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Donne e Uomini, Politica Gennaio 14, 2013

#Tengofamiglia: Mogliopoli, Figliopoli e… pure Snoq

Marietta Tidei, figlia del sindaco di Civitavecchia, candidata Pd alla Camera.
Una scelta dinastica

Giornataccia politica, ieri, amiche e amici.

L’autocandidato governatore della Lombardia Gabriele Albertini che mentre raccoglie firme ai suoi gazebo minaccia l’ex alleato Formigoni di “dire cose che lo metterebbero a terra”, un ricattino stile Chicago anni Venti. Poi ridimensiona e precisa che non sono cose penalmente rilevanti, il che fa pensare che lo siano almeno politicamente. Nel qual caso invece di ricattare si deve dire, perché quello che è politico è di tutti.

Mentre attendiamo notizie da Albertini apprendiamo che le liste elettorali, alla faccia di ogni proposito di moralizzazione, potrebbero ospitare un gran numero di inquisiti, dal Pdl con Cosentino al Pd con Crisafulli. E ognuno guardi in casa propria. I vari garanti sono al lavoro, le liste saranno chiuse fra una settimana, c’è tutto il tempo per aggiustamenti e sostituzioni. Che tuttavia dovrebbero riguardare non solo gli inquisiti, ma anche le candidature eticamente riprovevoli, catalogabili nella cartella Parentopoli, o Mogliopoli, o Figliopoli, in qualche caso Maritopoli, Cognatopoli e Generopoli.

Ieri grande agitazione su Twitter (#tengofamiglia) per il caso di Pierferdinando Casini che oltre a se stesso, superveterano della politica capolista in cinque regioni, intende candidare in posizioni blindate la moglie del fratello Silvia Noè (Cognatopoli) e l’amoroso della figlia Fabrizio Anzolini (Generopoli).

Problemi anche in casa Pd, che per fare solo qualche esempio candida a Milano nel listino di Bersani, e nessuno riesce a a capire per quali meriti civici e come mai esportata su al Nord, la romana Fabrizia Giuliani, autoproclamatasi candidata di Se Non Ora Quando -Snoq smentisce e se la leva di dosso-, semmai moglie del dalemiano Claudio Mancini, già assessore al Bilancio nella giunta Marrazzo, coinvolto con i vari Fiorito nelle “spese pazze” in Regione Lazio e non più ricandidabile: lui no, ma lei sì. Qui siamo in piena Mogliopoli. Clamorosamente Figliopoli, invece, la candidatura di Marietta Tidei, figlia del potente sindaco di Civitavecchia, che alle locali primarie -indovinate come mai- è passata con percentuali bulgare: 94 per cento.

Secondo il sociologo Edward C. Banfield il familismo amorale è la chiave di ogni arretratezza italiana. Il titolo del suo celebre saggio del 1958 sull’amoral familism non lascia dubbi: The Moral Basis of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata). E l’uovo del familismo nasce senz’altro prima di ogni gallina mafiosa e ndranghetista: la faccenda va stroncata lì.

Che un partito che si dichiara progressista come il Pd non metta un fortissimo impegno in questa direzione è cosa grave: il Comitato dei Garanti -Francesca Brezzi, Luigi Berlinguer, Francesco Forgione, Mario Chiti– che sta vagliando le candidature dovrebbe occuparsene con il necessario rigore, portando alla luce i mugugni della base e dando una prova di trasparenza che aumenterebbe i consensi. Cose di questo genere capitano solo nei paesi arretrati, e li mantengono tali. Del resto l’ottimo Codice Etico del Pd, che fa riferimento spesso alla questione “parenti e affini”, dice espressamente che “ogni componente di governo, a tutti i livelli, del Partito Democratico si impegna a: non conferire né favorire il conferimento di incarichi a propri familiari” e che gli eletti o gli aventi incarichi nel partito “rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite“.

Quanto alle donne: e’ pur vero, qualcuno dice, che quando si applicano quote “rosa” -mi scuso per dirlo in modo così orribile- come nel caso di questa tornata elettorale, è facile che entri una percentuale di mogli e figlie “segnaposto”. Capita anche nei cda costretti ad aumentare la partecipazione femminile. Sono gli uomini a decidere, e si sentono più tranquilli a candidare “donne di”, scelte per ragioni dinastiche: gli pare così di non sprecare una posizione e di poterla più efficacemente controllare. Perché le donne in gamba, si sa, hanno il difetto di ragionare con la propria testa. Eppure non è fatale: a Milano il sindaco Pisapia, tra i primissimi ad applicare, probabilmente non senza fatica, il 50/50 (solo Vendola l’aveva fatto in Regione Puglia)  ha scelto le donne della sua squadra sulla base della loro professionalità e del loro autonomo valore, non in quanto parenti di. I fidanzati, i mariti, i padri o i cognati delle nostre assessore ci sono per fortuna del tutto ignoti, ed è uno stile che ci piace molto. Fabrizia Giuliani a Milano è un’outsider anche rispetto a questo stile.

Come vedete, quindi, si può fare. Anzi, si deve. A ogni costo.

P.S.: per ogni parente in più, un meritevole in meno, e a danno di tutti. Il succo poi è questo.

 

ore 17.15  Alle porcherie aggiungiamo questa: anche Se Non Ora Quando tiene famiglia

Qui l’articolo per esteso di Gli Altri online:

Da quando le Comencini sisters & co hanno messo in piedi Se Non Ora Quando il maschio politico di sinistra, alquanto maldestro sulle cose di donne, sa finalmente a chi rivolgersi quando ha necessità di una consulenza femministica.

C’è bisogno, per esempio, di candidate? Chiedi al Comitato Promotore Snoq, detto affettuosamente “La Cupola” per potenza lobbistica e altezza di relazioni, e che ha molte amichette da collocare. Preferibilmente nel Pd. Atteggiamento deprecabile di per sé, ma reso ancora più odioso dal fatto che che le signore delle quote usino a sostegno delle loro operazioni la forza ingenua e sincera delle tante militanti dei territori, ignare di fare da portatrici d’acqua per gli interessi privati di tante signore della borghesia romana.
Interpellato qualche mese fa da Bersani per il cda Rai, Snoq ha contribuito attivamente a far fuori le soggette meglio curriculate (da Lorella Zanardo, a Daniela Brancati, a Giovanna Milella: profili diversi ed egualmente eccellenti finiti dritti nel tritacarte) per promuovere l’esangue e furbetta Benedetta Tobagi, sotto-zero tituli ma caldeggiata dal partito di Repubblica.

Lottando poi usque ad sanguinis effusionem per riuscire a infilare in Rai anche l’indispensabile Flavia Piccoli Nardelli, figlia del Dc Flaminio, autore della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, nonché moglie di Mariano Nardelli, anche lui democristiano doc, già vicepresidente Terfin, controllata Eni. Creatura, Flavie’, del sottobosco democristiano, e comprensibilmente un po’ stufa, povera donna, di dirigere l’Istituto Luigi Sturzo, più vari altri incarichi che hanno l’aria di essere una grandissima palla: membro del Comitato di redazione della rivista Civitas, consigliere di amministrazione del consorzio Baicr, Biblioteche e archivi istituti culturali di Roma, membro del comitato scientifico del partito “Europopolari per San Marino” (???) insieme all’ultra cattolico integralista Meluzzi. Insomma, per favore, qualcosa di più smart!

Alla fine niente Cda Rai. Meglio così per Nardelli, che oggi è stata chiamata nientemeno che a capeggiare la lista Pd per Montecitorio in Sicilia orientale: perché un bel posticino a Flavia lo si doveva pur trovare, dopo decenni di archivi Andreotti. Una femministona che non vi dico, che farà rimpiangere Binetti.

Almeno in via ufficiale, nessuna candidata alle prossime elezioni è stata autorizzata per autopromuoversi a utilizzare il potente brand “Se Non Ora Quando”. Con l’eccezione, a quanto pare, della cupolatissima Fabrizia Giuliani, professoressina romana paracadutata in posizione blindata nelle liste Pd per la Camera a Milano. Del tutto ignota al ricco e variegato mondo del femminismo milanese, che dai giornali apprenderà con notevole disappunto la sua candidatura “in quanto Snoq”: marchio usurpato per uso personale. Ma tra le Snoqqine di Milano (“E chi è?”, “Da dove esce?”) non una che la conosca.

La stampa ha omesso di dare notizie più gustose: Giuliani è la compagna del dalemiano Claudio Mancini, consigliere regionale che insieme a Fiorito e a Storace ha deliberato le famose “spese pazze” in Regione Lazio, (3 milioni e mezzo di euro, soldi nostri da spartirsi fra i gruppi, di cui 500 mila come mancia al presidente dell’assemblea). lmpossibilitato a ricandidarsi, Mancini è stato risarcito con la candidatura della moglie, affettuosamente complici le care amiche della Cupola: uscito dalla porta lo stipendio è rientrato dalla finestra. La sua signora intanto si è chiusa in uno sdegnato silenzio e non rilascia interviste aspettando che tutto passi e che arrivi il seggio garantito.

Dovendo evitare l’imbarazzo di candidarla a Roma, dove la parentela è nota – e dopo, pare, un tentativo andato storto di paracadutarla a Napoli -, a sorpresa Giuliani precipita blindata a Milano, outsider senza-un-perché (quali sono i suoi titoli? dov’è il valore aggiunto “civico”) che non porterà un solo voto al Pd, semmai ne farà perdere alquanti: le milanesi sono veramente imbufalite. E in una partita, poi, quella lombarda, che invece di voti ha molto bisogno.

Storia molto simile per Valeria Fedeli, dirigente Cgil legatissima a Pigi Bersani e a sua volta cofondatrice di Snoq: il profilo, rispetto a quello di Giuliani, è un po’ più robusto. Fedeli non si sarebbe dovuta trovare dove oggi è posizionata, capolista Pd al Senato in Toscana, anche perché il marito senatore Achille Passoni contava di farsi almeno una seconda legislatura. Marito e moglie a Palazzo Madama sarebbe stato troppo perfino nel Paese del familismo amorale. Per lei semmai era pronta la poltrona di presidente di Federconsumatori.

Ma alle primarie, ahinoi, Passoni viene amaramente trombato. E Fedeli è recuperata in corsa, proprio al rush finale: anche qui, reddito familiare in sicurezza. Fuori lui, dentro lei (anche se, pare, in un prossimo governo Pd potrebbe rientrare pure lui, in qualità di sottosegretario).
Perché poi per buona parte di queste candidate Snoq c’è un maschio di riferimento da garantire, in perfetto stile da femminismo saudita.
Figlie di, mogli di, sorelle di: aguzzate lo sguardo e cherchez l’homme.
Intanto nella Cupola ci si scanna alla grande: aguzzate le orecchie, fra un po’ sentirete una deflagrazione.
Se Non Ora Quando, 13 febbraio 2011-24 febbraio 2013.
Che triste e prematura fine… R.i.p.

 

* post rebloggato da Blogger UniteD

Giovanna Cosenza

Lorella Zanardo

Comunicare il Sociale

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Politica, Senza categoria Gennaio 13, 2013

Houston, qui Ohio. Abbiamo un problema

Da quando vivo a Milano, cioè dalla nascita, ho sempre visto la sinistra, e in particolare tutta la filiera dal Pci al Pd, rimbalzarsi l’oggetto non identificato “Lombardia” come una patata bollente. Capita un po’ come -posso dire?- nei giornali: quelli meno graditi ai direttori, o ritenuti meno bravi, o meno protetti, mandati un po’ miopemente al confino nell’online. Senza pensare che l’online sta diventando, com’era ampiamente prevedibile, il reparto strategico.

Ecco, la Lombardia per la sinistra è un po’ così. A parole importante, importantissima, strategica. E del resto tutte le cose politicamente rilevanti sono sempre cominciate qui, compresa l’ultimissima svolta arancione. Ma a uno sguardo romano, la Lombardia e Milano restano totalmente incomprensibili. A parole, l’Ohio. Nei fatti, la provincia dell’impero. Eventualmente luogo di confino, dove piazzare qualche candidatura imbarazzante. Gli stessi funzionari lombardi, appena possono, tentano la fuga a Roma: in tanti stanno andando in Parlamento, lasciando sguarnita la prima linea e dando l’idea di non crederci. Ci aveva pensato anche il segretario regionale Maurizio Martina, che poi però ha cambiato idea (o gli hanno suggerito di cambiarla). Ma forse a spiegare tante cose basta il fatto che ci abbia pensato, a  operazione Ambrosoli aperta.

Leggo che perfino il Wall Street Journal e il Financial Times si occupano di noi: qui si gioca una partita decisiva per gli eventuali Stati Uniti d’Europa, o anche per quelli disuniti. Ma il fuggi-fuggi generale fa ritenere che a sinistra quei giornali non li leggano, e dà il senso di una smobilitazione preventiva.

Il centrodestra, ben più radicato territorialmente -che cosa sia la Lombardia, Maroni e i suoi colleghi lo sanno invece molto bene -è dato più avanti: sia alle regionali, dove se non ci fosse l’impuntamento di Albertini, la partita sarebbe bell’e chiusa, sia al  Senato, date un’occhiata a questo sondaggio . E le due partite si giocano insieme. L’incredibile rimonta di Berlusconi è guardata con sconcerto, disprezzata come “fatto mediatico”, in sostanza solo “virtuale”. “Gli italiani non saranno così imbecilli”, si dice. “Non avranno la memoria tanto corta”. E invece a quanto pare ce l’hanno. O meglio -ed è un fatto, mica un fattoide, con cui si devono fare attentamente i conti- forse non bastano i pur freschi ricordi di mazzette, corruzione, ndrangheta a spostare i lombardi a sinistra.

Forse ci vorrebbero buone idee, che senz’altro ci sono, ma stentano a circolare. Forse servirebbero più coraggio e meno ambiguità, e un’idea diversa e meno ottocentesca dei cosiddetti “moderati”. Forse ci vorrebbe un maggior numero di facce che rappresentano con immediatezza le nuove e buone idee, e si dovrebbe saper parlare alla “pancia” degli elettori, intendendola non come i più bassi istinti, ma come il robusto buon senso di un  popolo, usando parole semplici e buone come il pane. Forse si sarebbero dovuti schierare qui i propri talenti migliori, mix tra territorio reale e visionarietà, evitando di collocare certi scarti azotati di Roma: perché oggi gli elettori aguzzano lo sguardo, umiliati dal Porcellum vogliono conoscere anche il numero di scarpe di chi votano.

L’idea è quella di trovarsi su un taxi impazzito, con il tassametro che viaggia alla velocità della luce. E alla fine del viaggio potrebbe esserci il blocco nordista, dal Piemonte al Veneto. Il che significa secessione sostanziale. Siamo al fondo di un enorme imbuto, e tutto accelera all’impazzata. Può capitare di tutto, da un giorno all’altro.

Mi torna in mente un’amica, importante politica del Pci che poi diventò anche ministra, a cui un giorno -ormai milioni di anni fa- segnalai i primi sommovimenti leghisti, dicendole -conosco la mia gente- che quella era una cosa vera, da osservare con attenzione. Mi guardò con un sorriso di compatimento: “Sai che ti voglio bene. Non dirle in giro, certe stupidaggini”.

Io le mie stupidaggini, qui dall’Ohio, continuo a dirle. Fra cui questa: la sinistra ha ancora tempo. Ma ne ha poco.

 

 

Donne e Uomini, Politica Gennaio 3, 2013

Insomma, amiche: ce l’abbiamo fatta

Per celebrare con la necessaria solennità il momento, uso le parole di Alessandra Bocchetti, una delle mothers of us all, al convegno di Paestum: ” Comincio con un paradosso. Mi sembra che sia chiaro a tutte che, oggi, un governo senza donne sia impresentabile. Nessun Presidente del Consiglio si presenterebbe più con una squadra di soli uomini… Dunque, che cosa ha reso impresentabile un governo senza donne? E’ facile rispondere: è stata la forza delle donne“.

La realtà sta perfino superando l’ottimismo di Alessandra. E ha dimostrato con chiarezza un fatto: quando si permette che siano i cittadini a scegliere riducendo le mediazioni, donne e uomini indicano le donne in percentuale uguale e in qualche caso superiore alla quota di uomini. Perché ne conoscono e riconoscono capacità, competenza, onestà e senso di responsabilità.

Dopo l’exploit delle Parlamentarie grilline, con il 55 per cento di candidate, l’indicazione esce fortissima dalle primarie per i parlamentari del Partito Democratico, anche grazie all'”invito” costituito dalla doppia preferenza di genere, che tuttavia ha semplicemente dato corso a un progetto già maturo. Come nota Roberta Agostini, responsabile delle donne del Pd, se “la doppia preferenza di genere è stato lo strumento fondamentale per rendere realizzabile la voglia di cambiamento e il desiderio di esserci e di partecipare delle donne”, non sarebbe bastata la semplice applicazione di questa azione positiva  a garantire che “quasi dappertutto, dal sud al nord d’Italia, le donne venissero premiate dal voto popolare, conquistando i primi posti nella competizione“. Ben più dello strumento, quello che ha contato è stata la volontà politica generale. 

Un sondaggio che ormai più di un anno fa avevo fatto realizzare per “Io donna” evidenziava già un Paese prontissimo al “doppio sguardo”.

Gli altri schieramenti non potranno sottovalutare il segnale: è in corso una vera e furibonda caccia alla candidata -con curriculum pregevole: perché il bello è che insieme alle donne arriva anche il merito– soprattutto da parte di quelle forze che hanno da far dimenticare non solo la propria misoginia politica, ma un uso congiuntamente sprezzante delle donne e delle istituzioni, calpestate con la medesima determinazione. Andazzo protrattosi per quasi un ventennio, causa di un arretramento morale, politico, culturale e sociale della cui misura ci si rende perfettamente conto ogni volta che si varcano i confini nazionali, e che a noi cittadine italiane ha guadagnato un vergognoso 80° posto nel Global Gender Gap Report.

L’esito di questa tumultuosa femminilizzazione della politica -tutto corre veloce, di questi tempi, come al fondo di un imbuto- potrebbe finalmente essere quella rivoluzione del doppio sguardo che aspettavamo da tanto tempo, premessa indispensabile per la ricostruzione del Paese. Come sottotitolavo il mio ultimo libro “Un gioco da ragazze“, ora vedremo “come le donne rifaranno l’Italia“: avendolo scritto nel 2011, in pieno bunga-bunga, la profezia non era affatto facile. Ma la fiducia ha avuto la meglio.

Questa rivoluzione, in verità, altro non è che il risultato del grande, decennale, tenace, microfisico e a tratti disperato lavoro di molte, moltissime donne di questo Paese, dentro e fuori dai partiti, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei giornali -per quello che ci è stato consentito-: ho ancora in mente, ormai mille anni fa, i computi disperati dei decimi di percentuale con Valeria Ajovalasit di Arcidonna, e poi la Carta delle Donne del Pci, i timidi passi avanti e quelli indietro, la pratica dell’estraneità, il senso opprimente di una realtà che sembrava non dovesse cambiare mai, fino all’esplosione del 13 febbraio e alla lotta per il 50/50 alle amministrative. Se n’è andato un bel pezzo delle nostre vite, in questa battaglia. Ma come dice Bocchetti, quello che ha reso “impresentabile” un governo senza le donne è stata “la forza delle donne”, la straordinaria capacità di resilienza di cui siamo dotate, in grado ogni volta di riguadagnare terreno dopo essere state scaraventate indietro.

E’ il momento di dirlo: è andata. Ci siamo. Di indugiare almeno un poco in questa soddisfazione. Di voltarsi indietro, come ci capita tante volte nella vita, per dirci con stupore: “Non so come sono riuscita a farlo, ma l’ho fatto”. Di rivolgere un pensiero grato a quelle che hanno aperto la strada. Di caricarci di tutta l’energia che servirà a fare il lavoro vero e grande: cambiare la politica per cambiare il Paese.

La mia fiducia oggi è centuplicata.

Donne e Uomini, Politica Dicembre 12, 2012

Io, candidata alle primarie Pd

 

Hey, calma, è solo a titolo di ipotesi.

Dunque, poniamo che io intenda candidarmi alle primarie indette dal Partito Democratico per la scelta dei parlamentari da infilare nelle liste bloccate. Bene, procediamo con ordine: le primarie si terranno il 29 e/o il 30 dicembre, dunque fra 17 giorni -accidenti, famiglia e io abbiamo appena prenotato gli aerei non per i Caraibi, ma per il Sud, mio marito almeno a Natale con la sua famiglia ci vuole stare, ma amen-.

Ancora non so:

a) se voteranno solo gli iscritti al Pd, o gli elettori del centrosinistra, come alle altre primarie: nel primo caso, non avrei alcuna forza da contrapporre ai candidati espressi e sostenuti dal partito.

b) come si fa a candidarsi: servono delle firme? e di chi? ed entro quando? Supponiamo che servano, come nell’ipotesi di regolamento Civati-Vassallo: e perché mai gli iscritti al Pd, che avranno i loro candidati da sostenere, dovrebbero firmare per me, un’outsider, ovvero semplice elettrice? e anche in questo caso, ciao Peppa.

I “particolari”, così sono stati definiti, ovvero le regole del gioco, saranno stabilite lunedì 17. Immagino che le eventuali firme dovranno essere consegnate entro la settimana successiva. Dunque io, aspirante candidata non iscritta al partito, mentre lavoro e tiro avanti la famiglia e faccio l’albero e bado a mia mamma e a mio figlio, e faccio la spesa e da mangiare e vado dal dottore e in banca e in posta e mi occupo di parenti ammalati e magari compro qualche regalo di Natale e faccio le valigie e così via -perché il fatto di essere una donna, com’è noto, in questo Paese non è esattamente d’aiuto, o meglio: è d’aiuto per gli altri, non per le donne- dovrei anche mettermi in caccia di iscritti al Pd dai quali, e chissà in base a quali motivazioni, far sostenere la mia candidatura anziché quella di un candidato della loro corrente.

Non essendo Rosy Bindi o Anna Finocchiaro o Enrico Letta o anche molto meno, che il loro pacchetto di firme l’hanno già bell’e pronto nel cassetto a cura dei bravi portaborse, se non ho fatto male i conti troppe chance non mi pare di averle. Anche se forse quel lavoro lì saprei farlo bene. Quindi queste primarie troppo aperte non mi sembrano: o almeno, forse aperte per chi vota, quanto non è ancora chiaro, decisamente chiuse per chi, fuori dal partito, possa  aver pensato di candidarsi.

Quindi: ricambio magari sì, ma solo “interno”?

E  la famosa “società  civile”? E il famoso “patto civico”, tipo quello della Lombardia?

 

 

 

Politica Dicembre 11, 2012

Pd: il rischio delle “non-primarie”

Il Porcellum: la più antidemocratica tra le leggi elettorali

Mercoledì 12 dicembre il Partito Democratico deciderà in merito alle primarie per le candidature alle prossime elezioni politiche.

In poche parole, sussistendo il Porcellum, orribile legge elettorale che in deroga alla democrazia impedisce l’esercizio del diritto cardine -scegliere liberamente i candidati con l’espressione di preferenze-, le primarie consentirebbero la selezione democratica dei nomi che andrebbero a comporre le liste bloccate. Elezioni prima delle elezioni, in poche parole, visto che la legge elettorale non si è voluta cambiare, nonostante la volontà espressa attivamente da un milione e duecentomila cittadini.

Auspicate da chi desidera un ricambio con molta aria “civica” nella truppa parlamentare, per ragioni uguali e contrarie le primarie per le candidature sono fortemente osteggiate da chi questo ricambio non lo vuole: e in particolare da una parte dei già-parlamentari e da una parte dei parlamentari in pectore, o quasi-parlamentari,  ovvero da coloro che in seguito a regolare percorso interno al partito ritengono di aver maturato i requisiti necessari.

Vox populi dice che le primarie sono bell’e andate, a causa -o con la scusa- della brusca accelerazione della tempistica elettorale: le liste dovrebbero essere depositate più o meno a metà gennaio, quindi mancherebbe il tempo materiale per organizzarle. Ma proprio allo scopo di non  rinunciare a questo passaggio, ritenuto un tratto identitario irrinunciabile del partito -e contro il Parlamento dei nominati-, i piddini Pippo Civati e Salvatore Vassallo chiedono alla ministra degli Interni Anna Maria Cancellieri di posticipare di qualche giorno la data di presentazione delle liste, e indicano il 12 o il 13 gennaio come data possibile per il “voto primario”. Si tratterebbe di primarie aperte, con le stesse regole adottate per la scelta del candidato premier, con candidati iscritti-al-partito-e-non, e con la possibilità di esprimere 2 voti, purché per un uomo e per una donna –doppia preferenza di genere-.

Vedremo come va a finire. Quel che è certo, rinunciare al passaggio primario non sarebbe a costo zero per il Pd, che a questo processo di democratizzazione deve buona parte dei suoi plus-consensi di oggi; che indicendo primarie non lascerebbe al Movimento 5 Stelle l’esclusiva della pre-selezione democratica e “staccherebbe” gli altri schieramenti politici, che di primarie per le candidature non hanno mai nemmeno parlato: una differenza non da poco, per la platea elettorale.

Il rischio di dover presentare agli elettori liste “appesantite” da un eccesso di ricandidature potrebbe minimizzare se non vanificare i consensi guadagnati nel lungo e appassionante processo delle primarie per la premiership, e alimentare un estremo ma decisivo rigurgito antipolitico.

Insomma, Partito Democratico: coraggio, ancora un piccolo sforzo. E’ il rush finale.

Non è il caso di farsi prendere dalla paura a poche lunghezze dal traguardo.

Una petizione qui

Ultim’ora: si voterà il 29 e/o 30 dicembre, le regole le sapremo lunedì 17, essendo la data assurda -gente che in quel periodo non dico che sta ai Caraibi o a Sharm o a Courmayeur, ma magari semplicemente a trovare la famiglia lontana, sarebbe necessario congegnare una soluzione. Tipo: voto online per chi è già registrato o si registrerà all’albo degli elettori del centrosinistra, max modernità, o almeno un pre-voto per chi ha già prenotato treni e aerei e anche se volesse non riuscirebbe a rientrare in sede.

Donne e Uomini, Politica Novembre 15, 2012

Cinquanta sfumature di Pd

Sarò strana io, ma non riesco a capacitarmi del fatto che un partito al 30 per cento com’è il Pd dalle mie parti, e oggi non è poco, abbia un’autostima così bassa.

Il nostro Pd si fa da tempo malmenare dal Sindaco, che non è del Pd, e ora si fa frustare da Umberto Ambrosoli, che non è del Pd neppure lui e tiene a ribadirlo in ogni occasione: “non ho tessere di partito” eccetera, come se avere una tessera di partito fosse necessariamente uno stigma (non ce l’ho nemmeno io, cosa che tuttavia non ostento come un merito).

Non c’è niente di male nel fare parte di un partito, o nel fatto di sostenerlo, o semplicemente di votarlo: sono cose che succedono in tutto l’Occidente democratico, al momento non si è congegnato niente di meglio (non mi si dica la “società civile” perché non ho proprio idea di chi o che cosa sia). Non c’è niente di cui vergognarsi neanche nel fatto di dirigerlo, un partito, se lo si fa con coscienza, passione, onestà, buona volontà, nella prospettiva del bene comune e con la necessaria intelligenza politica.

E invece il nostro Pd, dopo aver grattato per molte settimane alla porta di Ambrosoli per supplicarlo di accettare le sue profferte, si sottopone con masochistico godimento alle condizioni che lui pone per concedersi: primarie-non-primarie, e poi stargli ben bene alla larga, patto civico, che poi nessuno sa bene che cosa sia (come detto qui più volte, l’abuso dei termini “civico” e “civile” mi dà l’orticaria, come tutte le cose di cui non comprendo il significato).

Insomma, il nostro Pd è un po’ slave. Gli piace prenderle, farsi ammanettare, ed essere umiliato. Meglio: slave è il suo gruppo dirigente. Perché invece iscritti/ ed elettori/e sono in buona parte portatori di un notevole orgoglio di partito, sperano di vincere -cosa stranissima- e potrebbero incavolarsi fino al punto da rispedire a casa Ambrosoli, patto civico e compagnia cantante (di cui, tra l’altro, a poche settimane dal voto, non circola l’ombra di un programmino: ma son dettagli).

Il rischio di uno sberlone, sicché, a neanche due anni dallo schiaffo delle primarie per il sindaco di Milano, si fa di ora in ora più concreto. Senza contare Bobo Maroni che giganteggia all’orizzonte.

Colpisce in questo immane casino (sorry), la schiena dritta di Alessandra Kustermann, che non arretra di un millimetro, non vuole nemmeno sentire parlare di primarie-burla, ha annunciato la sua candidatura senza troppi se-e-ma, ha cominciato a parlare della Lombardia che ha in mente.

Ennesima dimostrazione che il coraggio è delle donne.

Donne e Uomini, Politica Ottobre 14, 2012

Carissimi machi, semmai noi donne non vi voteremo…

Dunque, dopo aver stabilito delle regole per la partecipazione alle primarie, la coalizione di centrosinistra ne stabilisce in corsa delle altre, allo scopo evidente di liberarsi del fastidio dei candidati meno forti, e di giocarsi la partita a tre (maschi: serve specificarlo?).

L’assemblea del Pd aveva votato che le firme per i candidati Pd potevano essere raccolte solo tra i delegati o gli iscritti Pd. Ora si è invece deciso che si devono raccogliere 20mila firme di semplici elettori che si dichiarino di centrosinistra, da consegnarsi entro il 25 ottobre. Morale della favola: dopo aver lottato con le unghie e con i denti per ottenere entro domani 95 firme di delegati, ora si ricomincia da zero, per raccogliere 20 mila firme di elettori. Qualcuno dei candidati, a quanto pare, ha già cominciato da tempo a lavorarci. Ma c’è di più. Di queste 20 mila firme, non più di 2000 possono provenire da una stessa regione. L’impresa, quindi, è supertitanica.

Si faceva prima a metterla così: si possono candidare solo i segretari di partito, con l’eccezione di quel gran rompic…ni di Renzi. 

C’è però un fatto: nello statuto fondativo del Partito Democratico ci si fa carico della questione del maschilismo della politica, dichiarando esplicitamente l’intento di porvi rimedio. Riporto qui tre passaggi:

“Il Pd riconosce pari dignità a tutte le condizioni personali, quali il genere, l’età, le convinzioni religiose, le disabilità, l’orientamento sessuale, l’origine etnica…

 … Ai fini dell’elezione, le candidature a Segretario nazionale vengono presentate in collegamento con liste di candidati a componente dell’Assemblea nazionale. Nella composizione di tali liste devono essere rispettate la pari rappresentanza e l’alternanza di genere…

… Per la selezione democratica dei candidati per le assemblee elettive, si attiene ai seguenti principi: a) l’uguaglianza di tutti gli iscritti e di tutti gli elettori; b) la democrazia paritaria tra donne e uomini; c) il pluralismo politico nelle modalità riconosciute”.

Questa stessa sollecitudine non vale evidentemente per le primarie. Gli ostacoli che si frappongono a una libera candidatura femminile non vengono considerati come un problema della nostra democrazia, semmai come problemi di quella pazza che osa candidarsi. E anziché intraprendere eventuali azioni positive, se ne intraprendono addirittura di negative, frapponendo ostacoli aggiuntivi.

Quindi anche stavolta potrebbe andare come al solito: potrebbe cioè accadere che i candidati alle primarie del centrosinistra siano  tutti e solo uomini. La logica sottesa, ma neanche tanto, è che per governare il Paese si deve essere dotati di apparato genitale maschile. Le donne governano interamente la vita quotidiana, ma quando si tratta della politica devono levarsi di torno.

Non so che cosa deciderà Laura Puppato: se dopo essersi ritrovata scaraventata al punto zero deciderà di affrontare nuovamente la salita, o scenderà dalla bicicletta, o pedalerà da qualche altra parte. So solo, da elettrice di quello schieramento, che non potrei più credere nel fatto che il centrosinistra adotti e rappresenti uno sguardo femminile, mostrandosi orbo fin dalle primarie. E non potendoci credere, e non avendo alcuna garanzia, mi guarderei bene dal votarlo, e inviterei il maggior numero possibile di mie simili, umiliate per l’ennesima volta dal machismo politico -ma anche il maggior numero di uomini di buona volontà, che del “doppio sguardo” sentono la necessità-  a fare altrettanto.

Se le primarie -e pure le secondarie- sono un fatto “tra uomini”, in stile saudita, che facciano pure tutto quanto tra loro.

 

 

Politica, TEMPI MODERNI Luglio 15, 2011

Dovendo scegliere, meglio i partiti

Oggi in prima pagina sul Corriere della Sera Dario Di Vico (“Tra i primi rompicapo di Pisapia c’è pure il Pd“) in qualche modo celebra l’autonomia del sindaco di Milano dal Partito Democratico, facendo riferimento alle sue scelte sul Pgt, il Piano di governo del Territorio, e in materia di Expo: “E’ chiaro che il copione lo scrive Pisapia” sostiene Di Vico “e il Pd non può farsi illusioni“. E menziona anche il dialogo aperto con l’ex-sindaca Letizia Moratti e con il governatore Formigoni.

Ora, si può pensare quello che si vuole, del Pd in particolare e dei partiti in generale. La polemica antipartitocratica ha tutte le sue ragioni. Ma stiamo già patendo molto per il fatto che da quasi vent’anni “il copione” per il Paese lo sta scrivendo un uomo solo che “ghe pensa lü”. Forse i partiti sono obsoleti e bisognerebbe inventarsi qualcos’altro, ma probabilmente il leader unico, per quanto stimabile e carismatico, è perfino più obsoleto (vedi Leadershit) e anche meno tranquillizzante.

Vi dirò che, dovendo scegliere, tra le due obsolescenze, tutto sommato preferisco la prima.