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legge 194

Politica, salute Aprile 30, 2014

Legge 194: decurtare lo stipendio agli obiettori

Sulla legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza: un po’ di notizie, che ci dicono a che punto siamo. E infine una proposta.

Le notizie, in sintesi: come saprete, il Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia perché viola i diritti delle donne non applicando la legge 194. In Italia l’obiezione media supera il 70 per cento, con punte che sfiorano il 90 per cento al Sud (ma anche al Nord ci sono interi ospedali che non garantiscono il servizio). Qualche giorno fa l’ospedale milanese di Niguarda ha chiesto aiuto al reparto di ginecologia dell’ospedale Luigi Sacco perché causa obiezione non riesce a corrispondere alle richieste di IVG (si ovvierebbe con il ricorso ai cosiddetti gettonisti, a 60 euro l’ora). Intanto all’ospedale San Martino di Genova un obiettore si è rifiutato di eseguire un’ecografia a una paziente che stava espletando la procedura di interruzione con Ru486, e il Direttore Sanitario lo ha denunciato per interruzione di pubblico servizio.Tante, troppe donne si presentano in ospedale per aborto “spontaneo” (evidente un ritorno al fai-da-te), i farmaci per abortire si trovano facilmente online o in luoghi di spaccio. C’è quindi una ripresa vigorosa dell’aborto clandestino.

La legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza assicura il diritto all’obiezione di coscienza, che deve essere dichiarata al momento dell’assunzione, ma può anche essere proposta in seguito. Sempre all’articolo 9 della legge, si precisa però che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure”, ovvero a garantire comunque il servizio: l’iniziativa dell’ospedale Niguarda va letta in questa chiave.

Più volte si è discusso sull’obiezione “opportunistica”, diritto non invocato per vere ragioni di coscienza ma per ragioni di comodo e di carriera: praticare aborti non è divertente per nessuno, è tristemente routinario e non favorisce la crescita professionale. Non esiste tuttavia un esame del sangue che ci consenta di discernere tra le obiezioni per ragioni di coscienza e quelle per ragioni di carriera.

Io credo che il diritto all’obiezione vada salvaguardato. Ma è vero anche che il Servizio Sanitario Nazionale paga ospedali e cliniche convenzionate perché corrispondano a quanto disposto dalla legge 194, che è una legge dello Stato. In parole povere: il servizio di interruzione di gravidanza viene GIA’ pagato dai cittadini, e sarebbe sommamente ingiusto farglielo ripagare con extra ai gettonisti, che a quanto pare oggi sono l’unica via d’uscita per garantire il servizio.

Vengo allora alla proposta: che lo stipendio degli obiettori di coscienza venga decurtato della quota corrispondente -facilmente calcolabile- a quella prestazione non erogata. Se io non voglio fare una cosa, insomma, non posso pretendere che mi si paghi come se la facessi.

Io ti assumo e ti pago per fare A, B. C e D. Se per tua scelta, garantita dalla legge, D (l’IVG) non lo intendi farlo, perché mai pretendi di essere pagato anche per D? E in più mi tocca pagare un altro perché faccia D al posto tuo?

Gli obiettori opportunistici, quelli che obiettano per ragioni di carriera e di soldi, faranno i loro conti, e a occhio molti faranno marcia indietro: la 194 prevede che l’obiezione possa essere revocata in qualunque momento. Così risolveremmo molti problemi in un colpo solo: gli ospedali avrebbero personale sufficiente a garantire il servizio, i cittadini non dovrebbero pagarlo due volte, le donne sarebbero garantite nel loro diritto alla salute, gli aborti clandestini diminuirebbero, si ottempererebbe alla sentenza del Consiglio d’Europa.

Prevengo un’obiezione: così si discriminerebbero gli obiettori di coscienza.

Ebbene, le scelte di coscienza prevedono sempre questo rischio.  Le scelte di coscienza non sono mai gratis. Le scelte di coscienza si pagano -e non vengono, al contrario, retribuite-.  Talvolta si pagano perfino con la vita, ed è proprio questa disponibilità a pagare un prezzo che le nobilita.

 

Donne e Uomini, italia, Politica, questione maschile Aprile 3, 2014

Cara Ministra Lorenzin, sono gli uomini a dover essere “educati alla maternità”

Batrice Lorenzin, ministra per la Salute

L’espressione, “grande piano nazionale di fertilità”, non è sicuramente delle più felici, e nemmeno l’idea di “educare alla maternità”. Specialmente in bocca a una donna, la ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, che come capita spesso alle ministre e alle donne politiche sembra dimenticare di esserlo anche lei. Parole, le sue, che ricordano fatalmente i tempi bui dei figli alla patria e fanno pensare alle donne come mansuete fattrici.

In un’intervista ad “Avvenire” la ministra ha infatti affermato che

i bambini devono tornare a nascere e serve educare alla maternità. Ho in testa una nuova sfida, un grande piano nazionale di fertilità. Il crollo demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale. È una decadenza che va frenata con politiche di comunicazione, di educazione e di scelte sanitarie. Bisogna dire con chiarezza che avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema, bisogna prendere decisioni per aiutare la fertilità in questo Paese e io ci sto lavorando. Sia chiaro: nessun retropensiero e nessuno schema ideologico, ma dobbiamo affrontare il tema di un Paese dove non nascono i bambini“.

La denatalità è senz’altro un problema: siamo il Paese più vecchio d’Europa, e tanti di quei pochi giovani sono costretti ad andarsene per campare. Quindi anche i loro figli non saranno “nostri”, se è possibile dirla in questo modo. Nei panni della ministra, però, le cose le avrei messe così:

è necessaria, certo, un'”educazione alla maternità”, rivolta al mondo dell’impresa che -vedi dimissioni in bianco e tutto il resto- pensa la gravidanza come un lusso o una peste, e le giovani madri come una iattura. Ma anche alla politica, che perpetua l’idea dell’alternativa secca tra lavoratrici e madri (o sei una cosa, o sei l’altra: e se sei l’altra te ne stai tranquilla a casa) ignorando il dato statistico che dimostra la correlazione positiva tra tasso di occupazione femminile e natalità.

Per rieducare la politica è necessario rompere con questo pregiudizio, radicato nel desiderio maschile, che la donna resti a casa a fare la madre, a completa disposizione. Questo è uno degli aspetti della nostra tenace questione maschile. Sono gli uomini a dover essere educati alla maternità.

Educazione alla maternità significa mettere al centro delle politiche questa coppia madre-bambino, le cui raffigurazioni abbondano nelle chiese del nostro Paese, mariano e prima ancora di Grandi Madri, ma nemico delle piccole madri e antimaterno. Significa l’adozione di misure a favore dell’occupazione femminile, sostegno alle imprese di donne, accesso agevolato al credito: più le donne lavoreranno, più bambini nasceranno. Significa offrire un reddito di esistenza e garantire la maternità universale, anche in assenza di contratti a tempo indeterminato, sempre più assenti. Significa costruire una società mummy-and-baby friendly. Significa garantire i servizi indispensabili alle famiglie e ai caregiver, donne o uomini che siano. Significa offrire possibilità abitative e accesso ai mutui per le giovani coppie.

(il governo danese, molto creativo, spinge addirittura le coppie a viaggi romantici per concepire più bambini, offrendo bonus economici a chi dimostrerà un concepimento a Parigi o a Venezia: ma non si pretende tanto).

Questo sì, sarebbe un grandissimo piano di “educazione alla maternità”. Che consentirebbe alle donne nella loro piena autodeterminazione di decidere sulla propria maternità: libere di scegliere non soltanto di poter interrompere la gravidanza in sicurezza, con la piena applicazione della 194 azzerata dall’obiezione, ma anche e soprattutto di non dover congelare la loro fecondità fino al limite estremo dell’età fertile e di non dover ricorrere alla fecondazione assistita.

Se per piano nazionale di fertilità la ministra Lorenzin intende tutto questo, be’, si tratta di un’idea grandiosa. Siamo tutte qui per darle una mano.

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica Dicembre 13, 2013

Il Pd di Renzi e i diritti civili

 

“Sui diritti il Matteo non è forte”: ante-primarie lo ammettevano anche vari “renziani”, malcelando il “neo” del loro candidato: per ora cerchiamo di parlarne il meno possibile, poi vedremo. Stefano Boeri, eletto tra i delegati di Renzi all’assemblea nazionale Pd, più onestamente sosteneva: “Sui diritti civili, come sui matrimoni e le adozioni per le coppie gay non la penso come lui”.

Non si tratta in verità di essere più o meno “forti” sul tema dei diritti. Si tratta forse di non aspettarsi da Matteo Renzi quello che Matteo Renzi non intende dare. Di cambiare aspettative. Di non stupirsi, per esempio, dell’edificazione di un cimitero dei feti a Firenze. Del fatto che Marianna Madia, delegata al lavoro della sua segreteria, ritenga che

L’aborto è il fallimento della politica, un fallimento etico, economico, sociale e culturale… credo che la vita la dà e la toglie Dio, noi non abbiamo diritto di farlo. Quindi dico no all’eutanasia. Se si parla di famiglia io penso a un uomo e una donna che si sposano e fanno dei figli. Scegliendo per la vita”. Salvo poi rettificare “penso che la 194 sia una conquista e che vada applicata in toto”.

Nessuna rettifica sull’eutanasia né sulle famiglia omoaffettive.

Il 2 ottobre il mix voto contrario-astensione di vari consiglieri Pd in Regione Toscana ha affossato una mozione che chiedeva una migliore applicazione della 194 –peraltro presentata dalla maggioranza di centrosinistra-: legge ormai sostanzialmente inapplicata causa obiezione di coscienza oltre al 70 per cento.

Qualche giorno fa il copione si è riproposto in Europa con la bocciatura della risoluzione della deputata socialista portoghese Edite Estrela sulla “salute e i diritti sessuali e riproduttivi”, che chiedeva tra l’altro il diritto “all’aborto sicuro e legale” in Europa (quindi non il diritto ad abortire, ma a non crepare), un’educazione sessuale per bambine e bambini, la prevenzione di gravidanze indesiderate con accesso equo alla contraccezione in un’ottica di lotta alle discriminazioni di genere. La risoluzione, sostenuta tra gli altri dalla European women lobby, dall’European parliamentary forum on population and development e da Amnesty International e fieramente combattuta dai no-choice, è stata bocciata anche grazie all’astensione dei piddini Silvia Costa, David Sassoli, Patrizia Toia, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi e all’assenza di alcuni altri. Posizione che non forse non corrisponde alle aspettative in tema di diritti di molti elettori e iscritti (ancora maggioranza?) nel Pd.

Lo dice chiaro Rosy Bindi:

Renzi realizza ciò che io ed altri non siamo riusciti a fare: rompere la continuità Pci-Pds-Ds-Pd”.

Non, peraltro, che il Pci-Pds-Ds-Pd sia mai stato davvero in prima linea sul tema dei diritti: il divorzio, per dirne una, fu essenzialmente una conquista radicale, che il Pci osteggiò a lungo. Ma con la segreteria Renzi la linea di resistenza potrebbe diventare maggioritaria.

E del resto, da analisi del voto alle primarie, solo il 29 per cento degli elettori di Matteo Renzi si definisce di sinistra. Il Pd, insomma, starebbe cambiando elettorato e pelle.

Ancora due notazioni: dire “sono a favore della 194” oggi non significa nulla. E’ a favore della 194, ma sul serio, solo chi intraprende politiche che ne garantiscano l’applicazione, individuando contromisure alla vastissima obiezione. In caso contrario si è a favore di una scatola quasi vuota. Non a caso i no-choice non vanno all’attacco frontale con un referendum abrogativo, a rischio di nuova sconfitta: ancora un po’ di obiezione e la legge non ci sarà più.

L’altra cosa la dico a chi ritiene che, in tempi duri come questi, parlare di diritti sia un lusso, come pretendere rose quando manca il pane. Per dirla marxianamente, struttura e sovrastruttura. Questo è un vero e tenace trompe-l’oeil, una visione ingannevole. E’ forse la mancanza di lavoro e di soldi a impedire una legge che consenta a una coppia dello stesso sesso di sposarsi se lo desidera, o a un cittadino di lasciare disposizioni sul suo fine-vita? E più diritti per le donne, come dimostrato da centinaia di studi, non si tradurrebbe in punti di Pil? Non si parla sempre del miglioramento della condizione delle donne come di una misura per la crescita e di un indicatore di civiltà?

Del Pd di Renzi si dice che è “post-ideologico”. Forse, più correttamente, si dovrebbe dire che racconta un’altra storia al nostro Paese. Prima ancora che una scissione, rischia una deflagrazione su questi temi sensibili, temi dai quali oggi passa molta politica.

 

 

 

 

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro, personaggi Novembre 1, 2013

Chi sono i veri “abortisti”

Il dibattito seguito al mio ultimo post -post che si limitava a dare una notizia sulla giunta di Firenze, verificata e verificabile, e di riportare il  commento di uno dei candidati alla segreteria del Pd, Giuseppe Civati: ho interpellato personalmente anche Gianni Cuperlo, che però evidentemente non ha nulla da dire- è diventato uno scontro feroce  tra “pro-life” e pro-choice, con punte truculente, alla Santorum.

Tra le molte contumelie, mi sono beccata anche della “abortista”. E allora consentitemi di dire quello che penso sulla questione.

Penso che:

1. quando un uomo parla di aborto, di feti e così via c’è sempre da stare all’erta. Addetti ai lavori a parte, gli uomini capiscono poco di aborto, tendono a disinteressarsene, e spesso lo ritengono, “da utilizzatori finali”, una comoda soluzione. Quando l’interesse di un uomo si accende, specie se si tratta di un politico, quasi certamente ci sono voti da raccattare.

2. “Donna abortista” è un ossimoro, perché nessuna donna vorrebbe mai abortire. A molte è capitato, e quando è capitato è sempre stata un’esperienza vissuta con sentimenti che vanno dalla tristezza, al dolore, al trauma e al dramma, secondo la sensibilità e secondo le circostanze. Non ci sono donne abortiste: ci sono donne che hanno abortito, e altre che hanno dato loro una mano perché ciò avvenisse in condizioni di sicurezza. La grande maggioranza delle donne di questo Paese, militanti pro-life comprese, condivide l’auspicio che nessuna debba mai più morire d’aborto. Sperare che le donne muoiano d’aborto -per esempio auspicando l’abrogazione della 194- non è una buona strategia pro-life.

3. La legge 194 ha ottenuto il risultato di ridurre a quasi-zero la mortalità per aborto. E’ una buona legge, apprezzata dalla maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Anche in forza di questa legge, il numero degli aborti è diminuito. Purtroppo oggi la 194 è una legge di carta: non essendo riusciti ad abrogarla, la stanno svuotando dall’interno. La legge è sostanzialmente inapplicata* in buona parte del territorio nazionale a causa di un’adesione massiccia all‘obiezione di coscienza da parte di ginecologi e anestesisti. Fare aborti non piace e non conviene a nessuno in termini di carriera, e molte direzioni sanitarie apprezzano e premiano chi obietta. Il diritto all’obiezione non può non essere riconosciuto, ma la legge 194 va applicata come qualunque altra legge dello stato: ormai stiamo tornando al “turismo abortivo” e alla clandestinità. Se ne esce soltanto con l’obbligo da parte delle direzioni sanitarie ospedaliere di assumere una quota garantita di non obiettori che consenta di espletare il servizio imposto dalla legge. Un’altra strada, più complessa, sarebbe la depenalizzazione dell’aborto -è la strada che io  preferirei- ma non ci sono oggi le condizioni politiche per riaprire il dibattito. Non basta, perciò, che un politico dica retoricamente e a costo zero: io sono a favore della 194: questo impegno non significa nulla. Bisogna che dica: farò tutto ciò che serve perché la legge venga applicata.

4. I veri abortisti sono tutti coloro contribuiscano a qualunque titolo alla creazione di condizioni sfavorevoli alla maternità. A cominciare da quei datori di lavoro che costringono le giovani donne a firmare all’atto dell’assunzione dimissioni in bianco, da utilizzarsi in caso di gravidanza, o che le condannano al precariato permanente. Per arrivare alle banche che non concedono mutui per l’acquisto della prima casa, impedendo a molte giovani coppie di costruire un proprio nido. E alla politica che non investe nel welfare e nei servizi, abbandonando le giovani madri al loro destino, che non mette in atto vere politiche per il sostegno familiare -altro che Paese della famiglia: siamo il fanalino di coda in Europa-.  Che non ragiona su una dis-organizzazione del lavoro che consenta di avvicinare tempi di lavoro e tempi di vita. Nella gran parte dei casi, le donne abortiscono perché costrette da condizioni materiali inaggirabili. I veri abortisti sono anche quegli uomini che non condividono i pesi della vita familiare o, peggio, che non si assumono la loro responsabilità contraccettiva e lasciano la donna sola con la sua gravidanza, “tanto c’è l’aborto”. E’ su questi temi, e non manifestando davanti alle cliniche ostetriche o inneggiando ai cimiteri degli aborti, che i “pro-life” devono esercitare la loro volontà politica. Il programma è questo, condivisibile anche dai pro choice.

5. L’aborto non è un tema politicamente marginale. Non lo è mai stato. E non può essere terreno di esercizio del “ma anche”. Non puoi accarezzare il pelo dell’oltranzismo cattolico,”ma anche” sperare nel consenso dell’elettorato femminile. Questo consenso forse l’avrai se le elettrici non saranno state debitamente informate. Ma su un tema così sensibile le posizioni -tutte legittime, s’intende- devono essere chiare e nette. Il presidente Barack Obama sta affrontando il suo secondo mandato anche grazie al sostegno dell’elettorato femminile. E se le donne hanno deciso in maggioranza per Obama, è stato anche per la sua posizione sul tema del’aborto: tema dirimente, come hanno dimostrato le analisi del voto Usa. La questione numero 1 per il 39 per cento delle americane, anche per il suo forte portato simbolico.Perfino più importante del lavoro.

* In Lombardia sceglie l’obiezione di coscienza il 67,8 per cento dei ginecologi. Un dato poco al di sotto della media nazionale, pari al 69,3 per cento di obiezione nel 2010, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute. La Lombardia, insomma, non è la regione messa peggio, considerando le punte toccate da Basilicata (85,2 per cento), Campania (83,9), Molise (85,7) e Sicilia (80,6).

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, Politica, salute Luglio 31, 2012

Proposte sull’aborto: depenalizzazione e class action

1975, manifestazione per la depenalizzazione dell’aborto

Il Comitato Nazionale per la Bioetica sta per rendere pubblico un documento sul tema dell’obiezione di coscienza in tutte le pratiche biomediche “sensibili”, dall’aborto alla fecondazione assistita alla vivisezione (nonché, in prospettiva, per questioni come eutanasia, testamento biologico e via dicendo).

Il documento, che è stato votato a maggioranza (un astenuto) afferma in sintesi che “l’obiezione di coscienza in bioetica è un diritto costituzionalmente fondato (con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo), costituisce un’istituzione democratica, in quanto preserva il carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali senza vincolarle in modo assoluto al potere delle maggioranze, e va esercitata in modo sostenibile”. Ovvero, fatto salvo il diritto di obiettare, lo Stato ha il dovere di mantenere “l’erogazione dei servizi, con attenzione a non discriminare né gli obiettori né i non obiettori”.

Ma nel caso della legge 194 sull’aborto, i due diritti –quello a obiettare e quello di vedere applicata la legge- sono entrati da tempo in rotta di collisione.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2009 il 70,7 per cento dei ginecologi è obiettore e in costante aumento (nel 2005 era il 58,7 per cento). In crescita anche il numero degli anestesisti obiettori (51,7 per cento) e del personale non medico (44,4 per cento). Al Sud la quasi totalità dei ginecologi è obiettore, con punte del 85,2 per cento in Basilicata, e in alcune realtà l’interruzione di gravidanza non è praticata tout court.

Anche a me pare che esista un diritto all’obiezione e che vada salvaguardato, tenendo tuttavia presente che in quota significativa si obietta non per ragioni di coscienza ma di carriera. L’obiezione è un semplice atto amministrativo. Dovendo garantire il servizio, gli ospedali forse dovrebbero tenere conto, al momento dell’assunzione di personale medico e paramedico, di una dichiarata disponibilità a praticare interruzioni di gravidanza, stabilendo una quota minima di non obiettori. Ma un* può sempre cambiare idea e obiettare “in corso d’opera”.

Suggerisce Giorgio Gottardi, ginecologo milanese, attivo sul fronte della 194 fin dagli anni Settanta: “Se si stabilisse un meccanismo incentivante e premiale per quei pochi che, devo dire, con un certo eroismo continuano a garantire l’applicazione della 194 –un vantaggio economico, o di carriera– gli obiettori per opportunismo diminuirebbero significativamente”.

Ma forse la soluzione vera, conviene anche Gottardi, consisterebbe nella depenalizzazione dell’aborto. Nel lungo percorso che portò all’approvazione della legge 194 nel 1978 si contrapposero due posizioni: aborto “gratuito e assistito” e (minoritaria, sostenuta soprattutto dai Radicali) depenalizzazione del reato di aborto, ovvero la possibilità di abortire –e di praticare aborti- senza essere perseguiti legalmente. Passò la prima ipotesi, e oggi l’aborto è ancora reato se praticato fuori dalla struttura pubblica.

Si potrebbe congegnare un meccanismo che, fatta salva la possibilità di abortire in ospedale, consenta alla donna di scegliere anche la strada “privata” (con tutte le garanzie a tutela della sua salute). Non più un aut-aut, insomma, ma un et-et. Soluzione che alleggerirebbe enormemente l’impegno della sanità pubblica, e soprattutto sanerebbe la piaga dell’aborto clandestino, a cui oggi, con una legge sostanzialmente disapplicata, sempre più spesso le donne sono costrette a ricorrere.

Il dibattito potrebbe essere riaperto con una class action contro le unità sanitarie che attentano alla salute delle donne non erogando un servizio previsto dalla legge e costringendole alla clandestinità, con tutti i rischi connessi.

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica Giugno 11, 2012

#SAVE194

Sembra, ogni volta, di dover ricominciare da capo.

Facciamolo, allora, e partiamo da una domanda. Questa: “tutte le donne italiane possono liberamente decidere di diventare madri?”. La risposta è no.
Non possono farlo, non liberamente, e non nelle condizioni ottimali, le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale, drammaticamente limitata dalla legge 40.
Non possono farlo le donne che scelgono, o si trovano costrette a scegliere, di non essere madri: nonostante questo diritto venga loro garantito da una legge dello Stato, la 194.
Quella legge è, con crescente protervia, posta sotto accusa dai movimenti pro life, che hanno più volte preannunciato (anche durante l’ultima marcia per la vita), di volerla sottoporre (di nuovo) a referendum.

L’articolo 4 di quella legge sarà all’esame della Corte Costituzionale – il prossimo 20 giugno – che dovrà esaminarne la legittimità, in quanto violerebbe ” gli articoli 2, (diritti inviolabili dell’uomo), 32 I Comma (tutela della salute) e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri”.

Inoltre,  quella legge è svuotata dal suo interno da anni. Secondo il Ministero della Salute sono obiettori sette medici su dieci (per inciso, i cattolici praticanti in Italia, secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%): in pratica, si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro scarse forze, 118.579 interruzioni di gravidanza, con il risultato che più del 40% delle donne aspetta dalle due settimane a un mese per accedere all’intervento, e non è raro che si torni all’estero, alla clinica privata (o, per le immigrate soprattutto, alle mammane). Oppure, al mercato nero delle pillole abortive.
Dunque, è importante agire. Vediamo come.

Intanto, queste sono alcune delle iniziative che sono state prese:
1) Lo scorso 8 giugno, Aied e Associazione Luca Coscioni hanno inviato a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni un documento sulle soluzioni da adottare per garantire la piena efficienza del servizio pubblico di IVG come previsto dalla legge. “Siamo altresì pronti a monitorare con attenzione l’applicazione corretta della legge e, se necessario, a denunciare per interruzione di pubblico servizio chi non ottempera a quanto prevede la legge”, hanno detto.
Le proposte sono:
Creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza;
Elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza;
Concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG;
Utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori;
Deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti.

2) La scorsa settimana ha preso il via la campagna contro l’obiezione della Consulta di Bioetica Onlusqui trovate le informazioni e qui il video.

Diffondere queste informazioni è un primo passo. Ce ne possono essere altri. Fra quelli a cui, discutendo insieme, abbiamo pensato, ci sono:
1) Raccogliere testimonianze. Regione per regione, città per città, ospedale per ospedale, segnalateci gli ostacoli nell’accesso all’IVG e alla contraccezione d’emergenza. Potete farlo anche in forma anonima, nei commenti al blog. Ma è importante: perché solo creando una mappa dello svuotamento della legge è possibile informare su quanto sta avvenendo ed eventualmente pensare ad azioni anche legali.
2) Tenere alta l’attenzione in prossimità del 20 giugno. Lanciate su Twitter l’hashtag #save194, fin da ora.
L’intenzione di questo post è quella di informare. Non è che il primo passo: perché la libertà di scelta continui a essere tale, per tutte le donne italiane.

postato in contemporanea da

Associazione Pulitzer

Giulio Cavalli

Giovanna Cosenza

Loredana Lipperini

Giorgia Vezzoli

Lorella Zanardo

e molti altri

 

P.S. Questa riflessione a margine invece è tutta mia: siamo ancora qui a parlare di aborto -e di violenza-, a dover difendere i minimi vitali. Ok, è da fare e si fa. Ma con la consapevolezza del fatto, per quanto mi riguarda, che questi minimi vitali – e anche di più, se Dio vuole- saranno garantiti solo quando le donne parteciperanno al governo del Paese. Occorre perciò non lasciarsi distrarre dalla lotta per la rappresentanza che oggi richiede il più e il meglio delle nostre energie. Anche se mi rendo conto che non tutte ne sono convinte.

Donne e Uomini, Politica Maggio 14, 2012

Donne assassine/ Donne assassinate

Non sono politicamente casuali i toni violenti della manifestazione “pro-life” di ieri a Roma.

Quel “donne assassine” è la risposta, precisa e puntuale, alla grande mobilitazione delle ultime settimane sulla violenza e sul femminicidio. Fa parte a pieno titolo del backlash, un colpo di coda particolarmente duro che dà man forte a tutti quegli uomini -qui, nel mio blog, ne trovate un ricco campionario- che non intendono ripensare le relazioni con le donne fuori da una logica di dominio.

Un vero atto di guerra organizzato, il cui vero scopo è obbligare le donne in difensiva per non perdere il minimo vitale -si tratta, per l’appunto, di non morire-, distraendo energie dalla lotta per il lavoro e il welfare. E dalla lotta per la rappresentanza, in quest’anno cruciale. Eccoci qua, a dover riparlare di violenza e di aborto. Il messaggio è chiaro. Vogliono impedirci di volare.

La presenza attiva del sindaco Gianni Alemanno -le donne romane, ne stia certo, tutte le donne, anche le cattoliche, anche le donne del suo stesso schieramento politico non dimenticheranno- ha conferito particolare rilevanza politico-istituzionale alla truculenta manifestazione.

Le donne non sono a favore dell’aborto. Le donne pretendono di non morire d’aborto. Fra le due cose c’è una profondissima differenza.

Non risulta che il sindaco Alemanno si sia mobilitato a favore della vita e della nascita quando il governo Berlusconi ha abolito la legge 188 sulle dimissioni in bianco, obbligando le donne a una contraccezione forzata per non perdere il posto di lavoro. Questa sì, sarebbe stata politica pro-life.

Aiutare le giovani coppie che non riescono ad accedere a un mutuo. Offrire servizi adeguati per l’infanzia: questa sì, sarebbe una politica pro-life.

Se tiene tanto alle nascite, la domenica il sindaco Alemanno se ne stia a casa a pensare come strutturare una politica dell’accoglienza e una città amica delle donne e dei bambini.

Qui, per aderire all’appello di Se Non Ora Quando Città, dal titolo “Rispetto per le donne, la 194 non si tocca”.

La 194 non si tocca.

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Dicembre 15, 2011

Non punire quella mamma

Ieri all’ospedale San Paolo di Milano una giovane rumena ha lasciato l’ospedale, è lì il suo bambino, poche ore dopo aver partorito. Ora è ricercata per abbandono di minore, anche se non ci sono certezze sulle sue generalità.

Mi sembra una vera follia. Se una donna partorisce e lascia il suo bambino al sicuro, in ospedale, con la certezza che sarà dato un adozione e troverà una famiglia, è assurdo che venga perseguita. La legge dispone che una partoriente possa non riconoscere il neonato: la ragazza probabilmente non lo sapeva, e si è arrangiata così.

Leggo nell’articolo del Corriere che ogni anno nei nostri ospedali circa 400 bambini vengono lasciati dalle madri subito dopo il parto: 7 volte su 10 si tratta di straniere, nei restanti casi di italiane giovanissime. E si osserva che queste donne probabilmente ignorano che nel nostro paese l’aborto è legale. Non mi pare una lettura corretta del fenomeno.

Va detto, intanto, che accedere all’interruzione di gravidanza in ospedale oggi è diventato difficilissimo, che l’applicazione della legge 194 è a rischio da anni. Ma va detto soprattutto che, legge o non legge, se una donna vuole abortire trova sempre il modo per farlo. Se queste donne non abortiscono, portano a termine la gravidanza e poi lasciano il bambino in ospedale, è perché hanno scelto quest’altra strada, è perché vogliono mettere al mondo quel bambino anche se non se ne prenderanno cura. E se hanno scelto quest’altra strada è per un insindacabile complesso di istinto e motivazioni razionali che è molto difficile  districare.

Le cose da fare sono molto chiare: garantire un’effettiva e capillare applicazione della legge 194; aiutare e sostenere le donne che vogliono tenersi il loro bambino ma non ne hanno i mezzi; dare la massima pubblicità al fatto che la legge consente loro di non riconoscerlo e di “darlo” in adozione, e non perseguire quelle che, non sapendolo, hanno “abbandonato” il piccolo in ospedale.

O c’è il rischio di soluzioni ben più tragiche: bambini partoriti di nascosto e in solitudine, e lasciati morire in qualche cassonetto.