Riproduco qui tre passaggi di un intervento di Lea Melandri sul settimanale “Gli Altri”. Altri strumenti per leggere questa complicata situazione.

La “spallata” a un potere diventato sempre più odioso ci si aspetta, o si spera, che arrivi dalla “rivolta delle donne”: da un femminismo di lunga data, sottratto improvvisamente al silenzio in cui si diceva fosse precipitato, e da generazioni più giovani svegliate dall’indifferenza, desiderose di trovarsi in tante a dire “basta” a tutti i pericoli che vedono incombere sul loro futuro. Non è la prima volta nella storia, e tanto meno nell’immaginario, che le donne sono viste al medesimo tempo come dannazione e salvezza, e sempre questi due connotati del femminile hanno a che fare con la sessualità: degrado ed elevazione morale. Che cosa poteva essere più esemplificativo, riguardo a questa duplice “natura” della donne, della contrapposizione che abbiamo visto comparire in alcuni appelli e dibattiti pubblici tra donne pronte a vendersi al potente di turno e altre attente invece alla cura e al sacrificio di sé per il bene di una famiglia, la riuscita di un lavoro, di una carriera? Come se non fossero entrambi ruoli imposti che hanno permesso all’uomo di riservare a sé il governo della cosa pubblica.

Non saranno solo il moralismo, e tanto meno la nostalgia di una “normalità” che le donne hanno smascherato da tempo, a  riempire il 13 febbraio le piazze. Ognuna andrà con tutti i motivi di indignazione che più o meno consapevolmente ha accumulato: dalla precarietà esistenziale e lavorativa al peso delle responsabilità famigliari, dalle discriminazioni nella sfera pubblica alla violenza di cui sono ancora vittime nel privato, dall’esaltazione dei loro corpi alla mortificazione della loro intelligenza. Ma purtroppo non saranno queste ragioni, maturate nelle più giovani dall’aver assorbito consapevolezze prodotte dalla storia e dalla cultura del femminismo a essere portate allo scoperto, fatte proprie e sostenute politicamente quanto meritano da una manifestazione che nasce essenzialmente all’insegna dell’antiberlusconismo e della “vergogna di essere italiani”, contrassegnata da un sussulto di “dignità” che gli uomini proiettano sull’immagine “offesa” della donna, rovesciando in modo vistoso una ferita che tocca specificamente il loro sesso, l’immaginario erotico, il potere, la cultura ancora largamente diffusa che si è tramandata per secoli.

C’è da augurarsi che, qualunque sia l’esito della manifestazione, non si spengano gli interrogativi che da qualche anno sono entrati nel dibattito pubblico, sia pure al seguito di vicende che hanno interessato i massimi poteri dello Stato: l’intreccio tra sessualità e politica, la modificazione profonda che hanno subìto i ruoli del maschile e del femminile e l’ombra duratura di identità precostituite, il rischio che in assenza di una riflessione degli uomini su se stessi le donne restino sempre l’oggetto di scontro o di mediazione su cui si è costruita la loro comunità storica.
In particolare, di quello che dice Lea, mi colpisce che con qualunque motivazione e obiettivo una andrà in piazza, quello che si vedrà sarà solo “la spallata a Berlusconi”.

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