In queste ore toste per il Paese, c’è una sòla che non tollero più di contribuire a tenere in piedi: l’idea di democrazia partecipata. Forse piano piano si arriverà a costruire qualcosa del genere. C’è da osservare attentamente quello che farà il Movimento 5 Stelle. Ma finora ogni promessa di democrazia partecipata è stata bellamente disattesa, con grave disillusione di chi ci aveva creduto.

Per esempio Milano e la sua “primavera arancione”, che di questa retorica si è ampiamente nutrita. Tolta la buona volontà di quei pochi e di quelle poche che continuano ad alimentare il sogno (penso, ad esempio, alla consigliera Anita Sonego e ai suoi tavoli delle donne, sulla cui efficacia tuttavia andrebbe aperto un discorso), di partecipato non c’è un bel tubo, se non il rammarico di dover semplicemente incassare decisioni già assunte.

Non c’è democrazia partecipata sul bilancio, sulla visione della città, sulle scelte di indirizzo, su Expo. Non ci sono incontri periodici con i cittadini -a parte i commossi bagni di folla in corso di campagna elettorale-. Non c’è chiarezza partecipata su scelte importanti come i rimpasti di giunta, e gravi come quella di liquidare in poche ore un assessore che stava lavorando tanto e bene: scelta in realtà maturata da molto tempo, si è solo colta l’occasione dell’ultima “finestra” disponibile. Si è cominciato con le sedute di consiglio su megascreen in piazza e si è finiti con un consiglio comunale che lamenta di non contare più di quanto contasse durante la giunta Moratti, allora stigmatizzata per il suo stile oligarchico.

Le esperienze civiche languono, i comitati dei cittadini si sono estinti per sfinimento. C’è solo il grande e consolatorio buzz della rete di cui tutti allegramente se ne sbattono. Ma la retorica della “democrazia partecipata” è ancora viva e vegeta, pernicioso trompe l’oeil. Sgombriamo il campo da queste fantasie romantiche e guardiamo in faccia, da cittadini adulti, la realtà.

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