Si è svolto domenica 30 a Roma -partecipatissimo- l’incontro “Invito al passo avanti, d’autorità”.

Qui un resoconto della giornata di lavori -parziale e in soggettiva: mi scuso per le non-citate e per chi sarà menzionata solo in sintesi- presso la splendida Casa Internazionale delle Donne (che invidia, amiche romane!).

Graziella Borsatti, ex-sindaca di Ostiglia: “La parola responsabilità è ciò che ci rende diverse dal potere. Si tratta di trovare le pratiche per la nostra politica. Nei luoghi dell’amministrare c’è quasi la vergogna di affermare il primato delle relazioni e il linguaggio della differenza. E’ necessario mostrare al mondo questo modo diverso di stare nella politica“.

Loredana Aldegheri, Mag Servizi di Verona: “Noi pratichiamo un’economia che non si vuole disgiunta dalla vita. Ciò che abbiamo imparato a fare nei contesti piccoli oggi può servire nei contesti grandi, per una nuova civiltà che agisce e prospera. Si tratta di guadagnare con sobrietà per guadagnare tutti. Ma parlo anche di un guadagno non monetario, di un guadagno di relazioni e di fiducia. E’ necessario, come dice Luisa Muraro, togliere al denaro l’esclusività di renderci grandi. Autorità è esserci integralmente, con i desideri e la responsabilità”.

Luana Zanella, ex-deputata, ex-assessora a Venezia: “Oggi faccio una politica più libera, fuori dalle istituzioni. Cercare di portare la differenza in politica è stata una traversata della città infinita. Eppure perfino l‘Onu oggi riconosce le donne come leader di una nuova civiltà, presenza indispensabile dove ci sono rischi per il pianeta. Pensiamo a tante donne di paesi terzi, che hanno assunto responsabilità di governo in quanto “sanno come si fa”. Si tratta di fare incontrare questa domanda con l’offerta, e di esercitare questa autorità nei contesti. In Italia ci sono 930 sindache (più o meno il 10 per cento del totale) e moltissime assessore, consigliere, oltre alle dipendenti. Un’enorme massa di donne che si dovrebbe intercettare e mettere in rete“.

Franca Fortunato, Rete delle Città Vicine: “In Calabria è accaduto qualcosa di inaudito, in pochi anni le donne sono riuscite e mettere in crisi la ndrangheta. Fino al 2010 non c’erano mai state collaboratrici di giustizia. Poi alcune hanno cominciato a trovare la forza di rompere, con un gesto da sovrane, in forza della relazione madre-figlia, come nel caso di Lea Garofalo e di sua figlia. Dall’altro lato, molte donne si candidano a lavorare nelle istituzioni, mostrando come “governare non è rappresentare”. Ormai sono in molte e in molti a pensare che il rinnovamento in Calabria lo faranno le donne”.

Letizia Paolozzi, giornalista, autrice di “Prenditi Cura”: “Le donne hanno fatto ovunque il passo avanti d’autorità, ma nelle istituzioni non è ancora capitato. Quando entrano nelle istituzioni è come se si deformassero. Ma anche lì bisogna starci”.

Daniela Dioguardi, Udi, ex-parlamentare: “Mi ha molto colpito Federica Mogherini che interrogata da Corrado Augias: “Vuole essere chiamata ministra o ministro?”, ha risposto seccamente: “Ministro!”. Ma si deve saper lavorare anche con le donne che la pensano diversamente da noi. Dobbiamo contrastare il dogma della parità, perché la misura di questa parità è maschile. I miei due anni in Parlamento li ho vissuti in modo molto negativo”.

Gisella Modica, Udi di Palermo, Società Italiana delle Letterate: “Sono riuscita a riconoscere l’autorità anche attraverso un percorso che ha a che fare con il mio corpo. Ci sono state donne molto umili che mi hanno fatto capire che cos’è l’autorità. Sentendo i racconti della lotta per l’occupazione delle terre, ho saputo di una donna che prima di andare a occupare si metteva gli orecchini di brillanti. La chiamavano la baggianusa, la vanitosa, ma quello era il suo modo per darsi autorità. Ci sono tanti gesti di donne come questo, ma questi gesti hanno bisogno di essere nominati. Invece quando parliamo di politica anche noi usiamo il linguaggio degli uomini. Di questa sovranità femminile rimangono questi gesti e poi il dialetto, la lingua materna che mischia sempre il vero e l’immaginario, la vita reale e il sogno”.

Stefano Ciccone, Maschile Plurale: “Anche nella politica degli uomini ci sono relazioni, emozioni e desideri. Ma oggi gli spazi di dialogo si sono impoveriti e isteriliti. Forse molte donne, una volta entrate nelle istituzioni, non credono abbastanza nella forza di quel pensiero che invece praticano fuori da quegli spazi. Io non sento l’importanza della parola “autorità”, sento invece molto quella delle relazioni portatrici di senso e di trasformazione. Noi uomini dobbiamo imparare a mettere in gioco il desiderio maschile contro un potere che ha mutilato le nostre vite“.

Katia Ricci, Rete delle Città Vicine, Foggia: “Frida Kahlo, di cui è in corso una bellissima mostra a Roma, è stata sovrana nella sua capacità di fare del suo corpo opera d’arte, nonostante le sofferenze fisiche. A Stefano Ciccone dico che autorità è proprio questo: una relazione trasformatrice e portatrice di senso“.

Laura Ricci, Associazione Il Filo di Eloisa, Orvieto: “Mi sento sovrana come Cristina di Svezia, anch’io come lei ho fatto la mia migliore politica quando sono uscita dalle istituzioni, con il mio quotidiano online. Ora mi hanno chiesto di diventare sindaca di Orvieto”.

Bianca Bottero, Le Città Vicine: “Dobbiamo pensarci in un mondo più di città che di nazioni, come dice Saskia Sassen. E nelle città le donne contano”.

Silvia Zanolla, Verona: “Bisogna accettare il fatto che non possiamo esserci tutte. Si deve avere fiducia in quella che ha il più di intelligenza necessario a muoversi”.

Adriana Sbrogiò, Associazione Identità e Differenza, Spinea (Ve): “Mi sento sovrana in quanto sempre stata fedele a me stessa. Ci sono le tentazioni: il potere, il prestigio, il denaro. Ma per me il patrimonio più grande sono le relazioni”.

Annarosa Buttarelli, filosofa, autrice di “Sovrane” (da cui il convegno ha preso le mosse): “Il passo avanti d’autorità è in corso, nell’orizzonte di una nuova genealogia dell’autorità, come indicata nel libro di Luisa Muraro. E’ qualcosa che ha a che fare con la generatività, che parteggia per le ragioni della vita e per il suo meglio, che fa fiorire le relazioni e si prende cura delle anime. Si deve intrecciare tutto questo con la terza ondata del femminismo, ma anche con il “prendersi cura” di cui parla Letizia Paolozzi, e con quello che dice Carol Gilligan in “La virtù della resistenza. Resistere, rifiutare, non credere”. Lei dice che l’etica della cura è l’unica prospettiva per la democrazia. Oggi, alla fine del patriarcato, le istituzioni sono allo sbando perché sono rimaste prive di un orientamento simbolico. Per esempio si parla molto di riforme, ma le riforme sono una cosa diversa dalla trasformazione: e questo sarebbe un momento di grandi trasformazioni, bloccate dalle riforme. Chi vuole andare a governare deve sapere che va in luoghi in cui gli strumenti sono da ripensare e ricollocare. Con la finanza internazionale al governo del mondo non esiste più il potere come l’abbiamo conosciuto. Zygmunt Bauman parla della separazione di potere e politica che nessuno sa risolvere. Noi donne sappiamo risolverla: questa è la responsabilità, che è anche gioiosa perché coincide con il nostro orientamento interiore. Essere sovrane è questo: il lavoro di trasformazione -esteriore/interiore-. Gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione sono spuntati, e ne servono altri: in “Sovrane” indico non soltanto nuove pratiche, ma anche fondamenti partendo dai quali si può rigenerare la rappresentanza. La cosa importante è non cedere in radicalità, nemmeno di un millimetro, o si perde tutto. La radicalità femminile è la sola garanzia”.

Infine, quello che ho detto io: servono modelli di un percorso inverso, che non va come al solito, secondo una logica di carriera “ascendente”, dalle pratiche utili e contestuali del lavoro locale alla rappresentanza, dove spesso si diventa inutili. Ma che semmai utilizza il “prestigio” accumulato nei luoghi della rappresentanza per tornare a lavorare nei contesti locali, e con maggiore efficacia. Purtroppo oggi le cose sembrano andare almeno in parte in un altro verso, in direzione di un neocentralismo, addirittura nell’imbuto del leaderismo spinto e dell’uomo solo al comando. Il lavoro è invece spostare potere dal centro per farlo diventare autorità nei contesti, seguendo la lezione di Evelyn Ostrom sui beni comuni. Questo non avviene anche per ragioni di soldi. Le donne spesso lasciano il lavoro politico nei contesti per andare a perdersi nell’astrazione della rappresentanza centrale perché vengono meglio remunerate in queste posizioni. Così spesso si tagliano gli investimenti nel locale per demagogiche ragioni di “risparmio”. Insomma, i soldi sono la ragione di buona parte degli errori politici che si commettono. E si dovrebbe attentamente ragionare su questo. Cito anch’io e nuovamente Luisa Muraro: si tratta di togliere al denaro l’esclusività di renderci grandi.

 

 

 

 

 

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