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Politica Luglio 15, 2015

Milano è bella. La sua politica meno. E Del Debbio è un candidato temibile

A Milano la notizia politica del giorno sono due: le dimissioni della vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e la possibile candidatura a sindaco per il centrodestra di Paolo Del Debbio, giornalista Mediaset già assessore della giunta Albertini. Candidato perfetto: precedente esperienza amministrativa e profilo televisivo e super-pop. Piace a tutte le componenti del centrodestra e chiede democraticamente le primarie, tanto sa che le vince.

Il fatto è che potrebbe vincere anche le elezioni: è piuttosto famoso, sa parlare alla pancia della gente, ha un’aria rassicurante, lontana dagli estremismi salviniani. Insomma, sembra fatto apposta. Ero sicura che la scelta del centrodestra sarebbe stata di questo tipo: ragionevole e televisionabile.

Ho incontrato per caso nel fine settimana il neoassessore all’ambiente della giunta Toti in Liguria, Giacomo Raul Giampedrone. Uomo giovane, fattivo, ambizioso, eccitato dal grande spirito unitario -anche solo tattico- che si respira in regione e che sta prendendo piede un po’ ovunque nel centrodestra, in preparazione delle nuove sfide elettorali.

Nel frattempo il centrosinistra è triturato, la prospettiva ventennale di Matteo Renzi -colpa solo sua- si è ridotta a un biennio, non ne imbrocca una neanche a piangere, manda i capataz al Nord a fare disastri -l’ex-sindaco di Lodi che dà ordini a Milano! Roba da Cinque Giornate-, e lo “spara a Renzi” potrebbe diventare la specialità delle prossime amministrative, stile Venezia. Le primarie si faranno, anzi no. Si faranno a dicembre o gennaio, anzi no, vanno fatte subito. I candidati saranno due, 18, 50. Il sindaco ha annunciato dimissioni un anno prima, e la giunta lavora con l’affanno da campagna. E la vicesindaca De Cesaris pensa bene di dimettersi: gesto non esattamente responsabile, se vogliamo, con un sindaco già dimissionario. Mezzo Pd le vota contro su un’area cani da 20 mila euro, lei si imbufalisce definitivamente e sbatte la porta. Un pezzo del Pd esulta, la dirigenza la supplica di restare, le reazioni in giunta sono tra l’indignato e il tiepido, dicono che lei voleva candidarsi sindaca ma non è stata sostenuta, e ora che cosa farà? Ci proverà lo stesso? oppure no? Quante liste civiche ci saranno? E quante liste civetta? Insomma, un vero rebelot, come si dice con un francesismo dialettale.

Amiche e amici romani, del Sud, di ogni dove, che mi dicono: Milano è bella. E’ la prima volta, in tanti anni, che me lo sento dire. Ieri sera sono stata a una festa dance nello spirito della storica discoteca Viridis. Un caldo atroce, tanti vecchi amici, una strepitosa vitalità. La città è in gran forma, nevrile, allegra, i motori al massimo, finalmente un ciclo positivo, clima anni Sessanta. Verrebbe voglia di passarci l’estate, come la si passa a Londra e NY, non c’è modo di annoiarsi, a parte il gran caldo spiace partire.

Basterebbe dire questo: Milano è bella, ora fateci finire il lavoro. Per farla diventare ancora più bella. Per dedicarci a quelle che cretinamente si continuano a chiamare periferie, valorizzando il bello che già c’è e portandocene di nuovo. Facendo di Milano una metropoli modello. Siamo sulla buona strada, è cominciato un nuovo ciclo virtuoso. Basterebbe questo, e una riduzione complessiva del tasso dei narcisismi, vera peste della politica.

Il tempo per cambiare musica è pochissimo.

 

16 luglio: ottimo commento dell’amico Ivan Berni, La Repubblica

DE CESARIS, L’IRRESPONSABILITA’ DELL’AMBIZIONE

Da Repubblica, Milano, 16 luglio 2015

Le dimissioni della vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris sono un guaio molto serio. Lo sono per la forma, i tempi e la sostanza, tuttora misteriosa, a meno di considerare una ragione seria il voto del Pd su un’area per i cani a Santa Giulia, alla quale De Cesaris era contraria. Sono un guaio per il centrosinistra milanese, per Il credito del sindaco uscente Giuliano Pisapia e lo sono per una città che deve fare i conti con il dopo Expo, la grande partita delle aree Fs, la destinazione dell’ex trotto a San Siro, i docks della Stazione centrale, i progetti sulle aree ex Enel al Monumentale. Una città che fra dieci mesi dovrà votare per la nuova amministrazione di Palazzo Marino. Pisapia deve metterci una pezza rapidamente, aprendo un confronto aperto con la città sui grandi nodi irrisolti dell’urbanistica e dando un segnale di saldezza. Ma sia che il sindaco riesca a convincere De Cesaris a tornare sui suoi passi sia che nomini un nuovo responsabile dell’Urbanistica, un danno enorme è già stato fatto. L’uscita di scena della vicesindaco ha infatti incrinato pesantemente la credibilità dell’amministrazione su due punti chiave: l’affidabilità e la responsabilità. La destra se n’è accorta e infatti brinda. Sul primo punto vale poco o nulla dire, come è stato fatto, che sull’urbanistica “il lavoro è stato completato”. Non è così, con tutta evidenza, considerando non solo le urgenze come il dopo Expo, (che scatta dal 31 ottobre di quest’anno, non nella prossima legislatura) ma anche la quantità di progetti che attendono scelte definite e di problemi tuttora aperti. Quanto alla responsabilità c’è da rimanere attoniti di fronte alle motivazioni fornite da De Cesaris sulle dimissioni. Sarebbe venuto a “mancare il rapporto di fiducia” con una parte della maggioranza. Per l’area cani a Santa Giulia? Ma se si tratta di questo c’è da domandarsi di cosa sia fatta la fiducia di cui lamenta il crollo l’ex vicesindaco. Chi governa con responsabilità di primissimo piano una città come Milano non può (non dovrebbe, si intende) abbandonare l’incarico per una quisquilia simile. E se lo fa vuol dire, banalmente, che si tratta della persona sbagliata al posto sbagliato. Ma se c’è dell’altro occorrono spiegazioni pubbliche. Senza reticenze o titubanze di sorta. Dica l’avvocato De Cesaris a proposito di cosa, quando e in che circostanze sarebbe crollata la fiducia. Lo dica subito, bloccando la spirale dei sospetti e anche una grottesca corsa alla solidarietà che si sta sviluppando in questi giorni sui social network, per cui c’è chi la rimpiange aggiungendo che senz’altro ci sarà una buona ragione per andarsene, che tuttavia rimane oscura.
In realtà trapela in controluce un’altra spiegazione di questo vero e proprio colpo di teatro. De Cesaris, che ha lavorato moltissimo in questi anni prendendosi sulle spalle anche responsabilità istituzionali, avrebbe voluto, in qualche modo, una sorta di benedizione da parte di Pisapia come naturale erede per la prossima legislatura. Avrebbe voluto partecipare alle primarie con questa investitura. Ma la benedizione non è arrivata e, di settimana in settimana, la convivenza in giunta con l’assessore-candidato Majorino si è fatta sempre più tesa. Di qui l’escalation dell’insofferenza. Fino alle clamorose dimissioni di martedì. Dimissioni che equivalgono a un’uscita di scena dal proscenio politico milanese, dato che a questo punto riesce difficile immaginare De Cesaris candidata a qualsiasi incarico elettivo dopo una simile sceneggiata. Ma del resto l’avvocato De Cesaris eletta non lo è stata mai: in giunta entrò da assessore “tecnico” per scelta del sindaco. Forse, se avesse dovuto rendere conto ai propri elettori, sarebbe andata diversamente.

Ivan Berni

 

Politica Luglio 10, 2015

Renzi al telefono con il generale Adinolfi: “Letta incapace, serve un ragionamento diverso. Berlusconi ci sta”.

Non dimenticherò facilmente il 13 febbraio 2014, giorno della decapitazione del premier Enrico Letta da parte della direzione Pd. In particolare, chissà perché, mi è rimasto impresso il lirico intervento di Anna Paola Concia, che citò addirittura la grande poetessa Emily Dickinson.

Solo qualche giorno prima Enrico Letta era stato in direzione a raccontare i suoi programmi di governo, offrendo in effetti un saggio di notevole debolezza. Ma nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stata questione di ore. In verità il neoeletto segretario del Pd Matteo Renzi aveva molta, moltissima fretta di diventare primo ministro: lui ha sempre molta, moltissima fretta per tutto. Eletto segretario a dicembre, a gennaio già manovrava freneticamente per giubilare Letta, “un incapace” da rimuovere grazie a un accordo con Silvio Berlusconi, “sensibile a fare un ragionamento diverso”. Il ragionamento diverso era la premiership Renzi. Delle molte cose antidemocratiche che abbiamo visto e continuiamo a vedere nel nostro Paese, questa mi sembra in assoluto la più antidemocratica. Uno che decide di fare il premier e manovra attivamente per diventarlo senza mai essere passato dal voto. 

Il piano è ben raccontato da una telefonata dell’11 gennaio del 2014 tra Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, intercettata dalla magistratura nel corso dell’inchiesta relativa alla CPL Concordia. L’intercettazione è diffusa oggi da Il Fatto Quotidiano. Renzi spiaga al generale Adinolfi di voler mandare Enrico Letta alla presidenza della Repubblica per toglierlo dal governo. Giorgio Napolitano è però contrario a questo progetto, perché dovrebbe dimettersi da capo dello Stato nel 2016, e non a inizio 2015 come riteneva di fare. Qui i passaggi salienti della telefonata.

Renzi: E sai, a questo punto, c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico. Però…
Adinolfi: È niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti.
Renzi: Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace.E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori…
Adinolfi: Secondo me il taglio del Presidente della Repubblica
Renzi : Lui sarebbe perfetto, gliel’ho anche detto ieri.
Adinolfi: E allora?
Renzi: L’unico problema è che … bisogna aspettare agosto del 2016. Quell’altro non c’arriva, capito? Me l’ha già detto
Renzi: E poi il numero uno anche se mollasse… poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso. Vediamo via, mi sembra complicata la vicenda.
Adinolfi : Matteo, intanto t’ho mandato una bellissima cravatta.
Renzi : Grazie.
Adinolfi: Sì sì, certo certo.
Renzi: Quell’altro 2015 vuole andar via e … Michele mi sa che bisogna fare quelli che… che la prendono nel culo personalmente… poi vediamo magari mettiamo qualcuno di questi ragazzi dentro nella squadra… a sminestrare un po’ di roba.

A fine telefonata Renzi anticipa come Berlusconi sia disponibile a fare un “ragionamento diverso”. Il patto del Nazareno verrà siglato pochi giorni dopo questa telefonata, accelerando la caduta di Enrico Letta.

Ma la vera notizia è un’altra. E cioè -mi sbaglio?- che anche di fronte a queste rivelazioni, probabilmente grande parte del Paese continuerà a fare spallucce e a ritenere sacrosanto o quanto meno accettabile che “per il bene dell’Italia” uno di fatto si autonomini Presidente del Consiglio dei Ministri, levando di mezzo “un incapace”, e perfezionando il tris dei governi non eletti (nemmeno Monti e Letta lo erano) con una manovra di spregiudicatezza superiore. Il quarto, se ce ne sarà uno, volendo potrebbe essere anche più spregiudicato. E forse solo allora potremo comprendere fino in fondo, se ancora non l’abbiamo capito, qual è il prezzo che si paga rinunciando all’esercizio delle prerogative democratiche.

 

Politica Giugno 27, 2015

Milano, il Bisindaco e altre chimere

Qualche svagato pensiero del week end sul prossimo sindaco di Milano.

L’idea del ticket Sala-Majorino per il centro sinistra -una specie di chimera paralitica, il Bisindaco, la cui principale attività sarebbe litigare- dà un’idea di disperazione che non aiuta: twu is megl che uàn, dato che uàn perderebbe a sinistr, l’altr perderebbe a destr. Bisogna un po’ riabituarsi all’idea strambissima che chi vince a sinistra potrebbe perdere a destra e viceversa, anzi oggi più che mai visto la fregatura che i cittadini hanno preso dalle larghe intese. Faccio peraltro notare che la novità del 50/50 donne e uomini non può essere archiviata con tanta nonchalance, anche se sarebbe comodo.

Serve semplicemente il coraggio della propria proposta, chiara e semplice, e ne serve molto in tempi di elettorato liquido e malmostoso, che non garantisce più nulla e rende i sondaggi del tutto inaffidabili: quello che il campione ti ha risposto il lunedì potrebbe non valere più già il martedì.

Ai sondaggisti è consigliabile una riflessione, e ai candidati di andare “nudi” alla meta, con semplicità e generosità, accettando il fatto di essere lì a correre un rischio.

Quanto a Roma, al premier e ai suoi incaricati, meno si faranno vedere e meglio sarà per il centrosinistra. E per almeno due ragioni: Milano non l’ha mai capita nessuno, milanesi a parte, e mai del tutto nemmeno loro; al tradizionale orgoglio meneghino si va vieppiù assommando un compiaciuto tiro al Renzi di cui forse il Renzi stesso non ha del tutto contezza. E del resto chi sbandiera un programma e ne realizza un altro, chi accende vertiginose speranze col turbo, con tanto di fogli excel (per chi ci è cascato: tantissimi) e altrettanto vertiginosamente e col turbo le tradisce, il conto non può essere questo: vertiginoso e col turbo.

 

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Maggio 19, 2015

Renzie, le nonne e le fidanzate: un immaginario anni Cinquanta

Parlando di pensioni, il premier Matteo Renzie ha sostenuto che

«se una donna a 61, 62 o 63 anni vuole andare in pensione due o tre anni prima, rinunciando a 20-30-40 euro, per godersi il nipote anziché dover pagare 600 euro la baby sitter, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere il nipotino».

Avrebbe anche parlato delle fidanzate che possono essere portate a cena fuori perché il fidanzato ha 80 euro in più in busta paga.

Un meraviglioso mondo strapaesano e Happy Days, in cui le sessantenni sono nonne di default (avvisare il premier che non lo sono poi tanto, in questo Paese si fanno pochissimi figli e nipoti perché non c’è abbastanza lavoro per le figlie delle nonne e i servizi scarseggiano -dirgli anche questo- e infatti come lui ben sa si devono “pagare 600 euro per la baby sitter”) e il massimo godimento loro consentito è spingere il passeggino.

Dirgli che nonne o non nonne, le sessantenni che girano oggi oltre che sferruzzando calze e confezionando bambole di pezza (pigotte), godono in parecchi altri modi: trascurando i sollazzi intimi, le vecchiette viaggiano, si informano, sono quelle che leggono di più e che affollano maggiormente i teatri e le mostre, fanno politica, fanno impresa, aspirano non solo a rigovernare ma anche a governare, quando lasciano il lavoro spesso se ne inventano un altro, e magari sono perfino breadwinner. Non è affatto detto che intendano continuare a sostituirsi ai servizi che andrebbero erogati dagli enti pubblici, inchiodate fino al decesso al ruolo di welfare vivente. 

Avvisarlo anche del fatto che oggi le fidanzate sono talmente scostumate da aspirare a pagarsi la pizza in proprio, e magari non solo quella, guadagnandosi la vita da sole: anche perché in genere sono più brave dei fidanzati, studiano di più, si laureano meglio, insomma se lo meriterebbero, al netto dei corsi di economia domestica e punto croce.

Un sorprendente immaginario anni Cinquanta con gonna a palloncino -consolatorio per il premier, agghiacciante per noi- che spiega in modo lampante i molti ritardi sul fronte delle politiche a favore delle donne (occupazione, smart work, servizi, diritti) e una certa resistenza a comprendere che il Paese non va avanti se le donne restano indietro a fare torte di mele e cotonarsi i capelli prima di cena.

Decisamente da rottamare.

Con una visione del genere, molto più vecchietta delle sessantenni, non andiamo da nessuna parte.

p.s: nel mio caso, al nipotino ci ha pensato il nonno.

 

Politica Maggio 13, 2015

Candidare gli impresentabili = far fuori i presentabili

 

Vincenzo De Leo, Fronte Nazionale: candidato in “Campania in rete” a sostegno del Pd Vincenzo De Luca

Amiche e amici, io non capisco. Se io mi volessi candidare -ma vale per chiunque di voi- alle elezioni politiche, o regionali, o amministrative, la cosa non sarebbe affatto facile. Non sono una perfetta sconosciuta, la mia fedina penale è immacolata, mi sono sempre guadagnata la vita da sola, studiando e lavorando sodo, senza favoritismi, raccomandazioni, parentele, compromessi o letti (passaggio sempre favorente).

Da sempre mi anima una furente passione per il mondo. In assoluto spirito di servizio -andare a Roma non mi interessava affatto- mi sono pure candidata, anzi mi hanno candidato a forza da ragazzina in ordine alfabetico nelle Liste Verdi di Alex Langer. E pur non essendomi sognata di fare la minima campagna elettorale, ho preso un bel po’ di voti e ho rischiato l’elezione: la mia vita sarebbe stata diversa, quasi certamente peggiore di quella che ho avuto. Eppure se oggi volessi candidarmi in una qualunque competizione elettorale, ripeto: non sarebbe facile per nulla.

Non sono una signora o signorina delle tessere, non sono presenzialista, sono antimondana, vivo in periferia, non svolazzo come una farfalla impazzita da un presidio a una manifestazione a un’inaugurazione a un convegno, credo pochissimo al professionismo e al carrierismo politico. Penso che in politica servano abnegazione, fatica, bassi emolumenti, buone idee, voglia di studiare e lavorare, non bollini di presenza tipo punti Fragola. Sono un’outsider, oggetto di regolare conventio ad excludendum da parte di ogni lobby di insider. In più sono una donna, e non di quelle che si possano cooptare, ubbidisco solo alla mia coscienza e di sicuro non ho un carattere facile, come spesso chi nella sua vita ha dovuto lottare parecchio. Insomma, una vera rompicoglioni. Non sarei male, come candidata, eppure -a parte Langer: ma quello era proprio un altro mondo- nessuno ha mai pensato di propormelo.

La lunga premessa per dire che entrare in una lista elettorale non è cosa semplice, per me come per tutti, e in particolare per tutte. Ora, io vorrei sapere come mai invece la cosa è piuttosto semplice per un gran numero di indagati, pregiudicati, trasformisti, traditori, voltagabbana, fascisti, raccomandati, parenti, amici dei camorristi o eventualmente camorristi in proprio (oltre a incapaci, mediocri, ambiziosetti, frequentatrici di letti e così via). In particolare mi riferisco a quelli ( e anche a qualche quella) che stanno in liste a sostegno di candidati governatori Pd in molte regioni che il 31 maggio andranno al voto. Per esempio Campania, Puglia, ma pure Liguria, e perfino Toscana e Veneto, dove furoreggia un ex-leghista anti-culattoni.

Ora, amiche e amici, molte e molti di voi riterranno la mia domanda retorica o ingenua: ma io dico che il giorno in cui farsi questa domanda non sarà più possibile, ebbene, quel giorno ogni speranza sarà perduta.

Rispondendo indirettamente a Roberto Saviano, pur senza mai nominarlo, il premier Matteo Renzi è stato costretto ad ammettere che certi nomi non li voterebbe nemmeno lui. Toppa peggio del buco, perché essendo il premier uomo a cui non sfugge nulla, con una evidente passione per le candidature bloccate (ergo, decido io e solo io chi va dove e a fare che cosa: “L’Italicum” scrive oggi Aldo Cazzullo sul Corriere “garantisce la governabilità, non la rappresentanza“), è davvero strano che non si sia accorto per tempo di quello che stava capitando, o quanto meno che qualcuno non l’abbia avvisato per tempo (chi? e chiunque sia, sarà chiamato a risponderne?) La sensazione piuttosto è che l’abbia lasciato capitare, democristianicissimo turamento di naso con supercazzola -presentiamo pure gli impresentabili- sperando che solo pochi se ne accorgessero, perché quei voti puzzeranno anche ma in certi territori non c’è altro modo per aggiudicarsi il consenso e vincere. Il fatto è che per disgrazia se n’è accorto Roberto Saviano, che a quanto pare va bene come ospite dell’antimafia retorica inutile à la Fazio, ma va molto meno bene quando mette i piedi nel piatto in cui ci si accinge a mangiare (voglio vedere se Fazio lo invita a parlarne).

Una volta si andava alle urne con il santino del candidato da votare. Oggi tocca andarci con la lenzuolata di quelli da NON votare.

diritti, Donne e Uomini, Politica, Senza categoria Marzo 26, 2015

Pillola dei 5 giorni dopo: così proprio non va, ministra Lorenzin

Dal punto di vista dei cosiddetti diritti il governo Renzi non è centro-destro, è superdestro: cosa che peraltro non mi sorprende affatto,  era ben nota fin dai tempi delle primarie, a volerlo sapere, quando Renzi era ancora sindaco e di una sua premiership non si parlava.

Niente sulle coppie di fatto, niente sul fine vita (in Francia è stata appena approvata un’umanissima legge che sarebbe piaciuta al nostro Cardinal Martini), la legge 40 sulla fecondazione assistita è impantanata nelle secche di un ri-dibattito parlamentare, la legge 194 sabotata dall’obiezione di coscienza record. E nessuno, tra i dirigenti e le dirigenti del Pd -salvo rare ed estemporanee prese di posizione- che intenda disturbare il manovratore.

Chiedo in particolare alle donne del Partito Democratico: conosceranno pure una coppia di fatto (o magari è la loro stessa condizione), avranno qualche amico o amica LGBT nei guai (o lo saranno loro stesse), capiterà loro di avere amiche o amici infertili (o magari è una cosa che le riguarda personalmente), avranno pure avuto un amico o un parente malato terminale, si saranno una volta nella vita trovate (loro personalmente, o una loro amica, una sorella, una figlia) di fronte alla dolorosa scelta di abortire. Che cosa si sta aspettando per queste riforme a costo zero, e che, anzi, potrebbero pure fare risparmiare un po’ di soldi pubblici?

Quello che è capitato sulla cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo è la dimostrazione plastica di quello che sto dicendo: la politica informata da una sottocultura retriva che non corrisponde affatto al comune sentire del Paese. L’Europa dice che quel farmaco (un contraccettivo, non un abortivo) può essere venduto senza ricetta. Il nostro Consiglio Superiore di Sanità non molla: la ricetta ci vuole. Ma l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, non tiene conto del parere e decide diversamente: la pillola si potrà acquistare in farmacia senza prescrizione medica, salvo che nel caso delle minorenni che potranno farsela prescrivere in un consultorio o in un Pronto soccorso. Se non fosse che i consultori sono ormai pochi e depotenziati (questo lo riconosce la stessa ministra Lorenzin) e che in Pronto Soccorso puoi sempre imbatterti in un obiettore superzelante, di quelli che -è capitato- obiettano perfino sull’inserimento di una spirale.

Io non capisco la ministra: la contraccezione d’emergenza non è pur sempre meglio di un aborto, e magari di un aborto clandestino, visto come siamo messi a causa degli obiettori, come nel caso di quella ragazzina genovese che dopo aver assunto un abortivo comprato online ci stava lasciando la pelle? perché ostacolarla, allora? o lei pensa che, trovandosi di fronte a tanti ostacoli, una donna rimasta incinta deciderà di portare avanti la gravidanza? non ci pensa ogni giorno in tutta coscienza, lei che potrebbe fare molto, a quella ragazzina? non ne sente la responsabilità?

Secondo la ministra in realtà va tutto bene. Con astuti calcoli trigonometrici ci informa del fatto che la legge sta funzionando. Interi ospedali che fanno obiezione di struttura, turismo abortivo da una regione all’altra, fatale aumento degli aborti clandestini, il Consiglio d’Europa che ci richiama duramente, le romane che vanno a presidiare il San Camillo per evitare che si insedi un primario obiettore. Ma secondo i suoi conti il servizio è garantito.

E’ anche questo il prezzo delle larghe intese. O forse no, basterebbe la determinazione del premier Renzi a imporre le sue personalissime convinzioni in materia di diritti, manco Mariano Rajoy, e praticamente nessuno nel partito che osi contrastarlo, visto che con le liste semibloccate dell’Italicum sarà lui a decidere chi si candiderà. Il tutto mentre la sua Consigliera di parità si premura di prendere una netta posizione a favore dei quartieri a luci rosse: proprio il mondo alla rovescia.

No, così non va. I diritti sono la carne di noi tutti. E prima o poi il Pd potrebbe trovarsi a pagare un prezzo salato per, diciamo così, tanta reticenza

p.s: Mai dimenticare che le posizioni di Barack Obama in materia di aborto, più ancora che in tema di lavoro, sono state decisive per quel voto femminile che gli ha garantito il secondo mandato.

 

 

Politica Marzo 23, 2015

Milano e il dopo-Pisapia: la giostra riparte

La notizia era attesa ma ha ugualmente prodotto una deflagrazione nella piovosa domenica milanese: il sindaco Pisapia non si ricandiderà per il secondo mandato, e  immediatamente è partito il vortice di riunioni, consultazioni, tam-tam sul possibile successore.

Per un centrodestra che sta poco bene Milano può essere l’occasione per un rilancio alla grande: le cose politiche che contano cominciano quasi sempre qui. Il nome di Maurizio Lupi, tra i più accreditati fino allo scandalo e alle  dimissioni di qualche giorno fa, al momento appare improponibile. Ma un accurato rewashing accoppiato alla velocità dei tempi e alla memoria corta (di qui a un anno può capitare di tutto) non permette di escludere del tutto la sua candidatura. Intanto Matteo Salvini scalda i motori e si dice già pronto, sia pure accettando di passare per primarie. E anzi chiede che non si aspetti un anno per votare.

Nel centrosinistra il turbillon è più intenso: accanto alle ipotesi continuiste (in primis Pierfrancesco Majorino, attuale assessore, ma anche altri esponenti della giunta, come Cristina Tajani, e Umberto Ambrosoli, figlioccio del sindaco, che non ha mai nascosto le sue ambizioni), corrono nomi di milanesi esportati a Roma (Emanuele Fiano, Lia Quartapelle, perfino Ivan Scalfarotto), ma c’è anche il papa “straniero” che probabilmente non spiacerebbe a Matteo Renzi (come Andrea Guerra, ex-ad di Luxottica, o Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, in verità entrambi milanesi; oltre a qualche illustre giornalista, e altri ancora) per il potenziale attrattivo nei confronti dell’elettorato di centrodestra: scelta che tuttavia potrebbe aprire prati o praterie a sinistra. La passione per le primarie si è molto attenuata ma è improbabile che se ne farà a meno, anche se molti chiedono regole più strette.

Ci si può divertire: girano molti altri nomi quasi tutti destinati al rogo, si fa quasi prima a fare il conto di chi non intende candidarsi, e non sono esclusi cappelli e conigli dell’ultim’ora, al momento ben acquattati. Ma la vera partita si giocherà tra il “modello Milano”, che il sindaco Pisapia rivendica orgogliosamente, e le larghe intese nazionali. Molto sta a capire quanto interesse abbia il premier Renzi per la partita milanese: per la politica romana, Milano è sempre stata un oggetto incomprensibile e potenzialmente esplosivo, vediamo come andrà stavolta. Anche la riuscita di Expo e il dopo-Expo, con particolare riferimento al destino delle aree, faranno sentire il loro peso.

Infine, l’incognita “partecipazione”: non è detto che si replichi la grandissima mobilitazione che nel 2011 portò al cambio di giunta, visto che spenti i clamori della campagna elettorale la giunta è andata per la sua strada senza troppe sfumature arancioni e con puntate francamente dirigistiche. Ancora più seria l’incognita “periferie”, sostanzialmente abbandonate da un governo provincialmente centrostorico-centrico, che non ha saputo vedere l’enorme potenziale della città oltre le mura spagnole e la seconda circonvallazione. Ogni possibile e necessarissima “visione” non può che esercitarsi lì. Fatto che i cittadini “periferici” -giustamente- si sono legati al dito.

 

italia, Politica, Senza categoria Marzo 16, 2015

Venezia, effetto Casson: vince il candidato non renziano. E ora vediamo Milano

Felice Casson, candidato sindaco per il centrosinistra a Venezia

Molto molto bella la stravittoria di Felice Casson (55.6 per cento dei consensi) alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Venezia, staccando nettamente gli altri due candidati. Persona schiva, ai limiti della timidezza, ma di straordinaria fermezza morale, Casson NON era sostenuto dalla gran parte del Partito Democratico veneziano. Il che non ha impedito questo grande risultato, in una città scioccata e umiliata dal tradimento dell’ex-sindaco Orsoni.

Perché poi c’è il voto, è la morale della favola: e quando dalla rappresentazione mediatica, dai talk show, dai trionfalismi bonapartistici si passa al libero voto, le sorprese possono essere davvero grandi. E quando, come nel caso dell’elezione dei sindaci, si può esprimere una chiara preferenza per un candidato e le stanze dei partiti devono ingoiare, capitano cose come questa: ecco perché le preferenze piacciono poco a chi governa.

Intanto tra poco sapremo se Giuliano Pisapia lascerà o si candiderà per il secondo mandato come sindaco di Milano. Molti chiaroscuri nella sua gestione, che sintetizzerei così: una retorica della partecipazione, con i consigli comunali su megascreen come le partite, che ha ceduto rapidamente il passo a una propensione dirigistica; bene il piano del traffico, benissimo la tenuta sui diritti civili, Pisapia è sempre stato stra-garantista; male le periferie, sostanzialmente abbandonate, in una visione un po’ provinciale, borghese e “centrostoricistica” della città. Difetto di visione: sguardo puntato solo su Expo, evento che non sta scaldando i milanesi, e già incagliato nel subito-dopo Expo. Ancora non è chiaro che cosa sarà di quel sito.

Se Giuliano Pisapia non dovesse ricandidarsi per le amministrative del 2016, i rischi per il centrosinistra sarebbero piuttosto elevati: il centrodestra giocherà la sua partita alla grande perché sa molto bene che da Milano -da sempre oggetto misterioso per la politica romana: ignorare o maneggiare con cautela- parte quasi tutto: senza la battaglia del 2011 per il cambio di giunta oggi probabilmente non ci sarebbe un governo Pd. Proprio per questa ragione Matteo Renzi sarebbe fortemente tentato dalla proposta di un candidato-unico destrorso-pigliatutto, scelta che però avrebbe per lui non poche controindicazioni, aprendo spazi a una sinistra che sappia intercettare le sofferenze di una città che non ama esibire i patimenti ma cionondimeno li prova. Con possibili effetti a sorpresa: vedi Casson, quando il Pd vince grazie ai non-renziani.

Partita interessante, insomma, e serio banco di prova per il renzismo, che su Venezia dovrebbe riflettere attentamente: sul tema Renzi, destra e sinistra e Terza società in sofferenza, consiglio caldamente la lucida analisi di Luca Ricolfi (significativamente, non la pubblica Il Fatto Quotidiano, ma il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore). Buona lettura.

 

 

italia, Politica Novembre 4, 2014

Matteo #cambiaverso. #Cambiaidea. E #cambiafaccia

Silenzio sulle cariche -a freddo- della polizia contro gli operai Thyssen. Silenzio su quanto riferito al riguardo dal ministro Alfano, che a quanto si vede benissimo dai filmati di Gazebo non corrisponde al vero (domani la Camera voterà sulla mozione di sfiducia presentata da Sel, Lega e M5S). Silenzio sul silenzio del prefetto di Roma, sempre riguardo alle cariche. Silenzio sul caso Cucchi, che come abbiamo visto si è menato a morte da solo. Silenzio sull’amico e mediatore del Nazareno Denis Verdini, rinviato a giudizio per corruzione.

A quanto pare, quando non c’è qualche rutilante buona novella da dare, Matteo #cambiaverso. Il Grande Comunicatore si inceppa, le notizie sgradevoli rovinano l’immagine, meglio glissare.

Non solo #cambiaverso, ma pure #cambiaidea: su Mare Nostrum, che fino a un paio di settimane fa era il nostro orgoglio -vero-, uno dei migliori prodotti made in Italy, e adesso si può smantellare senza spiegazioni. Sulla Fiom: dal culo-e-camicia con Maurizio (Landini) alla promessa di incontrare una delegazione Fiom, ieri a Brescia, clamorosamente bidonata. Sul jobsact e sull’art.18, una cosina da tre tavolette: dopo aver proposto lui stesso e fatto approvare, in direzione nazionale Pd del 29 settembre, un ordine del giorno che suonava “il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare“, quell’odg l’ha fatto sparire, non l’ha mai inserito nella legge delega, su cui minaccia, dopo quello al Senato, il voto di fiducia anche alla Camera. Il solito caro vecchio OCOP (o così o pomì).

Matteo #cambiafaccia. Visibilmente meno slim, decisamente meno smart, piuttosto incarognito dal cospicuo calo di fiducia (dal 61 al 54 per cento) gli resta la supersonica velocità. Con cui al momento, più che il Paese, sta cambiando -o rivelando- se stesso.

italia, lavoro, Politica Settembre 30, 2014

#Jobsact: perché il lavoro sporco sul lavoro tocca al Pd?

Almeno 3 i topics della fluviale direzione Pd di ieri

• il segretario Matteo Renzi che nell’orazione d’apertura, dicendo “abbiamo sconfitto la politica” (anziché, come da copione, “l’antipolitica”) inciampa in un lapsus da ola. Forse il jet lag depotenzia le capacità di controllo del Super Io.

••  sempre il segretario Matteo Renzi, che in un passaggio dell’orazione finale ha affermato che “gli imprenditori sono lavoratori, come i lavoratori tradizionali”. Insomma: qua di padroni non ce ne sono più. Ci sono solo lavoratori fichi (gli imprenditori) e poi lavoratori d’antan, gente vecchia, muffosa e piena di pretese. Strano, perché io dal mio angolo visuale vedo quasi più padroni che lavoratori, e onestamente li vedo feroci come non mi è mai capitato di vederli prima, e con mani liberissime nella gestione dei traditional e pure dei new. Non mi pare pertanto una buona idea quella di liberargliele ulteriormente, consentendogli di licenziare (senza rischi di reintegra), di demansionare, di mobilizzare, di sfruttare, di terrorizzare, di sottopagare, di umiliare, di ledere la dignità, pratiche che già hanno corso e che, senza l’argine costituito da quel diritto già fortemente depotenziato a cui diamo il nome di art. 18, potranno dilagare fino alla semi-schiavitù. Credo peraltro non sembri una buona idea nemmeno alla grande parte degli elettori del Pd. Non è una buona idea che il lavoro sporco sul lavoro tocchi a quello che dovrebbe essere il partito dei lavoratori (perché se il Pd non è il partito dei lavoratori, allora che cos’è?) mentre la destra se ne esce tutto sommato pulita. Che poi l’idea piaccia all’80 per cento dei membri della direzione è un fatto del tutto occasionale, contingente, in discreta quota opportunistico, oltre che antistorico.

••• top of the topics, quell’impressionante passaggio dell’ordine del giorno conclusivo –stavolta tocca al responsabile economico e del lavoro Filippo Taddei- in cui si propone “una disciplina per i licenziamenti economici che SOSTITUISCA L’INCERTEZZA E LA DISCREZIONALITA’ DI UN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro”. Ergo: se dico che ti licenzio adducendo ragioni economiche, inutile che vai dal giudice, a cui abbiamo tolto la possibilità di reintegrarti. Beccati un po’ di soldi, vai a casa e stai contento, perché pecunia semper certa est, iustitia numquam. Con quei giudici che ci ritroviamo, poi… Come mi scrive un’amica sbigottita, “la rivoluzione francese liquidata in un tweet”.

Non toccava al Pd, questa spallata a ciò che resta in piedi dei diritti dei lavoratori.

Giornata nerissima, quella di ieri.