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POLITICA

Politica Gennaio 8, 2011

NEOQUALUNQUEMENTE

Spulciando nel blog in questi giorni ho constatato che i post dove ho parlato di politica -quella politica, dico, quella che comunemente viene intesa come politica- e quelli illustrati con la faccia di un politico sono stati in assoluto i meno commentati e condivisi. Ti basta vedere la faccia di Berlusconi, o Bossi o Fini -con una singolare eccezione per Rosy Bindi- e molli il colpo. Lo constatavo anche su di me, ieri sera, guardando Sky Tg24. Che a suo tempo ho elogiato, ma che ora comincia a essere infarcito di panini politici, di commenti -ieri sera, per esempio, una noiosissima Bonino che ha parlato per una decina di minuti-, di gossip da palazzo. Mi è venuta voglia di spegnere.

Vediamo quella gente e fuggiamo. Lo faccio anch’io. Devo fare uno sforzo per non saltare a pie’ pari le prime 10 pagine dei quotidiani. Fino a qualche tempo fa ero sostanzialmente pacificata, su questo. Oggi molto meno. Troppe cose non vanno. Troppe risorse -soldi pubblici, tempo- vengono sprecate. Il gap tra la fatica che tutti facciamo ogni giorno e quello spreco è assolutamente insopportabile.

E allora mi domando come si può fare. Come si può parlarne “senza parlarne”. Come si può riaccendere l’interesse e la partecipazione. O se è meglio lasciar neoqualunquisticamente andare. Non so. Sono in questo dubbio, stamattina.

Corpo-anima, esperienze, Politica, Senza categoria Dicembre 18, 2010

BELLEZZA POLITICA

Una volta il vestito bello, quello della domenica, lo chiamavano “buono”. Al Sud usa ancora, penso a certe botteghe napoletane odorose di stoffa, i sarti con il metro al collo e il gessetto blu. Ma “bello”, viceversa, può valere per “buono”, e “brutto” per “cattivo”. Il salumiere sta impacchettando il mio mesto formaggio dietetico, e la signora che fa spesa accanto a me mi esprime la sua solidarietà: “Quant’è brutto, il quartirolo…”.

Credo che si tratti di quel che resta del greco kalòs kai agathòs– le parole sono siti archeologici-: il bello che è anche buono. Ce l’hanno spiegato al ginnasio, ma noi non l’abbiamo mai davvero capito: insieme alla parola abbiamo smarrito anche il senso di questa gloriosa unità, il fatto che il bello, platonicamente, è l’aspetto visibile del bene. Una lettrice mi ha scritto che anche nella lingua navajo c’è una parola, “hozo” che indica un insieme inestricabile di salute, bellezza, bontà, armonia, felicità.

Bello e buono li abbiamo brutalmente allontanati. Ma l’uno senza l’altra fanno fatica a vivere. Guardiamo la bellezza con sospetto, invece di accettarne il mistero salvifico. Quando vedo certe feste “popolari” all’insegna della salamella, della sciatteria e dei banchi cinesi, mi pare un vero delitto politico: ai ricchi il bello, nella forma ambigua del lusso, e ai poveri il triste essenziale del pane senza rose. Le afghane sotto il burqa si coloravano le guance, e durante il regime talebano rischiavano la pelle per una messa in piega nei salon clandestini. Questo per dire di che cosa stiamo parlando.

A Milano, non lontano dalla celeberrima e festosissima via Padova, su iniziativa dell’editore Terre di Mezzo ha preso avvio un laboratorio di scrittura creativa per bambini ispirata ai “Fighting words” di San Francisco, e a quelli di Dublino animati da Roddy Doyle. Non è certo che ne usciranno grandi scrittori. Ma la bellezza delle parole, questo è sicuro, salverà molti ragazzi specie stranieri dalla tentazione di rassegnarsi al degrado.

Fare belle le nostre città basterebbe e avanzerebbe come grandioso programma politico. In un paese come il nostro, poi, in cui la bellezza è sempre stata “rinascimentale”, ci ha sempre rimesso al mondo. “Voi italiani dite sempre ‘Bello!’” ha osservato una volta il buffo Jean Paul Gaultier. Da tempo lo stiamo dicendo troppo poco, io credo. Forse per questo siamo nei guai. E allora, “Bel” Natale a tutti.
pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 18 dicembre 2010

Politica Maggio 29, 2010

MILANO MUTANTE

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Stavolta mi tocca parlare di Milano. Mi scusino lettrici e lettori “foresti”, e del resto le cose politiche che capitano qui, nel bene e nel male, finiscono in genere per colare giù lungo lo stivale.
Da tempo qui si sente fibrillare qualcosa che va oltre l’incazzatura e il lamento. E quando questo qualcosa arriva a prendere forma (esempio, il Manifesto per Milano che avete recentemente letto sul “Corriere”, gruppi Facebook come Partecipami, iniziative in compresenza o online, discussioni su eventuali liste civiche, ecc.), quello che si rivela è immancabilmente un cambio di pelle, una mutazione genetica. La visione di una polis che si amministra a prescindere dai partiti, mediatori politici ormai ampiamente demitizzati, intesi come una pesante e inutile zavorra al piede di una città determinata a camminare e a crescere.
L’idea di rinunciare alla forma-partito si è già espressa storicamente in svariati tentativi, in verità quasi sempre finiti male: i Verdi,
anzitutto, che la resa al modello preconfezionato l’hanno pagata con la vita. L’idea era buona, gli uomini meno. L’esperimento dei 40xVenezia, social forum sulla città, attivissima rete civica in relazione complessa con partiti e istituzioni (collegatevi, se volete saperne di più), segna un ulteriore passo evolutivo.
A Milano ci si potrebbe spingere all’anello successivo, investendo direttamente energie e aspettative politiche su associazioni, su luoghi del fare e del pensare, a scapito di quei gusci vuoti che amministrano e distribuiscono potere. Districando la politica dal potere, per quello che si può.
Ora mi darete della femminista, e del resto se questa rubrica si chiama Maschilefemminile una ragione ci sarà. Ma a corollario aggiungerei questo: che l’idea di fare a meno dei partiti suona meno sconvolgente per le donne che per gli uomini, visto che i partiti non li hanno inventati loro. Più difficilmente le donne pongono le questioni in termini di schieramenti. E come si sa ad abitare i partiti non sono loro, da sempre più propense ai luoghi del pensare e del fare di cui sopra. “Mutanti” naturali, che dovrebbero stare alla testa del cambiamento spasimato.
Diversamente, sarà solo l’ennesimo minuetto dei nostri seducenti gattopardi.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 29 maggio 2010

Politica, TEMPI MODERNI Febbraio 23, 2010

APOKALYPTO

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Sul Corriere di oggi Aldo Cazzullo intervista Giuseppe Pisanu, capo della segreteria politica di Moro, ministro dell’Interno, oggi presidente dell’Antimafia. Pisanu parla di corruzione, esprimendo gravissima preoccupazione.

Una nuova Tangentopoli?” dice. “L’Italia del 2010 come quella del 1992? No. Per certi versi, siamo oltre. Allora crollò il sistema del finanziamento dei partiti. Oggi è la coesione sociale, è la stessa unità nazionale a essere in discussione, al punto da venire apertamente negata, anche da forze di governo. Si chiude l’orizzonte dell’interesse generale e si aprono le cateratte dell’interesse privato, dell’arricchimento personale, della corruzione dilagante».

«Sono giorni che vado maturando queste parole. Esitavo a dirle, perché mi parevano eccessive. Apocalittiche. Poi mi sono ricordato che in Giovanni il linguaggio apocalittico è l’altra forma del linguaggio profetico. Quindi non credo di esagerare se dico che è il Paese a essere corrotto. C’è la corruzione endemica, denunciata dalla Corte dei Conti; e c’è quella più strutturata e sfuggente delle grandi organizzazioni criminali, tra le più potenti al mondo. In ordine d’importanza: ’ndrangheta, Cosa Nostra, camorra… Il Paese rischia di piegarsi sotto il peso dell’illegalità. Non sarei così preoccupato se fossi sicuro della tenuta della società civile e dello stesso patto costituzionale».

Che cosa si deve fare? «Si ponga mano subito alle proposte anticorruzione di Berlusconi” dice Pisanu. “Al riordino della pubblica amministrazione. Al taglio dei rapporti incestuosi tra economia e politica. Al regolamento antimafia per la formazione delle liste… Ma, posto che queste cose si facciano, non basteranno. Secondo me, si dovrà agire più in profondità: nelle viscere della “nazione difficile”, dove il patto unitario e il contratto sociale debbono essere rinnovati ogni giorno come il famoso plebiscito di Renan. Il problema è innanzitutto politico, e non possiamo certo risolverlo con il bipolarismo selvaggio, con lo scontro sistematico tra maggioranza e opposizione che ha trasformato questo primo scorcio di legislatura in una snervante campagna elettorale. Serve invece il confronto delle idee, serve la competizione democratica, in cui vince chi indica le soluzioni migliori ai problemi che abbiamo davanti».

Sostiene Pisanu che «è necessario un profondo rinnovamento del ceto politico. A condizione che lo si realizzi con strumenti neutrali: non sia la magistratura ma la politica a guidare il processo, o meglio siano gli elettori, grazie a una nuova legge elettorale che consenta ampia libertà di scelta. Il ricambio ci potrà salvare se servirà davvero a migliorare la qualità della classe politica».

Dicevamo nei post precedenti che la corruzione oggi è microfisica, capillare, pervasiva, ordinaria. Che il “Paese normale” è questo. Non so voi, ma io sento ormai un sacco di gente dire che “l’unica è votare un poliziotto”, riferendosi ad Antonio Di Pietro. Pisanu fa le sue proposte. Provate qui a fare le vostre.

corruzione

Politica Febbraio 22, 2010

MILANO-SANREMO

palazzo marino, milano

palazzo marino, milano

Pensavo stamattina, considerando malinconicamente la possibilità di uno scandalo Sanremo -il Codacons ha chiesto la sospensione dei risultati e un’indagine della Guardia di Finanza sul televoto– che gran parte delle novità politiche di questo paese sono nate a Milano. Il nuovo politico, nel bene e nel male, nasce spesso qui e poi cola giù giù lungo lo stivale. Da cui si può ipotizzare che anche stavolta le cose potrebbero andare così. Qualcosa che capiterà politicamente a Milano e potrebbe mutare lo scenario, mettendo al mondo un embrione di opposizione, cosa di cui oggi il paese sostanzialemente manca (e non è certo un bene per la nostra vecchia democrazia). La prima occasione potrebbero essere le prossime elezioni comunali (per le regionali i giochi ormai sono fatti).

Forse un terzo polo moderato ma non troppo, com’è nell’anima di questa città. Erede del riformismo socialista ma non solo. Con molte donne, molto ambiente, molta vita dentro. Boh, pensavo.

Donne e Uomini, Politica Febbraio 18, 2010

DONNE DI LOTTA E DI GOVERNO

mara carfagna, ministra per le pari opportunità

mara carfagna, ministra per le pari opportunità


Confidavo proprio qualche giorno fa alle amiche di Via Dogana che ho un’amica di destra, ma proprio di destra-destra: Legionari di Cristo, Dio-patria-famiglia con il Cavaliere in appendice, che lei chiama sensualmente e sicilianamente “il Dottore”. E volendo questa sarebbe già una notizia, nel mondo di noialtre guelfe e ghibelline. Perché io proprio la amo.
Ma la notizia vera è che con lei, casalinga di lusso –già ricca di suo e piuttosto ben maritata- io riesco a esibirmi nelle mie ambizioni più smodate e maniacali. Il fatto è che lei produce su di me un effetto di sfrenamento, di disinibizione, di slatentizzazione dei desideri (politici, s’intende, e professionali) come nessuna e nessuno mai prima.
In altre parole, mi autorizza. E poi subito mi carica, mi gasa, fa piani, costruisce sapienti e mafiose strategie di pr, e mi tocca fermarla, terrorizzata: no, guarda che era tanto per dire, io sto bene così. Ma intanto la osservo, come un bizzarro animale, e provo a capire. Perché a me, autorizzata dal padre a mettere un piede nel mondo –e giammai dalla madre autosessista-, pare di avere già ottenuto così tanto. E lei che invece scuote la testa: “Marinetta, con tutto quello che hai studiato… Proprio non sai fare”.

A me mi ha rovinato la sinistra, diciamo la verità. E a proposito di studi: in quarta ginnasio indimenticabili libri di lettura come “Il Manifesto del Partito Comunista” e “La Persia di Mossadeq”. All’Università Statale di Milano, facoltà di filosofia, come a Tirana: ogni tanto fantastico di fargli causa. Schopenhauer neanche di striscio. Tutto Marx, Engels, Lenin, Rosa Luxemburg, Toni Negri, il rinnegato Kautsky, la scuola di Budapest (ho visto che ora Agnes Heller scrive cose tipo “La bellezza della persona buona”. La rispetto e le sono grata, ma vorrei ammazzarla).
Qualche volta ce lo diciamo con mio marito, che nel Pleistocene ha lavorato all’Unità e manco gli hanno versato i bollini, ci mancherebbe. Sicché povero compagno gli toccherà ammazzarsi di fatica per un’altra ventina d’anni. “Ma a noi chi ce l’ha fatto fare? Ci avessimo guadagnato qualche cosa…”. Perché il guadagno dall’altra parte è ferocemente lampante. Tra l’altro io non ero neanche malaccio, e se questa cosa delle gnocche in lista fosse entrata in vigore prima…

Non mi piace il fatto che essere gnocche costituisca un titolo preferenziale per essere cooptata dagli uomini che comandano la politica. Ci vedo dentro sprezzo e illibertà. Ancora meno apprezzo che una sia ancora più titolata se è passata dal letto del leader o di qualcuno dei suoi scherani raccattabriciole, sistema di cooptazione ancora molto in uso in politica, nello showbitz e nelle professioni, compresa la mia. Lo sappiamo tutti, potremmo fare nomi e snocciolare curricula: quella ha cominciato con Tizio, poi è passata a darla a Caio. Abbracci mortali da cui non ti sciogli più, condannata a essere devota non tanto a quel singolo benefattore, quanto al Fallo che ti sei piegata -diciamo così- a onorare, e il cui potere hai corroborato. E destinata prima o poi a essere rimpiazzata con una “mucca nuova”. Chi di gnocca ferisce, di gnocca perisce. La casistica è ampia, e le cose vanno sempre così.

Il che non significa che io sottovaluti il potere della bellezza, che non può essere ridotta a banale fatto mediatico. La bellezza è in sé un medium potentissimo con cui non è il caso di scherzare. Diffido delle donne che non la onorano, che voltano le spalle alla potenza di Afrodite indebolendosi nella violenta sconnessione, irretite da una retorica della bruttezza che ha avuto la sua ragione d’essere nella fase aurorale della rivoluzione delle donne: liberarsi dallo sguardo maschile come misura unica della propria legittimità a esistere. Ma che poi si è malamente evoluta nella perversa equazione: “bruttina e senza tacchi = brava, seria, intelligente e perbene”, solo un altro modo per dare importanza a quello sguardo e adeguarvisi.
Dice la psicoanalista junghiana Ginette Paris che se “la bambola di lusso cerca di piacere, alla donna afroditica si cerca di piacere perché esercita un grande fascino”. Se ci pensate c’è una bella differenza.

Ma torniamo a terra. E al fatto che, con un certo stupore, e al di là dei mezzi più o meno condivisibili con cui si sono affermate, ho visto circolare nel centrodestra più libere e sfrenate ambizioni femminili di quante ne abbia osservate a sinistra. Libere nel senso di giocate interamente e spregiudicatamente per sé. Sebbene talora dovendo passare nell’amaro letto di Procuste –e non solo nel suo- e giocare il gioco sporco della seduzione. Oltre al rischio di essere a scadenza -consumare preferibilmente entro e non oltre-, il ricorso alla seduzione finisce per rinnovare le ragioni del puro arbitrio maschile, che include o esclude le donne secondo il suo capriccio, e condanna le altre a percorrere la stessa libidinosa strada, ad libitum.
Ma vorrei concentrarmi su questa cosa innegabile che libere ambizioni femminili si sono espresse e hanno avuto campo nel centrodestra. Che un’oscura avvocatina miope di Leno si è autorizzata a progettare per sé una carriera politica di tutto rilievo –io non me la sarei nemmeno sognata-, dandosi orizzonti grandi, e questo a prescindere dal giudizio che si può dare del suo successivo operato di ministra.
A sinistra ci sono state e ci sono tante brave, bravissime, preparatissime e meritevoli, e magari pure belle, e magari anche taccate, che però tanta spregiudicatezza non l’hanno mai mostrata, salvo eccezioni come Rosi Bindi. Che non hanno mai desiderato e giocato davvero per sé, che hanno sempre atteso nell’ombra il placet del loro capocorrente, che non hanno mai rotto il patto di fedeltà, che hanno sempre privilegiato il gioco di squadra: ma la squadra era e resta maschile.
Forse, a ben guardare, anche nella vecchia destra le cose andavano in questo modo, o anche peggio. La novità è stata probabilmente la scesa in campo del “Dottore” e con lui l’irruzione nella politica, con tutto il bene e tutto il male, del mercato, delle sue logiche. E delle sue ragazze. Giovani donne ambiziose nate e cresciute nel libero mercato, non nelle scuole della politica, salvo frettolosi corsi dell’ultim’ora. E il mercato è più accogliente della politica, per noi donne. Nessun dubbio. Date un’occhiata alle cifre impressionanti della womenomics e mi saprete dire.

(pubblicato su Il Foglio il 6 febbraio 2010)

Donne e Uomini, Politica Gennaio 8, 2010

LAVORI TU, COMANDO IO

mondine
La cosa è piuttosto imbarazzante. Vittorio Zucconi racconta sulla Repubblica di oggi che il traguardo è stato raggiunto, e negli Stati Uniti metà dei lavoratori sono donne -stiamo parlando del lavoro retribuito, sia chiaro: il lavoro in senso lato è da sempre una faccenda ben più femminile che maschile-. Qui da noi ancora non ci siamo, ma ci saremo presto, nessun dubbio. Quindi niente lagne.

Le signore dunque lavorano tanto quanto gli uomini -di più-, e vengono retribuite come gli uomini -di meno-. Ma quando si tratta di prendere decisioni restano fuori dalla porta, qui come negli Stati Uniti (anche se qui molto di più). La cosa imbarazzante è questa. Oggi tutto ciò che è femminile è oggettivamente attraente, anche perché dalle tasche delle signore passa un bel po’ di denaro, e sono loro a decidere come spenderlo. Per questo, anche quando si tratta di imprese femminili o di business rivolti alle donne, e anzi sempre di più, gli uomini pretendono di tenere il pallino, di stabilire le regole, di decidere, di comandare, e naturalmente di intercettare gran parte del flusso dei soldi, perchè alla fine quello che conta è questo. Il piatto femminile è ricco, e io maschio mi ci ficco.

Di qui si possono trarre almeno due conclusioni: a) se il lavoro è sempre più femminile -o femminile tout court, se è vero che la gran parte dei nuovi posti vengono occupati da donne- allora oggi siamo noi donne a dover decidere che cos’è il lavoro, come va organizzato, in quali modi, in quali tempi, con quali obiettivi, e così via: non è questione di conciliazione, ovvero di supportare le donne perché possano adattarsi a un’idea maschile del lavoro, si tratta proprio di cambiare l’idea del lavoro, e che siano le donne a farlo; b) se questo non avverrà in tempi ragionevoli, si tratterà di ricondurre i conflitti sul lavoro, destinati inevitabilmente ad acutizzarsi, al più generale conflitto tra i sessi; si dovrà avere il coraggio di dargli questo nome, care le mie amiche manager, e agire di conseguenza.

A ciò aggiungo una terza considerazione. Da molti anni, per passione e per professione, osservo come vanno le cose tra le donne e gli uomini, e credo di poter dire questo: che tra i grandi poteri, solo la Chiesa, al suo livello più alto, mostra di voler leggere fino in fondo quello che sta capitando, prestando ascolto, almeno intermittente, a quello che le donne hanno da dire sul mondo –mentre la politica resta brutalmente e opportunisticamente sorda-. Sarebbe il momento che questo ascolto si facesse più continuativo e intenso, e il sostegno più esplicito.
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AMARE GLI ALTRI, Politica Dicembre 15, 2009

LETTERA AI POLITICI (TUTTI)

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Quando ci troviamo di fronte a qualcosa che va male quello che possiamo fare è stare lì ostinatamente a cercare di torcerlo verso il bene. Perché ogni circostanza, perfino la più nera delle circostanze, contiene un bene che va scovato e aiutato. Ce lo insegna tra i molti santi quella santa ragazza che fu Etty Hillesum, che prima di morire ad Auschwitz riuscì a trovare il filo del bene perfino a Westerbork, campo di detenzione nazista. A quel male che si presentava come assoluto, in cui la speranza non trovava punti di appiglio, lei non volle sottrarsi, pur potendolo fare. Etty diceva che si doveva stare al cospetto di quel male perché Dio andava aiutato e il bene aveva bisogno di tutta la nostra attenzione.
Il male che oggi vediamo in azione è infinitamente più piccolo e l’operazione è molto meno ardua. Si tratta semplicemente di voler cogliere in quello che sta capitando -mi riferisco all’aggressione al Presidente del Consiglio, all’immagine di quel vecchio uomo ferito e sanguinante, stanco come tutti vecchi uomini-, il baluginare di un’opportunità provvidenziale. Dico provvidenziale proprio perché potrebbe venircene un gran bene, che è quello di arrendersi all’intelligenza della pace e di liberare il conflitto politico da quell’assurdo che è l’odio, che quando entra in campo, come un mostro insaziabile, chiede attenzione esclusiva e divora tutto quello che trova.
I negoziatori più illuminati dicono che quello che conta per fare la pace, ben più che qualunque tavolo, è il fatto di tenerla ben presente in ogni istante, come priorità assoluta in tutte le cose che facciamo, qui e ora, immediatamente e senza rinvii. Allora la pace diventa un bene da subito disponibile e fa il miracolo di moltiplicarsi e propagarsi. La pace non ha bisogno dello scandaglio della ragione, di pesi e bilancini, dell’inventario del male fatto e subito, ma unicamente dello slancio della fede, o dell’abbandono vigile alla fede. Come insegna il Mahatma Gandhi, “essendo la non violenza la più potente forza del mondo e anche la più sfuggente nel suo meccanismo, richiederà il massimo della fede. Proprio come crediamo in Dio per fede, così dovremmo credere per fede anche nella non violenza”.
Le politiche e i politici di buona volontà hanno a disposizione questa opportunità da subito, possono praticare la pace da subito, senza se e senza ma. Non è semplicemente questione di abbassare i toni. Si tratta di elevare la speranza, il più nobile tra i compiti della politica. Di fare propaganda al bene. Di vedere quello che va, e di aprirgli la strada.
Con l’auspicio che anche questa lettera, non solo le parole dei propagatori di odio, trovi i suoi fan. A cominciare dagli amici politici.

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Settembre 15, 2009

PUTTAN TOUR

Va detto che mai, davvero mai si sarebbe potuto immaginare che la nave alla deriva della nostra democrazia -maschile- sarebbe andata a incagliarsi nelle secche di un troiaio -mi si scusi l’espressione, ma è proprio questa- senza fine. Ora Il Giornale di Vittorio Feltri promette un dossier pepato su An, mentre magari qualcuno, per rappresaglia, sta già frugando nella sua vita. Oggi la lotta politica si fa così, con le microspie nelle camere da letto, i ricatti incrociati, i fascicoli a luci rosse, i gemiti intercettati, le escort pentite che vuotano il sacco, il più pulito che ha la rogna.

Da donna, lasciatemelo dire -e non aspettandomi più nulla da questa gente-, siedo in platea a godermi lo spettacolo degli ultimi giorni dell’impero. E’ oscenamente divertente che siano quattro -o quattromila- ragazzine, irretite e disilluse, a mettere in ginocchio il club for men only della nostra politica. Cacciate dalla porta, donne e donnine rientrano dalla finestra. Del resto si sa: quando si sta troppo fra soli uomini spesso è lì, al bordello, che si va a finire. Tutti insieme, appassionatamente.

Donne e Uomini, Politica Luglio 4, 2009

UN MONDO FINITO

Da Sarabanda, nuova trasmissione di Canale 5

Da Sarabanda, nuova trasmissione di Canale 5

Cerchiamo di vedere sempre il mezzo pieno del bicchiere, perché il male fa da sé, mentre il bene ha sempre bisogno di una mano. E allora mettiamola così: tutta questa triste vicenda delle escort (oggi si dice così), delle ragazze immagine, delle letteronze candidate politiche, delle velinazze in carriera, delle ville in Sardegna strapiene di vergini come il paradiso dei musulmani, vicenda che ha saturato il 90 per cento della recente cronaca politica italiana, ci dà il senso di morte di un mondo in declino, è il fondo di un barile che abbiamo finalmente e dolorosamente raggiunto. Di peggio non può capitare. Perché anche la più velleitaria delle belle ragazze ormai avrà capito che per una che arriva in Parlamento, ormai ridotto a una succursale della tv, ce ne sono mille che masticano amaro. Che basta grattare un poco la patina dorata e glitterata per scoprire che non hai vinto un bel nulla, se non un paio di foto al silicone su qualche settimanale gossipparo. Che si balla una sola estate, e quella dopo sarai già troppo vecchia per essere selezionata per il casting –a scelta- di una festa in villa o su uno yacht, di un reality o di una lista elettorale. La crisi, grazie al cielo, con la sua falce si porta via anche questo.
Barbara Montereale, ragazza immagine (“pubblicitaria”, come dice lei) più volte ospite dei festini di Papi, parlando con il suo intervistatore si illumina quando nomina una signora che ha conosciuto, “una donna intelligente” dice “un chirurgo”. E spiega che adesso vorrebbe fare “dei lavori normali, avrei voglia di fare la mamma e la moglie”. E viene voglia di abbracciarla. Di dirle che è tutto finito, e che d’ora in poi potrà vivere dignitosamente, lei con la sua bambina.
Ma sì, è tutto finito. E’ finita anche questa politica che ha dimostrato di essere scadente al punto da diventare interscambiabile con la peggiore tv. Un segno sono i molti che hanno già cominciato a sfilarsi, ad abbandonare la nave, nella migliore tradizione del trasformismo italiano. E dopo tutta questa schifezza, in base a un’ineludibile legge cosmica, non può che essere la volta del meglio. Dopo questo intrico maschile di soldi, potere e sessualità malata, la faccia triste del patriarcato che muore, potrebbe esserci la responsabilità e la sapienza femminile.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 4 luglio 2009)