Sabato prossimo a Milano, piazza Scala, ci sarà una manifestazione di donne intitolata Mobilitiamoci per ridare dignità all’Italia”, nata dalla richiesta di molte per

“una presa di parola pubblica… Con un simbolo: la sciarpa bianca del lutto per lo stato in cui versa il Paese. Uno slogan: Un’altra storia italiana è possibile. Ci saremo con le nostre facce. Le facce delle donne italiane, quelle della realtà. Appuntandoci sulla giacca una fotocopia della nostra carta di identità con su scritto chi siamo: cassaintegrate, commesse, ricercatrici precarie, artiste, studentesse, registe, operaie e giornaliste… Sarebbe bello che una spallata, magari quella definitiva, politica molto prima che giudiziaria, la dessimo proprio noi al capo supremo di questa telecrazia autoritaria, eversiva e misogina… Quel che accade del nostro Paese offende le donne, ma anche gli uomini che non si riconoscono nella miseria della rappresentazione di una sessualità rapace e seriale, nello squallore di una classe dirigente che ha fatto dell’eversione di ogni regola e nel sovvertimento di qualunque verità il suo tratto distintivo“.

Credo che la manifestazione andrà benissimo, che sarà raccontata da tv e giornali, e forse perfino dal NYT, che finalmente potrà dire che in Italia non siamo tutte prostitute o “Berlusconi’s bimbo”, ma ci sono anche un sacco di brave ragazze.

Io non ci andrò, e voglio spiegare perché.

Andare in piazza per dire “non sono una prostituta” ma una giornalista la sento come una miseria troppo grande per una donna, una specie di excusatio non petita che le donne di questo paese non devono sentire di dover dare. Per niente empowering. Mi sentirei ritirata indietro in una miseria femminile che non c’è più, se mai c’è stata. Le donne sono protagoniste della vita sociale ed economica del paese, la miseria è della politica che non si avvale della loro grandezza, della loro forza e della loro intelligenza. E’ questo protagonismo femminile che le nostre figlie devono vedere.

Non voglio separarmi dalle prostitute -io di qua, le puttane di là-: se una dovesse andare in piazza con la fotocopia della carta d’identità che dice “prostituta”, che cosa faremmo? La cacceremmo? Oltretutto ci sono donne che si prostituiscono in tutte e categorie: studentesse, giornaliste, commercialiste, e così via.

Mentre noi siamo in piazza, gli uomini stanno decidendo se fare il governissimo, elezioni anticipate o tenersi Berlusconi. Se vogliamo essere protagoniste politiche, se ci teniamo a dire la nostra su chi governa il paese, è lì che dobbiamo agire, e a modo nostro.

Non vedo la proposta politica precisa: che cosa si vuole? Un governo Tremonti? Un governo Letta? Elezioni anticipate? Che cosa significa dare una spallata? Per fare che cosa? Per andare dove, e come? Come giudichiamo il fatto che potremmo essere alle soglie di una Terza Repubblica, nata non dalla dialettica politica ma dai Tribunali? Che cosa abbiamo da dire su questo?

Una donna che stimo molto, tra le firmatarie di quest’appello, mi dice che “si sentiva il bisogno di fare qualcosa”. Giusto. Magari non una semplice scarica motoria. Fare qualcosa può essere, ad esempio, chiamare gli uomini a interrogarsi sulla loro sessualità, sulla facilità con cui intrecciano sesso-denaro-potere, sulla “questione maschile”. Chiamarli in un confronto pubblico su questo. Chiamare il premier a incontrare le donne di Milano e a spiegare: certo, lui direbbe di no, ma basterebbe chiamarlo a questo, sarebbe un gesto di signoria simbolica che basta a se stesso e ci mette nella postura giusta, di chi ha già il potere di fare. Un flash-mob in sé.

Per questo io non sarò alla manifestazione di sabato (e non per ignavia: alle 18 sarò alla Libreria delle Donne di via Calvi a discutere con altre e altri di politica a Milano).

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