Se Non Ora Quando si divide al suo interno sulla legge antifemminicidio.

Ieri il Corriere della Sera ha ospitato una lunga lettera firmata da Se Non Ora Quando – Libere (ala più filogovernativa di Snoq, diciamo così), sottoscritta tra le altre da Cristina Comencini, Francesca Izzo, Licia Conte, Serena Sapegno, Fabrizia Giuliani (qui la lettera integrale).

Oggi la replica di Se Non Ora Quando Factory, ala più “indipendente” di Snoq, che mantiene molte riserve sulla legge:

Qui potete leggere di seguito: ampi stralci della lettera di Snoq Libere, che difende la legge. La mia risposta/commento di ieri. E infine la lettera di Snoq Factory giunta oggi.

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Snoq Libere analizza la legge a cominciare dall’aggravante introdotta quando vi sia o vi sia stato legame affettivo tra l’aguzzino/assassino e la sua vittima (“ora le donne vedono riconosciuta la loro cittadinanza anche dentro casa. Hanno una sicurezza in più“).

Quanto invece all’irrevocabilità della querela, punto più contestato della legge, si dice che essa “per situazioni particolarmente gravi, discende direttamente dal fatto che nella legge la vittima è vista come un soggetto libero e pienamente responsabile delle proprie azioni. E questo sarebbe paternalismo, negazione della libertà femminile, manifestazione di una logica securitaria?”. Se la si pensa in questo modo, continua la lettera, si ha una “visione antistituzionale, o radicalmente liberale, secondo la quale le donne sono fuori o sopra o di fianco, ma comunque estranee alla legge e la loro libertà non ha nulla a che vedere con la polis“, logica che “non ha portato risultati positivi per le donne italiane“.

La lettera stigmatizza il fatto di “volere tante donne nelle istituzioni e poi combattere aspramente un provvedimento che reca comunque la loro impronta” come “segno di incomprensione o di pregiudizio ideologico” e segnala le leggi che “hanno cambiato la vita delle donne italiane, (dal divorzio al nuovo diritto di famiglia all’aborto“.

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Questo il mio commento

Sul punto dell’aggravante:  il valore simbolico è chiaro. Si inverte una logica in base alla quale se a violentarti o malmenarti è il marito o il fidanzato la cosa tutto sommato è meno grave, come se gli si riconoscesse una sorta di diritto a farlo. Anzi, si sancisce, qui la gravità del reato è anche maggiore. Resta tuttavia il fatto che gli aggravi di pena non costituiscono mai un deterrente efficace. E che su questa logica remunerativa e non riparativa (cfr. il recente dibattito nel movimento femminista indiano sulla pena di morte per gli stupratori: vedere qui) il movimento delle donne, che molto poco crede al carcere come luogo di effettiva rieducazione, ha sempre espresso molte riserve.

Sull’irrevocabilità della querela: non è affatto vero che valga solo per le situazioni particolarmente gravi. Secondo la Cassazione deve valere sempre. La conseguenza è che le donne, non potendo revocare, si risolveranno a questo gesto definitivo solo in casi davvero estremi, tirando pericolosamente in lungo situazioni che invece richiederebbero l’intervento del “terzo”. Non è affatto questione di libertà e responsabilità: in questione è la complessità delle relazioni d’amore (leggere Lea Melandri, che se ne occupa da sempre): se in generale le donne esitano a denunciare, di fronte alla mannaia della definitività esiteranno ancora di più, con effetti nefasti. Anche perché l’esperienza insegna che più della metà delle denunce per maltrattamenti familiari e stalking (Procura di Milano) viene archiviata senza alcun atto di indagine. I tribunali sono oberati, la sensazione che il parere della Cassazione vada in direzione di uno sfoltimento è molto forte. Più in generale, non si può non tenere conto del fatto che le operatrici e le volontarie dei centri antiviolenza e delle case delle donne, che operano sul territorio da oltre un trentennio (per esempio quelli associati in D.i.re) hanno manifestato tutto il loro dissenso sul punto dell’irrevocabilità della querela: la loro competenza andrebbe tenuta massimamente in conto. Quanto alla logica securitaria, è stata espressa in modo inequivoco perfino da una delle stesse firmatarie della lettera, Fabrizia Giuliani, che in un’occasione pubblica ha affermato “abbiamo messo in sicurezza le donne”, linguaggio che con il femminismo non ha davvero nulla a che vedere.

Ancora: le leggi. Mi pare che qui la lettera operi una curiosa inversione. Non sono certo le leggi ad aver promosso libertà femminile. Semmai, al contrario, le leggi sono state la conseguenza di cambiamenti reali prodotti dalla forza e dalla libertà delle donne. Vale tra l’altro la pena di ricordare, fatto generalmente dimenticato, che il Pci frenò a lungo sul divorzio (l’immagine qui è molto eloquente)

 

E quanto alla legge 194, la scelta dell'”aborto di stato” -anziché la semplice depenalizzazione richiesta da una parte del movimento delle donne- ci ha condotto alla situazione di oggi: legge sostanzialmente inapplicata. Si valuta che in assenza di provvedimenti urgenti a brevissimo le italiane avranno solo la possibilità del fai da te, della clandestinità e dei cucchiai d’oro (vale la pena di ricordare anche questo: che meno di un mese fa il voto di un gruppo di consiglieri regionali Pd ha impedito che in Toscana passasse una mozione finalizzata a un’effettiva applicazione della legge, circostanza sulla quale, con poche eccezioni, le loro colleghe di partito hanno scelto di fare silenzio).

I “risultati positivi per le donne italiane”, quindi, sono essenzialmente frutto della lotta delle donne italiane, che hanno saputo fare passi da gigante nonostante le percentuali irrisorie di elette nelle istituzioni. Percentuali che oggi, sempre grazie alla lotta di tutte, sono significativamente aumentate: si tratterebbe ora di vedere segni concreti di questa massiccia presenza in un cambio vero di civiltà politica. Uno dei segni, per esempio, sarebbe quello di affidarsi alla competenza di chi da anni lavora in solitudine e senza risorse nel territorio della violenza sessista prima di varare un provvedimento su questi temi.

La lettera di Se Non Ora Quando Libere, infine, non fa menzione di altre due questioni significative:

la legge non fa riferimento a terapie alternative alla pena, ma parla unicamente di indicare agli ammoniti la possibilità di rivolgersi a centri che lavorano sulla violenza maschile. L’esperienza di anni  indica il fatto che il primo passo per un violento e/o sex offender è riconoscersi come tale: difficilissimo, quindi, che possa esservi un’adesione spontanea a un progetto di recupero. Diverso sarebbe se la terapia fosse alternativa alla pena, e quindi in qualche modo obbligatoria. Il desiderio di molte donne abusate si è espresso in questa direzione: vorrei che lui si curasse, non che andasse in galera. E in questo desiderio c’è molta sapienza -una logica, appunto, davvero riparativa e non semplicemente remunerativa- perché non se ne è tenuto conto?

Infine: a deporre a favore di un impianto sostanzialmente securitario c’è anche il fatto, di cui la lettera non fa menzione, che la legge, oltre che di donne si occupa di No Tavfurti di rame. Il che, insieme all’irresponsabilizzazione connessa all’irrevocabilità della querela, suggerisce  l’idea di una donna non soggetto della propria storia, ma in qualche modo oggetto -come il rame, come un’opera pubblica- da tutelare. Circostanza che ha autorizzato molte, e anche in Se Non Ora Quando, a parlare di un femminicidio simbolico.

Il problema non è la sicurezza femminile. Il problema è l’insicurezza (pericolosissima) maschile, che dal decreto scompare.

La questione è maschile.

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Ed ecco infine la replica di Se Non Ora Quando Factory: in Snoq, si precisa, non c’è un pensiero unico.

“Apprendiamo da una lettera alla vostra redazione quale sia la posizione delle “donne di Se non ora quando” sulla legge contro la violenza. Lo apprendiamo noi che facciamo parte di Se non ora quando. La lettera è stata firmata da un gruppo di donne che costituisce uno delle decine e decine di comitati Snoq sul territorio nazionale, il comitato “Se non ora quando–Libere”. Se non ora quando è un movimento molto ricco, attraversato da idee e visioni differenti. Da alcuni mesi non ha più un Comitato Promotore, quello che indisse la manifestazione del 13 Febbraio e indirizzò il percorso politico del movimento per circa due anni.

Il Comitato Promotore si è sciolto e diviso in due gruppi: “Se non ora quando–Libere” e” Se non ora quando-Factory”, e il movimento tutto si sta riorganizzando, con le sue molteplici realtà. Snoq, dunque, non ha più una voce unica con cui esprimersi. “Se non ora quando–Factory” è stato udito alla Camera a Settembre dove ha depositato un documento, firmato da 47 comitati territoriali di Snoq, in cui criticava con molte motivazioni il decreto legge. Ne rigettava l’impianto prevalentemente securitario e ne denunciava soprattutto l’insufficienza rispetto all’area della prevenzione della violenza, che tanto spazio occupa invece nella convenzione di Istanbul. La posizione espressa dalla maggioranza ha trovato discordi le donne di “Snoq–Libere”, autrici della lettera da voi pubblicata.

Noi crediamo di aver avuto, con le altre associazioni e parlamentari che hanno criticato il decreto, un ruolo importante nel promuovere la sua modifica. Pensiamo però che il risultato finale sia ancora lontano dall’impianto che dovrebbe avere una normativa sulla violenza efficace, che parta dalla prevenzione, dalla scuola e dall’educazione, che sostenga realmente i centri anti-violenza, e che soprattutto valorizzi la capacità di autodeterminazione delle donne, non che le individui come soggetti deboli da “mettere in sicurezza” per di più con la beffa di inserirle in un pacchetto dove si agisce, più nascostamente, su altre questioni come la Tav o i furti di rame.

Non pensiamo che questa nostra posizione sia una “visione antistituzionale, o radicalmente liberale secondo la quale le donne sono fuori o sopra o di fianco, ma comunque estranee alla legge e la loro libertà non ha nulla a che vedere con la polis”, come scrivono le donne di “Snoq-Libere”. Tutt’altro. Noi pensiamo e affermiamo con forza che le donne e i loro corpi non possano essere utilizzati per far passare misure che non hanno niente a che fare con le loro vite e con il loro essere nella polis. Non “donne fuori, sopra o di fianco” alle leggi, ma donne messe “sotto” la legge. È possibile accettare una legge omnibus come questa, e dire addirittura che contiene qualcosa di rivoluzionario? Cosa c’è di rivoluzionario nell’utilizzare le donne come eterne ospitanti di questioni che non le riguardano? Proprio nulla. Che cosa le mette fuori dalla polis se non questo tipo di operazione, dove il riconoscimento della loro libertà è parziale, se non di facciata?

Le leggi non hanno “cambiato la vita delle donne italiane”, come scrivono le donne di Snoq Libere. Le leggi hanno registrato e testimoniato le conquiste fatte dalle donne con fatica e grande determinazione. Fare il percorso inverso, partire dalla legge per cambiare la vita delle donne può essere pericoloso, può farci perdere di vista proprio quelle vite. E il fatto fondamentale che è dalle vite che bisogna partire per fare le leggi.

In una fase come questa, – in cui l’autodeterminazione delle donne è continuamente messa in discussione, in cui la legge 194, senza un’adeguata regolamentazione dell’obiezione di coscienza, finisce per lasciare sole le donne, invece che essere il baluardo di un loro diritto inalienabile – noi non sentivamo proprio il bisogno di una legge che proteggesse le donne, che le dipingesse come soggetti deboli dove la libertà viene al secondo posto, dopo la “tutela”“. 

Se non ora quando – Factory

 

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