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Corpo-anima, Donne e Uomini Settembre 2, 2015

Giubileo: essere assolte dal peccato di aborto per molte è una liberazione

Sulla possibilità di essere assolte dal peccato di aborto in occasione del Giubileo, Lea Melandri ha ragione di notare: “Completamente rimosso il fatto che sono gli uomini a mettere incinta le donne, a procurare gravidanze indesiderate, gravidanze frutto di violenza. Ma si sa: il potere maschile sulle donne non porta colpe, legittimato dalla legge del più forte e da privilegi e diritti millenari“.

In poche parole, gli uomini godrebbero di assoluzione permanente, una sorta di tacita licenza a lavarsene le mani. Papa Francesco farebbe bene a tenere conto dell’osservazione di Lea.

Non condivido affatto, invece, molta parte dei commenti che girano sul web, il cui succo è “le donne non hanno bisogno del perdono di nessuno” e/o “chi è la Chiesa per giudicare?”.

Per molte, moltissime donne del mondo (il Giubileo è un evento universale, non locale) la possibilità di essere sciolte da questo peccato è un fatto di grande portata simbolica, la definitiva liberazione da un peso doloroso. In cuor proprio, la gran parte di queste donne cattoliche si è già autoassolta: solo loro sanno in quali circostanze hanno dovuto prendere questa decisione, in molti casi per costrizione, e quanto hanno sofferto e pagato, spesso rischiando la pelle. Ma il perdono definitivo da parte della Chiesa le libera del tutto, e permette loro di voltare finalmente pagina.

Difficile da capire per le donne che non credono e che vedono nella Chiesa unicamente un retaggio patriarcale. Forse per loro è più facile capire questo: è la prima volta che un Papa si rivolge direttamente e con misericordia alle donne che hanno abortito. Ribadendo, sì, che l’aborto è un grave peccato, ma manifestando ad un tempo comprensione e compassione. Inoltre, non tutta la Chiesa sarà con Francesco in questa decisione: ed è un’altra ragione per tenere nel giusto conto il suo messaggio.

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Ottobre 21, 2013

#leggefemminicidio: è rottura in Se Non Ora Quando

Se Non Ora Quando si divide al suo interno sulla legge antifemminicidio.

Ieri il Corriere della Sera ha ospitato una lunga lettera firmata da Se Non Ora Quando – Libere (ala più filogovernativa di Snoq, diciamo così), sottoscritta tra le altre da Cristina Comencini, Francesca Izzo, Licia Conte, Serena Sapegno, Fabrizia Giuliani (qui la lettera integrale).

Oggi la replica di Se Non Ora Quando Factory, ala più “indipendente” di Snoq, che mantiene molte riserve sulla legge:

Qui potete leggere di seguito: ampi stralci della lettera di Snoq Libere, che difende la legge. La mia risposta/commento di ieri. E infine la lettera di Snoq Factory giunta oggi.

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Snoq Libere analizza la legge a cominciare dall’aggravante introdotta quando vi sia o vi sia stato legame affettivo tra l’aguzzino/assassino e la sua vittima (“ora le donne vedono riconosciuta la loro cittadinanza anche dentro casa. Hanno una sicurezza in più“).

Quanto invece all’irrevocabilità della querela, punto più contestato della legge, si dice che essa “per situazioni particolarmente gravi, discende direttamente dal fatto che nella legge la vittima è vista come un soggetto libero e pienamente responsabile delle proprie azioni. E questo sarebbe paternalismo, negazione della libertà femminile, manifestazione di una logica securitaria?”. Se la si pensa in questo modo, continua la lettera, si ha una “visione antistituzionale, o radicalmente liberale, secondo la quale le donne sono fuori o sopra o di fianco, ma comunque estranee alla legge e la loro libertà non ha nulla a che vedere con la polis“, logica che “non ha portato risultati positivi per le donne italiane“.

La lettera stigmatizza il fatto di “volere tante donne nelle istituzioni e poi combattere aspramente un provvedimento che reca comunque la loro impronta” come “segno di incomprensione o di pregiudizio ideologico” e segnala le leggi che “hanno cambiato la vita delle donne italiane, (dal divorzio al nuovo diritto di famiglia all’aborto“.

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Questo il mio commento

Sul punto dell’aggravante:  il valore simbolico è chiaro. Si inverte una logica in base alla quale se a violentarti o malmenarti è il marito o il fidanzato la cosa tutto sommato è meno grave, come se gli si riconoscesse una sorta di diritto a farlo. Anzi, si sancisce, qui la gravità del reato è anche maggiore. Resta tuttavia il fatto che gli aggravi di pena non costituiscono mai un deterrente efficace. E che su questa logica remunerativa e non riparativa (cfr. il recente dibattito nel movimento femminista indiano sulla pena di morte per gli stupratori: vedere qui) il movimento delle donne, che molto poco crede al carcere come luogo di effettiva rieducazione, ha sempre espresso molte riserve.

Sull’irrevocabilità della querela: non è affatto vero che valga solo per le situazioni particolarmente gravi. Secondo la Cassazione deve valere sempre. La conseguenza è che le donne, non potendo revocare, si risolveranno a questo gesto definitivo solo in casi davvero estremi, tirando pericolosamente in lungo situazioni che invece richiederebbero l’intervento del “terzo”. Non è affatto questione di libertà e responsabilità: in questione è la complessità delle relazioni d’amore (leggere Lea Melandri, che se ne occupa da sempre): se in generale le donne esitano a denunciare, di fronte alla mannaia della definitività esiteranno ancora di più, con effetti nefasti. Anche perché l’esperienza insegna che più della metà delle denunce per maltrattamenti familiari e stalking (Procura di Milano) viene archiviata senza alcun atto di indagine. I tribunali sono oberati, la sensazione che il parere della Cassazione vada in direzione di uno sfoltimento è molto forte. Più in generale, non si può non tenere conto del fatto che le operatrici e le volontarie dei centri antiviolenza e delle case delle donne, che operano sul territorio da oltre un trentennio (per esempio quelli associati in D.i.re) hanno manifestato tutto il loro dissenso sul punto dell’irrevocabilità della querela: la loro competenza andrebbe tenuta massimamente in conto. Quanto alla logica securitaria, è stata espressa in modo inequivoco perfino da una delle stesse firmatarie della lettera, Fabrizia Giuliani, che in un’occasione pubblica ha affermato “abbiamo messo in sicurezza le donne”, linguaggio che con il femminismo non ha davvero nulla a che vedere.

Ancora: le leggi. Mi pare che qui la lettera operi una curiosa inversione. Non sono certo le leggi ad aver promosso libertà femminile. Semmai, al contrario, le leggi sono state la conseguenza di cambiamenti reali prodotti dalla forza e dalla libertà delle donne. Vale tra l’altro la pena di ricordare, fatto generalmente dimenticato, che il Pci frenò a lungo sul divorzio (l’immagine qui è molto eloquente)

 

E quanto alla legge 194, la scelta dell'”aborto di stato” -anziché la semplice depenalizzazione richiesta da una parte del movimento delle donne- ci ha condotto alla situazione di oggi: legge sostanzialmente inapplicata. Si valuta che in assenza di provvedimenti urgenti a brevissimo le italiane avranno solo la possibilità del fai da te, della clandestinità e dei cucchiai d’oro (vale la pena di ricordare anche questo: che meno di un mese fa il voto di un gruppo di consiglieri regionali Pd ha impedito che in Toscana passasse una mozione finalizzata a un’effettiva applicazione della legge, circostanza sulla quale, con poche eccezioni, le loro colleghe di partito hanno scelto di fare silenzio).

I “risultati positivi per le donne italiane”, quindi, sono essenzialmente frutto della lotta delle donne italiane, che hanno saputo fare passi da gigante nonostante le percentuali irrisorie di elette nelle istituzioni. Percentuali che oggi, sempre grazie alla lotta di tutte, sono significativamente aumentate: si tratterebbe ora di vedere segni concreti di questa massiccia presenza in un cambio vero di civiltà politica. Uno dei segni, per esempio, sarebbe quello di affidarsi alla competenza di chi da anni lavora in solitudine e senza risorse nel territorio della violenza sessista prima di varare un provvedimento su questi temi.

La lettera di Se Non Ora Quando Libere, infine, non fa menzione di altre due questioni significative:

la legge non fa riferimento a terapie alternative alla pena, ma parla unicamente di indicare agli ammoniti la possibilità di rivolgersi a centri che lavorano sulla violenza maschile. L’esperienza di anni  indica il fatto che il primo passo per un violento e/o sex offender è riconoscersi come tale: difficilissimo, quindi, che possa esservi un’adesione spontanea a un progetto di recupero. Diverso sarebbe se la terapia fosse alternativa alla pena, e quindi in qualche modo obbligatoria. Il desiderio di molte donne abusate si è espresso in questa direzione: vorrei che lui si curasse, non che andasse in galera. E in questo desiderio c’è molta sapienza -una logica, appunto, davvero riparativa e non semplicemente remunerativa- perché non se ne è tenuto conto?

Infine: a deporre a favore di un impianto sostanzialmente securitario c’è anche il fatto, di cui la lettera non fa menzione, che la legge, oltre che di donne si occupa di No Tavfurti di rame. Il che, insieme all’irresponsabilizzazione connessa all’irrevocabilità della querela, suggerisce  l’idea di una donna non soggetto della propria storia, ma in qualche modo oggetto -come il rame, come un’opera pubblica- da tutelare. Circostanza che ha autorizzato molte, e anche in Se Non Ora Quando, a parlare di un femminicidio simbolico.

Il problema non è la sicurezza femminile. Il problema è l’insicurezza (pericolosissima) maschile, che dal decreto scompare.

La questione è maschile.

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Ed ecco infine la replica di Se Non Ora Quando Factory: in Snoq, si precisa, non c’è un pensiero unico.

“Apprendiamo da una lettera alla vostra redazione quale sia la posizione delle “donne di Se non ora quando” sulla legge contro la violenza. Lo apprendiamo noi che facciamo parte di Se non ora quando. La lettera è stata firmata da un gruppo di donne che costituisce uno delle decine e decine di comitati Snoq sul territorio nazionale, il comitato “Se non ora quando–Libere”. Se non ora quando è un movimento molto ricco, attraversato da idee e visioni differenti. Da alcuni mesi non ha più un Comitato Promotore, quello che indisse la manifestazione del 13 Febbraio e indirizzò il percorso politico del movimento per circa due anni.

Il Comitato Promotore si è sciolto e diviso in due gruppi: “Se non ora quando–Libere” e” Se non ora quando-Factory”, e il movimento tutto si sta riorganizzando, con le sue molteplici realtà. Snoq, dunque, non ha più una voce unica con cui esprimersi. “Se non ora quando–Factory” è stato udito alla Camera a Settembre dove ha depositato un documento, firmato da 47 comitati territoriali di Snoq, in cui criticava con molte motivazioni il decreto legge. Ne rigettava l’impianto prevalentemente securitario e ne denunciava soprattutto l’insufficienza rispetto all’area della prevenzione della violenza, che tanto spazio occupa invece nella convenzione di Istanbul. La posizione espressa dalla maggioranza ha trovato discordi le donne di “Snoq–Libere”, autrici della lettera da voi pubblicata.

Noi crediamo di aver avuto, con le altre associazioni e parlamentari che hanno criticato il decreto, un ruolo importante nel promuovere la sua modifica. Pensiamo però che il risultato finale sia ancora lontano dall’impianto che dovrebbe avere una normativa sulla violenza efficace, che parta dalla prevenzione, dalla scuola e dall’educazione, che sostenga realmente i centri anti-violenza, e che soprattutto valorizzi la capacità di autodeterminazione delle donne, non che le individui come soggetti deboli da “mettere in sicurezza” per di più con la beffa di inserirle in un pacchetto dove si agisce, più nascostamente, su altre questioni come la Tav o i furti di rame.

Non pensiamo che questa nostra posizione sia una “visione antistituzionale, o radicalmente liberale secondo la quale le donne sono fuori o sopra o di fianco, ma comunque estranee alla legge e la loro libertà non ha nulla a che vedere con la polis”, come scrivono le donne di “Snoq-Libere”. Tutt’altro. Noi pensiamo e affermiamo con forza che le donne e i loro corpi non possano essere utilizzati per far passare misure che non hanno niente a che fare con le loro vite e con il loro essere nella polis. Non “donne fuori, sopra o di fianco” alle leggi, ma donne messe “sotto” la legge. È possibile accettare una legge omnibus come questa, e dire addirittura che contiene qualcosa di rivoluzionario? Cosa c’è di rivoluzionario nell’utilizzare le donne come eterne ospitanti di questioni che non le riguardano? Proprio nulla. Che cosa le mette fuori dalla polis se non questo tipo di operazione, dove il riconoscimento della loro libertà è parziale, se non di facciata?

Le leggi non hanno “cambiato la vita delle donne italiane”, come scrivono le donne di Snoq Libere. Le leggi hanno registrato e testimoniato le conquiste fatte dalle donne con fatica e grande determinazione. Fare il percorso inverso, partire dalla legge per cambiare la vita delle donne può essere pericoloso, può farci perdere di vista proprio quelle vite. E il fatto fondamentale che è dalle vite che bisogna partire per fare le leggi.

In una fase come questa, – in cui l’autodeterminazione delle donne è continuamente messa in discussione, in cui la legge 194, senza un’adeguata regolamentazione dell’obiezione di coscienza, finisce per lasciare sole le donne, invece che essere il baluardo di un loro diritto inalienabile – noi non sentivamo proprio il bisogno di una legge che proteggesse le donne, che le dipingesse come soggetti deboli dove la libertà viene al secondo posto, dopo la “tutela”“. 

Se non ora quando – Factory

 

Donne e Uomini, Politica Febbraio 11, 2011

L'ESERCITO DELLA SALVEZZA

Riproduco qui tre passaggi di un intervento di Lea Melandri sul settimanale “Gli Altri”. Altri strumenti per leggere questa complicata situazione.

La “spallata” a un potere diventato sempre più odioso ci si aspetta, o si spera, che arrivi dalla “rivolta delle donne”: da un femminismo di lunga data, sottratto improvvisamente al silenzio in cui si diceva fosse precipitato, e da generazioni più giovani svegliate dall’indifferenza, desiderose di trovarsi in tante a dire “basta” a tutti i pericoli che vedono incombere sul loro futuro. Non è la prima volta nella storia, e tanto meno nell’immaginario, che le donne sono viste al medesimo tempo come dannazione e salvezza, e sempre questi due connotati del femminile hanno a che fare con la sessualità: degrado ed elevazione morale. Che cosa poteva essere più esemplificativo, riguardo a questa duplice “natura” della donne, della contrapposizione che abbiamo visto comparire in alcuni appelli e dibattiti pubblici tra donne pronte a vendersi al potente di turno e altre attente invece alla cura e al sacrificio di sé per il bene di una famiglia, la riuscita di un lavoro, di una carriera? Come se non fossero entrambi ruoli imposti che hanno permesso all’uomo di riservare a sé il governo della cosa pubblica.

Non saranno solo il moralismo, e tanto meno la nostalgia di una “normalità” che le donne hanno smascherato da tempo, a  riempire il 13 febbraio le piazze. Ognuna andrà con tutti i motivi di indignazione che più o meno consapevolmente ha accumulato: dalla precarietà esistenziale e lavorativa al peso delle responsabilità famigliari, dalle discriminazioni nella sfera pubblica alla violenza di cui sono ancora vittime nel privato, dall’esaltazione dei loro corpi alla mortificazione della loro intelligenza. Ma purtroppo non saranno queste ragioni, maturate nelle più giovani dall’aver assorbito consapevolezze prodotte dalla storia e dalla cultura del femminismo a essere portate allo scoperto, fatte proprie e sostenute politicamente quanto meritano da una manifestazione che nasce essenzialmente all’insegna dell’antiberlusconismo e della “vergogna di essere italiani”, contrassegnata da un sussulto di “dignità” che gli uomini proiettano sull’immagine “offesa” della donna, rovesciando in modo vistoso una ferita che tocca specificamente il loro sesso, l’immaginario erotico, il potere, la cultura ancora largamente diffusa che si è tramandata per secoli.

C’è da augurarsi che, qualunque sia l’esito della manifestazione, non si spengano gli interrogativi che da qualche anno sono entrati nel dibattito pubblico, sia pure al seguito di vicende che hanno interessato i massimi poteri dello Stato: l’intreccio tra sessualità e politica, la modificazione profonda che hanno subìto i ruoli del maschile e del femminile e l’ombra duratura di identità precostituite, il rischio che in assenza di una riflessione degli uomini su se stessi le donne restino sempre l’oggetto di scontro o di mediazione su cui si è costruita la loro comunità storica.
In particolare, di quello che dice Lea, mi colpisce che con qualunque motivazione e obiettivo una andrà in piazza, quello che si vedrà sarà solo “la spallata a Berlusconi”.

Donne e Uomini, Politica Ottobre 27, 2010

BEATE LE ULTIME

milano, teatro puccini, lunedì sera: tutte donne meno uno

L’altra sera ho partecipato a un incontro milanese: Stefano Boeri, candidato alle primarie per l’elezione del sindaco, ha incontrato 200 cittadine (associazioni e singole) per mettersi in ascolto della loro ricchissima esperienza, ignorata dalla cosiddetta politica. Ora, lasciate perdere che fosse Boeri: avrebbe potuto essere uno qualunque tra i candidati. Voglio parlare delle donne di Milano, non di lui.

La serata è stata importante, interessante, emozionante. C’erano donne molto attive e rappresentative a Milano, dal sindacato a Microsoft, dalla direttora di Elle Danda Santini ad associazioni che lavorano sul tema della salute, da Lorella Zanardo (che ha inviato una lettera) a Lea Melandri, alle autrici dell’importantissimo “Immagina che il lavoro“. E poi imprenditrici, rappresentanti del Pd, mamme e nonne. Se ne sono andate tutte contente a mezzanotte, appena in tempo per l’ultimo metrò. Il teatro Puccini gremito, nonostante fosse lunedì sera, ci fosse un tempo infernale e nessun quotidiano avesse segnalato l’incontro.

Nessun quotidiano, peraltro, si è preso la briga di offrire un resoconto della serata. Come se a quelle che non c’erano non interessasse sapere com’è andata, di che cosa si è discusso, e quali proposte sono uscite (e ne sono uscite molte, sulla vita, sul lavoro, sulla rappresentanza: idee che ci riguardano tutte). Ogni giorno le cronache cittadine ci offrono resoconti puntuali sull’andamento di queste primarie, con particolare riferimento ai problemi e ai conflitti all’interno del centrosinistra. Su alcuni eventi, come ad esempio l’incontro tra Boeri e Dario Fo, abbiamo avuto circostanziati reportage. Ma di quello che hanno raccontato le cittadine non abbiamo saputo nulla.

Ho chiesto a Rosy Bindi (l’intervista la leggerete la prox settimana su Io donna) se a suo parere la mancanza di donne in politica sia percepita come un problema della democrazia. “Nemmeno per sogno” mi ha risposto. “Prendere coscienza di questo significa andare a toccare i fondamentali del potere, che è e resta maschile.  E’ una sicurezza che non può essere messa in discussione, perché sconvolgerebbe tutti gli equilibri”.

Per la politica, ma anche per i giornali, restiamo le ultime. Anche se nella vita di ogni giorno, nella società, siamo le prime. Quanto ci metteranno a capire?