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economics, esperienze, Politica Novembre 11, 2012

Fine del Nord

Fata Morgana, Reggio Calabria

Mio marito mi guarda sorridente mentre giro sconsolata per casa e mi chiede se ho il “mal d’Africa”…

La notte scorsa a Reggio Calabria ho dormito con le finestre semiaperte, il vento caldo che agitava le palme del lungomare. Ora sono qui un po’ intirizzita, una ventina di gradi in meno. Con Melania Mazzucco, Vito Mancuso, Giulio Giorello, Rosario Villari sono stata onorata del premio letterario Rhegium Julii per il mio ultimo libro. Sul palcoscenico dell’Odeon di Reggio ho detto che se la straordinaria bellezza del Mediterraneo è stata così potente da dare impulso alla civiltà umana, non è escluso che lo faccia di nuovo, il Sud come baricentro e centro propulsore del Paese nuovo. Dello sviluppo, come si dice malamente.

I calabresi -come i potentini, i pugliesi, i campani, i siciliani: capita ogni volta che esterno la mia fiducia- hanno accolto con gratitudine le mie parole. E di fiducia ce ne vuole molta, perché a pochi metri dal teatro c’era un enorme mucchio di spazzatura -il comune di Reggio è stato sciolto per infiltrazioni mafiose ed è commissariato- e a meno di un chilometro i Bronzi giacciono sdraiati da tre anni -TRE ANNI- in attesa di un luogo che possa ospitare il loro splendore.

Eppure io questa fiducia ce l’ho. Al Sud c’è tanto da fare -il che mi accende tantissima voglia di fare-, c’è un’enorme ricchezza fatta di natura, di cultura e di capacità di relazione che attende di essere messa a frutto. Come dicevo ieri a una mia giovanissima amica e lettrice, io lì ormai mi sento a casa. Ogni volta sbarco dall’aereo in quella luce abbagliante e qualcosa dentro di me dice: “Rieccomi a casa”.

Il Nord mi sembra tanto stanco ed esausto. Uno dei miei nonni arrivò qui, quasi un secolo fa. Forse è arrivato il momento che io ritorni. I giovani meridionali percepiscono qualcosa di nuovo, e resistono lì dove sono, almeno ci provano, lottano, si aggrappano: si chiama “restanza”.

Io non so bene perché vedo questo. E’ una specie di miraggio, come fata Morgana, quel prodigio che da Reggio ti fa vedere Messina in mezzo allo Stretto, o fluttuante nel cielo.

Eppure ci credo, ci credo e desidero.

economics, Politica Settembre 13, 2012

Tornate a bordo, cazzo!

Novità tecnologiche a parte, a quanto pare l’iPhone 5 aiuterà la crescita americana, spingendo il pil Usa fra lo 0,25 e lo 0,50 per cento nel quarto trimestre 2012. In soldoni, l’economia Usa dovrebbe cavarne 3,2 miliardi di dollari.

Tradotto: il genio di un uomo che non c’è più, Steve Jobs, e del suo staff, farà un gran bene all’economia del suo Paese. In un certo senso, gli americani saranno destinatari di una quota della sua eredità.

E noi? Che cosa fa un genio italiano -e ne produciamo molti, a quanto pare- quando scopre di essere un genio, o anche molto meno, un* di talento quando scopre di avere una buona idea? Semplice. Se ne va. E perché se ne va? Perché sa che i mediocri si coalizzeranno per tagliargli le gambe, che i raccomandati non gli lasceranno mai spazio, che la burocrazia lo farà stramazzare, che le tasse lo faranno asfissiare.

Tutto quello che abbiamo di buono -talento, idee, risorse intellettuali e materiali- se ne va. Oggi perfino la casa al figlio cerchi di comprarla a Berlino o a Dubai (anche perché ti costa meno).Via di qui.

Non c’è solo la fuga dei cervelli. C’è anche quella dei mezzi-cervelli. Ormai se ne vogliono andare tutti. In Gran Bretagna, in Australia. La fuga è generalizzata. Si scappa dall’Italia come da una nave che affonda. Una specie di diserzione di massa. Dovremmo stare qui tutti a remare insieme, e invece rimarranno i più vecchi, i più poveri, i più stanchi.

E io dico: “Tornate a bordo, cazzo!”. Ma capirai, finché lo dico io… Dovrebbe essere qualcun altro a dirlo: “Tornate a bordo, cazzo!”, perché sulla nave c’è bisogno di voi, e c’è pane per voi, e ai migliori fra voi sarà dato il timone, perché siano loro a decidere la rotta. E dare subito dimostrazione di questo, del fatto che non sono solo chiacchiere, e trovare le risorse che servono, invece di sperperarle orribilmente per foraggiare l’oligarchia politica.

Tornate a bordo, ragazzi. Non lasciateci.

 

 

Donne e Uomini, media Marzo 22, 2012

Quarto potere… maschile

Questi sono i numeri delle presenze femminili in Rai (fonte CPO FNSI)  

33,7 per cento: giornaliste Rai.

4 per cento: donne dirigenti Rai.

2: donne direttore Rai.

3: donne vicedirettore Rai (a fronte di 33 uomini).

63: donne caperedattore Rai (236 gli uomini).

 

Questi sono i numeri delle presenze femminili nelle notizie Rai (dati Monitoraggio OERG Osservatorio di Pavia),

58 per cento: conduzione di Tg da parte di donne.

10 per cento: opinioniste autorevoli.

66 per cento: opinioniste “volanti”, cioè donne interpellate per strada (senza che di loro si sappia nulla: professione, età, scelte politiche).

16 per cento: donne “notiziate” in quanto vittime (contro il 6 per cento degli uomini). 11 per cento: donne “notiziate” per questioni politiche o economiche.

 

In Rai le italiane non fanno notizia, anche se raccolgono, diffondono, scrivono notizie. Quasi mai potendo scegliere quali notizie, come impaginarle, e in quale gerarchia.

 

Questa è invece la situazione della stampa nazionale italiana (fonte FNSI).

 5: donne direttore di quotidiani (113 gli uomini).

5: donne vicedirettore di quotidiani (99 gli uomini).

67: donne redattore-capo nei quotidiani (477 gli uomini).

 65 per cento: donne giornaliste rimaste dentro le aziende editoriali a seguito di stati di crisi. Tra queste, solo il 30 per cento ha un contratto. Tutte le altre sono precarie.

Fino al 40 per cento: gap di stipendio tra giornalisti uomini e donne.

 

Tirando le somme:

In Italia il quarto potere è in mano agli uomini in percentuali addirittura superiori a quelle che ci sono in politica. Questo giornalismo è mutilato, è un giornalismo a metà.

 

Non a caso, le donne italiane si stanno allontanando dalla lettura dei quotidiani:

 Corriere della Sera: donne che leggono il quotidiano: 25 per cento in meno.

La Repubblica: donne che leggono il quotidiano: 15 per cento in meno (fonte Audipress periodo II/2011).

 

Proposta:

Le giornaliste tedesche si sono unite per ottenere almeno il 30 per cento dei posti di direttore e caporedattore nelle testate giornalistiche entro i prossimi 5 anni.

Facciamolo anche noi, coordinandoci con loro:.

 

Gabor Steingart, direttore del quotidiano economico Handelsblatt, si è impegnato a riservare a una donna un posto su tre nei vertici del giornale: invitiamo direttori ed editori a seguire il suo esempio.

 

Chiediamo alle rappresentanze sindacali, alle CPO, di agire concretamente affinché l’informazione rappresenti donne e uomini, e non solo uomini.

 

postato contemporaneamente da

Giovanna Cosenza

Loredana Lipperini

Manuela Mimosa Ravasio

Lorella Zanardo

 

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THE MALE FOURTH ESTATE

 

These figures represent the number of women working in RAI (Italian State Radio and Television) source CPO FNSI

33.7 percent: female journalists in Rai

4 percent: female executives in Rai

2: female directors in Rai

3: female assistant directors in Rai (cfr 33 male)

63: female editor-in-chiefs in Rai (cfr. 236 male)

 

These figures represent the number of women working in Rai news (data Monitoraggio OERG Osservatorio di Pavia):

58 percent: female newsreaders

10 percent: female columnists

68 percent: randomly chosen women giving their opinions (‘women-in-the-street’)

16 percent: women in the news, as victims (cfr 6 percent men)

11 percent: women in the news for political or economic issues

 

In Rai women do not make news, even though they gather, broadcast and write news. Very rarely can they choose which news, its layout or hierarchy.

 

This, instead, is the situation of the Italian national press (source FNSI).

5: female newspaper editors (cfr 113 male)

5: female newspaper deputy editors (cfr 99 male)

67: female newspaper news editors (cfr 477 male)

65 percent: women journalists remaining on the editorial staff during economic crises, only 30 percent of them having a contract. The rest are considered temporary.

Up to 40 percent: the difference in wages between male and female journalists.

 

Summing up:

In Italy the press is in the hands of men at a percentage superior even to that of politics. This journalism is mutilated, it’s a half-way journalism.

It’s no coincidence that Italian women are reading the daily papers less and less:

Corriere della Sera: women who read the daily – 25 percent fewer.

La Repubblica: women who read the daily: 15 percent fewer (source Audipress periodo II/2011).

 

Proposal:

The German women journalists have united in order to obtain at least 30 percent of the positions as chief editor and news editor of the newspapers over the next 5 years.

Let’s do the same, co-ordinating with them.

Gabor Steingart, chief editor of the economic newspaper Handelsblatt, is committed to reserving one executive position out of three for a woman : we invite our executives and editors to follow his example.

(traduzione a cura di Jane Dolman, translator: Jane Dolman)

posted together from:

Giovanna Cosenza

Loredana Lipperini

Manuela Mimosa Ravasio

Lorella Zanardo

 

 

 

Donne e Uomini, economics, Politica Febbraio 27, 2012

I salari più bassi, i nervi più saldi. E le donne

Se la notizia Eurostat che lo stipendio medio annuo dei lavoratori italiani è tra i più bassi d’Europa (23.406 euro contro i 48.914 di un lavoratore del Lussemburgo, i 44.412 di un  olandese, i 41.00 di un tedesco, i 40.698 di un belga) è uno schiaffo in faccia, l’altra notizia, che i manager italiani guadagnano più di tutti i loro colleghi europei (2,15 milioni di euro, a fronte di una media europea di1,82 milioni) è l’uppercut definitivo.

Riassumendo: gli stipendi più bassi -nemmeno la Grecia-le bollette più alte, gli alti tassi di disoccupazione, il precariato selvaggio, i servizi più scarsi, le tasse a mille, i costi della politica tra i più onerosi, i capi che guadagnano non 10 ma 100 volte più di te -un’oligarchia di vecchi maschi avidi- e l’art. 18 che “non è più un tabù”.

Come facciamo, non si sa. Anzi, si sa. E’ la tenuta delle nostre famiglie, che ci permette di andare avanti. Ed è la fatica immane delle donne, a tenerle in piedi.

La vera notizia sono i nostri nervi saldi, la nostra mitezza, la nostra capacità di sopportare, di incassare, di tamponare, di surrogare, di arrangiarci, di metterci una pezza.

Ma per quanto ancora ci si può contare?

Aggiungo a quello che ho scritto di getto stamattina: le soggette del cambiamento siamo noi. Siamo noi che -in massa critica, che per me non è meno del 50 per cento- possiamo cambiare i partiti, la politica, e quindi il Paese. Perché siamo noi che lo stiamo tenendo su con la nostra abnegazione e che stiamo pagando il prezzo più alto.

Il mio punto di vista è che per l’anno in corso, fino alle prossime elezioni politiche, dobbiamo concentrarci massimamente su questo obiettivo, mettendo tra parentesi il resto. Che non dobbiamo più disperderci in mille rivoli e mille obiettivi. Perché solo da quel cambiamento potranno discendere tutti gli altri: lavoro, welfare, diritti, un’economia più giusta, un Paese meno infelice.

Il tema principe, perciò, per me è questo: la rappresentanza politica: ci ho scritto un libro che uscirà la settimana prossima. Insieme a quello della rappresentazione delle donne, arma letale che serve a infiacchirci e a indebolirci (e su cui ha lavorato soprattutto una di noi, Lorella Zanardo, che riposto qui). Rappresentanza/rappresentazione, i due temi strettamente interconnessi, a cui voglio dedicare le mie migliori energie, coordinandomi strettamente con altre che condividono questo punto di vista.

Qui Lorella Zanardo

http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=10016

 

AMARE GLI ALTRI, ambiente, Donne e Uomini, economics, Politica Settembre 28, 2011

Il Paese del Wellness

Non sono Mario Monti, o Prodi, non sono Mario Draghi e nemmeno Rosy Bindi. Sono niente di niente, solo una donna che si dà la libertà di pensare e di comunicare quello che ha pensato, e a cui interessa più la nostra casa comune che la sua propria. E che ha bisogno di capire di che cosa stiamo parlando quando parliamo di economia, che cosa si intende per crescita, ad esempio, e per sviluppo. Una che, come quasi tutti -salvo quei pochi che della confusione si giovano e speculano, facendo ballare il resto del mondo-, vorrebbe sapere da che parte spingere per andare incontro al meglio, per noi e soprattutto per i nostri ragazzi.

E allora quando penso al nostro paese, penso due cose: che ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, purché cresca il numero di donne e uomini di buona volontà che impegnino le loro energie e il loro desiderio in questa direzione; e che si deve accettare il nuovo che arriva, nel suo bene e nel suo male, e aprirgli la strada. Mi immagino un paese, è quello in cui vorrei vivere, in cui penso che convenga vivere, e provo a raccontarvelo. Se tu sai quello che vuoi, se lo vedi, se lo pratichi, è come se lo mettessi già al mondo -la mia diletta Mary Daly parlava di “campi morfogenetici” ingenerati dal desiderio-.

Io la vedo così: un paese che ha come risorsa non il petrolio, non l’oro, ma il bene della bellezza in tutte le sue forme. Un piccolo paese a cui la Provvidenza, se ci credete, ha dato il compito di testimoniare il qualis, più che il quantum. E’ questo che ci viene bene, è questo che il resto del mondo viene a cercare qui, senza dubbio: la bellezza naturale e artistica nella sua stupefacente varietà, la capacità di trasformare la materia in bellezza, il piacere, la dolcezza di vita che ne viene.

Di questo potremmo avere il privilegio di vivere. Di bellezza, di wellness. E’ in questa risorsa che dovremmo investire. E’ a questo, in tutte le sue declinazioni, che dovremmo preparare le ragazze e i ragazzi. A valorizzare, a produrre, ad amministrare bellezza in tutte le sue declinazioni. Agevolando in ogni modo l’apprendistato delle nostre belle arti. Favorendo e sostenendo la libera impresa in tutti i settori che hanno a che vedere con questa risorsa, dal turismo alle attività culturali, all’agricoltura, all’enogastronomia, all’artigianato. Creando tutte le infrastrutture necessarie. Finanziando ricerca, anche biomedica, che abbia a che vedere con la sana alimentazione, con il buon vivere (per es. nel settore della medicina preventiva e antiaging).

Insomma, ne ho dette solo alcune e in ordine sparso, per capirci. Volendo, qui ci sarebbe l’embrione di un programma di sviluppo. Ma finché le dico solo io… Sarebbe bello che la politica della rappresentanza -o politica seconda-, con la più ampia convergenza, assumesse se non proprio questa visione, che mi convince molto, quanto meno UNA visione, facendone il goal del lavoro di ricostruzione che ci tocca, come ci toccò dopo la guerra, la stella polare di quel “retto vivere” invocato dalla Chiesa, esortazione a cui tutti dobbiamo corrispondere, a cominciare naturalmente da chi si è assunto le più onerose responsabilità pubbliche e che la retta via l’ha del tutto smarrita.

Temo che per tutto questo servirà un rinnovamento radicale -non parlo solo di alternanza politica, oggi sarebbe troppo poco– una nuova classe di amministratrici e amministratori, capaci di assumere una visione -io la mia modestamente l’ho presentata qui- di renderla chiara a tutti, il che sarebbe già un grande passo, e di agevolare la sua materializzazione.

E credo che Expo 2015, evento sul quale vi invito a porre la massima attenzione, potrebbe costituire il laboratorio del nostro Paese nuovo.

Politica, TEMPI MODERNI Giugno 13, 2011

IO LO AMO

Qualcuno conosce questo signore? Io lo voglio sposare
(niente spiega meglio di questa foto quello che sta capitando nel nostro paese).
AMARE GLI ALTRI, tv Marzo 10, 2011

SORELLA TV

La televisione ha fatto molto per noi. Negli anni Sessanta ci ha perfino alfabetizzato. Ci andavano i migliori, una volta. quelli che avevano studiato, quelli che avevano molto da dire e da dare. Ci ha fatto conoscere i classici, il grande teatro, il grande cinema. La musica. Lo swing. L’America, con i suoi grandiosi show del sabato sera, modello d’oltreoceano. Il gioco, i quiz, la bellezza, la politica. Piazzata sulla mensola in alto, nei bar. E poi l’apparecchio a casa, preziossimo, con il centrino sopra, i vicini che non l’avevano ancora che alle nove venivano a guardarla. Sistemata via via più in basso, sempre meno totem e sempre più focolare. Il b/n, quegli stranissimi filtri di plastica che davano l’illusione del colore (tutto virato sul rosso-verde) e poi la tv color sistema Pal (ricordo male?). La tv ha accompagnato il boom, lo sviluppo del paese, lo ha promosso e raccontato.

A un certo punto, una trentina d’anni fa, le cose hanno preso una piega diversa. E’ nata la tv commerciale. La pubblicità ha cominciato a dettare direttamente programmazione e palinsesti. Il servizio pubblico ha assunto il modello. Fare soldi è diventato il challenge universale. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi c’è il web. La tv deve riprogrammarsi tenendone conto. Ma credo che abbia ancora molto da dare. E credo che il suo futuro abbia molto a che vedere con la riassunzione del suo antico compito pedagogico e della responsabilità nei confronti del pubblico. Il che potrà capitare solo se tutti (operatori e telespettatori) faranno la loro parte. E grande parte di questa parte (scusate il bisticcio) oggi è destruens, e sta nella capacità di dire no: non collaborerò alla realizzazione di quel programma, lotterò per quella produzione edificante, non guarderò quella robaccia e contribuirò a diminuirne l’audience. Scelte individuali che possono molto, moltissimo.

Il discorso più grande è questo: sottrarre ciascuno quello che possiamo alla misura simbolica unica dei soldi. Mostrare che possono esserci anche altre misure, non scambiabili con soldi. Una persona a me molto cara l’altro giorno mi ha detto, in modo semiserio: se il problema di tutto sono i soldi, allora aboliamoli. Abolirli del tutto non possiamo (ci provò già Pol Pot, e non andò benissimo) ma abolirli un pezzettino sì. Sottrarre a questa misura almeno parte delle nostre scelte e della nostra vita è un obiettivo praticabilissimo. Già qui e fin d’ora.

economics, Politica Marzo 2, 2011

LUI E MUAMMAR

Oggi traggo dal blog del collega Paolo Brogi (www.brogi.info).

Ancora un altro giorno perso per affrontare la questione Berlusconi socio d’affari con Gheddafi. Basta cliccare su google e scrivere Quinta communications, ed ecco uscire la verità. L’ingresso di Gheddafi un anno fa nella società fondata nel ’90 da Berlusconi e Ben Hammar: un 10% del capitale in capo alla Lafitrade a sua volta controllata da Lafico, la società della famiglia Gheddafi.

Perciò non stupisce che alla resa dei conti Berlusconi sia di nuovo fuori asse rispetto alle altre cancellerie. Oggi si è detto contrario all’ipotesi Usa di mandare in esilio Gheddafi.

Bravo.

Il suo ministro della difesa avanza, titubante, la possibilità che le nostre navi militari siano impiegate insieme a quelle alleate. Più che una proposta è un timore.

Questa è la situazione.

Qualcuno solleverà giovedì il problema del mostruoso conflitto di interessi del nostro presidente del consiglio?

E’ evidente infine che, durante i  calorosi incontri con Gheddafi, Berlusconi  si deve essere spinto un po’ troppo in là. Del resto parlava con un socio in affari.

Quanto di tutto ciò costituisce oggi un elemento concreto di ricattabilità per l’Italia?

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI, WOMENOMICS Dicembre 4, 2010

INCINTE DEL PAESE NUOVO

A proposito dell’ultimo rapporto Censis e dell’assenza di desiderio, scrive Dario Di Vico sul Corriere di oggi:

“… le donne italiane hanno un potenziale di aspirazioni quasi del tutto integro. Dopo lunghi anni di affermazioni frustrate si presentano sulla scena del mondo del lavoro con la giusta ambizione di far valere la propria presenza e il proprio punto di vista. Perché, allora, per risvegliare l’apatica società italiana descrittaci da De Rita, non attingiamo a questa straordinaria riserva?

Milita a favore del fattore D non solo il principio dell’elastico -ciò che è stato compresso a lungo, quando viene liberato fa un balzo in avanti- ma anche la capacità relazionale tipica del sesso femminile. Mai come adesso c’è da ricucire il tessuto delle relazioni umane, le reti per dirla con la lingua dei sociologi e dunque non c’è miglior protagonismo di quello delle donne“.

E’ quello che dicevo ieri, commentando il rapporto Censis: noi donne desideriamo. Siamo piene di desideri. Piene di questa grazia. Incinte del Paese nuovo. E’ il momento di tirarli fuori, di affermarli senza esitazioni. Il momento è proprio adesso. Ditelo a voi stesse, alle vostre amiche che ancora esitano.

Nessuno deve avere paura. Né gli uomini, né le donne. La politica deve lasciarci entrare.

esperienze Novembre 20, 2010

ITALIAN BEAUTY

L’ultimissimo film di Toni Servillo (“Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini) è un vero prodigio. Non faccio la critica cinematografica, ma sono certa che sbancherà al botteghino e farà l’en plein di premi e riconoscimenti (ha già vinto il premio per il miglior proragonista al Festival di Roma).

Toni ha messo qualche chilo intorno alla pancia (“da terrone”, dice) per rendere più credibile il suo Rosario, ex-camorrista che si è rifatto una vita onesta come cuoco in Germania. Una moglie tedesca e innamorata, un bel bambino biondo. Finché il passato non si ripresenta, con un movimento tragico e quasi shakespeariano, per saldare i troppi conti rimasti in sospeso.

Al contatto con le atmosfere nordiche (come in “Le conseguenze dell’amore”, ambientato a Lugano, o “La ragazza del lago”, tra i boschi del Friuli), Servillo sembra dare il meglio del suo meglio. Come se lì potesse liberarsi del suo abituale rigore -protezione necessaria per crescere onesti al Sud, o anche solo per vivere in Italia in questo tempo- e lasciar correre senza briglie tutto il suo strepitoso talento.

Lui che in tv non ci va, nemmeno per sbaglio. Niente mondanità o attici in piazza di Spagna: continua a vivere a Caserta, quando non è in giro per il mondo. Ci vuole un bel po’ per strappargli un sorriso, benché sia uomo spiritosissimo. Sceglie sempre il teatro più grande (in questi giorni, dopo un tour mondiale, sta riportando in scena al Piccolo di Milano la sua “Trilogia” goldoniana), mentre alle grandi firme del cinema preferisce l’aurora delle opere prime. Un uomo difficile e severo, in un mondo facile e slabbrato.

E in questo film Toni Servillo fa il miracolo. Si mangia Bob De Niro e Al Pacino. Non una slabbratura, una gigioneria, il minimo autocompiacimento. La perfezione dell’attore, che ingenera una profonda gratitudine. Perché il bello è proprio questo: che in un paese impresentabile, sull’orlo dell’abisso, uno come lui sia adorato e fatto quasi oggetto di culto. Una specie di eroe nazionale. Che la sua energia passi, anche in assenza di compromessi. Che quel che ha da dire arrivi, pur senza facili mediazioni.

Il che dimostra, ed è quello che conta, l’incredibile resilience di questo paese. Il suo fondo incorrotto, che riesce sempre a custodire, anche nelle cicliche temperie morali e materiali che attraversa. Il suo attaccamento alla bellezza, che infine lo traghetta sempre in salvo.
pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 20 novembre 2010