Franca Fortunato, Rete delle Città Vicine: “In Calabria è accaduto qualcosa di inaudito, in pochi anni le donne sono riuscite e mettere in crisi la ndrangheta. Fino al 2010 non c’erano mai state collaboratrici di giustizia. Poi alcune hanno cominciato a trovare la forza di rompere, con un gesto da sovrane, in forza della relazione madre-figlia, come nel caso di Lea Garofalo e di sua figlia. Dall’altro lato, molte donne si candidano a lavorare nelle istituzioni, mostrando come “governare non è rappresentare”. Ormai sono in molte e in molti a pensare che il rinnovamento in Calabria lo faranno le donne”.

Letizia Paolozzi, giornalista, autrice di “Prenditi Cura”: “Le donne hanno fatto ovunque il passo avanti d’autorità, ma nelle istituzioni non è ancora capitato. Quando entrano nelle istituzioni è come se si deformassero. Ma anche lì bisogna starci”.

Daniela Dioguardi, Udi, ex-parlamentare: “Mi ha molto colpito Federica Mogherini che interrogata da Corrado Augias: “Vuole essere chiamata ministra o ministro?”, ha risposto seccamente: “Ministro!”. Ma si deve saper lavorare anche con le donne che la pensano diversamente da noi. Dobbiamo contrastare il dogma della parità, perché la misura di questa parità è maschile. I miei due anni in Parlamento li ho vissuti in modo molto negativo”.

Gisella Modica, Udi di Palermo, Società Italiana delle Letterate: “Sono riuscita a riconoscere l’autorità anche attraverso un percorso che ha a che fare con il mio corpo. Ci sono state donne molto umili che mi hanno fatto capire che cos’è l’autorità. Sentendo i racconti della lotta per l’occupazione delle terre, ho saputo di una donna che prima di andare a occupare si metteva gli orecchini di brillanti. La chiamavano la baggianusa, la vanitosa, ma quello era il suo modo per darsi autorità. Ci sono tanti gesti di donne come questo, ma questi gesti hanno bisogno di essere nominati. Invece quando parliamo di politica anche noi usiamo il linguaggio degli uomini. Di questa sovranità femminile rimangono questi gesti e poi il dialetto, la lingua materna che mischia sempre il vero e l’immaginario, la vita reale e il sogno”.

Stefano Ciccone, Maschile Plurale: “Anche nella politica degli uomini ci sono relazioni, emozioni e desideri. Ma oggi gli spazi di dialogo si sono impoveriti e isteriliti. Forse molte donne, una volta entrate nelle istituzioni, non credono abbastanza nella forza di quel pensiero che invece praticano fuori da quegli spazi. Io non sento l’importanza della parola “autorità”, sento invece molto quella delle relazioni portatrici di senso e di trasformazione. Noi uomini dobbiamo imparare a mettere in gioco il desiderio maschile contro un potere che ha mutilato le nostre vite“.

Katia Ricci, Rete delle Città Vicine, Foggia: “Frida Kahlo, di cui è in corso una bellissima mostra a Roma, è stata sovrana nella sua capacità di fare del suo corpo opera d’arte, nonostante le sofferenze fisiche. A Stefano Ciccone dico che autorità è proprio questo: una relazione trasformatrice e portatrice di senso“.

Laura Ricci, Associazione Il Filo di Eloisa, Orvieto: “Mi sento sovrana come Cristina di Svezia, anch’io come lei ho fatto la mia migliore politica quando sono uscita dalle istituzioni, con il mio quotidiano online. Ora mi hanno chiesto di diventare sindaca di Orvieto”.

Bianca Bottero, Le Città Vicine: “Dobbiamo pensarci in un mondo più di città che di nazioni, come dice Saskia Sassen. E nelle città le donne contano”.

Silvia Zanolla, Verona: “Bisogna accettare il fatto che non possiamo esserci tutte. Si deve avere fiducia in quella che ha il più di intelligenza necessario a muoversi”.

Adriana Sbrogiò, Associazione Identità e Differenza, Spinea (Ve): “Mi sento sovrana in quanto sempre stata fedele a me stessa. Ci sono le tentazioni: il potere, il prestigio, il denaro. Ma per me il patrimonio più grande sono le relazioni”.

Annarosa Buttarelli, filosofa, autrice di “Sovrane” (da cui il convegno ha preso le mosse): “Il passo avanti d’autorità è in corso, nell’orizzonte di una nuova genealogia dell’autorità, come indicata nel libro di Luisa Muraro. E’ qualcosa che ha a che fare con la generatività, che parteggia per le ragioni della vita e per il suo meglio, che fa fiorire le relazioni e si prende cura delle anime. Si deve intrecciare tutto questo con la terza ondata del femminismo, ma anche con il “prendersi cura” di cui parla Letizia Paolozzi, e con quello che dice Carol Gilligan in “La virtù della resistenza. Resistere, rifiutare, non credere”. Lei dice che l’etica della cura è l’unica prospettiva per la democrazia. Oggi, alla fine del patriarcato, le istituzioni sono allo sbando perché sono rimaste prive di un orientamento simbolico. Per esempio si parla molto di riforme, ma le riforme sono una cosa diversa dalla trasformazione: e questo sarebbe un momento di grandi trasformazioni, bloccate dalle riforme. Chi vuole andare a governare deve sapere che va in luoghi in cui gli strumenti sono da ripensare e ricollocare. Con la finanza internazionale al governo del mondo non esiste più il potere come l’abbiamo conosciuto. Zygmunt Bauman parla della separazione di potere e politica che nessuno sa risolvere. Noi donne sappiamo risolverla: questa è la responsabilità, che è anche gioiosa perché coincide con il nostro orientamento interiore. Essere sovrane è questo: il lavoro di trasformazione -esteriore/interiore-. Gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione sono spuntati, e ne servono altri: in “Sovrane” indico non soltanto nuove pratiche, ma anche fondamenti partendo dai quali si può rigenerare la rappresentanza. La cosa importante è non cedere in radicalità, nemmeno di un millimetro, o si perde tutto. La radicalità femminile è la sola garanzia”.

Infine, quello che ho detto io: servono modelli di un percorso inverso, che non va come al solito, secondo una logica di carriera “ascendente”, dalle pratiche utili e contestuali del lavoro locale alla rappresentanza, dove spesso si diventa inutili. Ma che semmai utilizza il “prestigio” accumulato nei luoghi della rappresentanza per tornare a lavorare nei contesti locali, e con maggiore efficacia. Purtroppo oggi le cose sembrano andare almeno in parte in un altro verso, in direzione di un neocentralismo, addirittura nell’imbuto del leaderismo spinto e dell’uomo solo al comando. Il lavoro è invece spostare potere dal centro per farlo diventare autorità nei contesti, seguendo la lezione di Evelyn Ostrom sui beni comuni. Questo non avviene anche per ragioni di soldi. Le donne spesso lasciano il lavoro politico nei contesti per andare a perdersi nell’astrazione della rappresentanza centrale perché vengono meglio remunerate in queste posizioni. Così spesso si tagliano gli investimenti nel locale per demagogiche ragioni di “risparmio”. Insomma, i soldi sono la ragione di buona parte degli errori politici che si commettono. E si dovrebbe attentamente ragionare su questo. Cito anch’io e nuovamente Luisa Muraro: si tratta di togliere al denaro l’esclusività di renderci grandi.

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, Politica Settembre 29, 2013

Sovrane e libere dal potere

Ogni anno a Katmandu, Nepal, nel corso di una solenne cerimonia, la dea-bambina Kumari è chiamata a rilegittimare con la sua superiore autorità il potere del Presidente della Repubblica laica.

Non è raro che sia una fanciulla a incarnare l’idea di una sovranità ben più alta di ogni potere. Una vergine, ovvero non ancora compromessa con l’ordine simbolico maschile, capace di un’autorità che non è dominio e di una potenza che non è violenza. Come la “nostra” Maria, come Agata e le altre sante celebrate e blandite con processioni e “cannalore”.

Nel suo ardente “Sovrane” (il Saggiatore, pp. 238, € 18,00) la filosofa Annarosa Buttarelli ragiona su quest’altra idea di sovranità, ben più antica della potestas che ha orientato l’assolutismo monarchico e la democrazia rappresentativa. Idea che i riti, prevalentemente maschili, custodiscono e a un tempo esorcizzano: finita la festa, gabbate le sante, che sono rimesse a tacere.

Si tratta invece, a questo punto critico della storia del mondo, di onorare definitivamente il debito con le “sovrane” lasciandole parlare, e fare. Di intraprendere un nuovo inizio della convivenza umana che tenga conto della differenza femminile.

Si tratta di “ripartire dalle origini dei processi e, se queste origini si rivelassero infauste, trovare la forza e l’intelligenza necessaria per crearne altri differenti”. Cominciando con il “togliere definitivamente dalla rimozione ciò che è accaduto del 403 a. C. ad Atene”, anno e luogo di nascita della democrazia: ciò che lì fu rimosso è il due che siamo, uomini e donne ritenute “parenti acquisite” e rinchiuse nel privato. Non aver tenuto conto dei corpi e dei pensieri delle donne, e della fonte della loro autorità, è ragione di ogni altra ingiustizia, che non può essere sanata se non confidando in una “conversione trasformatrice”.

Nel saggio, scritto con arendtiano “amor mundi” e con l’intento di orientare l’azione politica qui e ora, molti esempi di sapienza al governo: Cristina di Svezia, Elisabetta I d’Inghilterra, Ildegarda di Bingen. Inaspettatamente, anche la derelitta Antigone: sovrana, lei? e di che cosa? In lei il principio di sovranità si mostra purissimo nell’amore radicale per una verità che esiste “da sempre: la vita con le sue leggi e la sua trascendenza, le relazioni di cui abbiamo bisogno per vivere e la condizione umana calata in un cosmo che impone spesso un suo ordine”. Antigone non contro la legge, ma sopra –sovrana-, nell’ordine di ciò che è “eterno, universale e incondizionato” (Simone Weil), immersa nel mistero della “struttura che connette”, come la chiamerà Gregory Bateson, e da cui la politica di oggi sembra voler prescindere.

La logica inclusiva della parità e delle quote, scrive Buttarelli, è ben poca cosa: la posta in gioco “non sono i posti di potere”, ma “la decisa dislocazione della sovranità dal potere. In particolare, le donne si mostrano estranee al concetto di rappresentanza, per affidarsi alla pratica delle relazioni reali. Portare la sapienza al governo significa portarvi questa competenza relazionale e attenersi in ogni atto al primato della vita.

Due esempi di questo governare che non è rappresentare: la vicenda delle operaie tessili di Manerbio, Brescia, che tra gli anni Ottanta e Novanta affrontarono la crisi della fabbrica rifiutando la rappresentanza sindacale e portando l’amore –tra loro stesse, per i loro prodotti, per chi li comprava- al tavolo di trattativa. E quella di Graziella Borsatti, sindaca a Ostiglia, Mantova, tra il 1991 e il 2004, che saltando l’astrazione della rappresentanza e mettendo in campo relazioni contestuali e concrete, fece della sua giunta e di tutta la città una “comunità governante”, orientata dal proposito di “disfare il potere e agire il benessere”: primum vivere.

Presentando “Sovrane” al Festivaletteratura di Mantova, Stefano Rodotà si è detto colpito dalla sapienza di queste pratiche, ha parlato di “fondazione di un pensiero” e ha ammesso di avere “imparato molto”. Gli rispondono idealmente, invitando a una nuova politica da subito, le parole con cui Annarosa Buttarelli chiude il saggio: “Se il meglio è accaduto a Brescia e a Ostiglia può accadere ancora, oggi e ogni volta che sarà necessario”.

(pubblicato oggi su La Lettura-Corriere della Sera)

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, leadershit Luglio 6, 2013

Antigone a #Gezyparki

Mentre quasi tutte le nostre politiche, salvo eccezioni (Laura Puppato, Valeria Fedeli e poche altre) tacevano sui tremendi fatti di piazza Taksim-Gezi Parki a Istanbul, la collega Monica Ricci Sargentini ha raccontato di una delle donne in piazza che ha detto ai poliziotti: “Fermatevi! Sono io che vi ho messi al mondo!”.

Quella donna, come Antigone, ha fatto irrompere un altro ordine in quella situazione di terribile disordine e di rapporti di forza. Ha richiamato gli uomini armati a una legge fondamentale e superiore, che agisce da sempre anche se non è scritta.

Non si è limitata a dire, come avrebbe potuto: “Fermatevi perché la legge non consente quello che state facendo”. Ha detto ben di più e di meglio.

Si è presa tutta l’autorità per stare sopra alla legge. Si è richiamata alla sua sapienza materna contro quel disprezzo della vita che vedeva intorno a sé. Si è riferita al primato dell’amore e all’inviolabilità dei corpi vivi come Antigone, che violando le leggi della città in nome di una legge superiore, addirittura a una legge che viene prima degli dei, si ostinò a dare pietosa sepoltura al cadavere del fratello Polinice.

Come anche Ilaria Cucchi e tutte quelle sorelle e madri di detenuti morti nelle carceri italiane e non solo italiane, che non si arrendono alla brutalità dei rapporti di forza e lottano per dare una sepoltura giusta ai loro amati.

Quella donna è l’esempio di un’autorità che non ha bisogno del potere, dispositivo difettoso e inventato ben dopo, perché fa riferimento a ciò che esiste da sempre: la vita, e l’interdipendenza tra noi creature umane.

Donne e Uomini, esperienze, Libri, Politica Maggio 11, 2013

Autorità, antidoto al Potere

Nella circostanza della recente elezione-rielezione del Presidente della Repubblica, tanti “semplici” cittadini hanno ritenuto di dover dire e perfino strillare la loro, benché sapessero che la Costituzione delega interamente la faccenda ai Grandi Elettori.

Al di là del “chi” e delle questioni strettamente istituzionali –la possibile transizione verso una Repubblica presidenziale- la domanda era di un/una Presidente dotato di tutta la forza necessaria a guidare il Paese, eppure “lontano dal potere”. Come se nel senso comune sopravvivesse l’idea di un’autorità che non ha a che vedere con il potere, che non è affatto un suo sinonimo. E anzi, che è proprio il contravveleno per il potere e i suoi abusi.

Da dove viene, questa idea di autorità? Che storia ci racconta questa parola?

Il linguista francese Émile Benveniste la rintraccia nel significato arcaico del latino augere: “atto di produrre dal proprio seno; atto creatore che fa sorgere qualcosa da un ambiente nutritivo e che è il privilegio degli dei, non degli uomini” (ma anche un po’ delle donne, volendo, e della potenza materna, che viene ben prima e va ben oltre ogni grossolano potere).

Traggo la citazione da un piccolo e scandaloso (nel senso che fa proficuamente inciampare) libro di Luisa Muraro, “Autorità”, Rosemberg & Sellier. Che partendo dai “pregiudizi, timori, avversione, malintesi, ma anche appelli e nostalgie” intorno all’idea di autorità, giunge a concludere che “coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà… consapevolmente alternativa al culto del dio potere”.

L’autorità “non ha un fondamento, essa è un fondamento”, e lo è misteriosamente, per come tutti ne facciamo esperienza.“Può agire senza i mezzi del potere e del dominio”. Ha bisogno della libera fiducia della relazione, e si rinnova così, di volta in volta. Mentre il potere, che si dà una volta per tutte, dalla messa alla prova della relazione è costantemente minacciato, e se ne tiene alla larga.

La buona novella è questa: che “la forza fisica… non può sconfiggere l’autorità, perché questa è di un altro ordine”. Ordine che si richiama alla “relazione materna, relazione di somma disparità (tra la madre e il figlio neonato, ndr), di molta vicinanza fisica e di nessuna gerarchia”.

Quando si parla di un mondo più femminile, conviene pensare a questo.

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Maggio 6, 2013

Forza Laura

Ne è valsa la pena, mi dicevo ieri, e vorrei dirlo anche alle tante scettiche, ancora convinte che non sia valsa la pena di battagliare perché ci fossero più donne nelle istituzioni rappresentative. Sempre tenendo a mente che quella è e rimane solo una delle cose da fare, ma che comunque andava fatta.

Per esempio la Presidente della Camera Laura Boldrini, che impone ai primi posti in agenda il tema della violenza sessista e del femminicidio, urgenza subito raccolta dalla ministra Josefa Idem che pensa all’istituzione di una task force; vederla fare tante altre cose buone, pur nei limiti del suo ruolo; insomma, una come noi, finalmente, che approfitta del suo ruolo istituzionale per dire e fare tante cose che diremmo e faremmo noi, e senza necessità di autorizzazione maschile, pienamente protagonista della sua avventura politica.

Se è consentito, Laura, un abbraccio per quello che ti è capitato in rete. Si parva licet, qualcosa abbiamo visto anche da queste parti. Violenza, minacce, insulti e disprezzo sono un’esperienza abituale per noi blogger.

Laura Boldrini viene colpita perché esercita in modo autonomo e con mano ferma la sua autorità femminile, autorità che eccede il ruolo di potere che le è stato conferito. Perché Laura è forte e libera non nonostante il suo essere donna, ma proprio per il fatto che lo è. Perché il suo essere donna è reso ancora più evidente dalla sua bellezza, che lei non mortifica e non nasconde. Questo insieme –autonomia, forza e bellezza, attributi della madre– può risultare insopportabile per i più fragili tra gli uomini, che ricorrono all’arma del disprezzo, come i bambini maschi che in un momento preciso della loro evoluzione, si stringono nel patto contro “le femmine” (l’ontogenesi che ricapitola la filogenesi).

Non è un caso, voglio dire, che questo capiti proprio a lei.

Forza Laura, siamo accanto a te.