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umberto bossi

leadershit, Politica Aprile 13, 2012

Gli Onnipotenti

Com’è che questi continuano a parlare delle loro ruberie al telefono? mi sono chiesta, leggendo l’ennesima tornata di intercettazioni sulla Lega. Che le comunicazioni vengano intercettate lo si sa: mentre la crisi ci stava già mordendo i garretti, abbiamo passato un’annata buona di lavori parlamentari del tutto inconcludenti soltanto su questo.

Dico a un’amica: ma se io e te rubiamo, non è che ne parliamo al telefono. Ci vediamo da qualche parte per spartirci il bottino. Com’è che questi invece ne conversano amabilmente, come se niente fosse?

Delirio di onnipotenza.

Noi possiamo tutto, anche rubare, e farla franca, perfino se ci intercettano, perché noi siamo passati dall’altra parte, non siamo cittadini normali, siamo semidei, chi vuoi che ci tocchi? Per noi le leggi non valgono, per noi non ci sono sanzioni né punizioni, i magistrati semmai ce li compriamo, siamo ben messi anche con la ‘nrangheta, noi non ci dimetteremo mai e poi mai, che cosa possono farci questi cialtroni? E’ già tanto se dobbiamo sottoporci al loro voto. Ci ringrazino, e ci lascino lavorare.

Uno stato maniacale permanente, un delirio senza soluzione di continuità: Noi Possiamo Tutto. E fosse per i soldi, fosse per le ruberie, sarebbe il meno. Il più è che noi affidiamo i destini del Paese e le nostre vite a gente che ha perso totalmente il lume, ebbra di potere o di potericchi, completamente avulsa e sconnessa dalla realtà, assolutamente determinata a non fare più parte della cittadinanza ordinaria, disposta a qualunque cosa pur di difendere i propri privilegi.

E totalmente indisponibile a fare i conti con quella popolarità al 2 per cento che sta lì a dire una cosa sola: dovete andarvene tutti. Dovete mollare. Dovete sparire. Il rinnovamento deve essere radicale. Non vi vogliamo più nemmeno dipinti. Avete chiuso. Avete finito. Andatevene a casa.

Non ci credono. Non gli importa. Quel 2 per cento non li riguarda. Sono convinti che la faranno nuovamente franca. Si abbracciano, dopo essersi presi a scudisciate, ricondotti all’unità dal rischio di perdere tutto. Qualunque cosa, anche a letto con il nemico, consociativamente, contro il popolo furibondo e disilluso. E voi esultate, di fronte alla ritrovata unità! Altro che nuova legge elettorale, altro che preferenze. Decideranno loro, per essere sempre loro. Per un’altra legislatura. Poi staranno a vedere. E mica sto parlando solo della Lega.

Altro che Casta. E’ molto peggio.

Politica, TEMPI MODERNI Aprile 11, 2012

Craxi e Bossi: due P(a)esi, due misure

Vedo Umberto Bossi, chissà perché in giacca e cravatta, forse è solo per il freddo cane, acclamato a Bergamo, non lontano da Pontida, santificato dal martirio: non bastasse la malattia, anche le c…te dei figli (“Ho sbagliato a coinvolgerli, dovevo mandarli all’estero”), il tradimento del cerchio magico, l’insubordinazione della Rosi, che non ha nessuna intenzione di dimettersi.

La Lega torna a stringersi intorno al suo capo sempre più malconcio, contro il complotto di Roma, fino a qualche tempo fa “ladrona”, ma date le circostanze meglio cambiare epiteto. Non so se questo di Bergamo sia il popolo padano, ma qualunque cosa sia, non difetta di fedeltà.

Vedendo questo penso a un’altra storia di soldi rubati dalla politica, ormai un millennio fa. E alle amare considerazioni di Stefania Craxi: «Bettino Craxi, che ha portato l’Italia fra i Grandi della Terra, è stato trattato come un malfattore; Umberto Bossi, che l’Italia ha cercato di dividerla, ha tutta la comprensione politica e umana. Craxi, al quale non è stato addebitato un soldo per uso personale e familiare di denaro pubblico è stato definito un criminale matricolato; Bossi è l’eroe puro tradito dall’ingordigia del clan familiare“.

Due P(a)esi, due misure.

Politica, TEMPI MODERNI Agosto 20, 2011

Canotte in fuga (in piena notte)

Sia detto soprattutto per gli amici del Sud: questa minirivolta cadorina è un segno funesto per la Lega. Come avevamo scritto qui in occasione di Pontida, quella rischiava di essere davvero l’ultima fermata. Il web è pieno della rabbia dei leghisti: siete uguali agli altri, i solti magna-magna, e così via.

Il vecchio leone la spara grossissima: l’Italia è finita, facciamo la Padania. Ma il suo ruggito non impressiona più nessuno.

Gesù, dacci donne e uomini di buona volontà, capaci e responsabili, per governare il nostro povero e malconcio Paese. E’ una preghiera che recito ormai ogni mattina.

economics, lavoro, Politica Agosto 17, 2011

Rompere prima il salvadanaio

«Tremonti ha trovato un’idea sul Tfr per il raddoppio dello stipendio dei lavoratori» aveva detto Umberto Bossi all’indomani dell’approvazione della manovra. Poi ha chiarito: «Il Tfr in busta paga, prima che scompaia anche quello ». Conferma del ministro Roberto Calderoli: per «mettere liquidità nel sistema » circa il 7 per cento in più dello stipendio lordo.

Uno stipendio in più ogni anno. Una quattordicesima, per quelli che non ce l’hanno, o una quindicesima mensilità. Con l’auspicio che venga spesa in fretta, rimettendo quei soldi immediatamente in circolazione. Una specie di aumento di stipendio a nostre spese. Pochi, maledetti e subito. Al momento non è chiaro invece che cosa sarebbe del Tfr già accumulato.

Meglio averli già in tasca, quei soldi, che dover aspettare la pensione, soprattutto per chi è capace di amministrare i risparmi. Ma la logica è piuttosto discutibile: passa come un “regalo” del governo, mentre è solo l’autorizzazione a rompere prima il salvadanaio. Per spendere prima quello che c’è dentro.

Che cosa ve ne pare?

 

 

economics, Politica Luglio 5, 2011

Arlecchino Bossi e la Lega ad personam

Il problema del premier oggi, come quello di tutti i sultani, è di poter uscire di scena senza rimetterci soldi. La norma salva Fininvest è davvero incredibile nella sua sfacciataggine. Uno legge e rilegge e non ci crede. Gliel’ha fatta l’avvocato Ghedini, che in mancanza di leggi per salvare il suo assistito da quella che il figlio Piersilvio chiama “la mazzata”, ne ha confezionata una su misura, a pochi giorni dalla sentenza sul Lodo Mondadori, prevista per sabato, che potrebbe costringere Berlusconi a un esborso di 750 milioni a favore della Cir di De Benedetti.

Norma cucinata all’insaputa di Tremonti, leggo, che “ha tentato con ogni mezzo di opporsi”. Non con ogni mezzo. C’è un ottimo mezzo: le dimissioni. C’è un ottimo mezzo: minacciare di far cadere il governo. Questi mezzi non sono stati esperiti, a quanto pare.

Il comportamento della Lega è letteralmente suicidario. Titolo della commedia: Arlecchino Bossi e la Lega ad Personam. Se oggi  Bossi si presentasse a Pontida gli tirerebbero i pomodori. Lacrime e sangue per tutti, giusto una spuntatina minima alle spese per la politica, e questo regalone al Sior Paròn. La Lega sta facendo male i suoi conti. La Lega rischia un fine-corsa con ignominia. Soprattutto, si sta assumendo una gravissima responsabilità nei confronti, anzi contro il Paese. Padania compresa.

Politica Giugno 20, 2011

Tiren innanz

Potrebbe essere l’ultima volta di Bossi a Pontida, di sicuro. Non perché gli si auguri un male ingiusto -Dio protegga il vecchio guerriero!-ma perché se per stavolta il popolo leghista, che c’è e risponde vigorosamente all’appello, butta giù il boccone amaro della sfilza di promesse a breve e a medio termine, mettendo le briglie all’insofferenza, fingendo di credere che quello che non è avvenuto in anni capiterà in mesi, dando un po’ di tempo al capo perché trovi l’uscita navigando a vista, consolandosi con il sogno di Bobo Maroni premier, una prossima volta non ci sarà.

Tiren innanz, sapendo bene come lo sappiamo tutti, leghisti e non leghisti, che non ci sarà nessuna riforma costituzionale con dimezzamento dei parlamentari e Senato federale, garantita addirittura per il 3 luglio, che non ci sarà nessun ministero che fa gli scatoloni per spostarsi nella Villa Reale di Monza, il presidente Napolitano ha già tagliato corto-. E che le spese mostruose e inaccettabili della politica non saranno tagliate entro il 19 luglio, che il consiglio dei ministri -dove: a Roma o a Monza?- non darà il via libera alla riforma fiscale entro il 21 settembre, e così via.

Quello che forse ci sarà per la fine dell’estate sarà una Lega un po’ più pronta a tirare le somme che oggi non può ancora permettersi di tirare e a separare il suo destino da quello del premier Berlusconi senza farsi troppo male. E ci sarà un Paese ancora più malmesso.

A proposito: voi lettori del nord conoscete per caso qualcuno, leghista o non leghista, che vorrebbe quei tre ministeri al Nord? Perché io non ne ho mai incontrato uno…

Politica Giugno 16, 2011

Ultima fermata, Pontida

Non sono un’analista politica, lo sapete, nel senso di una di quelle/i che passano le giornate nei dintorni dei Palazzi, ma lo sono a modo mio: mi guardo intorno, frequento intensamente la politica prima, esperienza quasi conincidente con la vita quotidiana di tutti. E poi sono una ragazza del popolo, vivo con la mia gente, ne sento il polso, e tra la mia gente ci sono un sacco di leghisti.

E’ sotto gli occhi di tutti che Bossi abbia preso un enorme svarione con il suo sostegno sia pur riottoso alla sindaca Moratti, soprattutto nel credere di essere ancora così influente da far trangugiare ai suoi il boccone amaro. Parliamoci chiaro: qualche dubbio l’aveva, ma una scoppola come quella di Milano non l’aveva messa neanche lontanamente nel conto. E per un uomo come lui, scaltro e di dotato di straordinario fiuto, per il vecchio lupo che è, lo scacco è stato spaventoso.

Mi pare che a Pontida stia rischiando di ripetere lo stesso errore, stavolta a livello nazionale: ovvero ridare il suo sostegno al premier, sia pure sub conditione. Come a Milano. Le condizioni sono quelle che sappiamo: fisco, Libia, riforma elettorale, taglio dei costi della politica e altre.

Ma il suo popolo gli sta chiedendo altro, e lui lo sa bene. Il suo popolo gli sta chiedendo di smarcarsi da Berlusconi: è questa la precondizione per rinnovare la fiducia. Il suo popolo non crede più alle promesse. La domanda è chiara, secca e netta. E neanche implausibile. Il suo popolo non vuole andare a fondo insieme al premier, e sul fatto che Berlusconi sia alla fine nessuno ha più dubbi.

La Lega senza Berlusconi è una Lega debole, ma anche più forte. E’ una Lega a cui tocca ricominciare, ritrovare le motivazioni delle origini, ma corroborata da un’esperienza di governo. La strada è molto incerta, tortuosa, piena di ostacoli. Ma c’è solo questa.

Converrebbe imboccarla, e non rimandare più.

Donne e Uomini, esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Giugno 3, 2011

DA BERLUSCONES AD ARANCIONES

Quello che è capitato a Milano, spiegato soprattutto ai non-milanesi

Ok, Milano non è facile da capire. Ma bisogna proprio non capirla per niente se hai la faccia di presentarti alle 6 di pomeriggio di fronte a una piazza in festa, accaldata e arancione, per strillare “Abbiamo espugnato Milano”. “Espugnati questa m…a”, chiosa uno sotto il palco accanto a me. Qualcuno spieghi a Nichi Vendola –poi gliel’ha spiegato perfino Pisapia- che Milano non era una cittadella assediata.

Milano aveva scelto liberamente e con entusiasmo un’ipotesi politica, un modello, uno stile, un Cavaliere rampante figlio del suo grembo e intriso dei suoi umori, e aveva voluto anche la sua Cavalieressa, signora della migliore borghesia che migliore non ce n’è. Milan e Inter uniti nella lotta contro Roma statalista lontana mille miglia, i milanesi che si sentono più a casa a Columbus Circle o a Piccadilly Circus che a Via del Corso.

Milano tutta questa roba l’aveva fortemente voluta. E a un certo punto, con sobria determinazione, non l’ha voluta più. A farla breve, la storia è tutta qui.

La prima, forse la vera festa è stata la sera del 16 maggio, primo turno, al teatro Puccini, uno di quegli storici teatri milanesi scampato per un pelo alla riconversione in Zara o H&M, proprio in corso Buenos Aires, arteria commerciale tra le più importanti d’Europa. Lì si è visto che la gran parte dei sondaggisti dovrebbe cambiare mestiere. Contro ogni previsione –le più ottimistiche lo davano pari o un paio di posizioni sotto- l’avvocato Giuliano Pisapia aveva staccato di sette punti Letizia Moratti, sindaca uscente. Lì si è capito quasi tutto. E non tanto per l’ovvia folla di militanti che si accalcava festante nel teatro, nella galleria liberty d’ingresso e sul marciapiede antistante, e che esplodeva in ole a ogni nuova tornata di dati. Quello che stava capitando lo si capiva meglio da quelle auto strombazzanti, utilitarie e suv, professionisti con la ventiquattr’ore sul sedile di fianco, cravatta gioiosamente agitata fuori dal finestrino. Tecnicamente, esteticamente, berluscones. E lo spettacolo dei berluscones esultanti per lo schiaffo a Berlusconi diceva tutto quello che c’era da dire. Partite Iva, professionisti urbani, creativi, addetti finanziari che brindavano con un Ferrarino nei vagoni ristoranti delle Freccerosse di ritorno da Roma dopo aver appreso la notizia sul Blackberry e sull’iPhone, ecco quello che stava capitando.

Si può anche mettere in termini di moderati o non moderati, cattolici e terzopolisti, o addirittura destra e sinistra, ma quell’immagine lo spiega meglio di tutto.

Era così, del resto, che era cominciata, e così stava andando a finire. La borghesia e i ceti medi produttivi non ne potevano più e si agitavano da tempo in cerca di una soluzione. I profili dei 4 candidati alle primarie la dicevano lunga.

Giuliano Pisapia, il primo a scendere in campo, ibrido tra la politica e le professioni. Stefano Boeri, architetto blasonato ma figlio di gente fortissimamente engagé, Cini, nota designer, e Renato, comandante partigiano e grande medico sociale. Uno che la politica l’aveva fatto da ragazzo e poi, come tanti, l’aveva mollata tentando il travaso della passione civile nel mestiere. Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale, scaricato dal Pd e capace di una rivincita di un certo successo. Il fisico ambientalista Michele Sacerdoti. Nemmeno una donna, peccato, in questo quartetto chiamato in campo da un fermento microfisico. Leggi: la città non va, non è amministrata, è sporca, inquinata, incocainata, infelice, lavorare e produrre diventa sempre più difficile, la burocrazia è soffocante, continuiamo a perdere colpi rispetto alle altre grandi metropoli europee, non c’è strategia, non c’è visione, i giovani sono costretti a fuggire.

Tutta gente che conosce il mondo, che va in giornata a Parigi, a Londra, a Berlino e a Barcellona –ma basterebbe anche Torino- poi torna la sera e mentre fa la fila di un chilometro ai tassì dell’aeroporto rimugina: “Perché loro sì e noi no?”. Come mai, per dirne una, questa città produce ed esporta bellezza nel mondo e non riesce a trattenerne neanche un po’? Perché i nostri bei palazzi ottocenteschi e Liberty deturpati da orribili recuperi di sottotetti geometra-style? Perché siamo costretti a scappare il venerdì sera a far respirare i bambini, sempre malati di bronchi? Decine di migliaia di macchine –provate a prendere la Milano laghi alle sette e mezzo del mattino-, una fiumana sgasante in ingresso con un solo passeggero a bordo non essendoci altro modo di venire a lavorare in città. Perché tanti luoghi cittadini, piazza XXV Aprile, porta di Brera, e la Darsena, sventrati da anni per farne parcheggi attira-auto? Perché tanta gente nata qui, soprattutto ragazzi e giovani coppie, costretta a sfollare nell’hinterland causa caro-affitti, con tutte le case vuote che ci sono? Perché la cultura muore? Perché le nostre scuole civiche, orgoglio municipale, sono state chiuse?

Se poi mentre sei lì e il tassì non arriva –essendo che la sindaca non smolla altre licenze per non irritare la lobby dei tassisti- ti torna in mente che per tutta la giornata hai dovuto dare spiegazioni sul bunga-bunga e sulle cazzate internazionali del premier ai tuoi colleghi parigini o berlinesi, se hai parlato a un convegno, come per esempio è capitato a me all’università di Barcellona, e per buona parte del tempo ti è toccato assicurare che le italiane non sono affatto tutte troie, che non tutte le ragazze vogliono diventare veline e favorite del sultano, che un conto è la rappresentazione che delle donne viene data da quella stramaledetta tv, un altro è la realtà, be’ non è difficile capire che il pieno è fatto.

C’è molto da dire sulla parte che le donne hanno avuto in questa storia. Ma prima voglio dire questo: com’è che Berlusconi e Bossi non hanno capito? Allora è proprio vero che quando uno da Milano va a Roma perde la trebisonda e si sconnette. Com’è che hanno perso totalmente il polso della città, e non hanno percepito che Moratti era una candidata non debole ma debolissima, detestata dalla Lega e anche da molta parte del Pdl, e che il malcontento montava in modo irresistibile ed esponenziale?

A un certo punto molti si erano fatti l’idea che al suo posto sarebbe stato candidato Roberto Maroni, tanto per dirne uno. Lo stupore è stato grande quando invece si è capito che la scelta sarebbe caduta nuovamente su di lei. Spiegano che non si poteva dire di no ai Moratti, con particolare riferimento al dovizioso supporto di Gianmarco alla candidatura della moglie. Una marea di milioni bruciati come in una tremenda sessione di borsa: anche questo ha infastidito, in un momento di sobrietà obbligatoria, ha ricordato le consulenze d’oro elargite dalla sindaca a personaggi improbabili e contestate dalla Corte dei Conti. Ecco: prendete tutto questo e shakeratelo con quella che in tutta tranquillità si potrebbe definire “questione morale”, le vicende di Arcore, la nipote di Mubarak, mesi di sconcezze e di balle spaziali che hanno paralizzato il dibattito politico e l’azione di un governo già in sé poco attivo. Una città poco propensa all’esibizione che si ritrova al centro di un megagossip internazionale con centinaia di troupe televisive piazzate in permanenza fuori da Palazzo di Giustizia. Prendete tutto questo, e il design della sconfitta si profila chiaramente.

Come hanno fatto Berlusconi e Bossi a dimenticare che la gente di questa città è sobria e misurata, capace di apprezzare l’estro e perfino una certa follia cabarettistica ma poco incline alle ostentazioni, gente che esce volentieri dalle righe ma ci rientra rapidamente: alle otto del 31 maggio, dopo una notte di festa, eravamo tutti calvinisticamente a laurà. Gente che ha in orrore la volgarità, capace di ingoiare molti rospi, come una moglie saggia e paziente che però a un certo punto ti presenta il conto e allora, come si dice qui, non ce n’è più per nessuno. Come hanno fatto a non sentire questo ardente desiderio di tornare a un minimo buon senso, ai fondamentali dell’esistenza: famiglia, lavoro, casa, salute, back to the basic, altro che tv, escort e Lele Mora. Ornella Vanoni per Letizia raccatta 38 voti, leggi: è meglio che canti, qui serve gente seria. Ascoltare Radio Padania avrebbe aiutato –detto tra parentesi, il Trota Bossi consigliere regionale non è stato mai mandato giù-. Ma bastava annusare nell’aria.

Incontro la sindaca per un dibattito tv poco prima del ballottaggio. E’ elegante, composta, spaesata. Sembra crederci ancora. Maschera perfettamente i suoi sentimenti. Dalla sua bocca escono cose inaudite: i campi rom “azzerati”, genere soluzione finale, gli zingari “liberi” in città –dovremmo imprigionarli?-, la moschea che va garantita da una specie di concordato con “uno stato islamico” –quale? l’Iran?-. Un’insipienza e un estremismo verbale che stonano con le fibbie argento delle sue Roger Vivier e che provocano la reazione della Chiesa ambrosiana e dei volontari dell’accoglienza.

Malgré moi l’empatia scatta, non posso farci niente: è una donna, sta sbagliando tutto, e l’hanno scaricata. Le telefonano che pure Gigi D’Alessio ha dato forfait e non canterà al concertone di chiusura campagna. Lei non si scompone. Sembra sedata. Vuole parlare di donne, mi dice. E’ stato uno dei suoi più colossali errori: una sola donna in giunta, Mariolina Moioli, pochissime ingaggiate per Expo –il Bureau parigino è costretto a richiamarla- nessun legame con la vitalissima e sempre più forte società femminile milanese. Signore che, tra le altre cose, hanno anche i dané.

Moratti è una di quelle donne a cui non piace affatto esserlo: si vede dalle sue tristi longuette, dal fatto che si sente potente e libera non perché è una donna, ma nonostante questo. Appare a tutte come un infelice ostaggio dei poteri forti e degli uomini. Promette meraviglie, adesso. Vuole imbarcare un bel po’ di compagne d’avventura, forse ha capito davvero. Troppo tardi. La sua lontananza dalle donne e dal loro linguaggio è il nucleo ghiacciato della sua algidity.

Di Michael Bloomberg, sindaco di NYC e 17mo nella classifica Forbes degli uomini più ricchi del mondo, si favoleggia che ogni mattina prenda il metrò dalla sua casa nell’Upper East Side fino al municipio per non perdere il polso della città. Forse è una balla, ma il metodo è buono.

Se Mrs Auto Blu Moratti l’avesse preso più di quella decina di volte in 5 anni, se non fosse andata in periferia come una sussiegosa signora che va far visita alla cameriera, avrebbe scoperto tra l’altro: a) che quella che per lei è la periferia per definizione, via Padova, da mortificare con i coprifuochi, sta a 3 fermate dal Quadrilatero; b) che gli “stranieri” magari mangiano un po’ troppo aglio, ma sono portatori di quella grande risorsa detta desiderio che secondo Giuseppe De Rita è proprio ciò che manca al Paese; c) che un’ordinaria mamma con passeggino, in mancanza di comunissimi scivoli, non può prendere il metrò e deve per forza muoversi in macchina: ne ho aiutata una giusto l’altro giorno, “tu tira su il carrozzino da dietro che io te lo sollevo davanti”.

Il 13 febbraio femminista Letizia Moratti l’ha proprio ignorato. Ora, una poteva essere d’accordo o non d’accordo, ma tutte quelle donne furibonde sono le tue cittadine, tu devi ascoltarle, metterti in qualche relazione con loro, parlarci. Quel moto di dignidad, sentimento sia pure ambiguo che sta traversando l’Europa, onda lunga delle rivolte che hanno scosso il Mediterraneo sud e che arriva indebolita a lambire le coste nord, nel nostro paese si è espresso anzitutto in queste piazze di donne, esacerbate dal machismo della politica italiana in generale, e da quello del premier Berlusconi in particolare.

L’avrai gradito o no, ma non puoi non tenerne conto. Molti milanesi, anche maschi, dicono di aver trovato in quel 13 febbraio la motivazione, l’energia e il mood che hanno alimentato il ribaltone del 30 maggio. Quel che è certo, non si poteva fingere che non fosse capitato. Non ci si poteva crogiolare nell’illusione dell’invincibilità. Non si poteva continuare a trattare le donne come minori da blandire.

In piena campagna, quando la debacle è ancora lontana, lo staff della sindaca mette in piedi una cena per mille donne all’hotel Marriott, impiegate e commesse precettate ed eccitate dall’invito al seratone vip: sembra quasi di essere in tv. Telefonata regolamentare del premier barzellettiere a metà cena, il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani che torna sul topos delle belle tope di destra, altro che le cesse di sinistra, reiterato poche ore dopo dal ministro Ignazio La Russa. Letizia Moratti non fa un plissé e mimimizza: “Battute”. Che però nel living del suo superattico non sarebbero certamente ammesse. E’ campagna elettorale anche questa: se sei veramente gnocca stai per forza a destra. E invece le donne, le gnocche e le meno gnocche, hanno portato il loro peso a sinistra. Decisive nella vittoria di Pisapia, attivissime nella campagna per le primarie e per l’elezione del sindaco, pazienti e determinate nel contrattare e strappare quel 50/50 che tutte le nuove giunte del centrosinistra hanno garantito, rebound inevitabile della politica supermacha –qualcuno davvero credeva che si sarebbe potuto continuare così?- e delle amichette piazzate nelle istituzioni rappresentative.

Ma la debacle assoluta è tra i giovani: tra i 18 e i 24 è un plebiscito per Pisapia. Guardatevi online l’incredibile show di una premiazione sportiva all’Arena, pochi giorni prima del voto. Ragazzini delle medie, 12-13 anni, che spontaneamente, come se fosse scontato, il massimo dell’up to date, di fronte alla sindaca cominciano a scandire “Pi-sa-pia! Pi-sa-pia!”. I prof imbarazzatissimi e il sorriso pietrificato di Moratti. La stanno condannando a morte. Le stanno dicendo: tu e i tuoi e la vostra tv siete il vecchio, roba da buttare, non siete smart, non capite niente. Pisapia probabilmente non l’hanno mai visto, ma è un dettaglio. Il fatto non è che lui vinca, ma che la Moratti perda. L’analisi del voto conferma: per la sindaca votano i più vecchi e i meno scolarizzati. La cosa vibra nell’aria, le antenne dei ragazzini captano e restituiscono.

I giovani hanno anche lavorato sodo per la vittoria del centrosinistra. Come per Zedda a Cagliari e per De Magistris a Napoli, anche per lo staff di Pisapia si è trattato di un contributo decisivo. Hanno lavorato gratis, portando in dote tutto il loro know how di nativi digitali –senza la rete questa svolta sarebbe stata impensabile-, la loro velocità, i flash mob, la naturalezza nel fare squadra: l’individuo per loro non esiste, la rete non è solo il medium, è il messaggio. L’altro pezzo della dote è stato la non-violenza, il non-odio. Questa dei figli dei baby boomer è una generazione innocente e quieta, che ha avuto la fortuna di non conoscere il male. L’etica e l’estetica resistenziale, che hanno nutrito l’immaginario militante della nostra generazione, si è esaurito. Noi occhiuti, sempre all’erta, alla ricerca di nemici, e questi che non lottano neanche contro i loro genitori. Non capivamo che cosa fossero, e qui si è visto: post-antagonismo, non-violenza, non-individualismo e rete, è questo a comporre la cifra. Oltre a un forte europeismo. Risposte virali e interstiziali, il nuovo che prende forma in micro-pratiche quotidiane, infinitesime, reticolari, subliminali. Un linguaggio più femminile che maschile. Yin, si potrebbe dire. E finché lo dico io, niente di nuovo. Fa tutt’altro effetto se a dirlo è Piero Bassetti: classe 1928, imprenditore, ex-olimpionico (staffetta 4X100) ed ex-politico Dc, primo governatore della Regione Lombardia, fondatore di quel Gruppo 51 (per cento) che nella contesa elettorale ha rappresentato il supporto a Pisapia da parte della cosiddetta “borghesia illuminata” milanese, e che oggi rivendica un ruolo decisivo in questa svolta. “La forza di Pisapia è una forza yin”.

Ecco. Se non si capisce tutto questo, non si capisce che cosa sta capitando a Milano.

Politica Gennaio 22, 2011

HABEMUS JULIUM

Silvio Berlusconi ha preso una gran brutta botta dal Vaticano -e non è ancora finita…- e nemmeno Gianni Letta riesce più a trovare le necessarie mediazioni. Il premier deve aver accusato il duro colpo, tant’è che ieri non si è fatto vedere ai funerali di Luca Sanna, l’alpino ucciso in Afghanistan. e non si è prodotto in alcun acting out significativo.

Parallelamente salgono molto le quotazioni di Giulio Tremonti, che papa Ratzinger chiama “il professor Tremonti”, non nascondendo il suo apprezzamento e la sua stima. Forse allude a questo Umberto Bossi quando consiglia a Berlusconi di “riposarsi un po’, che ci pensiamo noi”?

Intanto il professor Tremonti è stato parte attiva alla presentazione di un libro che raccoglie un discorso sull’economia di Enrico Berliguer, “La via dell’austerità”, insieme alla figlia Bianca, a Emanuele Macaluso, Nicola Zingaretti, Bobo Craxi, Gianni De Michelis. Ha elogiato la lungimiranza del grande leader comunista e ha citato il celebre discorso di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole. Qualcuno ha intravisto nella circostanza prove di governissimo.

Giulio Tremonti perciò apprezzato a destra e a manca, gradito al Vaticano, e sempre più in alto nei sondaggi sulla popolarità. Tutto sta a convincere Silvio Berlusconi ad “andare a riposarsi”. Non un po’, ma definitivamente. Magari ad Antigua.

Forse dandogli le necessarie garanzie… Forse garantendogli un’uscita “onorevole”…

Politica Novembre 11, 2010

VADO E TORNO

“Berlusconi potrebbe lasciare se ha la garanzia di un reincarico”, dice Bossi.

Non vuole rischiare, mentre sale al Colle, che qualcuno gli occupi la cadrega.

Il problema è lui, ma vuole risolverlo lui.

Pazzesco. Ma si rendono conto di quello che dicono?