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diritti, Donne e Uomini, Femminismo, questione maschile Gennaio 6, 2015

Noi donne occidentali e la minaccia islamista alla libertà femminile

Per i “progressisti”, chiamiamoli così, è molto difficile criticare l’Islam: anche solo ammettere che costringere le donne a nascondere il loro corpo, del tutto o in parte, per non eccitare gli uomini è una pratica profondamente misogina. Ci sarà sempre qualcuno e anche qualcuna che ti riconduce all’ordine dicendoti che quelle sono usanze e vanno rispettate. Importa molto meno che quelle “usanze”, e altre anche più violente, come i matrimoni combinati, la poligamia, le spose bambine, o peggio, hanno come comun denominatore una gravissima limitazione della libertà di creature nate libere come tu stessa pretendi di essere.

Un altro argomento è che quegli usi brutali non appartengono all’Islam, ma alla cultura arcaica e tribale di quei popoli, e che usi e costumi simili fanno parte del nostro passato: resta però il fatto che la grande parte dell’Islam non si oppone a quei costumi e anzi, a quanto pare, la cosiddetta islamizzazione va di pari passo con l’imposizione di quegli usi, la maggioranza dei quali ha a che vedere con la limitazione della libertà femminile. Un’esigua minoranza dell’Islam legge e rilegge i testi per trovarvi fondamenti di libertà a vantaggio delle donne e di tutti, ma a giudicare da come stanno andando le cose l’operazione non sta dando i risultati sperati. La morsa dell’Islam fondamentalista è sempre più feroce, sempre più vicina, e forse sarebbe il momento di cambiare strategia.

Altro argomento ricorrente è che quelle donne scelgono liberamente di velarsi, di vivere segregate o altro: qui l’ipocrisia è lampante. Diciamo piuttosto che quelle donne scelgono di vivere, o almeno di sopravvivere. L’unica alternativa alle condizioni imposte sarebbe la fuga –le più ricche spesso riescono a espatriare- oppure la morte, quanto meno la morte civile.

Il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione” (in libreria per Bompiani il prossimo 15 gennaio) parla della Francia del prossimo decennio, con un presidente musulmano, l’Islam che ha trionfato sull’Illuminismo, le donne che rinunciano all’emancipazione, l’introduzione della poligamia: la perdita di libertà delle donne è il perno del cambiamento. Un’Europa debole e sfinita che ha ceduto alla forza di quel credo. La destra, a cui Michel Houellebecq fa riferimento, ha costruito da tempo una narrazione piuttosto dura ma inequivoca contro l’islamizzazione: i musulmani sono nemici che vanno combattuti,  in caso diverso soccomberemo. La narrazione della sinistra è più incerta e di maniera: dialogo con l’Islam moderato, tolleranza, convivenza. Ai confini con l’indifferenza. Il monopolio della critica è ceduto alla destra. Una political correctness che secondo intellettuali femministe musulmane come Irshad Manji e Ayaan Hirsi Ali (tra l’altro cofirmatarie del Manifesto dei dodici che parla dell’islamismo come di un nuovo totalitarismo) l’Islam fondamentalista legge come debolezza. Ma la maggioranza delle femministe occidentali, legate storicamente e culturalmente ai movimenti di sinistra, condivide questa impostazione dialogante e tollerante. E parlando di quelle donne maltrattate, vessate e segregate, osserva che tocca a loro decidere di lottare in prima persona per la propria libertà.

In questo atteggiamento del femminismo occidentale io vedo un notevole grado di ignavia “borghese”, una ritrosia culturale e politica a fronte di problemi di difficilissima soluzione. Vero che io non posso sostituirmi a un’altra nella sua ricerca di libertà, anche quando sento tutta la sua sofferenza, ma in questo silenzio di grande parte del femminismo io vedo un problema per la mia stessa libertà. Non posso più a lungo tacere –in verità non ho mai taciuto- di fronte alla violenza misogina di una cultura con cui mi tocca convivere in modo sempre più stretto. Non posso non constatare che questa “tolleranza”, questo “rispetto” e questo silenzio non stanno impedendo l’islamizzazione di aree sempre più vaste del mondo. Accanto alla sofferenza di quelle donne io ci vivo, nel mio quartiere.

La prima cosa che farei, quindi, è rompere il silenzio “tollerante-indifferente”, guardare in faccia la realtà, nominare la misoginia di quella cultura, riconoscere questa misoginia come costitutiva dell’islamismo e non come un fatto occasionale o collaterale. Vorrei poterlo fare senza che ciò significhi necessariamente ed automaticamente una difesa acritica e compatta dell’Occidente e delle sue magnifiche sorti e progressive: e tuttavia risposte tipo “anche noi abbiamo i nostri problemi” o “è colpa nostra se le cose stanno andando così” mi sembrano solo un modo per poter permanere indisturbate nell’ignavia.

Ho molto bisogno di parlarne con altre. Ho bisogno di capire che cosa sia giusto dire e fare.

Spero ci siano presto le occasioni, che finora sono state davvero poche.

 

ultim’ora: l’attentato a Charlie Hebdo, 11 settembre di Parigi, mi fa sentire Cassandra

 

 

 

Politica, Senza categoria Gennaio 13, 2013

Houston, qui Ohio. Abbiamo un problema

Da quando vivo a Milano, cioè dalla nascita, ho sempre visto la sinistra, e in particolare tutta la filiera dal Pci al Pd, rimbalzarsi l’oggetto non identificato “Lombardia” come una patata bollente. Capita un po’ come -posso dire?- nei giornali: quelli meno graditi ai direttori, o ritenuti meno bravi, o meno protetti, mandati un po’ miopemente al confino nell’online. Senza pensare che l’online sta diventando, com’era ampiamente prevedibile, il reparto strategico.

Ecco, la Lombardia per la sinistra è un po’ così. A parole importante, importantissima, strategica. E del resto tutte le cose politicamente rilevanti sono sempre cominciate qui, compresa l’ultimissima svolta arancione. Ma a uno sguardo romano, la Lombardia e Milano restano totalmente incomprensibili. A parole, l’Ohio. Nei fatti, la provincia dell’impero. Eventualmente luogo di confino, dove piazzare qualche candidatura imbarazzante. Gli stessi funzionari lombardi, appena possono, tentano la fuga a Roma: in tanti stanno andando in Parlamento, lasciando sguarnita la prima linea e dando l’idea di non crederci. Ci aveva pensato anche il segretario regionale Maurizio Martina, che poi però ha cambiato idea (o gli hanno suggerito di cambiarla). Ma forse a spiegare tante cose basta il fatto che ci abbia pensato, a  operazione Ambrosoli aperta.

Leggo che perfino il Wall Street Journal e il Financial Times si occupano di noi: qui si gioca una partita decisiva per gli eventuali Stati Uniti d’Europa, o anche per quelli disuniti. Ma il fuggi-fuggi generale fa ritenere che a sinistra quei giornali non li leggano, e dà il senso di una smobilitazione preventiva.

Il centrodestra, ben più radicato territorialmente -che cosa sia la Lombardia, Maroni e i suoi colleghi lo sanno invece molto bene -è dato più avanti: sia alle regionali, dove se non ci fosse l’impuntamento di Albertini, la partita sarebbe bell’e chiusa, sia al  Senato, date un’occhiata a questo sondaggio . E le due partite si giocano insieme. L’incredibile rimonta di Berlusconi è guardata con sconcerto, disprezzata come “fatto mediatico”, in sostanza solo “virtuale”. “Gli italiani non saranno così imbecilli”, si dice. “Non avranno la memoria tanto corta”. E invece a quanto pare ce l’hanno. O meglio -ed è un fatto, mica un fattoide, con cui si devono fare attentamente i conti- forse non bastano i pur freschi ricordi di mazzette, corruzione, ndrangheta a spostare i lombardi a sinistra.

Forse ci vorrebbero buone idee, che senz’altro ci sono, ma stentano a circolare. Forse servirebbero più coraggio e meno ambiguità, e un’idea diversa e meno ottocentesca dei cosiddetti “moderati”. Forse ci vorrebbe un maggior numero di facce che rappresentano con immediatezza le nuove e buone idee, e si dovrebbe saper parlare alla “pancia” degli elettori, intendendola non come i più bassi istinti, ma come il robusto buon senso di un  popolo, usando parole semplici e buone come il pane. Forse si sarebbero dovuti schierare qui i propri talenti migliori, mix tra territorio reale e visionarietà, evitando di collocare certi scarti azotati di Roma: perché oggi gli elettori aguzzano lo sguardo, umiliati dal Porcellum vogliono conoscere anche il numero di scarpe di chi votano.

L’idea è quella di trovarsi su un taxi impazzito, con il tassametro che viaggia alla velocità della luce. E alla fine del viaggio potrebbe esserci il blocco nordista, dal Piemonte al Veneto. Il che significa secessione sostanziale. Siamo al fondo di un enorme imbuto, e tutto accelera all’impazzata. Può capitare di tutto, da un giorno all’altro.

Mi torna in mente un’amica, importante politica del Pci che poi diventò anche ministra, a cui un giorno -ormai milioni di anni fa- segnalai i primi sommovimenti leghisti, dicendole -conosco la mia gente- che quella era una cosa vera, da osservare con attenzione. Mi guardò con un sorriso di compatimento: “Sai che ti voglio bene. Non dirle in giro, certe stupidaggini”.

Io le mie stupidaggini, qui dall’Ohio, continuo a dirle. Fra cui questa: la sinistra ha ancora tempo. Ma ne ha poco.

 

 

Donne e Uomini, questione maschile, TEMPI MODERNI Maggio 28, 2012

L’affaire Zemmour e altri machismi

eric zemmour a rtl

Eric Zemmour è un brillante e arguto opinionista francese, firma di “Le Figaro”, autore di best-seller come “L’uomo maschio” e titolare di una seguita rubrica radiofonica, “Z comme Zemmour”. Nella puntata di venerdì 23 maggio Zemmour ha attaccato la neoministra alla Giustizia Christiane Taubira, dicendo che “ha già scelto chi sono sono le vittime e i carnefici… Le donne e i giovani delle banlieu stanno dalla parte dei buoni, gli uomini bianchi da quella dei cattivi… La ministra è dolce e compassionevole, come una mamma con i suoi figli, quei poveri figli delle periferie che rubano, spacciano, torturano, minacciano, violentano, e qualche volta pure uccidono”.

L’exploit potrebbe costargli il posto in radio. SOS Racisme ha invitato Zemmour ad andare dallo psicoanalista, mentre i francesi si dividono tra fan e detrattori dello “scorrettissimo” opinionista, legato alla destra revanscista che polemizza contro i valori del multiculturalismo e del femminismo.

Al di là dell’affaire, è interessante -e preoccupante- il fenomeno diffuso di saldatura che si sta realizzando tra motivi xenofobi, talora francamente razzistici, e antifemminismo, e che può essere ben rappresentata, a titolo di esempio, dall’umore espresso da questo commento, apparso in un blog maschile italiano dopo la notizia del figlicidio-suicidio di Brescia:

Credo che i vari uffici di Pari Opportunità, i vari propugnatori di “quote rosa” debbano sentire la responsabilità di queste tre morti. Perchè quell’uomo con le proprie forze forse ce l’avrebbe fatta, se non gli fosse passato avanti una volta una donna, un’altra un tossico, un’altra un immigrato, tutti con meno meriti“.

Le donne, i tossici, gli immigrati -e anche i maschi omosessuali- avrebbero in comune questo: che tolgono spazi e centralità al maschio bianco occidentale e straight, inteso come nemico comune. Un senso che trapela anche da un documento firmato da molte femministe francesi mobilitate a favore dell’elezione di Hollande:

È tempo che un altro femminismo prenda la parola: noi,  femministe, rifiutiamo con la più viva determinazione che i «diritti delle donne» e degli «omosessuali-maschi e femmine» o la «uguaglianza dei sessi» servano a delle ideologie e delle pratiche neocoloniali e liberticide. Noi rifiutiamo di renderci complici di tali dispositivi che creano le condizioni della potenza del capitalismo neoliberale, della promozione di una morale paternalista della «tolleranza», della riduzione della politica al mantenimento dell’ordine poliziesco e di dogana, dell’accanimento e della sorveglianza e della criminalizzazione degli  stranieri“.

Io credo che questa saldatura sia potenzialmente pericolosa. Credo che intendere le donne come una delle varie minoranze in lotta sia un modo sbagliato ed equivoco e troppo contingente di intendere la questione, sia che venga espressa della destra revanscista, sia che venga assunta come plausibile dallo stesso femminismo.

Non è affatto detto che un maschio “straniero” o omosessuale sia sempre e comunque più amico delle donne di un eterosessuale bianco, in forza della logica del “nemico comune”.

La lotta delle donne è altro, è significare liberamente la propria esistenza, è riportarsi e riportare il mondo al due originario negato.

Io in questa logica mi sento in trappola, non ci sto.

 

 

Donne e Uomini, OSPITI Aprile 7, 2012

Perché il pluralismo conviene alle donne

Una delle questioni che lacera Se non ora quando -e in generale, da sempre, il movimento delle donne- è quella del pluralismo e della trasversalità. Mentre il comitato promotore romano ne fa un tratto irrinunciabile di Snoq, a livello locale alcune avversano questa posizione, facendo coincidere gli obiettivi di Snoq con quelli del centrosinistra.

Non si può negare che storicamente le femministe italiane siano sempre state prevalentemente di sinistra, e forse questo vale per buona parte del femminismo occidentale. Ciò non significa che su questioni come la democrazia paritaria o la della violenza sessista, e anche altre, che dirò dopo, non vi sia una totale convergenza di vedute tra donne dei diversi schieramenti politici.

Su questo si può, e anzi si deve lavorare insieme: sinistra e destra, credenti e non credenti, donne dei partiti e donne fuori dai partiti. Alla Camera c’è una proposta per la doppia preferenza di genere alle amministrative che le deputate difenderanno in modo bipartisan. La legge Golfo-Mosca (Pdl e Pd) sulle quote nei cda delle società quotate in Borsa, ottima azione positiva, non avrebbe avuto alcuna chance se fosse stata sostenuta da uno soltanto dei due poli.

Se posso dire di me: essendo sempre stata di sinistra, per tradizione familiare e per scelta, ho amiche “di destra” con cui su molte cose c’è intendimento completo. Stimo molto l’amica Flavia Perina di Fli, così come Barbara Ciabò, responsabile milanese di quel partito, ambientalista convinta ed eroina di Affittopoli, purtroppo -e non è un caso- non rieletta in consiglio comunale. Non accetto volentieri di subordinare le mie libere relazioni politiche a dispositivi -come i partiti, la destra e la sinistra- che mi sono ritrovata bell’e fatti, a misura del corpo e della psiche maschili. Il nostro modo di stare nello spazio pubblico, dal lavoro alla politica, è ancora tutto da inventare, e il bello è proprio questo.

Naturalmente nel merito di molte questioni anche tra donne le differenze possono essere irriducibili, ma su quelle che ho detto -rappresentanza, violenza- e anche su altre, che vanno da alcuni temi legati alla salute e all’ambiente fino all’organizzazione del lavoro -più in generale, io ho molta fiducia in questo, su una politica che metta la vita e i bisogni umani al primo posto: primum vivere– l’intendimento può essere notevole. E deve esserlo, il comitato promotore di Snoq fa benissimo a difendere trasversalità e pluralismo, volendo portare a casa un risultato.

Una volta là dentro, nelle istituzioni rappresentative, nei cda, in qualunque luogo di decisione, ognuna difenderà le proprie posizioni e combatterà le proprie battaglie, individuando le sue “nemiche” (su questo ci si deve intendere bene, le donne, giovanissime della politica, devono imparare a non scambiare visceralmente la lotta politica fra loro con l’inimicizia personale: è un gravissimo errore). Ma la priorità è entrarci, in quei posti. E come hanno ben capito le deputate, la lotta ha qualche chance solo se condivisa e bipartisan. Il patto di genere viene ben prima di ogni dialettica politica, come ben sanno gli uomini: è questo che li ha fatto vincere.

Gli uomini di sinistra non sono più disponibili a mollare posti di quelli di destra. Teniamolo bene in mente.

E Buona Pasqua.

Chiudo con una proposta:
i soldi del finanziamento pubblico
che i partiti hanno rubato
siano devoluti a un fondo
destinato a sostenere
la rappresentanza femminile.

Non c’è modo migliore di restituirli.

Politica Settembre 6, 2010

BANDIERE ROSSE E CRAVATTA ROSA

Ed eccoci qua, con un bipolarismo Nord-Sud pronto a sostituire quello Destra-Sinistra. Con i movimenti pre-elettorali delle truppe. Con la Sinistra che esulta per una Destra finalmente “nel solco delle grandi famiglie conservatrici europee”. E si commuove per Fini “che ha capito ed è cambiato” come mi ha detto una mia amica ieri -anche se a fare le vituperate leggi ad personam veramente c’era pure lui- passando dalla droga dell’antiberlusconismo al metadone del finismo.

Mi domando se questa commozione sia lecita e sensata, se questo spasimare il nuovo non conduca il popolo di sinistra all’errore di vederlo dove oggettivamente non può esserci: nella destra di Gianfranco Fini, pur galantuomo e ravveduto, figlioccio di Almirante, Prima Repubblica.

AMARE GLI ALTRI, Politica, TEMPI MODERNI, Varie Maggio 23, 2009

VOTO A DESTRA, VITA A SINISTRA

Non sono una notista politica, per carità. Oltretutto il ragionamento che vorrei fare è piuttosto complicato. Io ci provo.
Politicamente andiamo sempre più a destra. Vedremo alle urne: ma il populismo berlusconiano, che in Abruzzo è andato a mille, in termini di voti dovrebbe dare buoni risultati. Ma per quanto siamo e andiamo a destra, cose di destra nella vita quotidiana mi pare di vederne poche. La maggioranza dei cittadini mostra di aderire, diciamo così, a valori “di sinistra”.
La famiglia tradizionale, per esempio, è sempre più alle strette; i matrimoni diminuiscono, le convivenze, etero e gay, aumentano; cresce il numero dei figli nati fuori dal matrimonio: nelle città settentrionali siamo a livelli nordeuropei. Il programma di emancipazione femminile è completato, le donne lavorano e guadagnano, danno grande importanza alla loro libertà; il pater familias non esiste più. Non c’è legge che riesca a sbarrare l’accesso alla fecondazione assistita: un’ora di aereo e sei in Spagna, per un utero surrogato c’è la Gran Bretagna o la California. La libertà sessuale è obbligatoria, per quanto spesso infelice; di Dio ci importa ben poco, della patria forse anche meno. In compenso nell’individuo, con tutto il suo sofisticato armamentario di diritti, investiamo moltissimo. Gli spagnoli hanno Zapatero, noi no: ma alle differenze politiche non corrispondono differenze negli stili di vita. Con un governo o con l’altro, la semina del Sessantotto continua a dare frutti, nel bene e nel male.
Che cosa ci dice questo strabismo tra vita e politica? Tanto per cominciare, conferma che la distanza tra l’una e l’altra è incolmabile. Si può votare in un modo e vivere in un altro: lo stesso capo del governo di centrodestra (anche se ogni tanto dice che lui di destra non lo è) è un uomo divorziato, e sua moglie ha raccontato il dolore di un aborto terapeutico. E poi ci dice l’insignificanza delle categorie di destra-sinistra, sulla cui usura ci si trova spesso d’accordo, salvo poi aggrapparcisi come naufraghi. Ci dice che per organizzare la polis qualcosa di radicalmente nuovo chiede di essere inventato. E che, così com’è, forse perfino l’idea di polis non ci serve più. E cos’altro ci dice, secondo voi?

(pubblicato su Io donna-Corriere della sera il 23 maggio 2009)

AMARE GLI ALTRI, Politica, Varie Maggio 10, 2009

ITALIA MONOETNICA

(foto Ansa)

(foto Ansa)

Il Presidente del Consiglio dice che non vuole un’Italia multietnica. Per la precisione dice “L’idea della sinistra era ed è quella di un’Italia multietnica. La nostra idea non è così” (probabilmente domani dirà che non l’ha detto affatto, che la stampa è tutta di sinistra e truffaldina, eccetera: un colpo al cerchio e uno alla botte, deve trattarsi di una precisa e fruttuosa strategia di marketing). Fa un po’ impressione sentire il Presidente del Consiglio parlare come uno skinhead, ma la cosa ha i suoi vantaggi. O dovrebbe averli. Per esempio, quello di chiarire una differenza inaggirabile tra destra e sinistra, contro ogni tentazione di omologazione. Ma come vedremo le cose non sono così semplici.

Si aprono tuttavia alcuni problemi:

1) l’Italia è già multietnica, lo è sempre stata e lo sarà sempre. Io sono multietnica e abbronzata, non come Mr Obama, ma quasi: dalla Germania all’Italia del Sud passando per gli Stati Uniti d’America. Come si fa a ripurificare l’etnia? e qual’è l’etnia italiana?

2) le divergenze con la Chiesa a questo riguardo sono assolute. La Chiesa ha preso posizione contro la non-accoglienza ai barconi di clandestini, e recentemente aveva anche tuonato contro certe leggerezze nella vita privata del premier.

3) come capita spesso, la risposta della sinistra è flebile e contraddittoria: anche qui, un colpo al cerchio e uno alla botte. Giovanna Melandri dice di volere un’Italia “multietnica, pluralista e libera”. Piero Fassino tempera dichiarando che anche “l’immigrazione legale (cioè non solo i clandestini, ndr) apre una contraddizione nuova: la parte più povera della popolazione italiana vede gli immigrati regolari come competitori… si rischia una guerra tra poveri che va disinnescata”. E allora, che cosa si fa?

Conviene che l’Italia multietnica ci piaccia, perché non è data la possibilità di un’altra Italia. Più ci piacerà, e meglio sapremo gestirne gli inevitabili problemi (situazioni a-problematiche non si danno), ottimizzandone le opportunità. Più ci piacerà, più la faremo piacere ai nostri figli, e meglio sapremo imporre, senza sconti e senza false coscienze, un rispetto di regole uguali per tutti, italiani “vecchi” e nuovi. Ma come si fa a dire un figlio che il nostro paese è multicolor, quando chi ci governa auspica il monocolore? Come si fa a scoraggiare l’intolleranza e a lavorare sulla fatica dell’altro, se le direttive istituzionali vanno in un’altra direzione?

Politica Marzo 14, 2009

PRONTI AD ASTENERVI?

Può essere che io sbagli, fare di questi conti non è il mio mestiere, ma a meno di sorprese immagino che alle prossime elezioni l’astensionismo di sinistra si farà sentire. E si qualificherà in buona parte come un’astensione amara ma attiva, finalizzata ad accelerare un processo -quello di un ricambio radicale– che continua dolorosamente a segnare il passo.

Si tratta, per quei politici di sinistra che resistono caparbiamente sulle proprie rendite di posizione, di assumersi invece le proprie responsabilità di fronte a una situazione che si configura in questo modo: centrodestra trionfante, disfatta della sinistra, vuoto di opposizione; e nessuna conflittualità sociale di fronte alla più grossa crisi economica che i baby boomers abbiano mai conosciuto. Un silenzio sordo che non promette niente di buono, e che sembra preludere a esiti violenti e a risposte autoritarie.

E’ facile che mi sbagli, ma lo zeitgeist a me pare questo. E chiedo agli elettori di sinistra: sareste pronti ad astenervi?

Politica Marzo 9, 2009

DI DESTRA? CHI, IO?

Oggi dibattito autorizzato su uno dei vostri argomenti preferiti: Silvio Berlusconi! Il quale, in un’intervista al quotidiano spagnolo El Mundo in edicola stamattina, sostiene:

“Io non sono un uomo di destra. La ragione del consenso di cui godo nel Paese è che le vecchie ideologie non contano più. Chi si ostina a farsene portavoce viene punito dal voto”.

In un altro passaggio il premier risponde ad una domanda dell’intervistatore sulle critiche che gli vengono rivolte per non aver pronunciato parole “sufficientemente chiare e nette di condanna del ventennio fascista”. “Nessuno -sottolinea il presidente del Consiglio- può pensare che io abbia reticenze riguardo al fascismo e per la verità non mi risultano le critiche a cui lei fa riferimento”.

“Il partito di cui sono il leader -ricorda Berlusconi- si chiama Popolo della Libertà e fa parte della grande famiglia della democrazia e della libertà che è il partito dei popolari europei. Mi riconosco in pieno nei principi della nostra Costituzione repubblicana e li ho difesi in più occasioni. La stessa Costituzione prevede le procedure di modifica per il suo adeguamento alle nuove esigenze dei tempi”.

“Piuttosto, non mi appassiona il dibattito sul passato. Gli italiani devono guardare avanti. Per troppo tempo -conclude Berlusconi- in Italia siamo rimasti chiusi dentro una gabbia culturale, in una contrapposizione anacronistica tra fascismo e antifascismo”.

Bene, si aprono le danze. Buona settimana.