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silvio berlusconi

Politica Luglio 10, 2015

Renzi al telefono con il generale Adinolfi: “Letta incapace, serve un ragionamento diverso. Berlusconi ci sta”.

Non dimenticherò facilmente il 13 febbraio 2014, giorno della decapitazione del premier Enrico Letta da parte della direzione Pd. In particolare, chissà perché, mi è rimasto impresso il lirico intervento di Anna Paola Concia, che citò addirittura la grande poetessa Emily Dickinson.

Solo qualche giorno prima Enrico Letta era stato in direzione a raccontare i suoi programmi di governo, offrendo in effetti un saggio di notevole debolezza. Ma nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stata questione di ore. In verità il neoeletto segretario del Pd Matteo Renzi aveva molta, moltissima fretta di diventare primo ministro: lui ha sempre molta, moltissima fretta per tutto. Eletto segretario a dicembre, a gennaio già manovrava freneticamente per giubilare Letta, “un incapace” da rimuovere grazie a un accordo con Silvio Berlusconi, “sensibile a fare un ragionamento diverso”. Il ragionamento diverso era la premiership Renzi. Delle molte cose antidemocratiche che abbiamo visto e continuiamo a vedere nel nostro Paese, questa mi sembra in assoluto la più antidemocratica. Uno che decide di fare il premier e manovra attivamente per diventarlo senza mai essere passato dal voto. 

Il piano è ben raccontato da una telefonata dell’11 gennaio del 2014 tra Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, intercettata dalla magistratura nel corso dell’inchiesta relativa alla CPL Concordia. L’intercettazione è diffusa oggi da Il Fatto Quotidiano. Renzi spiaga al generale Adinolfi di voler mandare Enrico Letta alla presidenza della Repubblica per toglierlo dal governo. Giorgio Napolitano è però contrario a questo progetto, perché dovrebbe dimettersi da capo dello Stato nel 2016, e non a inizio 2015 come riteneva di fare. Qui i passaggi salienti della telefonata.

Renzi: E sai, a questo punto, c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico. Però…
Adinolfi: È niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti.
Renzi: Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace.E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori…
Adinolfi: Secondo me il taglio del Presidente della Repubblica
Renzi : Lui sarebbe perfetto, gliel’ho anche detto ieri.
Adinolfi: E allora?
Renzi: L’unico problema è che … bisogna aspettare agosto del 2016. Quell’altro non c’arriva, capito? Me l’ha già detto
Renzi: E poi il numero uno anche se mollasse… poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso. Vediamo via, mi sembra complicata la vicenda.
Adinolfi : Matteo, intanto t’ho mandato una bellissima cravatta.
Renzi : Grazie.
Adinolfi: Sì sì, certo certo.
Renzi: Quell’altro 2015 vuole andar via e … Michele mi sa che bisogna fare quelli che… che la prendono nel culo personalmente… poi vediamo magari mettiamo qualcuno di questi ragazzi dentro nella squadra… a sminestrare un po’ di roba.

A fine telefonata Renzi anticipa come Berlusconi sia disponibile a fare un “ragionamento diverso”. Il patto del Nazareno verrà siglato pochi giorni dopo questa telefonata, accelerando la caduta di Enrico Letta.

Ma la vera notizia è un’altra. E cioè -mi sbaglio?- che anche di fronte a queste rivelazioni, probabilmente grande parte del Paese continuerà a fare spallucce e a ritenere sacrosanto o quanto meno accettabile che “per il bene dell’Italia” uno di fatto si autonomini Presidente del Consiglio dei Ministri, levando di mezzo “un incapace”, e perfezionando il tris dei governi non eletti (nemmeno Monti e Letta lo erano) con una manovra di spregiudicatezza superiore. Il quarto, se ce ne sarà uno, volendo potrebbe essere anche più spregiudicato. E forse solo allora potremo comprendere fino in fondo, se ancora non l’abbiamo capito, qual è il prezzo che si paga rinunciando all’esercizio delle prerogative democratiche.

 

Donne e Uomini, Politica, questione maschile, Senza categoria Febbraio 4, 2015

Berlusconi al Quirinale: cara Rosy, un papagno stavolta ci stava

Cara Rosy,

le lacrime di felicità per Mattarella sono state la conferma, se ce ne fosse stato bisogno, del tuo sconfinato amore per la politica. Ma c’è anche una politica del simbolico che talora conviene agire. Quando ieri nel salone delle feste del Quirinale un Berlusconi in grande spolvero, euforizzato dal rientro in società e da chissà quale farmaco di sostegno, ha ribadito la sua impresentabilità al limite della sociopatia, dando pacche sulle spalle a tutti e facendoti nuovamente oggetto della sua volgarità da bar-biliardo («Ho visto che ha versato lacrime di commozione per Mattarella. Non mi aspettavo da un uomo, pardon, da una donna, tante lacrime») in tante abbiamo sperato in una tua reazione femminilmente ferma: tipo un papagno che gli riaprisse la ferita dell’ “attentato” in piazza Duomo.

Il luogo e la circostanza solenne, vero, lo sconsigliavano. Ma uno sgambetto, una spugnata al bitume copri-chierica, una bicchierata sul fondotinta, un foglio appeso sulla schiena, tipo pesce d’aprile, con scritto: “Sono un povero rimbambito” tradotto anche in inglese (“I’m just a dotard”), insomma, qualcosa si poteva escogitare. Saremmo finite, Rosy -consentimi il plurale- in prima sul NYT. Avremmo girato definitivamente l’angolo.

Come vedi il nostro venditore di spazzole è incorreggibile: non c’è condanna, non c’è pena, emarginazione politica, servizi sociali, niente che possa ricondurlo a ragione. Dobbiamo tenercelo com’è,  un campione, o meglio una reliquia rinsecchita della questione maschile. Ed è stato un peccato che la festa di ieri sia stata rovinata da questo Jep Gambardella in pensione, con i suoi doppiopetti contenitivi e i suoi colpi di sonno: il patto del Nazareno è anche un problema estetico.

Sicché, come si dice dalle tue parti, ribadendoti la mia stima affettuosa, non mi resta che baloccarmi con l’idea che se -non volesse il Cielo- ti capitasse di incontrare nuovamente il vecchietto nei corridoi di Palazzo Madama o altri, tu possa servirgli fredda la pietanza che merita: forse non il papagno che ho sognato, ma l’inventiva e la sferza toscana sapranno senz’altro suggerirti un’equa soluzione.

Un abbraccio

 

 

italia, leadershit, Politica Marzo 18, 2014

Uomini soli al comando

Il Grande Capo è da rottamare: molte moderne teorie dell’organizzazione convengono su questo.

Il leader non è mai la soluzione dei problemi organizzativi. Semmai è il problema delle organizzazioni: ingombro e ingorgo alla fluidità dei processi, la cui efficacia invece chiede rete, network orizzontali, intelligenza che corre elettricamente da un ganglio all’altro come tra i neuroni di un’unico organismo.

Vi sarà capitato di imbattervi in questi discorsi -girano da qualche anno- che oggi però appaiono smentiti dai fatti. Quanto meno dai fatti della politica, che non smette di produrre protagonisti assoluti, leader incontrastati, uomini soli al comando. Berlusconi, Grillo, Renzi: il più delle rispettive “ditte” sono loro. Leader che non si privano del collettivo -i club, il web, le varie assise-, né rinunciano alla consultazione e alla postura dell’ascolto. Ma poi a sintesi ci vanno da soli, o accompagnati da pochissimi “intimi” selezionati con criteri extra-democratici o “magici”.

Ne parlo con Andrea Vitullo, consulente filosofico, docente ed executive coach. E autore di “Leadershit” : titolo sufficientemente chiaro.

“E’ come se ci fossero due modalità contrapposte” mi dice. “Mondi organizzativi evoluti, come quello dell’high-tech, dove l’eccesso di leaderhip è letto immediatamente come sintomo di cattiva salute e di scarse prospettive per un’azienda. E poi ci sono mondi come quello dell’organizzazione politica, dove si continua a fare riferimento ai vecchi parametri meramente quantitativi (il Pil, il 3 per cento e così via) che chiamano necessariamente la figura del salvatore-decisore. Nel suo ultimo saggio Thrive” (=prosperare, trarre profitto) Arianna Huffington, che è stata una donna di straordinario successo, delinea nuovi parametri per definire la realizzazione personale: successo non più come carriera, potere e soldi, ma come autentico benessere interiore, capacità di appassionarsi e di stupirsi, abbondanza di relazioni, propensione a dare. La nuova abbondanza è questo. Paradossalmente proprio questi cambiamenti profondi inducono una parte del mondo a tenere difensivamente duro sui vecchi paradigmi”.

Insomma, da che parte andiamo?

Aggiornamento 20 marzo ore 11: vedo che Nadia Urbinati ha scritto un libro proprio su questo tema: “Democrazia sfigurata. Il popolo tra opinione e verità” (Egea, € 29).

 

italia, media, Politica Novembre 28, 2013

I Berlusca che vanno. E quelli che restano

Dicevo stamattina a Coffee Break (la 7, vedi qui) che il non entusiasmo con cui gli antagonisti politici del signor B. hanno accolto la sua decadenza da senatore, dentro il Parlamento e anche nel mondo fuori, dove la notizia è stata salutata da una quasi-indifferenza popolare, somiglia alla flebile risposta di un organismo malato che non ha più nemmeno la forza di reagire con un bel febbrone da cavallo, per trascinarsi con una febbricola per mesi e mesi: sintomo piuttosto preoccupante.

La caduta del signor B. costituisce anche una caduta degli alibi per tutti: per il governo, che fuoriesce dalle larghe intese per trovare una nuova maggioranza (ben più solida, a dire di Letta, che forse lo sta dicendo a Matteo Renzi). Per il Pd, che non può più indicare nell’antiberlusconismo la sua contro-narrazione e deve trovarne una plausibile (io dico da sempre: il lavoro). Per tv e giornali -a parte quelli di casa B., dico- che faranno di tutto per tenere vivo e attivo l’oggetto mediatico in attesa di trovare qualcun altro o qualcos’altro che garantisca lo share.

La caduta del signor B. costringe anche a guardare -senza più scuse per distrarsi- la desolazione e le macerie che abbiamo intorno, di cui i governi B. sono in buona parte responsabili ma non certo in via esclusiva, e a farsi senza diversivi la domanda: e ora come usciamo di qui?

Il fatto è che tutti questi anni di B. sono stati anche gli anni del consolidamento di una classe dirigente -parlo della politica, dell’economia, delle aziende e del mondo del lavoro- assolutamente inadeguata al compito di guidare il Paese. Patiamo un plus di crisi che va attribuito a una cooptazione in base a criteri che costituiscono la summa dei nostri mali: familismo, raccomandazione, impreparazione, sprezzo del merito. Vale tanto a destra quanto a sinistra. Tutti questi B. restano, liberi di fare altri danni. Fare cadere questa classe dirigente più che mediocre e abbarbicata ai propri privilegi per assicurare un ricambio, per consolidare una situazione in cui il numero degli inetti e degli incapaci rientri in quota fisiologica, sarà perfino più lungo e difficile che far cadere B.

Intanto in caduta libera sono le nostre teste, la qualità della nostra vita, la nostra fiducia.

Quanto poi ai talk e media che non si rassegnano a perdere questa stella di prima grandezza, la strada potrebbe essere quella di recuperare umilmente la propria funzione di servizio pubblico. E invece di aggiornarci quotidianamente sulle imprese corsare del signor B., che darà fondo al suo populismo anti-governo, anti-fisco, anti-tutto, una caricatura del grillismo -ma con molti più soldi- che ci impegnerà in un’estenuante e infinita campagna elettorale; invece di dare conto di ogni fremito delle vibrisse di Alfano e di ogni pestata di piedi di Brunetta, ci accompagni nel faticoso e urgente lavoro di ricostruzione, dicendo “come si fa”, rialfabetizzandoci moralmente, politicamente ed economicamente, riducendo la portata della critica destruens per accompagnare una fase costruens che ha bisogno dell’impegno e della passione di tutti.

 

 

esperienze, italia, Politica Settembre 12, 2013

Prendere tempo, rubarci tempo

Nel nostro Paese stanco la perdita di tempo -i tempi biblici e ingiusti della giustizia, quelli spaventosi della burocrazia in ogni sua forma, il dottore perennemente fuori stanza, le ore passate con le musichette dei centralini degli uffici pubblici, e così via- è il terreno di coltura di ogni corruzione e di ogni malaffare. Quella perdita di tempo ruba il tempo delle nostre vite, spegne ogni slancio e ogni entusiasmo, annichilisce ogni volontà d’impresa, ci impedisce quel salto libero -la natura del nostro popolo è positiva e festante- che ci porterebbe fuori dall’emergenza continua.

Lo spettacolo del “prendere tempo” -il continuo rinvio del voto in Giunta per decidere sulla decadenza del condannato Berlusconi, quando a poche centinaia di chilometri di qui ci sono politici che si dimettono immediatamente per aver copiato la tesi- è del tutto conforme a questa logica, la consolida, e dà l’idea di qualcosa che sta nuovamente capitando ai nostri danni: di trattative per nulla chiare, di tavoli “sporchi”, ricatti, gattopardismi, do ut des, manfrine, tradimenti, veleni, porcherie, franchi tiratori, voltagabbana…

A qualcosa, questo prendere tempo, deve pur servire. Per i cittadini onesti e in buona fede è l’ennesimo furto di vita e di fiducia. Perché in questo tempo rubato si potrebbe fare molto per il tempo di tutti noi, per quello dei nostri figli, per il lavoro, per la casa, per la salute, per la scuola, per far rinascere un Paese.

La Storia, certo, è fatta anche di queste cose. Da noi, prevalentemente di queste cose. Ma la perdita di tempo della Giunta comporta un prezzo altissimo in termini di fiducia, rinvia sine die il giorno della ripartenza, obbliga tutti a uno stallo psicologico e morale che sfibra ogni certezza e ogni resilienza, provoca nausea esistenziale e politica, induce un ulteriore e generale allentamento dei freni inibitori, sdogana i comportamenti illeciti, deprime ogni buona volontà.

Questi due giorni, cinque, o quindici giorni di rinvio -il tempo come sappiamo è relativo- ci stanno facendo male come anni di stallo

Chi sta tirando il freno a mano si sta assumendo una grave responsabilità.

esperienze, Politica Agosto 2, 2013

#Sentenzamediaset: gli gnorri del Pd

Giusto due cose sulla #sentenzamediaset:

1. a stretto giro è giunto il breve comunicato* -non obbligatorio- del presidente Napolitano, che da un lato ribadisce il rispetto per la magistratura, ma dall’altro parla di riforma della giustizia. Come se si trattasse della prima emergenza che il governo (altro che cadere!) ha da affrontare: e perché? Come se dalla sentenza si deducesse come prima cosa che la giustizia ha da essere riformata. Un paio d’ore dopo, il videomessaggio in cui il condannato Berlusconi, dopo aver attaccato durissimamente la magistratura, annuncia che non mollerà, che resterà in campo, che rilancerà Forza Italia. E anche lui, come Napolitano, mette al primo posto in agenda la riforma della giustizia. Convergenze parallele.

2. giro un po’ di bacheche di deputati e senatori Pd e il silenzio è assordante. Fischiettando si parla d’altro, dal femminicidio all’anniversario della strage di Bologna, fanno tutti gli gnorri, a parte -al solito- Civati, Puppato e pochi altri. Stanno tutti lì muti e aggrappati disperatamente al seggiolino, terrorizzati dal fatto di dover trarre le conseguenze di ciò che è avvenuto e di dover lasciare “la Casa”. Parla solo chi, essendo dotato di personalità politica, avendo un progetto, essendo riconosciuto dai potenziali futuri elettori, sa che in caso di elezioni nella “Casa” avrebbe chance di rientrare. Tutti gli altri, ovvero i veterani che stavolta non potrebbero più godere di deroghe e dovrebbero salutare, i nominati -comprese mogli, cugini e famigli vari-, i miracolati delle Parlamentarie di Capodanno e i beneficiati dal Porcellum, che rischierebbero di tornare per sempre al lavoro e allo stipendio di prima, cercano di non farsi notare, in attesa che passi l’onda: vuoi che per caso qualcuno dei loro elettori gli chieda di esprimersi contro l’insostenibilità del governo a larghe intese? (ma no, se resistono è solo “per il bene del Paese”)

L’egoismo di Berlusconi è mostruoso, niente da dire. Ma va valutato anche il peso dei mille egoismi di quelli che mettono il loro minuscolo bene davanti a quello del Paese, e i problemi del loro bilancio davanti a quelli del bilancio dello Stato. Trattasi di fattore umano, mai del tutto eliminabile. La cui incidenza tuttavia è direttamente proporzionale alla mediocrità: insomma, se sei capitato lì semplicemente per un colpo di c..o, sarai disposto a tutto pur di perpetuarlo. Per questo, come si diceva ieri, la primissima cosa da fare, altro che riforma della giustizia, sarebbe l’abolizione del Porcellum. Il che almeno in linea teorica farebbe crescere la possibilità che lì ci vada gente di valore, e non, viceversa, gente che acquisisce valore solo per il fatto di essere fortunosamente capitata lì. La conventio dei mediocri ha una forza terribile.

* ecco il comunicato del Presidente Napolitano: “La strada maestra da seguire è sempre stata quella della fiducia e del rispetto verso la magistratura, che è chiamata a indagare e giudicare in piena autonomia e indipendenza alla luce di principi costituzionali e secondo le procedure di legge. In questa occasione attorno al processo in Cassazione per il caso Mediaset e all’attesa della sentenza, il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto l’on. Berlusconi. E penso che ciò sia stato positivo per tutti. Ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso. Per uscire dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi“.

 

 

economics, Politica, Senza categoria Agosto 1, 2013

Sentenza Berlusconi: l’attesa che non c’è

Se le tv  si eccitassero un po’ di più per quello che riguarda l’insieme dei loro palinsesti -in questa estate magra, con tanta gente in città, la televisione potrebbe offrire un servizio meno scadente di quello che offre- e un po’ di meno per la sentenza della Cassazione su Berlusconi, saprebbero anche rappresentare meglio l’umore del famoso Paese reale. Che della sentenza Berlusconi sostanzialmente se ne sbatte, all’insegna della diffusa e non del tutto infondata convinzione che “tanto non cambia nulla”.

In effetti potrebbe essere così: condannato o non condannato Berlusconi resterebbe il deus ex-machina che è, unico garante dell’esistenza di questo centrodestra che senza di lui evaporerebbe. Il vero problema politico ce l’ha il Pd, che al legno di questo “patibolo” potrebbe auto-crocifiggersi e perire. Ma cosa volete che importi di questo alla stragrande maggioranza del Paese, tutto preso ad arrabattarsi e a tentare di costruire qualcosa -eventualmente in nero- per non perdere il refolo della supposta “ripresina”, e non grazie alla politica, ma nonostante la politica?

Le troupe si eccitano davanti al Palazzaccio come di fronte al St Mary Hospital, in attesa del royal baby: un evento è pur sempre un evento. Stasera ci diranno in diretta. Ma quello che conta è che il governo del fare fa poco e fa male, e ben pochi si aspettano che faccia più di tanto.

Al prossimo giro politico, nel 2014 o nel 2015, sperando di disporre di una legge elettorale non antidemocratica, si dovrà fare in modo di mandare nelle istituzioni gente davvero valida e capace, e in spirito di servizio, altro che i miracolati delle Parlamentarie di Capodanno. L’esorcismo del merito resta il principale problema della nostra classe dirigente. Vale per la politica, ma non solo. Nella burocrazia (il decreto Letta sulle semplificazioni burocratiche consta di 93 commi articolati in sottocommi, punti e sottopunti) si annidano corruzione e familismo. La burocrazia è la vera nemica dei talenti, che nel nostro Paese, se Dio vuole, fioriscono spontanei come il sambuco. Nel piccolo, nel locale, il genio e le capacità hanno più chance.

Continuiamo a lottare e ad avere fiducia, radicati alla terra dei nostri contesti.

 

economics, Politica, Senza categoria Luglio 26, 2013

Sciopero fiscale, arma di lotta non-violenta

Il viceministro per l’Economia Stefano Fassina: ha parlato di “evasione per sopravvivenza”

 

No, non è vero che il viceministro Pd per l’Economia Stefano Fassina che parla di “evasione di sopravvivenza” è uguale al presidente del Consiglio Berlusconi che nel 2004 parlava di “evasione morale”. E per almeno due ragioni:

1. dal 2004 a oggi la pressione fiscale in Italia è ulteriormente aumentata fino a raggiungere un complessivo 54 per cento, primato assoluto fra i Paesi occidentali; negli Stati Uniti si paga il 27 per cento, e l’evasione è giustamente e durissimamente punita, in Europa la media si attesta intorno al 40 per cento.

2. il 2013 non è il 2004. Nel contesto di questa enorme crisi si pone un problema, appunto di “sopravvivenza” che allora non si poneva. Insomma, è come se ci fossero due evasioni: quella di chi lavora in nero, magari per procurarsi un secondo reddito (un sommerso che si valuta abbia generato nell’ultimo anno almeno 540 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 35 per cento del Pil ufficiale) e quella di chi falsifica i bilanci d’impresa e altro per arricchirsi.

Traggo da una nota Eurispes: “dal 2002 ad oggi la perdita del potere d’acquisto ha superato il 40 per cento deprimendo i consumi e minando la qualità della vita di milioni di famiglie. Le retribuzioni italiane sono tra le più basse d’Europa. Continuiamo ad essere pagati in lire anche se, da più di dieci anni, compriamo in euro. A ciò si aggiunge l’impressionante aumento del prezzo dei carburanti, arrivato alla soglia di due euro per litro. Solo poco più di un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare con serenità alla fine del mese. In molti negli ultimi anni si sono rivolti ai compro-oro per avere liquidità o sono caduti nelle mani dell’usura. E questo non vale solo per i privati cittadini, ma anche per molte piccole e medie imprese. L’evasione fiscale è un fenomeno duplice che riguarda sia chi intende in maniera fraudolenta arricchirsi quanto chi invece è costretto a compiere atti evasivi al solo fine di poter aumentare il proprio reddito disponibile e provvedere alle proprie necessità familiari. L’ evasione fiscale è figlia della pressione fiscale e della spesa pubblica improduttiva».

C’è anche, volendo, un problema di ingiustizia sostanziale (vedi qui): la grande parte degli introiti fiscali certi derivano da una minoranza di cittadini, i lavoratori dipendenti -sempre meno, e proprio a causa del loro costo fiscale- che pagano fino all’ultimo centesimo e ai quali ci si rivolge a colpo sicuro ogni volta che si rende “necessario” incrementare le entrate dello Stato. Esiste, quindi, una diseguaglianza in questo “diritto all’autodifesa”. D’altro canto le misure di lotta all’evasione sono assolutamente insufficienti, e la spesa pubblica non dà segno di diminuire efficacemente. Né del resto vi sono segni la volontà di importare a applicare chiavi in mano modelli fiscali già esistenti, più giusti e più efficaci.

L’evasione per sopravvivenza a cui fa riferimento Fassina somiglia almeno in parte a un disordinato e spontaneo sciopero fiscale. Varrebbe allora la pena di nominarlo e legittimarlo come tale, uscendo dall’ambiguità. Se in Europa, poniamo, la tassazione media si attesta al 40, si tratterebbe di autoridursi le imposte per la quota eccedente, pari al 14 per cento.

Del resto lo sciopero fiscale è una serissima arma di lotta non-violenta. La Rivoluzione Americana cominciò in questo modo. Il Mahatma Gandhi lo utilizzò come strumento nella lotta per l’indipendenza dell’India: “Rifiutarsi di pagare le tasse” disse “è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un governo”. Nel 1972 il senatore democratico americano Philip Hart diede il via a uno sciopero fiscale contro la guerra nel Vietnam.

A Susanna Camusso, che definisce le dichiarazioni di Fassina “un drammatico errore politico” (nientemeno!), faccio rispondere dal disubbidiente civile americano Henry David Thoreau: “Se mille uomini non pagassero quest’anno le tasse, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto lo sarebbe pagarle”. E’ strano doverlo dire alla segretaria della Cgil.

p.s.: quanto a Fassina, che non è il tema del post, il suo è stato un acting out non ideologico, che apprezzo.

 

 

Politica Luglio 10, 2013

Pd: giro di boa definitivo

la rissa tra pd e 5 stelle alla camera

La giornata di oggi in Parlamento segna un punto di non ritorno per il Pd (vedi qui dichiarazione di voto favorevole alla Camera, e vedi il segretario Epifani che approva vistosamente).

Molti parlamentari a quanto pare non l’hanno capito. Anche alcuni tra quelli* che si sono astenuti o sono usciti dall’aula per non prendere parte a un fatto oggettivamente eversivo -il blocco delle attività del Parlamento contro la Cassazione: non è questione di quanto, basta anche un solo minuto- dicono che la cosa non è stata compresa, che si è trattato di un trappolone, che l’intenzione non era quella, e così via.

Il senatore Luigi Zanda dice nientemeno di considerare “l’azione del Movimento 5 stelle di togliersi la giacca e la cravatta in aula (per protestare contro il voto favotrevole del Pd alla sospensione delle attività parlamentari, ndr, vedere qui) un gesto di disprezzo volgare del Parlamento“. Zanda sta dentro il reality assurdo di quella politica, è totalmente sconnesso dal mondo reale, non riesce a comprendere che semmai è il voto del Pd a costituire un gesto di enorme disprezzo nei confronti della democrazia, che si basa sull’indipendenza e sull’equilibrio tra poteri. Non ha neppure la vaga idea dell’impressione enorme che questa giornata del Pd ha prodotto sulla sua base sconsolata, scioccata, già duramente provata dai 101 traditori, dall’inciucione e da tutto il resto.

A quando una manifestazione Pd davanti a Palazzo di Giustizia?

In Parlamento, anche per il Pd, è entrata gente che non evidentemente ha nemmeno studiato quel po’ di educazione civica in seconda media, e che non si è resa conto di quello che ha fatto.

Pur di salvare il governo -in verità, pur di salvare il proprio seggiolino in Parlamento, almeno per il tempo che serve per maturare la pensione, che poi se si torna al voto tanti di rientrare se lo sognano- hanno messo in pericolo l’equilibrio democratico. Il che è molto peggio che “cedere al ricatto di Berlusconi”. Sarebbe addirittura il meno, car* amic*.

Ora, a quelli che stimo nel Pd -Civati, Puppato e pochi altri- non saprei onestamente che cosa consigliare:

se persistere nell’attaccamento a un partito ormai totalmente allo sbando, popolato di figuri improbabili -ignoranti passati grazie alle primarie burla, opportunisti che hanno avuto un grandioso colpo di c..o-, dilaniato dalle correnti, occupato quasi esclusivamente a decidere se stare con Renzi o se fargli la guerra.

Oppure se rompere clamorosamente, raccogliendo l’eredità di quel popolo democratico orfano e sbigottito da un partito che da oggi non può più nemmeno chiamarsi democratico, essendo che alla tenuta democratica ha oggettivamente attentato. Ed è un fatto spaventoso.

 

*Astenuti: Pippo Civati, Michela Marzano, Franco Cassano, Antonio Decaro, Marco Di Maio, Davide Mattiello, Luca Pastorino e altri.

Fuori dall’aula: Rosy Bindi, Sandra Zampa, Paolo Gandolfi e Paolo Gentiloni.

 

Donne e Uomini, esperienze, questione maschile Maggio 17, 2013

Ma che cos’è un “atto sessuale”?

 

L’altra sera in tv sento un pezzo del processo di Avetrana. Sabrina Misseri, condannata all’ergastolo per l’uccisione della cugina Sarah Scazzi, dichiara in aula che no, non ha avuto mai rapporti sessuali con il famoso Ivano. Ivano conferma: niente rapporti.

Semplicemente si sono denudati in macchina, e poi c’è stata una rapida penetrazione. Ma non un rapporto completo, no.

La “completezza” del rapporto, insomma, si sarebbe avuta solo in caso di eiaculazione.

Vedo che al processo contro Silvio Berlusconi, Ruby ha sostenuto di non aver mai assistito –né tanto meno partecipato- ad atti sessuali. Solo “balli sensuali”, ha detto.

Nicole Minetti vestita da suora che a un certo punto, mentre ballava, “si è tolta i vestiti ed è rimasta in biancheria intima”.

Marystelle Polanco che si travestì da “Obama e da Ilda Boccassini, con una parrucca rossa e con la toga”. Altre ragazze si vestivano “da infermierine sexy e da dottoresse”. Nella sala “del bunga bunga” c’era anche un “palo della lap-dance”.

Lei personalmente, Ruby, allora diciassettenne, a questi “balli sensuali” non ha mai partecipato: solo una volta, “un balletto di danza del ventre”, usando gli abiti regalati a Berlusconi da Gheddafi.

 

Ma che cos’è un atto sessuale, mi domando? Come si misura il tasso di sessualità? In centimetri di penetrazione? O è sessuale, come sembra pensare Sabrina Misseri, solo quando si conclude con l’eiaculazione?

Una carezza è sessuale o no? E un ballo allo scopo di eccitare? Un bacio sulle labbra è sessuale? O lo diventa solo se impegna la lingua? E basta un pezzettino di lingua, a renderlo sessuale, o la pomiciata deve essere profonda e prolungata?

 

Mi pare che la definizione comune di atto sessuale corrisponda a quello che gli uomini intendono quando dicono “me la sono fatta”. Se l’hai semplicemente palpata, non te la sei fatta. Se l’hai penetrata e sei arrivato all’orgasmo, allora sì. Per noi donne, in effetti, la faccenda è molto più complessa di una semplice scarica. Personalmente, non ho mai sperimentato niente di più terribilmente sessuale dello sfioramento di una mano da parte del ragazzo che mi piaceva quando avevo 12 anni.

Ma una minorenne che fa la danza del ventre a casa del Presidente del Consiglio sta facendo qualcosa di sessuale? E se no, che cosa sta facendo? E la situazione di un Presidente del Consiglio che gode dello spettacolo di una minorenne che fa la danza del ventre a casa sua, rientra nella categoria “sesso”, oppure cosa?