Luigi Amicone è fondatore e direttore della rivista “Tempi”. Wikipedia lo definisce “esponente dei teocon”. Di sicuro è un cattolico fervido e intelligente. Parlo di aborto con lui, perché parlarne con le mie amiche è troppo facile.

Mettiamo i piedi nel piatto, senza preamboli. La legge 194 ormai non esiste quasi più causa obiezione di coscienza, che supera il 70 per cento, con punte del 90, e molti casi di obiezione di struttura come il Policlinico, il più grande ospedale di Roma.

La legge 194 è nata a tutela della maternità. Questo spirito è andato via via perdendosi. Della legge è rimasta la “conquista” dell’aborto. Se c’è una cosa da recuperare è quello spirito originario, frantumando le cristallizzazione ideologiche estreme: da una parte chi pensa all’aborto come a una bandiera di libertà, elaborazione cinica di un dramma umano; dall’altra le manifestazioni dei pro-life che fanno i funerali agli embrioni. Io sono per la difesa della vita, dal concepimento alla morte, ma non mi pare che la posizione dei pro-life, la preghiera brandita come memento mori, sia così utile alla causa. Paola Bonzi, fondatrice del Centro Aiuto alla Vita in Mangiagalli, è una che non ha mai fatto crociate: è costantemente presente là dove le donne soffrono, e il primario Alessandra Kustermann rispetta il suo impegno. Due donne ai poli estremi che dimostrano come si può affrontare la questione”.

Resta il fatto che tante oggi sono costrette agli aborti clandestini e fai-da-te da un’obiezione in gran parte opportunistica. Vero che non si può frugare nelle coscienze per discernere il grano dal loglio. Ma la non applicazione della legge serve solo ad aumentare il rischio per le donne, non a diminuire il numero degli aborti. Non c’è riduzione del danno, ma aumento del danno. E tu sai che il Consiglio d’Europa ci richiama ad applicare la 194.

“L’Europa pensa l’aborto come un ordinario evento della vita riproduttiva”.

Veramente l’Europa ha bocciato la risoluzione Estrela…

“Comunque in Europa circola l’idea un po’ orwelliana del diritto d’aborto come un fatto di progresso. A questo tipo di legalità preferisco l’illegalità“.

Stai dicendo una cosa enorme. Spero tu non intenda dire che preferisci la clandestinità, con i rischi che comporta. Spero che tu intenda dire che preferisci la depenalizzazione, ovvero l’abolizione del reato d’aborto: ti ricordo che oggi l’aborto non è reato soltanto se praticato nelle strutture pubbliche. La depenalizzazione fu un’opzione minoritaria nel movimento delle donne: forse ci si dovrebbe ripensare.

Depenalizzazione, forse. Ma anche libertà delle coscienze. D’accordo sul fatto che mettere a rischio la salute delle donne non aiuta. Ma faccio notare che il primo rischio è per la pelle dei bambini. La depenalizzazione, ovvero la possibilità di attuare in sicurezza gli interventi fuori dalle strutture pubbliche, potrebbe essere un’idea da pensare. Anche se poi si aprirebbe il pericolo di un mercato degli aborti”.

E invece l’ipotesi di concorsi pubblici che riservino metà dei posti ai non-obiettori?

“Non puoi chiedermi questo! Io mi augurerei il cento per cento di obiezione”.

Be’, quasi ci siamo arrivati. Quindi a te va bene andare avanti su questa strada. Cioè fare finta che non applicando la legge l’aborto sparisce. Ignorare il problema è buona politica?

“Forse non è buona politica. Forse, ripeto, la depenalizzazione potrebbe essere una soluzione. Ma so che i fatti determinano cultura. Anche con la depenalizzazione l’aborto verrebbe banalizzato. Forse la vera cosa da fare sarebbe vietare l’aborto su tutto il territorio nazionale e costringere le donne ad andare all’estero…”.

Stai provocando? La tua logica è punire le donne. Non è così che gli aborti diminuiranno.

“E’ una provocazione per dire che quello su cui si dovrebbe davvero lavorare è una cultura dell’accoglienza. Fare sapere a tutte le donne che non sono in condizioni di avere un bambino che possono metterlo al mondo lo stesso, che ci sarà qualcun altro a prendersi cura di lui. Per esempio le ruote degli innocenti, ti ricordi?”.

Ci vorrebbero piuttosto le ruote dei dirigenti: la maternità incide per lo 0.23 per cento nei bilanci aziendali, dice Federmanager. Eppure le madri sono viste come un pericolo per la produttività. E’ un fatto di cultura che stenta a cambiare.

“Il mio pensiero è questo: lotta a tutto campo perché le donne non siano impedite a fare bambini, a partire dal mondo del lavoro. E accoglienza per tutti i bambini, anche quelli non voluti. Cominciando per esempio con il facilitare le adozioni“.

Mi permetto di ricordarti che più le donne lavorano, più figli fanno: c’è una proporzionalità diretta e verificata. E invece restiamo inchiodati all’idea che le donne fanno più figli se stanno a casa.

“Lasciamelo ridire: se io fossi al governo lancerei la sfida del divieto di aborto su tutto il territorio nazionale.

Insisti? Ripeto che il divieto c’è già nei fatti, con questi livelli di obiezione.

“Ma quanti migliaia di aborti sono stati praticati dal 1978 a oggi? Troviamo il modo per fare crescere la natalità, pensiamo anzitutto a questo. Siamo il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: denatalità è sinonimo di declino economico e sociale. Investiamo su questa grandezza femminile, il fatto di poter dare la vita. Diamo valore a questa potenzialità, costruiamo accoglienza. Poi anche la depenalizzazione ci può stare, ma non la metterei al centro delle politiche”.

Su questo si può discutere. Però discutiamone. Smettiamola di fare finta di niente.

p.s: facile confrontarsi solo con chi la pensa come te.

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