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giuliano pisapia

esperienze, Politica Maggio 3, 2015

#NessunotocchiMilano: una città che ha fretta di risorgere

Cittadini anti-graffiti a Milano, via Scaldasole, quartiere Ticinese

Dice 20 mila, il sindaco Pisapia: senz’altro più di 10 mila i milanesi alla manifestazione #NessunotocchiMilano, idea lanciata dal Pd milanese -ma corteo rigorosamente senza bandiere, colonna sonora: “O mia bèla Madunìna” e Inno di Mameli-. Manifestazione che come ha sottolineato in conclusione il cantautore Roberto Vecchioni dal palco improvvisato sulla bellissima nuova Darsena, ha “ripulito la città” ripercorrendo amorosamente le strade devastate il Primo maggio dall’idiozia di decine di teppisti in nero.

I segni ci sono ancora: vetrine sfondate e intonaci graffitati da piazza Cadorna, in via Carducci e via Molino delle Armi. Per rimettere le cose a posto serviranno tempo, squadre specializzate, soldi pubblici. Il lavoro di oggi è stato solo simbolico ma molto preciso e molto forte. La risposta spontanea di una città strutturalmente discreta, che manifesta i suoi sentimenti solo quando sono autentici. E se è vero -ed è vero- quello che «Quel che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia» (Gaetano Salvemini), il segnale lanciato è quello di una volontà “risorgimentale”, di una voglia di riscossa che potrebbe traversare elettricamente tutto il Paese. Uno spirito simile a quello che ha accompagnato 4 anni fa il cambio di giunta -e da cui ha preso avvio anche il cambio al governo nazionale- e che sembra voler lanciare una nuova sfida politica per Milano e per l’Italia. Basta alle devastazioni, basta al nichilismo black bloc o di chiunque altro, vuole dire basta a tante altre cose: basta alla corruzione che ci umilia, basta con l’insicurezza quotidiana -una dolce Tolleranza-Zero- basta alla sfiducia ingenerata dalla lunghissima crisi, basta alla politica inefficace, basta alle cretinate “da bere”. Una riconferma di quell’anima storicamente laboriosa, positiva, radicalmente riformista, accogliente e solidale che non smette di costituire il tratto identitario di Milano, e che trova in Expo, al netto delle legittime critiche, un importante catalizzatore.

In testa al corteo, intorno a Pisapia, tutta la giunta e vari consiglieri comunali, il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati, la sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni e vari candidati in pectore alla poltrona di sindaco, da Emanuele Fiano a Ivan Scalfarotto. Più che “anni Settanta”, come commentava qualcuno, il clima “anni Sessanta” di una città che intende fortemente ricostruirsi a partire dai suoi fondamentali storici, liberandosi dell’inessenziale e degli esibizionismi superflui -senza rinunciare all’allegria- e dando il la al resto del Paese.

Ottimo auspicio per tutti.

Giovane anti-writer

Claudio Bisio con il sindaco Pisapia

Il corteo in corso di Porta Ticinese

 

 

 

Libri, Politica Aprile 16, 2015

Nel suo “memoir” Giuliano Pisapia regola i conti. E apre la campagna elettorale

Giuliano Pisapia è sempre stato un garantista, e nel suo libro “Milano città aperta” uscito proprio oggi da Rizzoli spiega dettagliatamente il perché, compresa un’esperienza personale di ingiustizia che lo ha segnato profondamente. La sua tenuta sui diritti, dalle coppie di fatto al fine vita, è insieme ad area C e all’intervento sul traffico giustamente premiato dall’Ocse l’eredità più significativa che lascia a Milano. Le pagine sul suo lavoro di avvocato e di giurista sono le più belle.

Ma scrivere un memoir in corso d’opera, a più di un anno dalla fine del mandato, mentre stai ancora giocando, non sembra molto opportuno. In genere si attende di essere davvero fuori dal recinto di gioco, o quanto meno di avere smesso la casacca, altrimenti si dà l’idea di voler continuare a giocare nel ruolo di arbitro: una specie di auto-amoveatur ut auto-promoveatur. Per esempio, molti ritengono, al ruolo di leader di quella coalizione sociale che potrebbe diventare la nostra Podemos.

Anche le pagelle su assessori e compagni di strada (da Pierfrancesco Majorino, a cui si rimprovera di avere “attaccato con rudezza la mia compagna“, a Carmela Rozza, al veterano Basilio Rizzo) non renderanno certo più facile il lavoro di giunta nel prossimo anno. Per non parlare dell’imbarazzante rancore fuori tempo massimo nei confronti dell’ex-competitor Stefano Boeri, già fatto fuori in tutti i modi possibili. Tra l’altro un bel po’ delle cose di cui il sindaco si fa giustamente un vanto, da BookCity a PianoCity al nuovo skyline di Porta Nuova, le ha fatte proprio Boeri, e sarebbe stato carino riconoscerlo*. Pisapia, insomma, è già in campagna elettorale e sembra voler indicare nome e cognome quelli che, a suo parere, devono proprio togliersi dalla testa di prendere il suo posto. 

Chi ha esercitato un potere raramente abdica senza voler continuare a segnare di sé quello che verrà in seguito: è una cosa normale, capita sempre così, specialmente agli uomini, che tendono a voler mantenere il controllo del territorio. In questo senso il libro di Pisapia, più che un commiato, si presenta come un manifesto programmatico.

Infine, se si può dire, il tono del libro appare un tantino autocelebrativo: un commosso ricordo della rivoluzione arancione alla quale, sempre se si può dire, hanno partecipato anche moltissimi milanesi, circa la metà, che non tifavano affatto per lui. Insomma, come dice una mia amica e maestra quando mi inorgoglisco di qualcosa di buono che ho fatto: “Non sei stata tu. E’ stato lo Spirito Santo”. E’ stata la città a “liberarsi”, se vogliamo ricorrere a questa retorica, erano i tempi a essere maturi. Attribuirsi tutti i meriti pare un po’ esagerato. La svolta non è avvenuta perché c’era Pisapia. Diciamo che Pisapia ha potuto esserci perché la città voleva svoltare.

Infine, qualche sfumatura autocritica non avrebbe guastato: Pisapia dice di passare molto tempo della sua giornata a girare la città. Gli sarà capitato di vedere in che stato si trova, appena fuori dalla seconda circonvallazione, e magari anche dentro: buche, sporcizia, abbandono. Cose su cui si potrebbe anche pazientare, visto il deficit di bilancio ereditato. Se non fosse che in quelle buche, in quel degrado, potrebbe piantare i suoi semi una destra aggressiva, pronta a spazzare via qualunque sfumatura di arancione.

* dimenticavo il Museo dei Bambini. Anche il Muba l’ha fatto lui, mica Boeri…

 

 

Politica Marzo 23, 2015

Milano e il dopo-Pisapia: la giostra riparte

La notizia era attesa ma ha ugualmente prodotto una deflagrazione nella piovosa domenica milanese: il sindaco Pisapia non si ricandiderà per il secondo mandato, e  immediatamente è partito il vortice di riunioni, consultazioni, tam-tam sul possibile successore.

Per un centrodestra che sta poco bene Milano può essere l’occasione per un rilancio alla grande: le cose politiche che contano cominciano quasi sempre qui. Il nome di Maurizio Lupi, tra i più accreditati fino allo scandalo e alle  dimissioni di qualche giorno fa, al momento appare improponibile. Ma un accurato rewashing accoppiato alla velocità dei tempi e alla memoria corta (di qui a un anno può capitare di tutto) non permette di escludere del tutto la sua candidatura. Intanto Matteo Salvini scalda i motori e si dice già pronto, sia pure accettando di passare per primarie. E anzi chiede che non si aspetti un anno per votare.

Nel centrosinistra il turbillon è più intenso: accanto alle ipotesi continuiste (in primis Pierfrancesco Majorino, attuale assessore, ma anche altri esponenti della giunta, come Cristina Tajani, e Umberto Ambrosoli, figlioccio del sindaco, che non ha mai nascosto le sue ambizioni), corrono nomi di milanesi esportati a Roma (Emanuele Fiano, Lia Quartapelle, perfino Ivan Scalfarotto), ma c’è anche il papa “straniero” che probabilmente non spiacerebbe a Matteo Renzi (come Andrea Guerra, ex-ad di Luxottica, o Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, in verità entrambi milanesi; oltre a qualche illustre giornalista, e altri ancora) per il potenziale attrattivo nei confronti dell’elettorato di centrodestra: scelta che tuttavia potrebbe aprire prati o praterie a sinistra. La passione per le primarie si è molto attenuata ma è improbabile che se ne farà a meno, anche se molti chiedono regole più strette.

Ci si può divertire: girano molti altri nomi quasi tutti destinati al rogo, si fa quasi prima a fare il conto di chi non intende candidarsi, e non sono esclusi cappelli e conigli dell’ultim’ora, al momento ben acquattati. Ma la vera partita si giocherà tra il “modello Milano”, che il sindaco Pisapia rivendica orgogliosamente, e le larghe intese nazionali. Molto sta a capire quanto interesse abbia il premier Renzi per la partita milanese: per la politica romana, Milano è sempre stata un oggetto incomprensibile e potenzialmente esplosivo, vediamo come andrà stavolta. Anche la riuscita di Expo e il dopo-Expo, con particolare riferimento al destino delle aree, faranno sentire il loro peso.

Infine, l’incognita “partecipazione”: non è detto che si replichi la grandissima mobilitazione che nel 2011 portò al cambio di giunta, visto che spenti i clamori della campagna elettorale la giunta è andata per la sua strada senza troppe sfumature arancioni e con puntate francamente dirigistiche. Ancora più seria l’incognita “periferie”, sostanzialmente abbandonate da un governo provincialmente centrostorico-centrico, che non ha saputo vedere l’enorme potenziale della città oltre le mura spagnole e la seconda circonvallazione. Ogni possibile e necessarissima “visione” non può che esercitarsi lì. Fatto che i cittadini “periferici” -giustamente- si sono legati al dito.

 

italia, Politica, Senza categoria Marzo 16, 2015

Venezia, effetto Casson: vince il candidato non renziano. E ora vediamo Milano

Felice Casson, candidato sindaco per il centrosinistra a Venezia

Molto molto bella la stravittoria di Felice Casson (55.6 per cento dei consensi) alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Venezia, staccando nettamente gli altri due candidati. Persona schiva, ai limiti della timidezza, ma di straordinaria fermezza morale, Casson NON era sostenuto dalla gran parte del Partito Democratico veneziano. Il che non ha impedito questo grande risultato, in una città scioccata e umiliata dal tradimento dell’ex-sindaco Orsoni.

Perché poi c’è il voto, è la morale della favola: e quando dalla rappresentazione mediatica, dai talk show, dai trionfalismi bonapartistici si passa al libero voto, le sorprese possono essere davvero grandi. E quando, come nel caso dell’elezione dei sindaci, si può esprimere una chiara preferenza per un candidato e le stanze dei partiti devono ingoiare, capitano cose come questa: ecco perché le preferenze piacciono poco a chi governa.

Intanto tra poco sapremo se Giuliano Pisapia lascerà o si candiderà per il secondo mandato come sindaco di Milano. Molti chiaroscuri nella sua gestione, che sintetizzerei così: una retorica della partecipazione, con i consigli comunali su megascreen come le partite, che ha ceduto rapidamente il passo a una propensione dirigistica; bene il piano del traffico, benissimo la tenuta sui diritti civili, Pisapia è sempre stato stra-garantista; male le periferie, sostanzialmente abbandonate, in una visione un po’ provinciale, borghese e “centrostoricistica” della città. Difetto di visione: sguardo puntato solo su Expo, evento che non sta scaldando i milanesi, e già incagliato nel subito-dopo Expo. Ancora non è chiaro che cosa sarà di quel sito.

Se Giuliano Pisapia non dovesse ricandidarsi per le amministrative del 2016, i rischi per il centrosinistra sarebbero piuttosto elevati: il centrodestra giocherà la sua partita alla grande perché sa molto bene che da Milano -da sempre oggetto misterioso per la politica romana: ignorare o maneggiare con cautela- parte quasi tutto: senza la battaglia del 2011 per il cambio di giunta oggi probabilmente non ci sarebbe un governo Pd. Proprio per questa ragione Matteo Renzi sarebbe fortemente tentato dalla proposta di un candidato-unico destrorso-pigliatutto, scelta che però avrebbe per lui non poche controindicazioni, aprendo spazi a una sinistra che sappia intercettare le sofferenze di una città che non ama esibire i patimenti ma cionondimeno li prova. Con possibili effetti a sorpresa: vedi Casson, quando il Pd vince grazie ai non-renziani.

Partita interessante, insomma, e serio banco di prova per il renzismo, che su Venezia dovrebbe riflettere attentamente: sul tema Renzi, destra e sinistra e Terza società in sofferenza, consiglio caldamente la lucida analisi di Luca Ricolfi (significativamente, non la pubblica Il Fatto Quotidiano, ma il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore). Buona lettura.

 

 

Donne e Uomini, personaggi Maggio 31, 2013

Ciao bionda

Stamattina Franca ha avuto quello che aveva voluto: una specie di festa d’addio, un funerale con tante donne vestite di rosso che cantavano “Bella Ciao”. E’ andata proprio così, nell'”anfiteatro” urbano che si apre tra il Teatro Strehler e il Teatro Studio, dietro il milanesissimo corso Garibaldi.

Un “Bella ciao” quasi solo femminile e soave. E un lungo, speciale e commosso applauso, tutte con le teste chine, quando il figlio Jacopo ha ricordato la vicenda del rapimento e della violenza da parte di un gruppo di neofascisti, “con certi ufficiali dei carabinieri che dopo hanno brindato… Lei ebbe il coraggio di raccontarlo, e non fu facile, perché veniva da una famiglia cattolica, la vergogna era più forte“.

Una vergogna che ci attraversa tutte, come un lungo brivido, e che fa crescere la riconoscenza per il coraggio grande che lei ha avuto, di mettere in scena quello che era capitato senza nascondere nulla, di farlo per tutte, raccontando fin nei dettagli la speciale tortura riservata a una donna indomita, e anche così bella, una bellezza che mischiandosi alla libertà pareva quasi un affronto. “Era intollerabile che ci fosse una donna così rompic…i” ha detto ancora il figlio “e oltretutto così bella, che diceva no all’orrore“.

Dopo il delicato ricordo del sindaco Giuliano Pisapia, che ha parlato di Franca come di una “donna meravigliosa: coraggiosa, libera e forte“, tutta di lotta e cadenzata dal pianto l’orazione di Jacopo Fo: “L’amore che ci state dando in questi giorni mi fa pensare che mia madre ha fatto qualcosa per gli altri. Delle sue lotte diceva: non posso fare altrimenti, non si può lasciare che si trattino così le persone. Mia madre ha amato immensamente, me, mio padre, le mie figlie, la mia nipotina. Quando qualcosa non funzionava, diceva: ricordati che Dio c’è, ed è comunista. Io dico che non solo è comunista, ma è anche femmina. Andate a casa da qui con un po’ di fiducia. Il mondo lo cambieremo“.

Tutto teatrale, un vero recital, il discorso del marito Dario: “I nostri testi li abbiamo scritti quasi sempre insieme. Spesso discutevamo ferocemente prima di trovare una sintesi. Lo spettacolo che è stato più rappresentato nel mondo, con 700 edizioni, non è stato “Mistero Buffo”, ma “Coppia aperta, quasi spalancata”. Non l’ho mai detto, per gelosia: l’ha scritto tutto lei. Recentemente Franca aveva scoperto alcuni apocrifi dell’Antico Testamento, e in particolare della Genesi. E ne aveva tratto un racconto. Nel quale Dio crea per prima Eva, di argilla finissima“.

Dario Fo rappresenta l’inedito a fianco del feretro di Franca, coperto da uno scialle rosso. E’ la prima assoluta, dice. Una messa in scena, in onore della sua compagna. Un tributo all’attrice e drammaturga. E a tutte le donne, depositarie (è il senso del testo) del mistero dell’amore.

Amore che vale tutto. “Anche se poi c’è la fine“.

esperienze, Politica Marzo 22, 2013

Demagogia partecipata

In queste ore toste per il Paese, c’è una sòla che non tollero più di contribuire a tenere in piedi: l’idea di democrazia partecipata. Forse piano piano si arriverà a costruire qualcosa del genere. C’è da osservare attentamente quello che farà il Movimento 5 Stelle. Ma finora ogni promessa di democrazia partecipata è stata bellamente disattesa, con grave disillusione di chi ci aveva creduto.

Per esempio Milano e la sua “primavera arancione”, che di questa retorica si è ampiamente nutrita. Tolta la buona volontà di quei pochi e di quelle poche che continuano ad alimentare il sogno (penso, ad esempio, alla consigliera Anita Sonego e ai suoi tavoli delle donne, sulla cui efficacia tuttavia andrebbe aperto un discorso), di partecipato non c’è un bel tubo, se non il rammarico di dover semplicemente incassare decisioni già assunte.

Non c’è democrazia partecipata sul bilancio, sulla visione della città, sulle scelte di indirizzo, su Expo. Non ci sono incontri periodici con i cittadini -a parte i commossi bagni di folla in corso di campagna elettorale-. Non c’è chiarezza partecipata su scelte importanti come i rimpasti di giunta, e gravi come quella di liquidare in poche ore un assessore che stava lavorando tanto e bene: scelta in realtà maturata da molto tempo, si è solo colta l’occasione dell’ultima “finestra” disponibile. Si è cominciato con le sedute di consiglio su megascreen in piazza e si è finiti con un consiglio comunale che lamenta di non contare più di quanto contasse durante la giunta Moratti, allora stigmatizzata per il suo stile oligarchico.

Le esperienze civiche languono, i comitati dei cittadini si sono estinti per sfinimento. C’è solo il grande e consolatorio buzz della rete di cui tutti allegramente se ne sbattono. Ma la retorica della “democrazia partecipata” è ancora viva e vegeta, pernicioso trompe l’oeil. Sgombriamo il campo da queste fantasie romantiche e guardiamo in faccia, da cittadini adulti, la realtà.

Politica Marzo 18, 2013

Il caso Boeri e lo schizo-Pd

 

Certo: un sindaco può sempre revocare le deleghe a un assessore, è suo diritto. Ma trattandosi di fatto di una certa gravità, è bene che i cittadini  vengano messi al corrente nel dettaglio delle motivazioni. A maggior ragione se il sindaco si è sempre appellato a un rapporto “diretto” con la cittadinanza, non facendo parte di alcun partito con il quale sarebbe invece tenuto a confrontare le sue scelte. E in particolare quando il “licenziato” è Mr Preferenze -con i suoi 13 mila voti da capolista Pd Stefano Boeri è stato il secondo degli eletti a Milano dopo Silvio Berlusconi-. Quando sta lavorando moltissimo e bene: dall’invenzione di Bookcity all’Oca, spazio per la creatività giovanile negli spazi ex-Ansaldo, a mostre di grande successo come quella dedicata a Picasso, record storico di visitatori. E senza sforare il budget di 800 mila euro: che per la cultura, in una città come Milano, è davvero poca roba, e anzi riuscendo a trovando generosi sponsor in questo periodo di vacche magrissime.

I rapporti tra il sindaco Giuliano Pisapia e il suo ex-antagonista alle primarie non sono mai stati buoni. La “cacciata” dell’assessore  è una notizia, certo, ma anche no. La mannaia è sempre stata a pochi centimetri dal collo di Boeri. Il piatto freddo di quella che ha tutta l’aria di una vendetta è stato servito ancora tiepido, un annetto dopo la revoca dell’altro assessorato, quello a Expo. Caso finalmente risolto. Al posto di Boeri arriva il musicista Filippo Del Corno, già presidente della Fondazione Scuole Civiche.

Il casus belli sarebbe stato l’investimento di 160 mila euro per due mostre, ma la sensazione è che la causa sia del tutto occasionale e che il destino di Boeri fosse comunque segnato. Gli appelli in extremis, di intellettuali, personalità, cittadini e anche quello di una quindicina di consiglieri del Pd non sono stati minimamente considerati, a fronte di quello che è stato raccontato come il venir meno del rapporto di fiducia.

Oggi Pisapia offrirà al Consiglio le sue motivazioni -che Boeri abbia un caratteraccio in effetti non basta- mentre le proteste dei cittadini si moltiplicano. Ma ormai i giochi sono fatti, e non si torna indietro.

C’è dell’altro. E’ lo stesso partito, viene da chiedersi, quello che a Roma conduce in porto la splendida operazione Boldrini-Grasso, spalancandosi al meglio del civismo, e pensa a una futura squadra di governo informata dagli stessi principi, e quel Pd che a Milano dà il suo nulla osta alla decapitazione del suo ex-candidato sindaco supercivico, che al partito ha portato una cospicua dote di consensi, ottenendo a compensazione l’assessorato ai Lavori Pubblici per la pochissimo amata Carmela Rozza? Che cosa ci si deve aspettare? L’addio, prima o poi, anche a quei due magnifici neo-presidenti, al primo scatto di autonomia? O, viceversa, la sostituzione in blocco di un gruppo dirigente milanese che da troppo tempo non ne imbrocca una, totalmente incapace di intercettare lo spirito del tempo?

Nevica, in tutti i sensi, sulla primavera arancione.

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, questione maschile Gennaio 23, 2013

Care Assessore e Consigliere di Milano…

 

Carissime Assessore milanesi, Lucia (Castellano), Ada Lucia (De Cesaris), Cristina (Tajani) , Chiara (Bisconti), Daniela (Benelli), cara vicesindaca Maria Grazia (Guida), cara Francesca (Zajczyk), delegata per le pari opportunità, care consigliere comunali milanesi e tutte voi che amministrate Milano*,

sono sicura che camminando in città e passando accanto a quelle moltissime vetrine oscurate da ghirigori pastello e con l’insegna “Centro massaggi” (cinese, thailandese, orientale o altro), vi sarete domandate come me: chissà che cosa capita là dentro. E ve lo sarete anche rapidamente figurate, per poi passare oltre, con il nostro noto passo di pianura. Ci si abitua rapidamente a tutto, anch’io non ci pensavo quasi più, ma il fatto che a Brescia sia stata aperta contro 42 persone (28 cinesi e 14 italiani) un’indagine per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, gestione di casa di prostituzione e falsa regolarizzazione di cittadini extracomunitari, ha riportato la faccenda al mio personale ordine del giorno.

Non abbiamo elementi per sostenere con assoluta certezza che al riparo di quelle vetrine su strada, tra il ferramenta e il panettiere, ci siano prostituzione, sfruttamento e riduzione in schiavitù di molte giovani donne orientali (difficile credere che eventualmente le ragazze siano auto-organizzate), ma l’inchiesta bresciana insinua qualche dubbio in più e invita tutte noi a una mobilitazione finalizzata a una più attenta verifica di quelle attività. Non sarebbe piacevole dover scoprire che in tanti dei nostri caseggiati dividiamo le spese condominiali con macrò, papponi e tenutari di case chiuse o bordelli, contro i quali negli anni Cinquanta la senatrice socialista Lina Merlin ebbe il coraggio e la tenacia di lottare, ostacolata e dileggiata dai suoi stessi compagni di partito, pervenendo nel marzo 1958 a una legge moderna che recepiva la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione adottata dalle Nazioni Unite, istituiva il reato nel nostro Paese e lo puniva con severità.

La legge Merlin è in vigore per tutti, anche per le ragazze cinesi e thai o di qualunque altra nazionalità, ignare del fatto di avere diritti e incapaci di difendersi dai loro sfruttatori. Vi chiedo perciò, care amiche, di mobilitare tutta la nostra attenzione e di intraprendere tutte le inziative necessarie a fare chiarezza su queste attività commerciali, capillarmente diffuse sul nostro territorio, sui “servizi” effettivamente offerti, e sulla facilità di ottenimento di queste licenze.

*va dato atto al sindaco Giuliano Pisapia di aver perseguito con ferrea determinazione e da subito l’impegno a femminilizzare le istituzioni, tanto che ormai nella nostra città le posizioni di vertice affidati alle donne, in Comune e nelle aziende partecipate, sono ben 6 su 10. E  salvo eccezioni che non conosco, si tratta sempre di donne indicate per la loro competenza e non in forza di parentele, vedovanze o come segnaposto di uomini. Anche questo è il modello Milano, che urge esportare e riprodurre contro ogni inerzia machista o familistica che continua ad appesantire la politica, liste elettorali comprese.

Donne e Uomini, Politica Gennaio 14, 2013

#Tengofamiglia: Mogliopoli, Figliopoli e… pure Snoq

Marietta Tidei, figlia del sindaco di Civitavecchia, candidata Pd alla Camera.
Una scelta dinastica

Giornataccia politica, ieri, amiche e amici.

L’autocandidato governatore della Lombardia Gabriele Albertini che mentre raccoglie firme ai suoi gazebo minaccia l’ex alleato Formigoni di “dire cose che lo metterebbero a terra”, un ricattino stile Chicago anni Venti. Poi ridimensiona e precisa che non sono cose penalmente rilevanti, il che fa pensare che lo siano almeno politicamente. Nel qual caso invece di ricattare si deve dire, perché quello che è politico è di tutti.

Mentre attendiamo notizie da Albertini apprendiamo che le liste elettorali, alla faccia di ogni proposito di moralizzazione, potrebbero ospitare un gran numero di inquisiti, dal Pdl con Cosentino al Pd con Crisafulli. E ognuno guardi in casa propria. I vari garanti sono al lavoro, le liste saranno chiuse fra una settimana, c’è tutto il tempo per aggiustamenti e sostituzioni. Che tuttavia dovrebbero riguardare non solo gli inquisiti, ma anche le candidature eticamente riprovevoli, catalogabili nella cartella Parentopoli, o Mogliopoli, o Figliopoli, in qualche caso Maritopoli, Cognatopoli e Generopoli.

Ieri grande agitazione su Twitter (#tengofamiglia) per il caso di Pierferdinando Casini che oltre a se stesso, superveterano della politica capolista in cinque regioni, intende candidare in posizioni blindate la moglie del fratello Silvia Noè (Cognatopoli) e l’amoroso della figlia Fabrizio Anzolini (Generopoli).

Problemi anche in casa Pd, che per fare solo qualche esempio candida a Milano nel listino di Bersani, e nessuno riesce a a capire per quali meriti civici e come mai esportata su al Nord, la romana Fabrizia Giuliani, autoproclamatasi candidata di Se Non Ora Quando -Snoq smentisce e se la leva di dosso-, semmai moglie del dalemiano Claudio Mancini, già assessore al Bilancio nella giunta Marrazzo, coinvolto con i vari Fiorito nelle “spese pazze” in Regione Lazio e non più ricandidabile: lui no, ma lei sì. Qui siamo in piena Mogliopoli. Clamorosamente Figliopoli, invece, la candidatura di Marietta Tidei, figlia del potente sindaco di Civitavecchia, che alle locali primarie -indovinate come mai- è passata con percentuali bulgare: 94 per cento.

Secondo il sociologo Edward C. Banfield il familismo amorale è la chiave di ogni arretratezza italiana. Il titolo del suo celebre saggio del 1958 sull’amoral familism non lascia dubbi: The Moral Basis of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata). E l’uovo del familismo nasce senz’altro prima di ogni gallina mafiosa e ndranghetista: la faccenda va stroncata lì.

Che un partito che si dichiara progressista come il Pd non metta un fortissimo impegno in questa direzione è cosa grave: il Comitato dei Garanti -Francesca Brezzi, Luigi Berlinguer, Francesco Forgione, Mario Chiti– che sta vagliando le candidature dovrebbe occuparsene con il necessario rigore, portando alla luce i mugugni della base e dando una prova di trasparenza che aumenterebbe i consensi. Cose di questo genere capitano solo nei paesi arretrati, e li mantengono tali. Del resto l’ottimo Codice Etico del Pd, che fa riferimento spesso alla questione “parenti e affini”, dice espressamente che “ogni componente di governo, a tutti i livelli, del Partito Democratico si impegna a: non conferire né favorire il conferimento di incarichi a propri familiari” e che gli eletti o gli aventi incarichi nel partito “rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite“.

Quanto alle donne: e’ pur vero, qualcuno dice, che quando si applicano quote “rosa” -mi scuso per dirlo in modo così orribile- come nel caso di questa tornata elettorale, è facile che entri una percentuale di mogli e figlie “segnaposto”. Capita anche nei cda costretti ad aumentare la partecipazione femminile. Sono gli uomini a decidere, e si sentono più tranquilli a candidare “donne di”, scelte per ragioni dinastiche: gli pare così di non sprecare una posizione e di poterla più efficacemente controllare. Perché le donne in gamba, si sa, hanno il difetto di ragionare con la propria testa. Eppure non è fatale: a Milano il sindaco Pisapia, tra i primissimi ad applicare, probabilmente non senza fatica, il 50/50 (solo Vendola l’aveva fatto in Regione Puglia)  ha scelto le donne della sua squadra sulla base della loro professionalità e del loro autonomo valore, non in quanto parenti di. I fidanzati, i mariti, i padri o i cognati delle nostre assessore ci sono per fortuna del tutto ignoti, ed è uno stile che ci piace molto. Fabrizia Giuliani a Milano è un’outsider anche rispetto a questo stile.

Come vedete, quindi, si può fare. Anzi, si deve. A ogni costo.

P.S.: per ogni parente in più, un meritevole in meno, e a danno di tutti. Il succo poi è questo.

 

ore 17.15  Alle porcherie aggiungiamo questa: anche Se Non Ora Quando tiene famiglia

Qui l’articolo per esteso di Gli Altri online:

Da quando le Comencini sisters & co hanno messo in piedi Se Non Ora Quando il maschio politico di sinistra, alquanto maldestro sulle cose di donne, sa finalmente a chi rivolgersi quando ha necessità di una consulenza femministica.

C’è bisogno, per esempio, di candidate? Chiedi al Comitato Promotore Snoq, detto affettuosamente “La Cupola” per potenza lobbistica e altezza di relazioni, e che ha molte amichette da collocare. Preferibilmente nel Pd. Atteggiamento deprecabile di per sé, ma reso ancora più odioso dal fatto che che le signore delle quote usino a sostegno delle loro operazioni la forza ingenua e sincera delle tante militanti dei territori, ignare di fare da portatrici d’acqua per gli interessi privati di tante signore della borghesia romana.
Interpellato qualche mese fa da Bersani per il cda Rai, Snoq ha contribuito attivamente a far fuori le soggette meglio curriculate (da Lorella Zanardo, a Daniela Brancati, a Giovanna Milella: profili diversi ed egualmente eccellenti finiti dritti nel tritacarte) per promuovere l’esangue e furbetta Benedetta Tobagi, sotto-zero tituli ma caldeggiata dal partito di Repubblica.

Lottando poi usque ad sanguinis effusionem per riuscire a infilare in Rai anche l’indispensabile Flavia Piccoli Nardelli, figlia del Dc Flaminio, autore della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, nonché moglie di Mariano Nardelli, anche lui democristiano doc, già vicepresidente Terfin, controllata Eni. Creatura, Flavie’, del sottobosco democristiano, e comprensibilmente un po’ stufa, povera donna, di dirigere l’Istituto Luigi Sturzo, più vari altri incarichi che hanno l’aria di essere una grandissima palla: membro del Comitato di redazione della rivista Civitas, consigliere di amministrazione del consorzio Baicr, Biblioteche e archivi istituti culturali di Roma, membro del comitato scientifico del partito “Europopolari per San Marino” (???) insieme all’ultra cattolico integralista Meluzzi. Insomma, per favore, qualcosa di più smart!

Alla fine niente Cda Rai. Meglio così per Nardelli, che oggi è stata chiamata nientemeno che a capeggiare la lista Pd per Montecitorio in Sicilia orientale: perché un bel posticino a Flavia lo si doveva pur trovare, dopo decenni di archivi Andreotti. Una femministona che non vi dico, che farà rimpiangere Binetti.

Almeno in via ufficiale, nessuna candidata alle prossime elezioni è stata autorizzata per autopromuoversi a utilizzare il potente brand “Se Non Ora Quando”. Con l’eccezione, a quanto pare, della cupolatissima Fabrizia Giuliani, professoressina romana paracadutata in posizione blindata nelle liste Pd per la Camera a Milano. Del tutto ignota al ricco e variegato mondo del femminismo milanese, che dai giornali apprenderà con notevole disappunto la sua candidatura “in quanto Snoq”: marchio usurpato per uso personale. Ma tra le Snoqqine di Milano (“E chi è?”, “Da dove esce?”) non una che la conosca.

La stampa ha omesso di dare notizie più gustose: Giuliani è la compagna del dalemiano Claudio Mancini, consigliere regionale che insieme a Fiorito e a Storace ha deliberato le famose “spese pazze” in Regione Lazio, (3 milioni e mezzo di euro, soldi nostri da spartirsi fra i gruppi, di cui 500 mila come mancia al presidente dell’assemblea). lmpossibilitato a ricandidarsi, Mancini è stato risarcito con la candidatura della moglie, affettuosamente complici le care amiche della Cupola: uscito dalla porta lo stipendio è rientrato dalla finestra. La sua signora intanto si è chiusa in uno sdegnato silenzio e non rilascia interviste aspettando che tutto passi e che arrivi il seggio garantito.

Dovendo evitare l’imbarazzo di candidarla a Roma, dove la parentela è nota – e dopo, pare, un tentativo andato storto di paracadutarla a Napoli -, a sorpresa Giuliani precipita blindata a Milano, outsider senza-un-perché (quali sono i suoi titoli? dov’è il valore aggiunto “civico”) che non porterà un solo voto al Pd, semmai ne farà perdere alquanti: le milanesi sono veramente imbufalite. E in una partita, poi, quella lombarda, che invece di voti ha molto bisogno.

Storia molto simile per Valeria Fedeli, dirigente Cgil legatissima a Pigi Bersani e a sua volta cofondatrice di Snoq: il profilo, rispetto a quello di Giuliani, è un po’ più robusto. Fedeli non si sarebbe dovuta trovare dove oggi è posizionata, capolista Pd al Senato in Toscana, anche perché il marito senatore Achille Passoni contava di farsi almeno una seconda legislatura. Marito e moglie a Palazzo Madama sarebbe stato troppo perfino nel Paese del familismo amorale. Per lei semmai era pronta la poltrona di presidente di Federconsumatori.

Ma alle primarie, ahinoi, Passoni viene amaramente trombato. E Fedeli è recuperata in corsa, proprio al rush finale: anche qui, reddito familiare in sicurezza. Fuori lui, dentro lei (anche se, pare, in un prossimo governo Pd potrebbe rientrare pure lui, in qualità di sottosegretario).
Perché poi per buona parte di queste candidate Snoq c’è un maschio di riferimento da garantire, in perfetto stile da femminismo saudita.
Figlie di, mogli di, sorelle di: aguzzate lo sguardo e cherchez l’homme.
Intanto nella Cupola ci si scanna alla grande: aguzzate le orecchie, fra un po’ sentirete una deflagrazione.
Se Non Ora Quando, 13 febbraio 2011-24 febbraio 2013.
Che triste e prematura fine… R.i.p.

 

* post rebloggato da Blogger UniteD

Giovanna Cosenza

Lorella Zanardo

Comunicare il Sociale

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Donne e Uomini, questione maschile Ottobre 1, 2012

Adozione gay: i desideri non sono diritti

elton john, david furnish e loro figlio zachary:
il bimbo è nato tramite “mix” del loro seme, ovodonazione e utero in affitto

Ne ho parlato qui prima dell’estate, ma anche qui, e qui, e ancora qui, e poi qui, e un’infinità di altre volte.

Ora leggo sul quotidiano “Metro” un interessante corsivo di Luisa Muraro, che torna sul tema dopo la presa di posizione del sindaco di Milano Giuliano Pisapia a favore dell’adozione da parte delle coppie gay.

Ecco il testo di Muraro, dal quale mi sento perfettamente rappresentata.

Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto”, ha detto il sindaco di Milano, secondo i giornali. Avrà detto proprio così? Me lo chiedo perché in queste parole ci sono due semplificazioni.
Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli. Ci sono genitori indegni del loro compito. Quanto all’adozione, Pisapia sa bene che la nostra legge è diventata molto prudente nel concederla. Troppo, dicono alcuni, senza sapere dei molti bambini prima adottati e poi respinti. Ci vuole una valutazione severa, per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti?
Seconda semplificazione. Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili.
Qui non prendo posizione pro o contro l’adozione. Affermo soltanto che, quando si ha davanti un problema, conviene dirsi chiaramente come stanno le cose. Il problema dell’adozione è degli uomini, non delle donne. E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile. Mi sbaglio? Non lo escludo, ma in tal caso l’uomo dica apertamente: perché non voglio chiedere a una donna il dono di diventare padre? perché voglio fare la madre io?
E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.