mara carfagna, ministra per le pari opportunità
Confidavo proprio qualche giorno fa alle amiche di Via Dogana che ho un’amica di destra, ma proprio di destra-destra: Legionari di Cristo, Dio-patria-famiglia con il Cavaliere in appendice, che lei chiama sensualmente e sicilianamente “il Dottore”. E volendo questa sarebbe già una notizia, nel mondo di noialtre guelfe e ghibelline. Perché io proprio la amo.
Ma la notizia vera è che con lei, casalinga di lusso –già ricca di suo e piuttosto ben maritata- io riesco a esibirmi nelle mie ambizioni più smodate e maniacali. Il fatto è che lei produce su di me un effetto di sfrenamento, di disinibizione, di slatentizzazione dei desideri (politici, s’intende, e professionali) come nessuna e nessuno mai prima.
In altre parole, mi autorizza. E poi subito mi carica, mi gasa, fa piani, costruisce sapienti e mafiose strategie di pr, e mi tocca fermarla, terrorizzata: no, guarda che era tanto per dire, io sto bene così. Ma intanto la osservo, come un bizzarro animale, e provo a capire. Perché a me, autorizzata dal padre a mettere un piede nel mondo –e giammai dalla madre autosessista-, pare di avere già ottenuto così tanto. E lei che invece scuote la testa: “Marinetta, con tutto quello che hai studiato… Proprio non sai fare”.
A me mi ha rovinato la sinistra, diciamo la verità. E a proposito di studi: in quarta ginnasio indimenticabili libri di lettura come “Il Manifesto del Partito Comunista” e “La Persia di Mossadeq”. All’Università Statale di Milano, facoltà di filosofia, come a Tirana: ogni tanto fantastico di fargli causa. Schopenhauer neanche di striscio. Tutto Marx, Engels, Lenin, Rosa Luxemburg, Toni Negri, il rinnegato Kautsky, la scuola di Budapest (ho visto che ora Agnes Heller scrive cose tipo “La bellezza della persona buona”. La rispetto e le sono grata, ma vorrei ammazzarla).
Qualche volta ce lo diciamo con mio marito, che nel Pleistocene ha lavorato all’Unità e manco gli hanno versato i bollini, ci mancherebbe. Sicché povero compagno gli toccherà ammazzarsi di fatica per un’altra ventina d’anni. “Ma a noi chi ce l’ha fatto fare? Ci avessimo guadagnato qualche cosa…”. Perché il guadagno dall’altra parte è ferocemente lampante. Tra l’altro io non ero neanche malaccio, e se questa cosa delle gnocche in lista fosse entrata in vigore prima…
Non mi piace il fatto che essere gnocche costituisca un titolo preferenziale per essere cooptata dagli uomini che comandano la politica. Ci vedo dentro sprezzo e illibertà. Ancora meno apprezzo che una sia ancora più titolata se è passata dal letto del leader o di qualcuno dei suoi scherani raccattabriciole, sistema di cooptazione ancora molto in uso in politica, nello showbitz e nelle professioni, compresa la mia. Lo sappiamo tutti, potremmo fare nomi e snocciolare curricula: quella ha cominciato con Tizio, poi è passata a darla a Caio. Abbracci mortali da cui non ti sciogli più, condannata a essere devota non tanto a quel singolo benefattore, quanto al Fallo che ti sei piegata -diciamo così- a onorare, e il cui potere hai corroborato. E destinata prima o poi a essere rimpiazzata con una “mucca nuova”. Chi di gnocca ferisce, di gnocca perisce. La casistica è ampia, e le cose vanno sempre così.
Il che non significa che io sottovaluti il potere della bellezza, che non può essere ridotta a banale fatto mediatico. La bellezza è in sé un medium potentissimo con cui non è il caso di scherzare. Diffido delle donne che non la onorano, che voltano le spalle alla potenza di Afrodite indebolendosi nella violenta sconnessione, irretite da una retorica della bruttezza che ha avuto la sua ragione d’essere nella fase aurorale della rivoluzione delle donne: liberarsi dallo sguardo maschile come misura unica della propria legittimità a esistere. Ma che poi si è malamente evoluta nella perversa equazione: “bruttina e senza tacchi = brava, seria, intelligente e perbene”, solo un altro modo per dare importanza a quello sguardo e adeguarvisi.
Dice la psicoanalista junghiana Ginette Paris che se “la bambola di lusso cerca di piacere, alla donna afroditica si cerca di piacere perché esercita un grande fascino”. Se ci pensate c’è una bella differenza.
Ma torniamo a terra. E al fatto che, con un certo stupore, e al di là dei mezzi più o meno condivisibili con cui si sono affermate, ho visto circolare nel centrodestra più libere e sfrenate ambizioni femminili di quante ne abbia osservate a sinistra. Libere nel senso di giocate interamente e spregiudicatamente per sé. Sebbene talora dovendo passare nell’amaro letto di Procuste –e non solo nel suo- e giocare il gioco sporco della seduzione. Oltre al rischio di essere a scadenza -consumare preferibilmente entro e non oltre-, il ricorso alla seduzione finisce per rinnovare le ragioni del puro arbitrio maschile, che include o esclude le donne secondo il suo capriccio, e condanna le altre a percorrere la stessa libidinosa strada, ad libitum.
Ma vorrei concentrarmi su questa cosa innegabile che libere ambizioni femminili si sono espresse e hanno avuto campo nel centrodestra. Che un’oscura avvocatina miope di Leno si è autorizzata a progettare per sé una carriera politica di tutto rilievo –io non me la sarei nemmeno sognata-, dandosi orizzonti grandi, e questo a prescindere dal giudizio che si può dare del suo successivo operato di ministra.
A sinistra ci sono state e ci sono tante brave, bravissime, preparatissime e meritevoli, e magari pure belle, e magari anche taccate, che però tanta spregiudicatezza non l’hanno mai mostrata, salvo eccezioni come Rosi Bindi. Che non hanno mai desiderato e giocato davvero per sé, che hanno sempre atteso nell’ombra il placet del loro capocorrente, che non hanno mai rotto il patto di fedeltà, che hanno sempre privilegiato il gioco di squadra: ma la squadra era e resta maschile.
Forse, a ben guardare, anche nella vecchia destra le cose andavano in questo modo, o anche peggio. La novità è stata probabilmente la scesa in campo del “Dottore” e con lui l’irruzione nella politica, con tutto il bene e tutto il male, del mercato, delle sue logiche. E delle sue ragazze. Giovani donne ambiziose nate e cresciute nel libero mercato, non nelle scuole della politica, salvo frettolosi corsi dell’ultim’ora. E il mercato è più accogliente della politica, per noi donne. Nessun dubbio. Date un’occhiata alle cifre impressionanti della womenomics e mi saprete dire.
(pubblicato su Il Foglio il 6 febbraio 2010)