La televisione ha fatto molto per noi. Negli anni Sessanta ci ha perfino alfabetizzato. Ci andavano i migliori, una volta. quelli che avevano studiato, quelli che avevano molto da dire e da dare. Ci ha fatto conoscere i classici, il grande teatro, il grande cinema. La musica. Lo swing. L’America, con i suoi grandiosi show del sabato sera, modello d’oltreoceano. Il gioco, i quiz, la bellezza, la politica. Piazzata sulla mensola in alto, nei bar. E poi l’apparecchio a casa, preziossimo, con il centrino sopra, i vicini che non l’avevano ancora che alle nove venivano a guardarla. Sistemata via via più in basso, sempre meno totem e sempre più focolare. Il b/n, quegli stranissimi filtri di plastica che davano l’illusione del colore (tutto virato sul rosso-verde) e poi la tv color sistema Pal (ricordo male?). La tv ha accompagnato il boom, lo sviluppo del paese, lo ha promosso e raccontato.

A un certo punto, una trentina d’anni fa, le cose hanno preso una piega diversa. E’ nata la tv commerciale. La pubblicità ha cominciato a dettare direttamente programmazione e palinsesti. Il servizio pubblico ha assunto il modello. Fare soldi è diventato il challenge universale. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi c’è il web. La tv deve riprogrammarsi tenendone conto. Ma credo che abbia ancora molto da dare. E credo che il suo futuro abbia molto a che vedere con la riassunzione del suo antico compito pedagogico e della responsabilità nei confronti del pubblico. Il che potrà capitare solo se tutti (operatori e telespettatori) faranno la loro parte. E grande parte di questa parte (scusate il bisticcio) oggi è destruens, e sta nella capacità di dire no: non collaborerò alla realizzazione di quel programma, lotterò per quella produzione edificante, non guarderò quella robaccia e contribuirò a diminuirne l’audience. Scelte individuali che possono molto, moltissimo.

Il discorso più grande è questo: sottrarre ciascuno quello che possiamo alla misura simbolica unica dei soldi. Mostrare che possono esserci anche altre misure, non scambiabili con soldi. Una persona a me molto cara l’altro giorno mi ha detto, in modo semiserio: se il problema di tutto sono i soldi, allora aboliamoli. Abolirli del tutto non possiamo (ci provò già Pol Pot, e non andò benissimo) ma abolirli un pezzettino sì. Sottrarre a questa misura almeno parte delle nostre scelte e della nostra vita è un obiettivo praticabilissimo. Già qui e fin d’ora.

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