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esperienze, Politica Maggio 3, 2015

#NessunotocchiMilano: una città che ha fretta di risorgere

Cittadini anti-graffiti a Milano, via Scaldasole, quartiere Ticinese

Dice 20 mila, il sindaco Pisapia: senz’altro più di 10 mila i milanesi alla manifestazione #NessunotocchiMilano, idea lanciata dal Pd milanese -ma corteo rigorosamente senza bandiere, colonna sonora: “O mia bèla Madunìna” e Inno di Mameli-. Manifestazione che come ha sottolineato in conclusione il cantautore Roberto Vecchioni dal palco improvvisato sulla bellissima nuova Darsena, ha “ripulito la città” ripercorrendo amorosamente le strade devastate il Primo maggio dall’idiozia di decine di teppisti in nero.

I segni ci sono ancora: vetrine sfondate e intonaci graffitati da piazza Cadorna, in via Carducci e via Molino delle Armi. Per rimettere le cose a posto serviranno tempo, squadre specializzate, soldi pubblici. Il lavoro di oggi è stato solo simbolico ma molto preciso e molto forte. La risposta spontanea di una città strutturalmente discreta, che manifesta i suoi sentimenti solo quando sono autentici. E se è vero -ed è vero- quello che «Quel che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia» (Gaetano Salvemini), il segnale lanciato è quello di una volontà “risorgimentale”, di una voglia di riscossa che potrebbe traversare elettricamente tutto il Paese. Uno spirito simile a quello che ha accompagnato 4 anni fa il cambio di giunta -e da cui ha preso avvio anche il cambio al governo nazionale- e che sembra voler lanciare una nuova sfida politica per Milano e per l’Italia. Basta alle devastazioni, basta al nichilismo black bloc o di chiunque altro, vuole dire basta a tante altre cose: basta alla corruzione che ci umilia, basta con l’insicurezza quotidiana -una dolce Tolleranza-Zero- basta alla sfiducia ingenerata dalla lunghissima crisi, basta alla politica inefficace, basta alle cretinate “da bere”. Una riconferma di quell’anima storicamente laboriosa, positiva, radicalmente riformista, accogliente e solidale che non smette di costituire il tratto identitario di Milano, e che trova in Expo, al netto delle legittime critiche, un importante catalizzatore.

In testa al corteo, intorno a Pisapia, tutta la giunta e vari consiglieri comunali, il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati, la sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni e vari candidati in pectore alla poltrona di sindaco, da Emanuele Fiano a Ivan Scalfarotto. Più che “anni Settanta”, come commentava qualcuno, il clima “anni Sessanta” di una città che intende fortemente ricostruirsi a partire dai suoi fondamentali storici, liberandosi dell’inessenziale e degli esibizionismi superflui -senza rinunciare all’allegria- e dando il la al resto del Paese.

Ottimo auspicio per tutti.

Giovane anti-writer

Claudio Bisio con il sindaco Pisapia

Il corteo in corso di Porta Ticinese

 

 

 

Politica, pubblicità Aprile 8, 2015

Expo e il Pd-discount

Il flyer che vedete qui sopra sta scatenando dibattiti in mezzo web. Anch’io, per la verità, per un attimo ho creduto a uno scherzo.

L’intento appare buono: offrire uno sconto ai giovani sul biglietto Expo. Ma si doveva trovare un altro modo per dirlo, la comunicazione è sbagliatissima. Graficamente, innanzitutto: i colori squillanti, quel 50€ sbarrato, la domandona in maiuscolo grassetto (“Hai meno di 30 anni?) danno l’idea di una pubblicità di discount, di un’offerta speciale, di un supersaldo in tempi di crisi. E qual è la merce in saldo? Il mix-and-match dei due loghi –Pd ed Expo- al piede del volantino contribuisce a confondere le idee. Insomma, non è chiaro se con quel due-al-prezzo-di-uno si intende che se fai il biglietto per Expo ti si regala una tessera Pd o, viceversa, se è la scelta di iscriverti al partito a darti agevolazioni per Expo.

Grafica a parte, il testo (“iscriviti al Pd di Milano e acquista da noi il tuo biglietto di Expo: spendi SOLO 25 € anziché 50 €!”) veicola un messaggio molto discutibile. In sintesi: che iscriversi al Pd conviene. Il fatto è che ogni giorno i giornali sono pieni di plastiche dimostrazioni della convenienza della politica: un sacco di gente che si è arricchita grazie ai partiti. Negli ultimi 20 anni la politica è diventata per troppi “un mestiere come un altro” (il riferimento non è casuale) potenzialmente molto redditizio, una ghiotta opportunità di carriera con la minima preparazione e il minimo impegno. Zero amor mundi, enorme amor sui. Gente che smania ed è disposta a tutto per un posticino di consigliere di zona.

C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la politica era un’attività in perdita, esistenzialmente dispendiosa, decisamente sconveniente, e una tessera in tasca poteva costarti la vita: un ricordo affettuoso per un mio prozio, il biciclettaio Aliprandi, mite socialista che veniva preventivamente “menà a San Vitùr” ogni volta che il Duce passava da Milano. La tessera che conveniva avere in tasca, in quel periodo, era un’altra.

Ora, senza fare tragedie: è necessario cogliere ogni occasione per fare intravedere la possibilità che tesserarsi a un partito non convenga affatto, che comporti il rischio, anche minimo, connesso a ogni opzione ideale. Il crollo dei tesseramenti è una faccenda seria, legata a una mutazione genetica del partito, alla constatazione di non contare più nulla nella sua vita interna e nelle decisioni che ne conseguono, non servono “punti fragola” o sconti sulle batterie di pentole, come hanno ironizzato in molti.

C’è un’ultima osservazione che riguarda Expo: per come sono andate le cose, gli scandali, gli arresti in corso d’opera, i ritardi, i costi alle stelle, le prenotazioni negli alberghi che languono e molti altri segnali poco incoraggianti, il rischio che l’occasione sia stata sprecata è piuttosto alto. Poche ore fa Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha dichiarato di non poter escludere altri scandali. Alla fine si dovrà affrontare la spinosissima questione delle aree e della loro destinazione d’uso. Al momento per i cittadini Expo è stato solo un colossale esborso senza certezza di rientro. Nessuno intende gufare: un flop sarebbe una vera disgrazia per tutti. Ma anche mix-and-matchare il proprio logo a quello di Expo forse non è una grandiosa trovata di marketing.

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro Marzo 31, 2015

Gap salariale tra donne e uomini: una proposta di legge

 

Proprio oggi l’Istat diffonde nuovi disastrosi dati sulla disoccupazione, e in particolare sul calo costante dell’occupazione femminile. Nelle settimane scorse abbiamo appreso che uno dei pochi dati positivi che riguarda il lavoro delle donne nel nostro Paese, un gap salariale inferiore alla media europea (7.3 contro 16 per cento), si sta progressivamente ampliando, mentre negli altri Paesi la forbice tende a ridursi.

La trasparenza e la pubblicità delle retribuzioni nelle aziende (fatta salva la privacy: cioè omettendo l’identità dei singoli lavoratori e nominando solo  il genere di appartenenza) è il primo passo necessario per contrastare la disparità salariale: è questo il senso della proposta di legge depositata oggi da Pippo Civati del Pd, a inaugurare un pacchetto di leggi “dedicate” alla cittadinanza femminile (e dati i vantaggi che ne deriverebbero, a tutto il Paese).

Ecco il testo della proposta.

“Onorevoli colleghi! Il divario retributivo di genere è un fenomeno complesso che
riguarda sia la cosiddetta “discriminazione diretta”, cioè a parità di lavoro, sia le
differenziazioni di mansioni e di settori. Si tratta di un divario troppo ampio, che, a
livello di Unione Europea, si attesta in media intorno al 16%.
Colmare questo divario è necessario anzitutto per motivi di giustizia e di uguaglianza.
Ricordiamo che l’articolo 37 della Costituzione afferma che «la donna lavoratrice ha gli
stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore». I
destinatari di questo imperativo sono tutti i soggetti, pubblici e privati, da cui dipenda il
rispetto dello stesso, compresi quindi i datori di lavoro, ai quali la presente proposta in
particolare si rivolge.
Peraltro, deve considerarsi come dal superamento del divario si trarrebbero vantaggi
anche per l’economia, un riconoscimento adeguato del lavoro delle donne essendo
generalmente riconosciuto come un importante fattore di crescita.
Al fine di assicurare la piena realizzazione della parità salariale molti sono gli interventi
da porre in essere, anche attraverso la revisione di alcune norme esistenti, intervenendo
su sanzioni e incentivazioni, ma il punto da cui partire in modo semplice e immediato
può essere quello della trasparenza.
Si tratta di un elemento su cui puntano oggi sia l’Unione europea sia Paesi
economicamente forti e sviluppati e che ci sembra il caso di riprendere e – per certi
versi – anticipare.
Infatti, il 7 marzo 2014 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione «sul
potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la
trasparenza».
Per questo la Germania, che certamente presenta un divario retributivo molto più ampio
del nostro, si sta dotando di una legge per la parità salariale di grande significato, che
prevede la pubblicizzazione degli stipendi di un’azienda, senza indicare i nominativi dei
lavoratori, ma associando alle cifre il riferimento al gruppo di appartenenza e quindi al
genere.
Una soluzione che si combina perfettamente con la decisione del governo tedesco e
della sua maggioranza di introdurre un salario minimo stabilito per legge, come anche in
Italia sarebbe auspicabile che si facesse.
 
Una soluzione avanzata dal governo di Grosse Koalition guidato da Angela Merkel, e in
particolare dalla ministra Manuela Schwesig, ministra federale alla famiglia.
I dati in Italia ci dicono che, per una volta, il nostro Paese è in testa alle classifiche
europee, perché il gap è solo del 7,3%. Il dato che allarma è però che la differenza
aumenta, mentre negli altri Paesi diminuisce.
Con un testo di legge chiaro e semplice, che rinvii all’intervento del Governo, entro
poche settimane, si può intervenire immediatamente, perché il nostro Paese sia alla pari
con i migliori standard di civiltà e riconosca quell’equilibrio tra uomini e donne che è
un fattore di qualità imprescindibile della nostra democrazia e della nostra Costituzione,
perché ogni ostacolo sia rimosso e superato nella nostra vita sociale.

Articolo 1
1. Al fine di colmare il divario retributivo tra i sessi, le imprese e le organizzazioni sono
tenute a garantire la trasparenza e la pubblicità della composizione e della struttura
salariale della remunerazione dei propri dipendenti, avendo cura di non indicare alcun
elemento identificativo personale, salva la appartenenza di genere, secondo quanto
previsto al successivo articolo 2.
Articolo 2
1. Il Governo, entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adotta uno o più
decreti legislativi con cui definisce:
A) le modalità per assicurare la trasparenza e la pubblicità della composizione e della
struttura salariale della remunerazione dei dipendenti;
B) le sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza e pubblicità di cui
all’articolo 1 e delle modalità per assicurarne il rispetto.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera A), il Governo si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi:
a) assicurare il rispetto della normativa sulla privacy, escludendo in ogni caso la
presenza di qualunque dato anagrafico diverso dalla appartenenza di genere;
b) prevedere la chiara identificazione della appartenenza di genere;
c) prevedere la chiara identificazione della composizione e della struttura salariale;
d) assicurare che ciascun lavoratore conosca, senza dovere presentare richiesta, la
retribuzione e ogni altra forma di remunerazione, compresi i bonus, di tutti i lavoratori
dipendenti della medesima impresa o organizzazione;
e) assicurare che ciascun lavoratore possa consultare, senza dovere presentare richiesta,
per un periodo di almeno sessanta mesi, la retribuzione e ogni altra forma di
remunerazione, compresi i bonus, di tutti i lavoratori dipendenti della medesima
impresa o organizzazione;
f) assicurare che le prerogative di cui alle lettere d) ed e) siano assicurate anche alle
associazioni sindacali;
g) assicurare che le imprese con almeno cinquanta dipendenti informino regolarmente i
dipendenti, i rappresentanti dei lavoratori e le parti sociali sulla retribuzione media per
categoria di dipendente o posizione, ripartita per genere;
h) assicurare che le imprese e le organizzazioni con almeno duecentocinquanta
dipendenti svolgano audit salariali da mettere a disposizione dei rappresentanti dei
lavoratori e delle parti sociali.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera B), il Governo si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere sanzioni amministrative adeguate e ragionevoli per il caso di mancato
adempimento all’obbligo di rendere pubbliche le retribuzioni e ogni altra forma di
remunerazione;
b) prevedere sanzioni amministrative adeguate e ragionevoli per i casi di mancato
rispetto delle modalità previste per assicurare le forme di trasparenza e di pubblicità di
cui alla presente legge e ai decreti delegati emanati in base alla stessa;
c) prevedere un progressivo aumento della sanzione per il caso in cui le violazioni di cui
alle lettere a) e b) del presente comma risultino gravi e reiterate.
Art. 3
La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale”.

jihad, Politica, Senza categoria Marzo 28, 2015

La mia amica Maryan e suo fratello Yusuf ucciso dal jihad

Yusuf Mohamed Ismail Bari-Bari, morto ieri in un attentato jihadista a Mogadiscio

Ieri, erano quasi le 23, mi ha chiamato la mia amica Maryan Ismail. Avremmo dovuto vederci stasera in un’occasione conviviale. Con voce ferma, Maryan mi ha detto che non ci sarebbe stata perché gli jihadisti avevano appena ucciso suo fratello Yusuf Mohamed Ismail Bari-Bari, ambasciatore somalo all’Onu di Ginevra. Yussuf è morto a Mogadiscio nell’attentato al Maka Al Mukarama Hotel a opera di al Shabaab, filiale somala di Al Qaeda. Ci sarebbero decine di morti, e non è chiaro se l’hotel sia ancora nelle mani dei nazislamisti e se vi siano ostaggi.

La famiglia Ismail ha vissuto in esilio in Italia durante la dittatura di Siad Barre. Yusuf era nato a Roma e aveva studiato a Bologna. Maryan è una femminista molto impegnata politicamente, ha sposato un italiano, vive a Milano dove guida il circolo Pd Città-Mondo ed è da poco entrata a fare parte della segreteria metropolitana del Partito Democratico. Sua madre e altri familiari abitano a Bologna, mentre Yusuf risiedeva in Svizzera.

Questa tragedia conferma che tra noi e quei barbari assassini ci sono solo pochi gradi di separazione. E che, come dice lo studioso dell’Islam Gilles Kepel, i musulmani -laici, “moderati”, a loro dire “conniventi” con l’Occidente-sono le prime vittime del jihad (al secondo posto gli ebrei, al terzo gli intellettuali occidentali).

Maryan Ismail alla manifestazione milanese dopo l’attentato a Charlie Hebdo

Maryan dice di stare in buona compagnia questa sera anche per lei e Yusuf. La vita non si deve fermare, è questo che che vorrebbero gli jihadisti. E’ una donna molto forte, e supererà questo dramma che la rafforza nella sua convinzione e nel suo impegno.

Abbraccio questa mia sorella, colpita così duramente, e le giuro che non sarà mai sola.

diritti, Donne e Uomini, Politica, Senza categoria Marzo 26, 2015

Pillola dei 5 giorni dopo: così proprio non va, ministra Lorenzin

Dal punto di vista dei cosiddetti diritti il governo Renzi non è centro-destro, è superdestro: cosa che peraltro non mi sorprende affatto,  era ben nota fin dai tempi delle primarie, a volerlo sapere, quando Renzi era ancora sindaco e di una sua premiership non si parlava.

Niente sulle coppie di fatto, niente sul fine vita (in Francia è stata appena approvata un’umanissima legge che sarebbe piaciuta al nostro Cardinal Martini), la legge 40 sulla fecondazione assistita è impantanata nelle secche di un ri-dibattito parlamentare, la legge 194 sabotata dall’obiezione di coscienza record. E nessuno, tra i dirigenti e le dirigenti del Pd -salvo rare ed estemporanee prese di posizione- che intenda disturbare il manovratore.

Chiedo in particolare alle donne del Partito Democratico: conosceranno pure una coppia di fatto (o magari è la loro stessa condizione), avranno qualche amico o amica LGBT nei guai (o lo saranno loro stesse), capiterà loro di avere amiche o amici infertili (o magari è una cosa che le riguarda personalmente), avranno pure avuto un amico o un parente malato terminale, si saranno una volta nella vita trovate (loro personalmente, o una loro amica, una sorella, una figlia) di fronte alla dolorosa scelta di abortire. Che cosa si sta aspettando per queste riforme a costo zero, e che, anzi, potrebbero pure fare risparmiare un po’ di soldi pubblici?

Quello che è capitato sulla cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo è la dimostrazione plastica di quello che sto dicendo: la politica informata da una sottocultura retriva che non corrisponde affatto al comune sentire del Paese. L’Europa dice che quel farmaco (un contraccettivo, non un abortivo) può essere venduto senza ricetta. Il nostro Consiglio Superiore di Sanità non molla: la ricetta ci vuole. Ma l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, non tiene conto del parere e decide diversamente: la pillola si potrà acquistare in farmacia senza prescrizione medica, salvo che nel caso delle minorenni che potranno farsela prescrivere in un consultorio o in un Pronto soccorso. Se non fosse che i consultori sono ormai pochi e depotenziati (questo lo riconosce la stessa ministra Lorenzin) e che in Pronto Soccorso puoi sempre imbatterti in un obiettore superzelante, di quelli che -è capitato- obiettano perfino sull’inserimento di una spirale.

Io non capisco la ministra: la contraccezione d’emergenza non è pur sempre meglio di un aborto, e magari di un aborto clandestino, visto come siamo messi a causa degli obiettori, come nel caso di quella ragazzina genovese che dopo aver assunto un abortivo comprato online ci stava lasciando la pelle? perché ostacolarla, allora? o lei pensa che, trovandosi di fronte a tanti ostacoli, una donna rimasta incinta deciderà di portare avanti la gravidanza? non ci pensa ogni giorno in tutta coscienza, lei che potrebbe fare molto, a quella ragazzina? non ne sente la responsabilità?

Secondo la ministra in realtà va tutto bene. Con astuti calcoli trigonometrici ci informa del fatto che la legge sta funzionando. Interi ospedali che fanno obiezione di struttura, turismo abortivo da una regione all’altra, fatale aumento degli aborti clandestini, il Consiglio d’Europa che ci richiama duramente, le romane che vanno a presidiare il San Camillo per evitare che si insedi un primario obiettore. Ma secondo i suoi conti il servizio è garantito.

E’ anche questo il prezzo delle larghe intese. O forse no, basterebbe la determinazione del premier Renzi a imporre le sue personalissime convinzioni in materia di diritti, manco Mariano Rajoy, e praticamente nessuno nel partito che osi contrastarlo, visto che con le liste semibloccate dell’Italicum sarà lui a decidere chi si candiderà. Il tutto mentre la sua Consigliera di parità si premura di prendere una netta posizione a favore dei quartieri a luci rosse: proprio il mondo alla rovescia.

No, così non va. I diritti sono la carne di noi tutti. E prima o poi il Pd potrebbe trovarsi a pagare un prezzo salato per, diciamo così, tanta reticenza

p.s: Mai dimenticare che le posizioni di Barack Obama in materia di aborto, più ancora che in tema di lavoro, sono state decisive per quel voto femminile che gli ha garantito il secondo mandato.

 

 

italia, Politica, Senza categoria Marzo 16, 2015

Venezia, effetto Casson: vince il candidato non renziano. E ora vediamo Milano

Felice Casson, candidato sindaco per il centrosinistra a Venezia

Molto molto bella la stravittoria di Felice Casson (55.6 per cento dei consensi) alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Venezia, staccando nettamente gli altri due candidati. Persona schiva, ai limiti della timidezza, ma di straordinaria fermezza morale, Casson NON era sostenuto dalla gran parte del Partito Democratico veneziano. Il che non ha impedito questo grande risultato, in una città scioccata e umiliata dal tradimento dell’ex-sindaco Orsoni.

Perché poi c’è il voto, è la morale della favola: e quando dalla rappresentazione mediatica, dai talk show, dai trionfalismi bonapartistici si passa al libero voto, le sorprese possono essere davvero grandi. E quando, come nel caso dell’elezione dei sindaci, si può esprimere una chiara preferenza per un candidato e le stanze dei partiti devono ingoiare, capitano cose come questa: ecco perché le preferenze piacciono poco a chi governa.

Intanto tra poco sapremo se Giuliano Pisapia lascerà o si candiderà per il secondo mandato come sindaco di Milano. Molti chiaroscuri nella sua gestione, che sintetizzerei così: una retorica della partecipazione, con i consigli comunali su megascreen come le partite, che ha ceduto rapidamente il passo a una propensione dirigistica; bene il piano del traffico, benissimo la tenuta sui diritti civili, Pisapia è sempre stato stra-garantista; male le periferie, sostanzialmente abbandonate, in una visione un po’ provinciale, borghese e “centrostoricistica” della città. Difetto di visione: sguardo puntato solo su Expo, evento che non sta scaldando i milanesi, e già incagliato nel subito-dopo Expo. Ancora non è chiaro che cosa sarà di quel sito.

Se Giuliano Pisapia non dovesse ricandidarsi per le amministrative del 2016, i rischi per il centrosinistra sarebbero piuttosto elevati: il centrodestra giocherà la sua partita alla grande perché sa molto bene che da Milano -da sempre oggetto misterioso per la politica romana: ignorare o maneggiare con cautela- parte quasi tutto: senza la battaglia del 2011 per il cambio di giunta oggi probabilmente non ci sarebbe un governo Pd. Proprio per questa ragione Matteo Renzi sarebbe fortemente tentato dalla proposta di un candidato-unico destrorso-pigliatutto, scelta che però avrebbe per lui non poche controindicazioni, aprendo spazi a una sinistra che sappia intercettare le sofferenze di una città che non ama esibire i patimenti ma cionondimeno li prova. Con possibili effetti a sorpresa: vedi Casson, quando il Pd vince grazie ai non-renziani.

Partita interessante, insomma, e serio banco di prova per il renzismo, che su Venezia dovrebbe riflettere attentamente: sul tema Renzi, destra e sinistra e Terza società in sofferenza, consiglio caldamente la lucida analisi di Luca Ricolfi (significativamente, non la pubblica Il Fatto Quotidiano, ma il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore). Buona lettura.

 

 

diritti, Politica, salute Marzo 10, 2015

Aborto-Europa: giusto un passetto avanti

Silvia Costa, eurodeputata Pd:
ha sostenuto l’emendamento sull’aborto proposto dal Ppe

Nel 2o13 era andata proprio male, con la bocciatura netta della risoluzione Estrela che ribadiva l’autodeterminazione delle donne in materia di sessualità e riproduzione. Stavolta, grazie anche all’impegno di europarlamentari come Elly Schlein ed Elena Gentile, la risoluzione Tarabella, compresa la parte in cui si sostiene che le donne devono «avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto» è passata a larga maggioranza (441 sì, 205 no e 52 astenuti), nonostante la mobilitazione dei cosiddetti “pro-life”.

Ma il PPE ha presentato un emendamento approvato dall’Aula che specifica che la legislazione sulla riproduzione deve comunque rimanere di competenza nazionale. Il che significa che le irlandesi, le polacche e le maltesi, cittadine di Paesi in cui dove l’aborto resta illegale, dovranno continuare a vedersela da sole. L’emendamento del PPE è stato sostenuto anche dalla parlamentare Pd Silvia Costa, che ha precisato di aver votato a favore della mozione solo perché è stato garantito il principio di sussidiarietà. Ecco il suo tweet: “Con emendamento PPE che ribadisce che sanità e diritti sessuali e riproduttivi sono competenza nazionale ho votato a favore della #Tarabella” (Luigi Morgano, altro eurodeputato Pd, ha reso noto di essersi astenuto).

Quindi un passo avanti, ma a metà.

Sarebbe a questo punto interessante che Silvia Costa, proprio in forza del principio di sussidiarietà che lei ha caldeggiato, a differenza della quasi totalità del partito a cui appartiene, ci dicesse che cosa dovremmo fare con la nostra legge 194, svuotata da un’obiezione di coscienza che in alcune regioni italiane, come il Lazio, supera il 90 per cento. Se ogni Paese europeo, come lei ritiene, deve vedersela da sé, ci dica come dobbiamo vedercela nel nostro: giusto qualche giorno fa una ragazzina genovese ha rischiato la pelle per aborto clandestino, scene da pre-’78 che dovrebbero preoccupare tutte e tutti, Silvia Costa compresa.

Restiamo quindi in attesa di una sua efficace proposta in materia, eventualmente anche di una proposta di Morgano, magari ne hanno di migliori delle nostre (il 50 per cento dei posti riservati ai non obiettori: tutta la proposta qui) : permettendoci di ricordare che la legge 194 è stata voluta dalla maggioranza delle cittadine e dei cittadini di questo Paese, cattoliche e cattolici compresi, consenso ribadito in un successivo referendum. E che fare tornare a crepare le donne non è una buona strategia anti-aborto. Silvia Costa che è una donna dovrebbe saperlo.

#save194

aggiornamento 11 marzo: a proposito di “competenza nazionale”. L’Europa ha autorizzato la commercializzazione della “pillola dei 5 giorni dopo”, contraccezione d’emergenza dopo rapporti a rischio (il farmaco ritarda l’ovulazione) senza necessità di ricetta medica. Molti Stati europei, fra cui la Germania, hanno già autorizzato la libera vendita. Non l’Italia, come potete leggere qui.

 

 

 

Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Marzo 4, 2015

Diciassettenne rischia la vita per aborto fai-da-te. Martedì il voto in Europa

A Genova una ragazza di 17 anni ha rischiato di morire per emorragia interna dopo aver assunto un farmaco abortivo, a quanto pare acquistato online con l’aiuto del fidanzato di 20 anni. In quanto maggiorenne, ora il ragazzo è indagato dalla Procura per procurato aborto, mentre la ragazza è ancora ricoverata in ospedale- Con ogni probabilità si trattava di un noto farmaco antiulcera: molto siti indicano come acquistarlo e come assumerlo per l’aborto fai-da-te.

Con il sostanziale blocco della legge 194 siamo tornati in pieno all’aborto clandestino. Le giovani donne non si stanno affatto mobilitando in difesa una legge che garantirebbe loro di non rischiare la salute, e che le loro madri hanno conquistato a prezzo di molte lotte. Le nuove generazioni sono tornate ad “arrangiarsi” tra contraccezione del giorno dopo e farmaci abortivi, e capita con una certa frequenza che le cose finiscano male, con ricoveri d’urgenza per finti aborti spontanei.

Ignorando la questione nonostante un richiamo del Consiglio d’Europa, il governo sceglie la strada della resistenza passiva, sostenendo che la 194 è sufficientemente applicata e che il problema non esiste, e ritenendo la ri-clandestinizzazione una buona strategia contro l’aborto.

Costringere le donne a rivolgersi alle mammane online non è politica contro l’aborto, è politica contro le donne.

Con la speranza che qualche parlamentare italiano rivolga un’interrogazione sul caso genovese alla ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, si segnala che il prossimo martedì 10 marzo il Parlamento Europeo si esprimerà sulla risoluzione Tarabella, in cui tra l’altro si afferma “che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva».

Il dibattito è già acceso. La speranza è che la risoluzione venga sostenuta dalla maggioranza degli europarlamentari, con particolare riferimento a quegli esponenti Pd (Toia, Sassoli, Costa e altri) che nel 2013 con la loro astensione impedirono l’approvazione di una risoluzione dai contenuti analoghi presentata dalla portoghese Estrela. Stavolta gli auspici sembrano migliori: un gruppo di deputati di partiti diversi ha lanciato l’iniziativa All of us, per difendere il diritto della donna alla scelta in tema di salute sessuale e riproduttiva. Tra loro le piddine Elena Gentile ed Elly Schlein.

Occhi puntati su Strasburgo.

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica Febbraio 3, 2015

Aborto e contraccezione: altro 8 marzo di lotta. In Italia e in Europa

La Commissione Europea ha recentemente autorizzato la vendita in farmacia senza ricetta dellapillola dei 5 giorni dopo” (ulipristal acetato 30 mg). Il contraccettivo d’emergenza funziona soprattutto nelle prime 24 ore dopo il rapporto a rischio, bloccando o ritardando l’ovulazione: se non serve ricetta, l’assunzione è velocizzata e l’efficacia maggiormente garantita. I vari Paesi europei dovranno decidere se recepire o meno il pronunciamento Ue. In Italia l’accesso al farmaco è attualmente una corsa a ostacoli: non è necessaria solo la ricetta, ma anche un test di gravidanza che escluda il concepimento. Non è improbabile che il Consiglio superiore di Sanità decida per eliminare l’obbligo di test di gravidanza, mantenendo quello di ricetta: in sede Ue, infatti, i rappresentanti italiani si sono espressi contro il nuovo regime di dispensazione.

L’ulipristal acetato non può essere considerato un abortivo: è a tutti gli effetti un contraccettivo –come dicevamo, agisce bloccando l’ovulazione-, che contiene il numero dei concepimenti indesiderati e quindi delle interruzioni di gravidanza, in una prospettiva di riduzione del danno (meglio un non-concepimento che un aborto). 

Qualche giorno dopo il pronunciamento Ue, la Commissione sui diritti delle donne del Parlamento europeo ha approvato una Relazione sulla parità tra donne ed uomini, che comprende un documento dell’eurodeputato Marc Tarabella secondo il quale: “Il Parlamento europeo (…) insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva”.

A marzo il Parlamento europeo sarà chiamato a votare sulla relazione. Potrebbe capitare nuovamente quanto accaduto nel dicembre 2013, quando la risoluzione firmata dall’eurodeputata socialista Edite Estrela (che prevedeva, tra l’altro, che la Ue invitasse tutti gli Stati membri a garantire l’aborto e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne) non passò con il contributo attivo (astensione) dei deputati del PD Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Patrizia Toia, e David Sassoli. La Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche (FAFCE) è già mobilitata sollecitare i membri del Parlamento europeo a riaffermare nel voto di marzo la posizione già con la bocciatura della risoluzione Estrela.

Il voto degli eurodeputati Pd potrebbe essere nuovamente decisivo. Nel nuovo drappello Pd a Bruxelles uscito dalle ultime elezioni europee, un buon gruppo di eurodeputati che dovrebbe certamente sostenere il documento Tarabella. Ma serve l’impegno esplicito di tutto il partito, fatta salva la libertà di coscienza, perché possano essere tutelati i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, nel nostro Paese già fortemente limitati dal sostanziale svuotamento della legge 194 a causa della massiccia obiezione di coscienza.

Qui una petizione al presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi.   

 

 

 

 

 

 

 

 

ambiente, lavoro, Politica Gennaio 23, 2015

#Liguriachevorrei: una battaglia per tutto il Paese

Stretti tra monti aspri e un mare aperto e minaccioso, i liguri hanno scorza e tempra. Gente non facile da conquistare. Sempre pragmaticamente pronti a fare affari, anche trattando con i politici: ma con Genova che annega ogni autunno, i terrazzamenti che franano in mare, quel paio di piane minacciate da speculazioni colossali, ormai si è capito che le palanche vanno in tasca solo a pochi a danno di tutti. Non ci credono più. Gattopardescamente, il Partito trasversale del Cemento cambia le facce ma non gli intenti: sfruttare, speculare, continuare a distruggere quel territorio fragile e spettacolare.

Detto da una “foresta” innamorata ligure d’adozione: quello che sta capitando in Liguria è paradigmatico per tanti motivi. Quella terra si presta bene a rappresentare l’intero territorio italiano, con la sua bellezza devastata e costantemente sotto scacco, e per le grandi potenzialità, tutte da esplorare, di una decisa svolta ambientale, con importanti ricadute economiche e occupazionali; l’altra ragione è che con il suo Partito traversale del Cemento, la Liguria è stata pioniera del partito-nazione orientato al business, ma oggi può diventare il laboratorio di una decisa inversione di rotta, in cui le soluzioni politiche nascono dai cittadini che si auto-organizzano localmente per difendere i beni comuni.

Al netto delle irregolarità verificate nelle primarie per l’individuazione del candidato presidente del centrosinistra, la rivolta di sinistra in corso contro la candidatura di Raffaella Paita, vincitrice contro Sergio Cofferati, può diventare un catalizzatore del cambiamento politico. Sostenuta anche da parte del centrodestra, che al momento non ha ancora individuato il suo candidato presidente, Paita si presenta quasi come candidata unica “nazarena” con ottime chance di vittoria. Risultato contendibile solo a un patto: che un’eventuale lista alternativa sappia opporre un programma fortemente centrato su ambiente-lavoro-diritti, e declinato minuziosamente in chiave locale: i problemi delle comunità della valle del Magra non sono gli stessi di quelle della Piana di Albenga, di Genova o del Savonese.

L’altra cosa importante è che, langerianamente, si insista più sui temi, sui problemi e sulle soluzioni che sulla coloritura di sinistra. E che la nuova iniziativa politica non diventi occasione di riciclo di personalità che cercano un modo per tornare in pista, il che darebbe un’idea di “ritorno al passato” elettoralmente poco premiante.

I nomi, dicono i promotori di #Liguriachevorrei, verranno dopo. Ma è importante che il candidato presidente –oltre a essere ligure: i “foresti” avrebbero poche chance- possa opporre a Raffaella Paita, donna tutta di apparato, una convincente storia civica, e una capacità di visione strategica per la Liguria. Un nome che circola, quello di Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano, figlio di un magistrato che fu anche sindaco di Genova e autore con Marco Preve del bel saggio “Il partito del cemento” (Chiarelettere), sembra rispondere a queste caratteristiche. Oltre a piacere molto al Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo: e in Liguria non è cosa da poco.

#SaveLigury

Aggiornamento 5 febbraio: un altro bellissimo nome che circola è quello di Anna Canepa.

Ligure, magistrato, attualmente sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia a Roma. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’università di Genova, dal 1989 svolge le funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica, dapprima in Sicilia, quindi a Genova, occupandosi di reati di criminalità organizzata presso la Direzione Distrettuale antimafia e successivamente poi al Dipartimento Criminalità Organizzata e Terrorismo. Nel 2008 è ritornata in Sicilia, applicata volontariamente alla Procura della Repubblica di Gela. Già vicepresidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, attualmente Segretario Generale di Magistratura Democratica.

aggiornamento 14 maggio: io ve l’avevo detto per tempo