Antonio Spreafico detto Nino -o anche “Sprea”-, 66 anni, è uno di quei medici che sentono intensamente il valore civico del proprio lavoro. Nel suo caso –Sprefico è ginecologo– si è trattato di stare “dalla parte delle donne”, come si diceva un tempo: non solo curarle, guarirle, accompagnarle nella gravidanza e nel parto, ma anche essere al loro fianco nella lunga e faticosa lotta per non morire più di aborto, giunta a destinazione nel 1978 con l’approvazione della legge 194.
Brianzolo, cattolico, in pensione da qualche anno, nell’agosto scorso Spreafico è stato “richiamato in servizio” dal suo ex-ospedale, il Bassini di Cinisello Balsamo, con cui collabora da volontario, perché causa-ferie del personale (compresi i rarissimi non obiettori) il servizio di Ivg non era più erogabile.
“Fare Ivg non piace a nessuno” dice “ostacola la carriera, carriera, non è scientificamente suggestivo. Ma qualcuno dovrà pur farlo”.
Gli incarichi meno gratificanti toccherebbero ai neo-assunti…
“Ma i nuovi assunti in Lombardia sono quasi tutti obiettori. I posti sono pochi, e chi obietta ha migliori chance di essere preso. Poi magari ci sono cliniche tipo San Pio X o ospedali come il San Raffaele dove gli aborti non si fanno, ma la diagnosi prenatale, molto remunerativa, quella sì”.
Che è l’anticamera dell’aborto terapeutico, nient’altro.
“Regione Lombardia dovrebbe obbligare queste cliniche e questi ospedali a eseguire anche le interruzioni. E invece anche per gli aborti terapeutici ormai siamo al “turismo”: si va a Barcellona, come per la fecondazione assistita”.
Come mai un’obiezione così alta tra i giovani neoassunti? Si tratta di un cambiamento di sensibilità?
“Come dicevo si tratta fondamentalmente di ragioni di carriera. Tutti i primari sono obiettori, e se non obietti ti infili nel ghetto. Però sì, c’è anche un difetto di sensibilità politica. Io quando posso vado a Messa, ma non credo che il Padreterno mi condannerà: ho aiutato tante povere donne a “mandare indietro” i bambini, come diceva mia nonna. Donne anche poverissime, oggi ne vediamo tante. La pakistana a cui al momento delle dimissioni metti in mano 10 euro perché non sa come mangiare”.
Mai momenti di burnout? Voglia di mollare tutto?
“Sempre tenuti a bada dal fatto che sai che le donne hanno bisogno di aiuto: se molli anche tu… Un po’ di fatica, forse, quando arrivano certe signore “capienti,” che magari ti fanno anche il pistolotto: sa, noi siamo contrari, ma… Ecco, lì è un po’ più complicato”.
Prima dell’approvazione della legge 194 si è parlato anche di depenalizzazione: ovvero, poter praticare l’Ivg in qualunque struttura, senza dover andare per forza in ospedale. E invece con la 194 fuori dall’ospedale l’aborto resta un reato.
“Anch’io avrei preferito la depenalizzazione: chi ha un’assicurazione o maggiori possibilità potrebbe rivolgersi al privato, senza pesare sul SSN”.
C’è clima per riparlarne?
“Non mi pare. Le donne sono lontane, i movimenti non esistono più, i partiti non intendono occuparsene… E anche le ragazze mi sembrano acquiescenti, rassegnate ad “arrangiarsi”. Ma una soluzione la dovremo trovare”
Antonio Spreafico detto Nino, o anche “Sprea”, 66 anni, è uno di quei medici che sentono intensamente il valore civico del proprio lavoro. Nel suo caso –Sprea è ginecologo- si è trattato di stare “dalla parte delle donne”, come si diceva un tempo: non solo curarle, guarirle, accompagnarle nella gravidanza e nel parto, ma anche stare al loro fianco nella lunga e faticosa lotta per non morire più di aborto, giunta a destinazione nel 1978 con l’approvazione della legge 194.
Brianzolo, cattolico e in pensione da qualche anno, nell’agosto scorso Spreafico è stato “richiamato in servizio” dal suo ex-ospedale, il Bassini di Cinisello Balsamo, con cui collabora da volontario, perché causa-ferie del personale (compresi i rarissimi non obiettori) il servizio di Ivg non era più garantito.
“Fare Ivg non piace a nessuno” dice “ostacola la carriera, carriera, non è scientificamente suggestivo. Ma qualcuno dovrà pur farlo”.
Gli incarichi meno gratificanti toccherebbero ai neo-assunti…
“Ma i nuovi assunti in Lombardia sono quasi tutti obiettori. I posti sono pochi, e chi obietta ha migliori chance di essere preso. Poi magari ci sono cliniche come San Pio X o ospedali come il San Raffaele dove gli aborti non si fanno, ma la diagnosi prenatale sì”.
Che è l’anticamera dell’aborto terapeutico. Altrimenti a che cosa serve?
“Ecco: perché Regione Lombardia non obbliga queste cliniche e questi ospedali a eseguire anche le interruzioni? Anche per i terapeutici siamo al turismo abortivo: si va a Barcellona, come per la fecondazione assistita”.
Un’obiezione così alta tra i “nuovi” perché è cambiata la sensibilità??
“Fondamentalmente per ragioni di carriera, come dicevo. Tutti i primari sono obiettori, e se non obietti ti infili nel ghetto. Però sì, c’è anche un difetto di sensibilità politica. Quando posso vado a Messa, ma non credo che il Padreterno mi condannerà: ho aiutato tante povere donne a “mandare indietro” i bambini, come diceva mia nonna. Donne anche poverissime, oggi ne vediamo tante. La pakistana a cui quando la dimetti dai anche 10 euro perché non sa come mangiare”.
Mai momenti di burnout? Voglia di mollare tutto?
“Tenuti a bada dal fatto che sai che le donne hanno bisogno di aiuto: se molli anche tu… un po’ di fatica, forse, quando arrivano certe signore “capienti,” che magari ti fanno anche il pistolotto: sa, noi siamo contrari, ma… Ecco, lì è un po’ più complicato”.
Prima dell’approvazione della legge 194 si parlava anche di depenalizzazione: ovvero, poter praticare l’Ivg in qualunque struttura, senza dover andare per forza in ospedale. E invece con la 194 fuori dall’ospedale l’aborto resta un reato.
“Anch’io avrei preferito la depenalizzazione. Chi ha un’assicurazione o maggiori possibilità avrebbe potuto rivolgersi al privato, senza pesare sul SSN”.
C’è il clima per riparlarne?
“Non mi pare. Le donne fanno poco su questo tema, i movimenti non esistono più, i partiti non intendono occuparsene… E anche le ragazze mi sembrano acquiescenti, rassegnate ad “arrangiarsi”. Non è sempre stato così”
della Il drg Con Drg (acronimo di Diagnosis Related Groups, ovvero Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi) si indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l’ attività di cura, introdotto in Italia nel 1995. Il meccanismo Gli interventi vengono retribuiti non più «a piè di lista», cioè in base alle giornate di degenza, ma «a prestazione». In base ad una stima predefinita del costo. La storia Il sistema Drg nasce negli Stati Uniti, negli anni ‘ 80, quando ci si accorge che il rimborso a «piè di lista» stava portando all’ implosione del sistema, a causa dei costi insostenibili, perché più si teneva il paziente in ospedale più si incassava: con i letti sempre pieni e le liste d’ attesa infinite. La Lombardia È una delle prime regioni ad applicare il modello Drg. In principio i raggruppamenti sono molto generali. Poi vengono perfezionati: oggi ci sono più di 500 Drg. Vengono rivisti ogni due anni. Dal ‘ 95 siamo alla 23 esima riedizione. Un’ innovazione tecnica o tecnologica può richiedere il ritocco della spesa. La novità Per ogni intervento (dall’ appendicite al trapianto di fegato) sono previsti diversi gradi di rimborso, dal caso semplice a quello complesso. Per evitare truffe, dal 2008 ad un caso complesso non può corrispondere una degenza inferiore ai 3 giorni.