Grande parte del femminismo italiano esprime preoccupazione sull’idea di diritti civili rappresentata dal neo-nominato responsabile Pd Sergio Lo Giudice (utero in affitto, prostituzione, assistenza sessuale ai disabili, ormoni ai bambini). E’ questo il solco in cui si muove il partito, in opposizione a tutte le altre sinistre europee? Una politica neoliberale, misogina, distopica? E perché tacciono, le donne Pd?
La prospettiva di portare al governo nazionale l’efficace centrosinistra milanese rischia di essere compromessa da microinteressi, antipatie impolitiche e pregiudizi su Milano. Ma questo treno non si deve perdere
E dai, diciamolo. La sinistra non è mai stata fortissima sul fronte comunicazione. A parte il tragico manifesto qui sopra, pubblicità indiretta per i Tre Caballeros, leggo oggi che il segretario regionale lombardo del Partito Democratico Maurizio Martina dichiara che per la regione “la partita è apertissima”.
Dunque: il centrodestra dice “noi vinciamo”; il centrosinistra: “la partita è apertissima” (tradotto: “non ancora chiusa”).
Vediamo: abbiamo alle spalle una giunta piena di inquisiti e infiltrata dalla ndrangheta, e che a causa di ciò è stata costretta a dimettersi. La vittoria stava lì, su un piatto d’argento. Si è fatta la scelta faticosa di Ambrosoli e del patto civico quando il Pd aveva in Pippo Civati, mr Preferenze alle Parlamentarie, il suo candidato naturale: uno che in Lombardia si è consumato le suole, che aveva condotto la battaglia contro la giunta formigoniana, che aveva un programma bell’e pronto costruito nel fitto rapporto con il territorio, che non era milanese ma brianzolo, il che avrebbe rotto il trompe-l’oeil milanocentrico, che rappresentava benissimo la discontinuità, e che avrebbe spezzato la monotonia della dialettica progressisti-moderati e cattolici-laici e catalizzato gli entusiasmi, e che è pure carino, il che non guasta. E vabbè, è andata in un altro modo. Fatto sta che questo ciclone di rinnovamento oggi appare infiacchito, e ora ci sentiamo anche dire che “la partita è apertissima”, ovvero non ancora chiusa, anche se in verità i sondaggi non autorizzerebbero questa cautela preventiva. Insomma, come scrive l’amico Paolo Repetti su Facebook, “dal 4 a 0 in casa il Pd si è messo a giocare per il pareggio“. Non esattamente quello che serve per eccitare le masse.
A dare un po’ di verve alla battaglia lombarda arriveranno i big: Bersani, Renzi, il sindaco Pisapia, che è sempre pop. Molto giusto. Ma visto che il comitato dei garanti democratici è al lavoro per dare una ripulita alle liste, messe su in tempi strettissimi -qualche problema in effetti si è verificato-, vale la pena di sottolineare che quello che capita, per esempio, in Calabria potrebbe avere maggiori riflessi sul centrosinistra lombardo di qualunque testimonial d’eccezione. Se, per dirne una, il Pd recuperasse in volata una delle sindache antimafia, incredibilmente lasciate a casa per dare spazio a big del partito, fedelissimi, paracadutati e parenti, tipo Enza Bruno Bossio, moglie del potente dominus locale Nicola Adamo, a sua volta padre naturale del figlio dell’ex sindaca di Cosenza Eva Catizone, oggi candidata Sel (sì, lo so, sembra Beautiful, ma non è colpa mia), ebbene, questo produrrebbe effetti anche in Lombardia. Intanto la lista Monti sì è accaparrata Carolina Girasole, sindaca di Isola di Capo Rizzuto.
Insomma: mi pare che a questa faccenda di Parentopoli (anche a Milano abbiamo una paracadutata non diversamente leggibile, Fabrizia Giuliani, romana, moglie di, sedicente candidata Snoq ) e Inquisitopoli non si stia dando l’importanza che ha. Anzi: ci sono rumour che darebbero Bianca Berlinguer in uscita dal Tg3 per essere candidata sindaca a Roma, stante lo “zio” europarlamentare e il marito candidato al Senato in Sardegna, entrambi veterani. Una dinasty.
Come sostiene Giovanna Cosenza, autorità in materia di comunicazione politica e autrice di “Spotpolitik”, “se un partito inserisce nelle sue liste candidati e candidate “parenti di” (figli di, mogli di, cognati di ecc.), e lo fa in questo momento storico in Italia, be’, sta comunicando qualcosa di molto preciso ai suoi elettori: non siamo cambiati e non abbiamo intenzione di farlo”.
Anche questa è comunicazione. Anzi, lo è molto di più.
p.s.: Volete il mio punto di vista? I parenti ce li terremo. Tutti, e dappertutto. A noi non resta che l’arma del voto.
Se votassi il centrodestra -e non nascondiamoci: non lo voto- sarei entusiasta della candidatura di Bobo Maroni alla presidenza di Regione Lombardia. Avrebbero già dovuto candidarlo come sindaco per non perdere Milano: l’avevo suggerito, a suo tempo, ai miei pochi buoni amici di quella parte politica.
Maroni ha le carte in regola se non per vincere, impresa piuttosto disperata, quanto meno per minimizzare il prezzo che il suo schieramento dovrà pagare. Caduto sulla ‘ndrangheta, il centrodestra potrebbe almeno in parte rialzarsi affidandosi a un ex-ministro degli Interni che nella lotta alla criminalità organizzata ha ottenuto qualche risultato. E che saprebbe riaccendere l’orgoglio della Lega, bestia ferita ma ancora vigorosa (conosco la mia terra e la mia gente). Insomma, non l’en plein, ma un argine sicuro contro la disfatta.
Più debole la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, stimato dai moderati, un po’ troppo milanese per infiammare la riscossa. Ma anche lui non da sottovalutare.
A quanto pare il centrodestra sta valutando di organizzare primarie di coalizione (Maroni dice sì, certo di vincere). Ragione in più per non evitare quelle del centrosinistra: io sarei per un primarie day il 25 novembre, politiche e regionali in un colpo solo. Non credo che convenga saltare questo passaggio: i lombardi -noi lombardi- hanno molta voglia di scegliersi il presidente.
Vediamo i nomi che girano: Umberto Ambrosoli, avvocato penalista e giovane uomo degnissimo, riservato figlio dell’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, più anti-Formigoni di lui non sembrerebbe esserci. Ma lui oppone -il che lo rende ulteriormente degno- la sua inesperienza della macchina amministrativa e del sistema Lombardia: già rifiutò la candidatura a sindaco. Non sembrerebbero schermaglie. Vedremo. Bruno Tabacci: candidatura debolissima. Già un trentennio fa vicepresidente di Regione Lombardia e oggi assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, Tabacci è percepito come “vecchia politica”. Difficile che possa interpretare il grande desiderio di rinnovamento. Alessandra Kustermann: fantastica medica, primaria alla clinica Mangiagalli, esperta del sistema sanitario, grande e antico lavoro a fianco delle donne, in particolare sul tema della violenza. Potrebbe catalizzare l’attenzione dell’elettorato femminile. Anche lei, come Ambrosoli, favorita dalla provenienza dalla cosiddetta “società civile”, ma penalizzata da una notorietà prevalentemente cittadina, e il tempo per farsi conoscere è poco. Un buon piazzamento in eventuali primarie la indicherebbe come possibile -e auspicabile- assessora alla Sanità, posizione chiave in Lombardia. Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo: una candidatura troppo interna e di “apparato”. Fuori dal Pd, Martina è poco conosciuto, e il “fuori Pd” oggi elettoralmente pesa molto. E infine -almeno a oggi- il consigliere regionale Pippo Civati, coetaneo di Ambrosoli, percepito dall’opinione pubblica come “rottamatore buono”, un pezzo di strada condivisa con Renzi prima di un definitivo divorzio, capace di muoversi con disinvoltura sul territorio mediatico virtuale -è piuttosto noto alla platea televisiva nazionale-, ma anche suole consumate in un intensissimo lavoro sul territorio reale: la Lombardia, e non solo quella, la conosce palmo a palmo. E i lombardi conoscono lui. Praticamente come Maroni.
Mi pare che la scelta vada fatta anche in funzione del competitor che ci si troverà davanti.
Io la mia l’avrei fatta. Sperando che mi sia consentito esprimerla.