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razzismo

Politica Luglio 31, 2013

Bestia Padana in via di estinzione

Gianluca Buonanno, di spalle, in elegante T shirt biancoverde

Alla Lega almeno un merito va riconosciuto: quello di amplificare tutti i borborigmi della pancia di un Paese provinciale e culturalmente arretrato, che nessuna posticcia political correctness riuscirà mai a far avanzare.

Dal celodurismo fondativo, ai neri -anzi, negri- bingo-bongo mangiatori di banane: ma non è razzismo, no! È dire pane al pane, è il rutto rivelatore e liberatore del Santo Stomaco del Popolo. Che della sonorità promettente di quel rutto si deve accontentare, perché altro dalla Lega in tanti anni non ha avuto: né il federalismo, né una maggiore giustizia fiscale, né l’onestà cristallina contro Roma Ladrona.

Il fatto è che questi ruttatori professionisti tengono in pugno quasi tutto il nostro Grande Nord, pur con bassissime percentuali elettorali, particolare che tendiamo a rimuovere, e ogni tanto un boccone rivitalizzante alla Bestia Padana in estinzione va pure lanciato.

Ieri ci ha pensato Gianluca Buonanno, deputato leghista, che per la seconda volta –l’aveva già fatto il 3 luglio scorso ed era stato espulso dall’aula- ha definito Sel l’acronimo di “Sodomia, ecologia e libertà”, e ha parlato di “lobby dei Sodomiti”. Una vera ossessione, quella di Buonanno. Al quale evidentemente questa faccenda della sodomia batte in testa. O dove il dente duole, direbbe Sigmund Freud, pag. 3.

Vediamo nei prossimi giorni a chi toccherà il meteorismo propagandistico.

AMARE GLI ALTRI, TEMPI MODERNI Luglio 29, 2013

La reazione di Kyenge

Ho letto molti commenti di amic* e collegh* (Letizia Paolozzi qui, ma anche Alessandro Robecchi sul “Fatto”, Paola Bacchiddu e altri) che hanno molto apprezzato la reazione quieta e ironica della ministra Kyenge al gesto beluino del lanciatore di banane.

Con la gente che muore di fame e la crisi, sprecare cibi così è triste”, ha detto la ministra.

Pur ammirando tanto fair play, io avrei decisamente preferito dell’altro. Per esempio che la ministra raggiungesse quell’orrendo individuo -stiamo parlando di uno che è uscito di casa con delle banane in tasca, determinato a quella ripugnante performance- e gli tirasse uno schiaffone, per poi tornare tranquillamente al tavolo. Che mangiasse una banana e poi gli spiaccicasse la buccia in faccia. Che mostrasse e applicasse un po’ di forza, anche solo simbolica, perché in quella circostanza era necessario, più che mai. Quando ci fu da infuriarsi nel Tempio, Gesù non ci pensò due volte.

Ai lanciatori di banane, alla gente che vede un nero e dice “bingo-bongo” o peggio, la composta reazione di Kyenge non ha insegnato nulla. Anzi, avranno pensato, se si possono impunemente tirare banane in faccia a una ministra, figuriamoci che cosa possiamo fare con un nero qualunque. Quando Rose Louise Parks nel 1955 rifiutò di cedere il posto sul bus a un bianco, come previsto dal regolamento, con la sua disubbidienza aprì un conflitto, disposta a un’azione di forza. Anche Kyenge, in un certo senso, è la prima a occupare un posto che finora è toccato solo a bianchi, preferibilmente maschi.

Insomma, alla ministra, che abbraccio forte e non mi permetto di giudicare, direi questo: che forse l’occasione non è stata sfruttata come si sarebbe potuto. Io avrei preferito un po’ di forza, anche perché lei è donna come me, la sua mitezza è data per scontata, e invece è un’ottima lezione mostrare la forza femminile in azione.

A voi non pare?

p.s.: naturalmente le reazioni che qui descrivo (schiaffo, buccia spiaccicata in faccia) sono molto grossolane, sono miei acting out mentali. Mi sarebbe bastata un po’ di sferza in più, come ho detto una manifestazione di autorità e di forza. E’ questo che mi è mancato.

Un esempio può essere Vandana Shiva: quando a Ballarò il finanziere Davide Serra liquidò come “ridicoli” i suoi argomenti, lei reagì con la giusta autorità, dicendo che se lui era il principale supporter economico di Matteo Renzi, “questo Renzi non va affatto bene”.

Non-violenza non significa subire il colpo dell’avversario senza reagire. Si tratta di saper riconvertire l’energia di quel colpo contro l’avversario. Kyenge a mio parere non l’ha fatto.

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aggiornamento del 29 luglio, mezzanotte: nel frattempo Kyenge è oggetto di un’escalation di insulti e provocazioni impuniti, dal gorilla alle noci di cocco a questa cosa inaccettabile che vedete qui.

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aggiornamento di martedì 30 ore 19: Kyenge mostra di voler cambiare registro, e io approvo molto. Ecco qui.

 

 

AMARE GLI ALTRI Aprile 19, 2009

NON UNA PAROLA

Parlando dalla residenza di Castelgandolfo riguardo alla prossima conferenza Onu sul razzismo a Ginevra, Benedetto XVI ha detto: “Si richiede un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Occorre, soprattutto, una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”.

Non una parola su quei 140 migranti a bordo del cargo Pinar, a sud di Lampedusa da giovedì scorso, ormai senza viveri e con il cadavere di una donna incinta in una scialuppa al traino, respinti sia da Malta sia dall’isola siciliana. A proposito di dignità della persona e di diritti fondamentali.

Quando sarebbero sacrosante e dovute, le ingerenze vaticane negli affari degli stati, deludentemente non arrivano.

AMARE GLI ALTRI, TEMPI MODERNI Febbraio 24, 2009

SI PUO’?

Una signora pavese di 83 anni, invalida, è morta in seguito alla violenza subita da un cittadino romeno che si è introdotto nella sua abitazione e l’ha stuprata. Due domande, che faccio anzitutto a me stessa.

Domanda 1: si può ancora dire che il maggior numero di violenze sessuali avviene a opera di familiari, amici e persone conosciute, o il rapporto si sta invertendo?

Domanda 2: è lecito pensare che quella romena sia un’etnia particolarmente violenta, che tende a conferire alla vita un valore tutto sommato relativo? Si può dire una cosa come questa e tuttavia non essere razzisti?

TEMPI MODERNI Gennaio 16, 2009

ABU GHRAIB, PARMA

Il giovane nero che vedete sulla sinistra della foto si chiama Emmanuel Bonsu, italiano di Parma, originario del Ghana. Quello in tuta che gli tiene la testa è un vigile urbano che insieme a nove colleghi l’aveva appena fermato, ritenendolo un spacciatore, pestato e insultato. In seguito al pestaggio, il ragazzo è stato operato a un occhio. Dopo l’azione, il vigile ha voluto una bella foto ricordo, stile Abu Ghraib. La foto è stata scattata la notte del 28 settembre scorso, e conservata come un trofeo, o come prezioso materiale pornografico. Solo la pornografia, in effetti, è altrettanto efficace nel rivelare le bassezze di cui siamo capaci.

Emmanuel Bonsu vorrebbe che non se ne parlasse più. E’ una persona mite e dignitosa, e dice che gli dispiace per le famiglie dei vigili indagati. Invece è stata aperta un’inchiesta. Di peggio poteva capitare solo che al posto del vigile ci fosse una vigilessa. Llyndie England, avete presente?

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini Novembre 27, 2008

RAZZISMO O SESSISMO?

nonna e tata

nonna e tata

Quando si dice di continuo che siamo razzisti, mi pare che la cosa la si stia in qualche modo “chiamando”. Che si speri che le cose vadano al peggio, e non si capisce perché.

Non credo che il razzismo sia costitutivo del nostro carattere nazionale. Forse è anche perché siamo il paese dei campanili. Per uno di Orgosolo non c’è senegalese che uguagli per odiosità uno di Orani, per uno di Cinisello nessun marocchino può essere più molesto di uno di Sesto. Le cose le abbiamo sempre sistemate a palii e disfide, se Dio vuole, e forse il campanilismo è un buon presidio contro le degenerazioni razzistiche. E sarà anche perché siamo già un melting pot, e gli ultimi arrivi non possono che aggiungersi ai miscugli pregressi.

Per quel mi riguarda, poi, parlo per me e per la totalità delle mie amiche, con le donne di altri paesi mi trovo benissimo, sono curiosa di come la pensano, di come si vestono e di che cosa cucinano. Mi piace chiacchierare con loro, e quando ci chiacchiero mi rendo conto che i fondamentali che ci uniscono -il poter essere madri, in particolare- sono molto più forti delle differenze che ci dividono. Se lasciassero fare a noi, l’integrazione sarebbe bell’e che fatta. Molte di queste donne ci danno una gran mano, e noi la diamo a loro.

Quello che fa problema non è affatto la razza, ma la violenza di cui non pochi uomini di alcune altre culture sono portatori, l’idea che hanno dei rapporti tra i sessi, la miseria culturale e spirituale in cui ci trascinano: circostanze che ci fanno sentire ancora più minacciate -perché, certo, quello della violenza resta un problema fondamentalmente domestico- e meno libere. L’ennesimo triste capitolo della sex war, insomma. E naturalmente quello che fa problema sono i comportamenti criminali in senso lato: anche qui, quasi solo uomini. Questa è la verità, o più precisamente una parte considerevole della verità.

Chiamiamo le cose con il loro nome, allora. Razzismo non è la parola giusta. E’ qualcos’altro. Sempre che vogliamo capire, e andare avanti, e stare tutti meglio, “noi” e “loro”.

Archivio Ottobre 25, 2008

NON E’ BELLO ESSERE POVERI

C’è il rischio, quando si parla di razzismo, di ficcarsi in un cul de sac. “Io razzista? Figuriamoci!”. E non si viene a capo di nulla. Mi ha illuminato quello che ho sentito dire a un signore nero, elegantemente incravattato: “La questione non è il colore della pelle. La questione è la povertà”. Non tutta la questione, forse, ma una parte cospicua.
Uno magari è stato povero, sa bene cos’è. Ha lottato per tirarsene fuori. Oggi i suoi figli capiscono l’inglese, sanno stare a tavola, hanno amici nella buona società. Magnifico. Poi un bel giorno gli arriva al piano di sotto una famiglia da chissà dove. Lei col foulard, quattro o cinque bambini moccolosi, tutti quei calzini stesi, gli odori dalla cucina. Il ritorno del rimosso, una rampa di scale più sotto. La paura che scatena la rabbia. La rabbia che diventa violenza. Ci vuole una grande anima per resistere, molte risorse interiori. E snon tutti le hanno.
Non c’è niente di sbagliato nel non voler essere poveri. Ho in mente un’orribile professoressa, signora borghesissima che purgava i suoi sensi di colpa insegnando in una scuola con molti bambini stranieri e presentandosi in classe indecorosamente ed esibizionisticamente stracciata. Niente analisi logica, niente storia o geografia. Solo “sperimentazioni”, cretinate multietniche e un sacco di altre inutili idiozie che non facevano crescere gli ultimi e tiravano verso il basso i primi. Perché lei “amava” snobisticamente i poveri, che pertanto dovevano restare poveri, o il suo goal esistenziale sarebbe andato a gambe all’aria.
Ma i poveri non vogliono restare poveri. I poveri vogliono uscirsene di lì. E’ facile che sbaglino strada, pensando che basti una bella macchina presa a credito o una cintura griffata. Ma quel moto dell’animo è sacrosanto. Non c’è niente di buono nell’essere poveri. E la bellezza, quella vera, la cultura, possono tutto. Avrebbe fatto meglio, la scellerata prof, presentandosi con uno di quei  bei tailleur che sicuramente aveva in guardaroba.
Prima sapremo garantire agli italiani “stranieri” diritti, rispetto, decoro, integrazione, occasioni culturali, prima faremo fuori la loro –e la nostra- povertà. Più gli faremo guerra, e peggio sarà per tutti. E non venitemi a parlare di San Francesco. Quella è tutta un’altra storia.
(pibblicato su Io donna – Corriere della Sera il 25 ottobre 2008)

Archivio Ottobre 16, 2008

GIRA CHE TI RIGIRA

L’idea di classi differenziali per stranieri è una soluzione sbagliata e inaccettabile a un problema che però esiste, ed è notevole. Sul Corriere di oggi Sandro Veronesi descrive molto bene la situazione di Prato, io potrei dire con altrettanta consapevolezza di Milano. Dove, oltretutto, i piccoli sono delle etnie più varie, non come lì, prevalentemente cinesi, quindi la gestione è molto complicata. Nei fatti le povere maestre -se ne parla sempre al maschile, ma sono in stragrande maggioranza donne- e più avanti le professoresse si ritrovano a tirare una coperta troppo corta. Per non lasciare indietro nessuno, rischiano di abbassare il livello per tutti, sacrificando lo svolgimento del programma alle inevitabili lentezze di chi non parla la nostra lingua ed è affaticato dall’inserimento. I genitori italiani si difendono andando a caccia di scuole senza stranieri, che qui a Milano sono quasi tutte in centro città.

E’ vero anche, tuttavia, che frequentare una classe multietnica è un’esperienza potenzialmente molto ricca e direi perfino irrinunciabile, perché insegna lo strumento preziosissimo della relazione a un grande livello di complessità. Si tratta quindi di saper trarre il meglio da questa contingenza, e lo si può fare soltanto, nessun dubbio, investendo energie e risorse, dotando le maestre di tutti i sostegni necessari, di counselor, di corsi d’appoggio d’italiano, e così via. E anche di una relativa autonomia nell’organizzazione del lavoro, perché ogni situazione fa caso a sé. Con l’idea di portare tutti verso l’alto, anziché abbassare gli standard. C’è da spendere oggi per risparmiare domani: tutto ciò che favorisce e velocizza l’integrazione è un ottimo investimento. Per tutti.

Ma alla nostra politica miope manca la capacità di guardare oltre il proprio naso. Ci si accontenta di un mediocre e immediato ritorno di consenso, accarezzando il pelo agli istinti più elementari.

Gira che ti rigira, siamo sempre lì, a questa politica insufficiente.

Archivio Settembre 24, 2008

NOI RAZZISTI

Sulla morte del giovane Abdul, sepolto ieri.  Da subito il dibattito è stato: é razzismo o non lo è? Se fosse stato bianco, le cose sarebbero andate in questo modo? Un fronte che ha premuto per il sì, un altro, probabilmente maggioritario, che ha tenuto duro: non si tratta di razzismo, è stata una tragica fatalità.

Ci sono probabilmente buone ragioni, oltre a quella di volere evitare le aggravanti di legge, per non ammettere che probabilmente la bravata di un ragazzo bianco non si sarebbe conclusa allo stesso modo, che chi ha deciso di farsi selvaggiamente giustizia sarebbe stato meno accanito. Forse violare il tabù e nominare il razzismo in qualche modo lo farebbe esistere, ci costringerebbe a guardare in faccia la questione, ad affrontarla, a dirimerla.

Mi pare però che il problema sia malposto. Si tratta di guardare in faccia il nostro inner racist, di riconoscerlo, accettarlo, di farci amicizia, di discuterci, perfino di riconoscergli qualche ragione, e di comprendere la sua posizione. Si tratta di vedere se riusciamo a convincerlo con le buone che ci sono altre strade, migliori della sua. E di incamminarcisi insieme.