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AMARE GLI ALTRI

AMARE GLI ALTRI, economics, Politica Aprile 23, 2014

Emergenza migranti: Mare Nostrum potrebbe chiudere prima dell’estate

Pozzallo, Sicilia, domenica di Pasqua: un migrante eritreo bacia la terra appena, sbarcato in porto (foto di Stefano Guindani per Fondazione Francesca Rava)

A bordo di nave San Giorgio c’è il cervello di Mare Nostrum, coordinato dall’ammiraglio Mario Culcasi. La sala operativa ospita lo staff con i responsabili dei vari rami di attività, sempre strettamente interconnessi, dalla pianificazione al legal advisor. Scopo della missione è garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia chi lucra sul traffico umano.

Un po’ di numeri di Mare Nostrum, che ha appena compiuto 6 mesi e impegna 779 militari, oltre a Polizia, Guardia di Finanza, team dell’ufficio immigrazione, mediatori culturali e squadra di fotosegnalazione (l’attività di identificazione dei migranti comincia a bordo), affiancati da volontari come quelli della Fondazione Francesca Rava (contattabile qui). Insieme alla San Giorgio, che ospita anche un’infermeria attrezzata con sale chirurgiche e un servizio di telemedicina connesso all’ospedale militare romano del Celio, altre 4 navi (Espero, Aliseo, Cassiopea e Sirio) perlustrano ininterrottamente un’area di mare di 71 mila km quadrati (3 volte la Sicilia) con l’ausilio di elicotteri e  natanti per lo sbarco dei naufraghi. Sono impegnati anche velivoli della Marina e della Polizia dislocati a Catania e Sigonella, e un drone.

Dopo essere stati assistiti e rifocillati, e dopo una prima identificazione, i migranti vengono sbarcati in genere nel giro di 12-15 ore: Lampedusa si raggiungerebbe più velocemente, ma attualmente è chiusa agli sbarchi per lavori nel centro di accoglienza e sulle banchine. I migranti salvati sono stati 28 mila in 6 mesi (compresi quelli, circa il 25 per cento, recuperati dalla Gdf, da pescherecci e mercantili).Nel 10 per cento dei casi si tratta di donne. Un altro 10 per cento è costituito da minori, molti dei quali non accompagnati. 78 scafisti sono stati identificati e arrestati.

I migranti vengono imbarcati prevalentemente in Libia, ma anche in Tunisia, in Egitto e più raramente dalla Grecia e dalla Turchia. Provengono in gran parte dal Corno d’Africa, dall’Africa sub-sahariana e dalla Siria, da dove partono intere famiglie in fuga dalla guerra. I porti di sbarco sono prevalentemente Augusta (Sr), Pozzallo (Rg) e Porto Empedocle (Ag)

La missione è costata finora 54 milioni, 9 milioni al mese, interamente stanziati dalla Marina Militare Italiana. Secondo l’ammiraglio Culcasi il dispositivo è ben bilanciato, ma per garantirne la continuità servono nuovi fondi, soprattutto per il carburante e per la manutenzione delle navi.

 

L’ammiraglio Filippo Maria Foffi è il Comandante in Capo della Squadra Navale. Gli chiedo se Mare Nostrum durerà ancora a lungo.

Potremmo dover cessare le attività a fine giugno-inizio luglio, qualora l’Europa non si rendesse conto che lo sforzo che stiamo compiendo va condiviso (il che significherebbe la strage dei migranti, ndr). Quello dei migranti non può essere inteso come un problema italiano: stiamo controllando il confine sud del continente europeo, e stiamo salvando decine di migliaia di vite umane. Ma se avessimo dovuto attendere finanziamenti dedicati la missione non sarebbe mai partita, e dopo la tragedia di Lampedusa non potevamo più aspettare. Siamo orgogliosi del lavoro che stiamo facendo, e vediamo con soddisfazione crescere un’opinione pubblica favorevole. D’altro canto siamo anche perfettamente consapevoli di non costituire la soluzione ai problemi che sono all’origine di questi flussi: siamo l’aspirina, non la terapia. Alla base di queste grandi migrazioni ci sono crisi economiche devastanti e situazioni di guerra. Noi facciamo la nostra parte, ma il problema dei flussi deve essere affrontato e governato dalle Nazioni Unite, che a quanto pare tardano a mettere a fuoco soluzioni efficaci, insieme a organizzazioni regionali come l’UE e l’Unione Africana, allo scopo di mettere al sicuro centinaia di migliaia di esseri umani in mano a milizie che lucrano su questo traffico. Ci sono migranti che al momento di imbarcarsi esitano per il terrore di dover affrontare il mare aperto, ma vengono minacciati, picchiati e perfino torturati con elettrodi. Molti magistrati esperti di diritto internazionale ritengono che questa catastrofe umanitaria debba essere formalmente classificata come un capitolo della tratta degli schiavi, e affrontata con gli strumenti che si adottano in queste circostanze. Non è compito di Mare Nostrum, che è un dispositivo di sorveglianza e di salvataggio. Ho partecipato a riunioni di coordinamento con il governo e posso testimoniare una grandissima sensibilità sulla questione, con l’obiettivo di utilizzare l’imminente semestre italiano di presidenza UE per richiamare alle loro responsabilità sia l’Europa sia le Nazioni Unite. Mi conforta l’attenzione crescente dell’opinione pubblica e dei media internazionali: la Germania sta facendo documentari su Mare Nostrum, esempio della capacità italiana di essere ad un tempo “coraggiosi e buoni”. Non esiste al mondo una nazione che fa quello che stiamo facendo noi, con tanto entusiasmo e tanta dedizione, spingendosi fino a 400 miglia dalle coste della Sicilia”.

Interpellata a riguardo, Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa in prima fila da anni sul fronte migrazione, ha dichiarato al Corriere della Sera che “occorre un Mare Nostrum 2” a terra, “sulla terraferma e sulle due coste”, perché una volta che le navi sono attraccate con il carico di migranti “non c’è quasi niente oltre alle banchine”. E ha chiesto anche che le navi vadano direttamente a recuperare i migranti “nei porti di Tripoli o di altre città africane tagliando così il business dei trafficanti”.

Una medica volontaria della Fondazione Francesca Rava con un piccolo salvato

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, economics, italia, Politica Aprile 21, 2014

Migranti: lo sbarco di Pasqua

Emma Bajardi, volontaria della Fondazione Francesca Rava con un piccolo migrante a bordo della nave Espero

Il viaggio dei migranti eritrei  non è durato giorni o settimane. Il viaggio è durato mesi e mesi. Passando per Khartoum, Sudan, dove i più fortunati sono riusciti a trovare un lavoro per racimolare almeno parte della somma necessaria a pagare il “passaggio” sui barconi: gli altri soldi li hanno avuti dai parenti già emigrati in Europa, o sono un “investimento” dalle famiglie, un’assicurazione sul futuro. Poi da Khartoum la traversata del deserto fino alle coste libiche, dove i migranti in arrivo dal Corno D’Africa o dalla Siria vengono catturati, imprigionati in campi di detenzione, picchiati, torturati, le donne violentate: l’organizzazione criminale ramificata che specula sulla disperazione è uno dei principali business della Libia di oggi. Vogliono soldi, tutti quelli che riescono a estorcere, per assicurare il viaggio verso le coste nord del Mediterraneo.

L’esodo di Daniele, 22 anni -si è dato un nome italiano per facilitarci- è durato 8 mesi. Il passaggio sul barcone gli è costato 1650 dollari. Con quelle 4 parole italiane che ha a disposizione dice che in Libia sono “tutti ladri”, continua a ripetere che erano anche poliziotti e militari, ma “con maschera”, in faccia non li ha visti. Nei campi di detenzione, in attesa di imbarcarsi, è rimasto tre settimane. Tanto “picchiare”, un pane e un po’ di acqua quanto meno per tenerli vivi.

Nave San Giorgio ci sbarca ad Augusta. Dopo i recuperi biblici del 7-8-9 aprile, quasi 7 mila persone, il traffico si è momentaneamente fermato. Le condizioni del mare sono state proibitive. Anche per la settimana entrante si prevede tempesta. Ma a Sabato Santo e a Pasqua il maltempo ha dato una breve tregua. Veniamo avvisati che gli scafisti potrebbero approfittare di questa breve finestra di mare buono per far partire dei barconi. Attendiamo ad Augusta, finché non arriva la conferma: due barconi sono in viaggio, la fregata Espero e il pattugliatore Cassiopea si stanno dirigendo a recuperarli. Sbarcheranno a Pozzallo, nel Ragusano, estremo sud della Sicilia.

Ci trasferiamo da Augusta a Pozzallo e la mattina presto una motovedetta della Capitaneria di Porto ci permette di raggiungere la nave Espero, all’ancora con il suo carico umano a poche miglia dal porto. Il pilota della motovedetta taglia corto: “Ce lo lascerebbe, lei, un bambino di un anno ad affogare in mare?“. In prossimità della nave sentiamo un canto. La folla dei migranti -433, di cui 75 donne, 4 incinte, 3 bambini piccoli e decine di minori non accompagnati, migranti ragazzini- è assiepata sul ponte: un’altra notte all’addiaccio dopo la giornata e la nottata sul barcone, sull’Espero non c’è altro posto dove metterli. Hanno mangiato un po’ di pasta, ci sono pentoloni di the caldo e merendine. Non stanno cantando. Stanno pregando. Sono quasi tutti cristiani, è Pasqua anche per loro.

Bisogna vederlo il mare di notte, i fuochi tetri delle piattaforme petrolifere della Libia, per capire quanta paura puoi provare quando ti stipano su quei pezzi di legno che dovranno affrontare centinaia di miglia. Certe volte, dicono i marinai di Mare Nostrum, sono gommoni semi-sgonfi e talmente affollati che vedi solo un grappolo umano in mezzo al mare, come se galleggiasse senza natante. Devi scappare da una paura ben più grande per riuscire ad affrontare quella. Lo chiedo a Daniele: “Non hai avuto paura a salire sul barcone?”. “No” mi risponde. “Mi aiuta Dio, e Santa Maria”. Ce l’ha anche scritto sul corpo, “God”, un piccolo tatuaggio sul collo. La Madonna addolorata delle processioni che il Venerdì Santo in tutta la Sicilia piangono la morte di Gesù deve aver pregato anche per loro. Quando scendono dalla grande chiatta che li scarica in porto si inginocchiano e toccano la terra con la fronte, e poi la baciano tre volte. Il rituale rallenta le operazioni di sbarco -il passaggio ai metal detector, la foto per una prima identificazione- ma le forze dell’ordine, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, medici e volontari della Protezione Civile, attendono rispettosamente che possa compiersi.

Il medico dà l’autorizzazione allo sbarco. C’è un uomo febbricitante che trema a terra, quasi tutti hanno una tosse straziante, viaggiano praticamente nudi, con una T-shirt o una camicina, nessun bagaglio, niente di niente, i più fortunati hanno un cappello e una felpa. Da Cassiopea è stato trasportato in elicottero un diabetico in coma iperglicemico, ma stavolta gravi problemi sanitari non ce ne sono stati. Il dottore si avvicina a una ragazza incinta al settimo mese, è talmente minuscola che la pancia quasi non si vede: le palpa l’addome, le donne lanciano un piccolo grido di allarme, questa intimità fisica sembra una violazione. Cerchiamo di tranquillizzarle: “He’s a doctor. He’s papa“, non le sta facendo del male. I bimbi, non più di due anni, corrono sul ponte con un pallone. Nebi non apprezza le nostre carezze di donne. E’ piuttosto macho, preferisce farsi delle passeggiatine per mano a un omone in tuta mimetica del battaglione San Marco.

Quando la grande chiatta carica di umanità si stacca dalla nave, i generosi marinai di Espero che si affacciano per assistere alle operazioni, i migranti esplodono in uno, due, tre applausi. Di ringraziamento, di sollievo, di speranza. Ci sarà ancora da tribolare ma forse il peggio è alle spalle. Lì proprio non riesco a trattenermi, le lacrime bagnano la mia mascherina sanitaria. Penso ai bastimenti dei miei trisavoli che approdarono a Ellis Island, New York. Il loro nome è ancora sui registri. Stessa carne, stessa umanità bisognosa.

Le operazioni di sbarco sono lunghe e complesse, il caldo africano arroventa la banchina. I migranti sono destinati al centro di prima accoglienza di Comiso, vari pullman sono in attesa. Le donne fanno resistenza. Si accucciano quiete e caparbie, non vogliono salire. Non intendono venire separate dai loro compagni di viaggio. Dico ai poliziotti che forse ci vorrebbero delle donne per accompagnarle, che vedere tanti uomini in divisa può spaventarle. Alla fine si convincono e salgono a bordo. I ragazzini sono i più eccitati: quei pullman con l’aria condizionata sembrano navicelle spaziali, si accomodano ai loro posti con gli occhi che brillano. Alcuni possibili scafisti vengono intercettati.

La carovana parte: pullman, camionette della polizia, la nostra auto al seguito. Un’oretta di viaggio nella campagna ragusana, tra i carrubi e i muri a secco, mentre i siciliani siedono a tavola per il pranzo pasquale. In prossimità del centro la carovana rallenta e poi sosta per qualche minuto. E’ un attimo: una dozzina di migranti balza fuori dal finestrino dell’autista, una corsa disperata tra i campi assolati per paura di chissà che cosa, per andare chissà dove. C’è anche una ragazza che corre come una giovane gazzella. I poliziotti non riescono a fermarli. Ne acchiappano uno che resta qualche minuto a terra, una smorfia di dolore, come Gesù caduto sotto la sua croce.

Il centro è accogliente, decoroso, ristrutturato da poco. Piccole casette, materassi di gommapiuma allineati ordinatamente nelle stanze, lenzuola ancora nei cellophane, coperte, bagni puliti. Nel cortile viene distribuito il pasto: conchiglie al pomodoro, carne, patate, acqua. Qualche cagnetto randagio circola sperando di intercettare un boccone. Ci sono già ospiti: giovani nigeriani e ghanesi lindi nelle loro tute nuove: i siciliani sono disperati per quello che sta capitando nella loro isola eppure sempre pronti a soccorrere, a condividere, a portare abiti e scarpe smesse. Fanno quello che possono. Un giovane nigeriano si avvicina. Mi dice in inglese che lui e i suoi compagni stanno lì da 17 giorni: solo mangiare e dormire, non è vita, così finiremo per ammalarci. Siamo venuti qui per lavorare. Scambio uno sguardo con un poliziotto: lavorare? Il poliziotto allarga le braccia: ormai anche per i lavori agricoli stagionali si fanno sotto i siciliani. Gli ospiti del centro chiedono tutto: sigarette, euro, poter telefonare in Nigeria o in Norvegia dove hanno qualche parente a cui riferirsi.

La Marina Militare con la missione Mare Nostrum fa splendidamente il suo lavoro: 28 mila persone tirate su dal mare in 6 mesi, tante donne e bambini, anche partoriti sul barcone. Un modello di accoglienza e di efficienza a cui il mondo dovrebbe guardare. I problemi cominciano a terra. Cosa fare di tutta questa gente, dove sistemarla, come aiutarla a campare. Il resto d’Europa se ne lava allegramente le mani. Ad Augusta, per esempio, c’è una scuola che ospita 80 minori non accompagnati. Stanno lì da mesi. Girano per la città come cuccioli randagi. Quello che è capitato a Lampedusa, che momentaneamente ha chiuso a nuovi arrivi, oggi sta capitando in tutta la Sicilia.

Chiudo con i numeri di ieri: più di 800 migranti recuperati da Espero e Cassiopea con l’aiuto del mercantile Red Sea. A cui è seguito nelle ultime ore il soccorso di altri 400 migranti presi a bordo da nave San Giorgio: dopo le prime cure da parte del personale sanitario, tra cui i volontari della Fondazione Francesca Rava (con il supporto di Wind), oggi saranno trasferiti su Espero che li sbarcherà da qualche parte. 1200 persone in poche ore. Appena le condizioni del mare lo consentiranno, con il buon tempo di maggio, giugno, luglio, gli sbarchi riprenderanno a ritmo esponenziale: non è detto che il canale umanitario di Mare Nostrum abbia risorse per continuare a lungo la missione, e questo potrebbe provocare un esodo biblico dalle coste sud del Mediterraneo. Secondo il ministro Alfano ci sarebbero 600 mila persone in attesa di imbarcarsi.

Le prossime settimane potrebbero essere drammatiche.

C’è bisogno di tutto. E di tutti. Nessuno escluso.

Pasqua con Mare Nostrum: tra i migranti, sulla chiatta che sta per sbarcarli a Pozzallo (Rg)

 

Integro il post con l’articolo che ho scritto per il Corriere di oggi

Ambeba e Yonas aspettano il loro primo figlio. Lei è al quinto mese e dice che vuole far nascere il bambino in Norvegia.

La meta di Saia, 17 anni, è la Germania, dove la sorella è bigliettaia sui bus. Saia è sola. In Libia la sua bellezza l’ha pagata cara: i criminali che gestiscono il traffico umano –un enorme business, capitolo della tratta degli schiavi- non si sono accontentati dei soldi.

Daniele mastica un po’ di italiano e traduce con pudore la testimonianza della “sorella”. In Libia “tutti ladri”, dice, vogliono soldi, picchiano, stuprano. Anche per lui un viaggio di 8 mesi e le terribili ultime settimane nei campi libici. Usano le scosse elettriche se esiti a salire sui barconi, nel mare nero e gonfio della notte. Ma la paura da cui stai fuggendo è ben più grande di quella di affrontare il mare aperto.

Se ce l’hanno fatta ad arrivare fino a qui dall’Eritrea, via Khartoum, la traversata biblica del deserto e poi gli schiavisti libici, se ora sono a Pozzallo (Rg) e baciano la terra uno a uno, rito che rallenta le operazioni di sbarco, l’ultima tratta del viaggio non sarà poi così dura. Troveranno sempre qualcuno che gli darà un paio di scarpe, una caciotta, un frutto.

Qui in Sicilia, che è ormai un’enorme Lampedusa, la gente è spaventata. Si mettono le mani nei capelli: “Come faremo?”. Ma poi quando c’è da fare fanno. Se c’è da andare in mare a tirare su la gente, vanno. Anche bambini morti, come è capitato su Espero, una delle navi della missione Mare Nostrum che in 6 mesi ha salvato 28 mila naufraghi: solo grazie a questo il Mediterraneo non è una fossa comune.

Il comandante di Espero dice che sono stati loro i primi a ripescare i morti dopo la tragedia di ottobre a Lampedusa. Anche piccoli di un anno. Non erano ancora attrezzati e neanche il loro cuore lo era. A bordo giusto qualche mascherina sanitaria. Le salme le hanno distese sul ponte della nave.

Su questo stesso ponte la mattina di Pasqua 433 migranti cantano le lodi del Signore. Quasi tutti eritrei e cristiani: 75  donne, quattro incinte, 3 bambini, decine di minori soli, ripescati nel corridoio umanitario garantito dalla missione Mare Nostrum in un’area di 71 mila km quadrati dove si muovono 5 navi con 779 militari, elicotteri, gommoni, 1 drone e altri mezzi, in collaborazione con forze dell’ordine e magistratura (78 scafisti arrestati). Unità mediche coadiuvate dal personale sanitario volontario della Fondazione Francesca Rava. Una straordinaria macchina di sorveglianza e di accoglienza che solo tra il 7 e il 9 aprile ha salvato 6769 migranti. E a Pasqua e Pasquetta -breve finestra di mare calmo- altre 1200 persone accolte da Espero, Cassiopea, San Giorgio e dal mercantile Red Sea.

Un prodotto d.o.p. tutto italiano, questa missione, che dovrebbe costituire un modello da esportare e che invece non gode di attenzione né di sostegno da parte del resto d’Europa: 9 milioni al mese, fondi stornati dalle ordinarie attività della Marina Militare e che ormai non bastano più.

Appena il mare si calmerà i barconi arriveranno a centinaia: 600 mila persone attendono di salpare, secondo il ministro dell’Interno Alfano. “Noi siamo solo l’aspirina” dice l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, Comandante in capo della Squadra Navale “e non la cura della malattia. Il problema dei flussi va affrontato dalle Nazioni Unite con Ue e Unione Africana, con programmi di sviluppo e repressione di chi lucra sulle vite umane”.

Quando la chiatta affollata di migranti si stacca da Espero per raggiungere Pozzallo, il popolo dei salvati fa esplodere un applauso di ringraziamento, a Dio e agli uomini, al tè caldo e ai 60 chili di pasta all’olio.

Il problema sarà il pane di domani.   

AMARE GLI ALTRI, italia, Politica Aprile 19, 2014

Il Cristo sui barconi

Fra poche ore a Pozzallo (Ragusa) , Sicilia sud-orientale, non lontano da Capo Passero, sbarcherà quasi un migliaio di migranti, due barconi soccorsi nel pomeriggio dalla missione Mare Nostrum al largo delle coste libiche: uno di quei barconi lo vedete qui nella foto.

Sarò lì insieme ai migranti e alle loro sofferenze, ad ascoltare le storie che hanno da raccontare.

Sarà per me una Pasqua molto speciale, l’incontro con Gesù Cristo in persona, morto nella miseria e nella disperazione e risorto nell’accoglienza e nell’amore.

Per ora mi limito a questo, e a un augurio di buona Pasqua.

In particolare auguri a quei giovani marinai e a tutti i volontari, a cominciare dal personale sanitario della Fondazione Francesca Rava, che lavorano senza sosta per evitare che il nostro mare si trasformi nell’orrore di una fossa comune.

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, Politica Aprile 14, 2014

Missione Mare Nostrum. Per curare la violenza

Domani mi imbarcherò sulla nave San Giorgio che dall’ottobre scorso, dopo la tragedia dei migranti nelle acque di Lampedusa, insieme ad altre navi della Marina Militare pattuglia il Mediterraneo nell’ambito della missione “Mare Nostrum”, operazione militare e umanitaria con l’obiettivo di salvare i migranti in mare e di rafforzare la protezione della frontiera.

In pochi mesi i recuperi sono stati quasi 20 mila, con un aumento esponenziale degli arrivi negli ultimi giorni date le buone condizioni del mare: solo tra il 7 e l’8 aprile 1049 migranti salvati.

La Fondazione Francesca Rava, che lavora sull’infanzia in condizioni di disagio -come nel post-terremoto ad Haiti e in Emilia- è in prima linea come partner nelle operazioni di salvataggio e di assistenza sanitaria ai migranti, sempre più spesso donne e bambini e minori non accompagnati in fuga dalla guerra e dalla povertà. Un team di medici, ginecologi, ostetriche e pediatri volontari che che affianca il personale sanitario della Marina nelle operazioni di primo soccorso: “Una realtà straziante” racconta Andrea, uno dei medici “che la normale quotidianità delle nostre vite ci porta a volte a dimenticare. Qui su nave San Giorgio, nel limite delle nostre possibilità, si cerca di creare un piccolo cambiamento nei gesti e nei valori che fino ad ora questi uomini hanno incontrato durante il loro viaggio: mesi o anni di cattiveria, disagio, pestaggi, fame e sofferenze di ogni genere… qui si cura la violenza“.

Nei prossimi giorni sono previsti molti nuovi arrivi: connessione permettendo, cercherò di raccontarvi in presa diretta lo svolgersi della missione.

Non mancano le criticità. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha recentemente dichiarato che “l’emergenza si fa sempre più grave e che non c’è uno stop agli sbarchi. Non sappiamo fin quando l’Italia potrà reggere i costi della missione Mare Nostrum. L’Unione Europeaha concluso Alfanonon può girarsi dall’altra parte perché è difficile pensare che un Paese possa farcela da solo“.

Al più presto notizie da bordo. Stay tuned.

 

AMARE GLI ALTRI, esperienze, questione maschile Marzo 14, 2014

Caso Mussolini: pietà l’è proprio morta

Per aver scritto sulla mia pagina Facebook: “Ad Alessandra Mussolini è capitata una cosa tremenda. Non si può non solidarizzare con lei” (mi riferisco evidentemente alla vicenda del marito indagato per la vicenda delle baby-prostitute dei Parioli), sono stata duramente rampognata.

La cosa più gentile che mi hanno risposto è “cazzi suoi“, e poi “è la legge del karma“, “Io non solidarizzo certo con chi ha urlato meglio fascista che frocio, con chi ha giustificato e votato un presidente del consiglio che andava a letto con una minorenne”, ” Un po’ di purgatorio (3000 anni?) se lo merita tutto”, “Che goduria ce la togliamo dagli schermi”, “Andasse a farsi ricostruire dal chirurgo plastico”, ” la Mussolini invocava la castrazione chimica per i pedofili... La applicherebbe oggi anche al marito?”, ” La mentalità di suo marito è la stessa grazie alla quale lei ha firmato un DDL che vorrebbe normalizzare la prostituzione senza dire una parola sui clienti che con la loro domanda sostengono un mercato per il quale vengono schiavizzate migliaia a migliaia di donne e bambine (milioni nel mondo)”.

E così via. Oltre all’ovvio: si deve solidarizzare con le ragazzine, non con lei (come se le due solidarietà fossero in alternativa). E al non-ovvio: praticamente neanche una parola su quel marito che ha fatto tanto male a una ragazzina di 15 anni, e anche, dall’altro lato, alla sua famiglia e ai suoi figli.

Chi mi conosce può intuire la mia vivissima antipatia politica per Alessandra Mussolini. Ma questo non mi impedisce un sentimento di umana compassione. Ti capita una cosa del genere e la tua vita deflagra. E’ un attimo, e non sai più chi sia l’uomo con cui hai condiviso la vita. Sei ridotta in poltiglia, ma devi mantenere la lucidità necessaria per parare il colpo ai figli. Non siamo nel prosaico del tradimento, che pure fa male: qui è l’apocalisse.

Mi avventuro anche a fare un pensiero sul quell’inspiegabile -per me- che è la sessualità maschile. Che un uomo possa desiderare una fanciulla forse arrivo a capirlo. Che invece quel desiderio arrivi ad agirlo, pagando le prestazioni sessuali di una quasi-bambina, sapendo di commettere, prima ancora che un reato, un gesto umanamente violentissimo nei confronti di quella creatura, rischiando oltretutto di buttare all’aria la propria vita, quella della propria famiglia e dei propri figli, oltre a quella della ragazzina… be’, questo no. Questo non lo so proprio comprendere. L’incontrollabilità di quell’impulso mi sfugge. Mai provato nulla del genere nella mia vita. E grazie al cielo.

Qui sono tutti vittime (le ragazzine, la moglie, i figli, le rispettive famiglie) di una sessualità maschile fuori controllo.

Tornando a lei (sui SN viene fatta a pezzi, le si chiede che si dimetta da parlamentare, si sghignazza, le si augurano le peggio cose): in effetti sì, quello che le è capitato si potrebbe anche leggere come una nemesi, come “legge del Karma”. Come una tragica e beffarda messa alla prova. Il che non toglie nulla alla mia umana compassione. Io la provo. E se è una nemesi, forse la provo anche di più.

Quando una persona cade, e cade così male, (in questo caso, quando cade perché gli è caduto addosso il marito a peso morto) io non festeggio, nemmeno se è un nemico. Non riesco a prendermi una soddisfazione: è troppo amara per il mio stomaco. Provo compassione per suo nonno, quando vedo le immagini del suo corpo appeso a un distributore a cento metri da casa mia. Figuriamoci per lei.

Non intendo privarmi del sentimento risanante della compassione.

 

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, economics, lavoro Febbraio 24, 2014

Femminicidio Economico

Sconcertante e violenta la fotografia Istat sul nostro “capitale umano” (espressione orripilante e disumana) secondo la quale una donna italiana, dal punto di vista della sua capacità di fare reddito, vale esattamente la metà di un uomo.

La disinvoltura con cui si maneggiano certi criteri di valutazione -maschili- può avere conseguenze catastrofiche sul simbolico, che per l’umano è tutto, e sull’immaginario, in particolare quello dei giovani in formazione, scoraggiando le ragazze e offrendo nuovi spunti alla prevaricazione sessista: perché tanto “tu vali meno di me, precisamente la metà”. O disincentivando le famiglie a investire sulla formazione di una figlia, investimento che renderebbe la metà rispetto quello su un figlio. Ora ci sono anche dei “dati” a dimostrarlo. “Guarda, c’è scritto anche sul giornale”: oggi i titoli sono impressionanti. Uno a caso, Repubblica, pag. 21: “Ricerca-shock sul capitale umano in Italia. Una donna vale la metà di un uomo”

I numeri dicono che nell’arco della sua esistenza un maschio ha una potenzialità media di reddito di 453 mila euro, mentre quella di una donna è di 231 mila euro. Ma -e in questo ma c’è quasi tutto- se si sommasse anche il lavoro domestico e di cura, al capitale umano femminile andrebbero aggiunti altri 431 mila euro, e se la matematica non è un’opinione -secondo me in parte lo è-  231 mila euro + 431 mila euro = 662 mila euro. Ergo: una donna vale 1/3 in più di un uomo. Oppure, a scelta, si può detrarre almeno la metà del reddito prodotto da un uomo, che lo produce in forza del fatto che c’è qualcuna che pensa a tutto “il resto”: cioè alla vita.

Alla vigilia di importanti riforme economiche e del jobsact, è assolutamente necessario rimettere al centro la preziosità del lavoro di cura, quel welfare vivente che continua a essere valutato come marginale e residuale, e senza il quale invece non vi sarebbe alcuna economia, né esistenza tout court.

In alternativa, smettere all’unisono di erogarlo. Così la capiscono.

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Febbraio 14, 2014

Quanto pesa il fattore umano

Ancora sotto shock. Stanotte ho dormito poco o niente.

Mai stata fan del governo Letta, le speranze si erano affievolite nel giro di poche settimane: un governo che passerà alla storia per la sua triste inconcludenza: 10 mesi a parlare di Imu, e poi le slot machine, il salva-Roma, Imu-Bankitalia, le cornucopie-omnibus.

Ma la giustizia sommaria, quella ghigliottina tirata su e calata nel giro di tre giorni, il semi-impeachment di Napolitano per fargli capire come stavano le cose, il premier Letta che ieri, nei corridoi della “prima” al Nazareno, veniva chiamato la “giraffa Marius”, la sua patetica resistenza, la sua liquidazione nel peggior linguaggio dei cda (“ringraziamo per il suo contributo”), altro che staffetta. E la fretta di tutti, rivelatrice della fatica che si fa a tradire… Il fattore umano, insomma, che non è cosa da poco, e rischia di pesare sul futuro governo come una macchia originaria, come un pessimo auspicio, tipo i corvi che volano quando nasce un bambino o certe immagini allegoriche delle antiche narrazioni.

Di tutto il resto si è detto tante volte: il Paese agonico, la non procrastinabilità delle riforme istituzionali ed economiche, la lontananza ormai abissale tra gli elettori e i loro rappresentanti, ma soprattutto la voto-fobia, novità molto preoccupante: le consultazioni democratiche che ormai sono diventate “una sciocchezza” (Napolitano”) o “il modo per far vincere Grillo” e per “fare il male del Paese” (sentito ieri in direzione).Che si tiri avanti senza votare fino al 2018, come annunciato da Matteo Renzi, è altamente improbabile, ma soprattutto inaccettabile.

Ma il fattore umano non è meno decisivo: potrà davvero fare bene chi è capace, machiavellicamente, di esercitare con mano tanto ferma il “male necessario”? Quante volte ancora ci toccherà vedere in azione la ghigliottina? Quali segni lascerà questa brutta giornata nei geni del Pd? Davvero non c’era altro modo –c’è sempre stato, perché stavolta no?- per rendere più efficace l’azione politica? Perché il giovane leader, di cui ieri abbiamo visto il volto feroce, non ha avuto fiducia in se stesso? Avrebbe saputo condurre una magnifica campagna elettorale, quella “vera”, avrebbe avuto tutte le possibilità per convincere e vincere e governare con la forza insostituibile del consenso.

E se di se stesso non si è fidato lui, possiamo fidarci noi?

 

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, Politica, salute Gennaio 8, 2014

Martina, la “bambina” che non trova un letto in ospedale

Questa che vedete si chiama Martina Ciaccio. Sembra una bambina, ma ha vent’anni, e pesa 22 chili. Sua madre Donatella scrive su Facebook che è la sua “birbantella, il mio orgoglio“. Martina soffre di una rara malattia genetica, la sindrome di Cornelia De Lange. “Qualcosa di simile alla trisomia 21?” le chiedo.”Magari!” dice lei. “Ci metterei la firma”.

Da 24 ore Martina, che vive a Sciacca, Sicilia, attende con il bacino fratturato di trovare un ospedale che la ricoveri. Dal”Cervello” di Palermo è stata respinta: “In pediatria non la vogliono perché ha superato i 16 anni. Ma per il suo corpo serve l’attrezzatura che si usa per i bambini“. Non le trovano un posto nemmeno tra gli adulti. La mamma pubblica un appello disperato su Facebook:

“Questo è lo stato italiano…mia figlia per la sua grave disabilità si e rotta il bacino e non riesco a trovare un ospedale pediatrico che possa accoglierla per essere operata, questo perché lo STATO ITALIANO guarda l’età anagrafica ma la mia bimba anche se 20 enne pesa 22 kg come una bimba di 3!!allora ditemi..il reparto di adulti non può operare perché,occorrono strumenti pediatrici e i pediatri non possono intervenire perché burocraticamente è adulta!!! Che possibilità ci rimane se non quella di far conoscere la mia storia in modo che qualche politico ben pensante e sempre attivo sul social mi sia una mano per scavalcare questa legge che porta a tanta sofferenza?”.

Martina non parla, passa le sue giornate in una culletta o in passeggino, è molto affettuosa. La mamma la assiste da sola: con i soldi della pensione di invalidità e dell’accompagnamento paga a malapena gli omogeneizzati. Il papà fa la guardia giurata, e ci sono altri due figli. Donatella dice che alla sindrome si associano numerose patologie, dal reflusso gastroesofageo alla poliposi a una grande fragilità ossea.

Stamattina è entrata nella sua camera, ma diversamente dal solito Martina non le ha fatto feste ed è rimasta coricata. Donatella ha subito capito che qualcosa non andava: tre anni fa si era rotta anche e femori. “Ho visto che c’era un problema. Chi soffre di questa malattia ha una soglia del dolore molto alta. Quando chiunque di noi urlerebbe, loro si lamentano flebilmente“. Ha chiamato il 118, e all’ospedale hanno confermato: la frattura al bacino si è riaperta, i ferri sono tutti fuori posto.

Donatella chiede il trasferimento al “Cervello” di Palermo: tre anni fa era stata operata lì. “Anche allora c’erano stati problemi per il ricovero, perché dai 16 anni non sei più un soggetto pediatrico. Con un escamotage avevamo aggirato l’ostacolo. Martina non può essere gestita in un reparto per adulti, anche se ha vent’anni: tutto, dalle mascherine, ai tubi, ai ferri, è troppo grande per lei“. Ma stavolta in pediatria non la prendono: Questione di budget, hanno detto. Non otterrebbero il rimborso dalla Regione. Allora ho chiesto un ricovero tra gli adulti: niente da fare. L’hanno reinviata a Sciacca. Ma quello di Sciacca è un piccolo ospedale di paese, non sono attrezzati per gestire un caso come il suo“.

Due anni fa Donatella aveva minacciato di incatenarsi davanti alla sede della Regione Sicilia se l’assessore alla Sanità Piscitello non l’avesse ricevuta. “Alla fine mi ha incontrata. Gli ho chiesto un lasciapassare, per evitare ogni volta questo rimpallo tra pediatria e i reparti per adulti. Ogni volta perché sono tante volte: Martina si ammala di continuo. Lui mi ha garantito che me l’avrebbe fatto avere. Non ho mai visto nulla“.

Alle 17 di oggi Donatella ha chiesto l’intervento dei Carabinieri:Dopo un’intera giornata nell’ospedale di Sciacca, mentre io mi disperavo alla ricerca di una soluzione, a Martina non era stato fatto nemmeno un esame del sangue, non le era stato neanche cambiato il pannolino. Con una frattura del genere si corrono molti rischi: un’embolia, il coma diabetico -l’altra volta ci siamo andati vicini-, un’emorragia, problemi cardiaci…“.

Parte il tam-tam sui social network, che raggiunge tra gli altri anche l’ex deputato Antonino Mangiacavallo, commissario all’ospedale San Raffaele di Cefalù: lì si trova finalmente un posto per Martina, che sarà ricoverata domattina.

Donatella dice che fa il possibile per tenere allegra la sua famiglia, per non far pesare la situazione più del necessario. “Ma ci sono momenti in cui lo sconforto è troppo grande” dice. “Mi pare che Martina abbia già pagato abbastanza. Non ha bisogno di altre punizioni“.

Aggiornamento di domenica ore 13: Martina, ricoverata a Cefalù, è stata operata, e tutto sembra andare bene. La mamma fa sapere questo: “Volevo comunicare a tutte le persone che mi sono state vicine che mattina dopo 4 ore d’intervento chirurgico e qualche vite in più. (sembra robocop) tra qualche mese tornerà a camminare con le sue gambette grazie alla generosità, umanità e professionalità di tutti i sanitari del san Raffaele di Cefalù, struttura che non ha a euguali in Sicilia…grazie di cuore“.

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Gennaio 7, 2014

La banalità del web-male

Qui di odiatori ce ne intendiamo eh, amiche e amici? Sono anni che ne vediamo e ne sentiamo di tutti i colori. Vero: l’agguato a gente malata (Caterina, e ora Bersani) fa particolarmente impressione, ma da queste parti non ci ha colto impreparati.

La chiamerei “guerra dei mondi”: tra il mondo degli ultracorpi di chi, a qualunque titolo, vive una super-esistenza -i politici, chi va in tv, chi scrive sui giornali o in rete o magari dei libri, chi conosce la gente giusta, chi ha un incarico di prestigio, o una seconda casa, senza troppe differenze tra chi ha ereditato dai nonni un bilocale a Recco e un gozzetto da pescatori e chi attracca con il suo ferro da stiro nel moletto privato della sua villa- e la sub-esistenza di chi è rimasto mera materia, di casa non ne ha neanche una, o sta faticosamente pagando un mutuo da 15 anni, ed è visibile a malapena ai suoi ringhiosi vicini di casa.

Mi pare infatti che la questione discriminante sia proprio quella, la Visibilità come prova di Esistenza: c’è un mondo dei Visibili e un mondo degli Invisibili. Per i quali la rete, libero accesso e costo quasi-zero, costituisce una formidabile occasione per confrontarti con la Kasta peer-to-peer e per accedere a quei 5 secondi di celebrità. A patto di strillare, di spararla più grossa che puoi, altrimenti resti imprigionato nella tua invisibilità pure lì. Del resto la politica televisiva degli ultimi anni è stato un vero e proprio master di bullismo.

Resto dell’idea che la rete sia uno straordinario strumento politico e di trasformazione, non saranno i conati degli haters a farmi cambiare opinione. E riconosco anche in me stessa, in particolare stamattina trovandomi nuovamente costretta a leggere di Tasi, Tares, Tirsu e Iuc, la tentazione di svuotarmi della rabbia rovesciandola con un semplice @EnricoLetta e clic. Ma ormai so bene che se lo facessi : 1. non cambierei nulla della situazione, restando nell’indifferenziato impolitico, cioè non trasformando il carburante della rabbia in azioni efficaci 2. questo provocherebbe solo ulteriore frustrazione e nuova rabbia, in un loop auto-intossicante.

Quindi non indugerei in inutili giudizi morali sull’hate-speech: mi limiterei solo a osservare che non serve a nulla, non trasforma nulla, non intacca le ragioni della rabbia, semmai ne alimenta altra, ingolfandoci. E proverei ad attenermi alle indicazioni della mia maestra Etty Hillesum: “Ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale“.

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, ANIMALI, Corpo-anima, diritti Dicembre 31, 2013

Anch’io sto con te, cara Caterina. Ma…

Anch’io sto con te, cara Caterina, ragazza coraggiosa che lotti contro la tua complessa malattia, e dici che senza sperimentazione sugli animali te ne saresti andata da bambina. E trovo ributtanti e inumani gli attacchi e gli auguri di morte che hai ricevuto sulla tua pagina Facebook: chi si batte a favore del cruelty-free non può essere tanto crudele nei confronti dei propri simili. La non violenza non è un abito che si mette e si smette a piacimento.

Però sbagli a definire “nazi-animalisti” i tuoi detrattori: si tratta di semplici professionisti dell’ hate-speech, odiatori di cui il web è pieno, e che colgono qualunque occasione, specie quando si discute di temi sensibili, per provare a sentirsi meglio scaricando la propria rabbia su qualunque bersaglio mobile (tecnica fallace: una volta che l’hai fatto, sei ancora più rabbioso, in un circolo che si autoalimenta).

Lasciamo perdere l’animalismo, quindi. Qui siamo su tutt’altro piano. E il rischio è che in seguito a questa brutta storia, “animalista” diventi sinonimo di disumano. Tipo quei gerarchi che nei campi di sterminio affamavano bambini ma garantivano carni scelte ai propri cani.

La gran parte dei ricercatori sostiene di non poter rinunciare alla sperimentazione su animali. Va tuttavia registrata anche l’opinione non meno qualificata di chi ritiene che questi test siano sostanzialmente inutili: come la biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla da vent’anni e convinta “che sia proprio la sperimentazione animale ad allontanare le soluzioni e quindi la guarigione per i malati. Il futuro, afferma, è “la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.

La cosa importante, Caterina -e su questo siamo certamente d’accordo- che si colga ogni occasione per diminuire la sofferenza di ogni vivente. Che non si trascuri la ricerca costante di possibili alternative ai test su animali, che non si abbandonino i tentativi di trovare soluzioni diverse e altrettanto efficaci: secondo alcuni, come vedi, perfino più efficaci. La cosa importante è che non cada questa tensione a ridurre il danno per il maggior numero.

Esserci intesi come titolari, in quanto umani, di maggiori diritti (avere anzi inventato la nozione di “diritto”, e con ciò anche quella di esclusi dai diritti), ci carica di grandi responsabilità nei confronti delle creature piccole, umane, animali e vegetali che abbiamo collocato ai gradi più bassi della piramide gerarchica.

Forse siamo pronti per cominciare a ripensarci, noi stessi e il resto del mondo, “in rete” e non più in chiave di gerarchia e di dominio. La strada è questa, per quasi tutto.

Ti abbraccio Caterina, esci presto dall’ospedale, per un 2014 più sereno possibile.