Proprio oggi l’Istat diffonde nuovi disastrosi dati sulla disoccupazione, e in particolare sul calo costante dell’occupazione femminile. Nelle settimane scorse abbiamo appreso che uno dei pochi dati positivi che riguarda il lavoro delle donne nel nostro Paese, un gap salariale inferiore alla media europea (7.3 contro 16 per cento), si sta progressivamente ampliando, mentre negli altri Paesi la forbice tende a ridursi.

La trasparenza e la pubblicità delle retribuzioni nelle aziende (fatta salva la privacy: cioè omettendo l’identità dei singoli lavoratori e nominando solo  il genere di appartenenza) è il primo passo necessario per contrastare la disparità salariale: è questo il senso della proposta di legge depositata oggi da Pippo Civati del Pd, a inaugurare un pacchetto di leggi “dedicate” alla cittadinanza femminile (e dati i vantaggi che ne deriverebbero, a tutto il Paese).

Ecco il testo della proposta.

“Onorevoli colleghi! Il divario retributivo di genere è un fenomeno complesso che
riguarda sia la cosiddetta “discriminazione diretta”, cioè a parità di lavoro, sia le
differenziazioni di mansioni e di settori. Si tratta di un divario troppo ampio, che, a
livello di Unione Europea, si attesta in media intorno al 16%.
Colmare questo divario è necessario anzitutto per motivi di giustizia e di uguaglianza.
Ricordiamo che l’articolo 37 della Costituzione afferma che «la donna lavoratrice ha gli
stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore». I
destinatari di questo imperativo sono tutti i soggetti, pubblici e privati, da cui dipenda il
rispetto dello stesso, compresi quindi i datori di lavoro, ai quali la presente proposta in
particolare si rivolge.
Peraltro, deve considerarsi come dal superamento del divario si trarrebbero vantaggi
anche per l’economia, un riconoscimento adeguato del lavoro delle donne essendo
generalmente riconosciuto come un importante fattore di crescita.
Al fine di assicurare la piena realizzazione della parità salariale molti sono gli interventi
da porre in essere, anche attraverso la revisione di alcune norme esistenti, intervenendo
su sanzioni e incentivazioni, ma il punto da cui partire in modo semplice e immediato
può essere quello della trasparenza.
Si tratta di un elemento su cui puntano oggi sia l’Unione europea sia Paesi
economicamente forti e sviluppati e che ci sembra il caso di riprendere e – per certi
versi – anticipare.
Infatti, il 7 marzo 2014 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione «sul
potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la
trasparenza».
Per questo la Germania, che certamente presenta un divario retributivo molto più ampio
del nostro, si sta dotando di una legge per la parità salariale di grande significato, che
prevede la pubblicizzazione degli stipendi di un’azienda, senza indicare i nominativi dei
lavoratori, ma associando alle cifre il riferimento al gruppo di appartenenza e quindi al
genere.
Una soluzione che si combina perfettamente con la decisione del governo tedesco e
della sua maggioranza di introdurre un salario minimo stabilito per legge, come anche in
Italia sarebbe auspicabile che si facesse.
 
Una soluzione avanzata dal governo di Grosse Koalition guidato da Angela Merkel, e in
particolare dalla ministra Manuela Schwesig, ministra federale alla famiglia.
I dati in Italia ci dicono che, per una volta, il nostro Paese è in testa alle classifiche
europee, perché il gap è solo del 7,3%. Il dato che allarma è però che la differenza
aumenta, mentre negli altri Paesi diminuisce.
Con un testo di legge chiaro e semplice, che rinvii all’intervento del Governo, entro
poche settimane, si può intervenire immediatamente, perché il nostro Paese sia alla pari
con i migliori standard di civiltà e riconosca quell’equilibrio tra uomini e donne che è
un fattore di qualità imprescindibile della nostra democrazia e della nostra Costituzione,
perché ogni ostacolo sia rimosso e superato nella nostra vita sociale.

Articolo 1
1. Al fine di colmare il divario retributivo tra i sessi, le imprese e le organizzazioni sono
tenute a garantire la trasparenza e la pubblicità della composizione e della struttura
salariale della remunerazione dei propri dipendenti, avendo cura di non indicare alcun
elemento identificativo personale, salva la appartenenza di genere, secondo quanto
previsto al successivo articolo 2.
Articolo 2
1. Il Governo, entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adotta uno o più
decreti legislativi con cui definisce:
A) le modalità per assicurare la trasparenza e la pubblicità della composizione e della
struttura salariale della remunerazione dei dipendenti;
B) le sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza e pubblicità di cui
all’articolo 1 e delle modalità per assicurarne il rispetto.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera A), il Governo si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi:
a) assicurare il rispetto della normativa sulla privacy, escludendo in ogni caso la
presenza di qualunque dato anagrafico diverso dalla appartenenza di genere;
b) prevedere la chiara identificazione della appartenenza di genere;
c) prevedere la chiara identificazione della composizione e della struttura salariale;
d) assicurare che ciascun lavoratore conosca, senza dovere presentare richiesta, la
retribuzione e ogni altra forma di remunerazione, compresi i bonus, di tutti i lavoratori
dipendenti della medesima impresa o organizzazione;
e) assicurare che ciascun lavoratore possa consultare, senza dovere presentare richiesta,
per un periodo di almeno sessanta mesi, la retribuzione e ogni altra forma di
remunerazione, compresi i bonus, di tutti i lavoratori dipendenti della medesima
impresa o organizzazione;
f) assicurare che le prerogative di cui alle lettere d) ed e) siano assicurate anche alle
associazioni sindacali;
g) assicurare che le imprese con almeno cinquanta dipendenti informino regolarmente i
dipendenti, i rappresentanti dei lavoratori e le parti sociali sulla retribuzione media per
categoria di dipendente o posizione, ripartita per genere;
h) assicurare che le imprese e le organizzazioni con almeno duecentocinquanta
dipendenti svolgano audit salariali da mettere a disposizione dei rappresentanti dei
lavoratori e delle parti sociali.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera B), il Governo si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere sanzioni amministrative adeguate e ragionevoli per il caso di mancato
adempimento all’obbligo di rendere pubbliche le retribuzioni e ogni altra forma di
remunerazione;
b) prevedere sanzioni amministrative adeguate e ragionevoli per i casi di mancato
rispetto delle modalità previste per assicurare le forme di trasparenza e di pubblicità di
cui alla presente legge e ai decreti delegati emanati in base alla stessa;
c) prevedere un progressivo aumento della sanzione per il caso in cui le violazioni di cui
alle lettere a) e b) del presente comma risultino gravi e reiterate.
Art. 3
La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale”.

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