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economics, italia, lavoro Marzo 24, 2014

Start up innovative: finalmente una buona notizia

Qualcosa si muove sul fronte “start up innovative”: ce lo spiega Rita Castellani di Newnomics

Grazie ad un provvedimento del Governo Monti (l.221/2012), integrato da uno successivo del Governo Letta (d.l. 76/2013), che ha definito per la prima volta nell’ordinamento giuridico il concetto di “start up innovativa” e introdotto un regime fiscale di favore, come esistente in numerosi paesi europei, qualcosa si sta muovendo.

La normativa, entrata in vigore lo scorso ottobre dopo le verifiche europee di conformità, comincia a dare i suoi frutti. Nell’apposito Registro speciale creato un anno fa presso le Camere di Commercio sono già 1800 le nuove iscrizioni. E grazie ad uno speciale visto per l’ingresso di investitori stranieri (start up visa), che prevede una procedura particolarmente veloce, che sarà operativo a breve, ci si aspetta anche l’ingresso di capitali dall’estero: per investire greenfield, cioè su nuove attività, e questa sarebbe davvero una bella novità.

Il regime fiscale è particolarmente favorevole, in particolare per l’assunzione di alte professionalità e per la remunerazione di dipendenti e fornitori di servizi con stock options (credito d’imposta del 35 per cento). E la Regione Campania sta pensando anche ad una integrazione con la sospensione dell’Irap.

Non sono previsti, invece, contratti di lavoro “punitivi”. Perché gli imprenditori che mirano ad alta produttività sanno bene che non si concilia con condizioni di lavoro mortificanti.

Speriamo che questo supporto alla creazione d’impresa non venga meno nel prossimo Dpef e che, anzi, venga potenziato. Perché questa è davvero una misura che può cambiare il passo del paese, invertendo il flusso in uscita di giovani competenze che ne sta rapidamente impoverendo la linfa vitale.

Politica Agosto 29, 2012

Allora meglio un Monti-bis

Assisto con disgusto, come voi tutti, al braccio di ferro sulla legge elettorale.

Se questo è lo stile -pensare prevalentemente ai c…i propri, ma proprio ai c..i propri soggettivi- e tenere inchiodato il Paese, com’è sempre successo su mille questioni, salvo poi chiamare l’Espertocrazia perché realizzi in 6 mesi e in modo necessariamente raffazzonato -vedi il decretone sulla salute- le riforme che attendono da decenni, se questa è la prova generale, be’ allora possiamo riporre ogni speranza.

Allora mi arrendo, allora meglio un Monti-bis, mi dico, e me lo dico per disperazione. Allora meglio un premier che goda in giro per il mondo di qualche credibilità: non possiamo fare a meno di questo, qui si propone per la premiership gente che non sa nemmeno spiaccicare due parole in inglese: perché anche per un cococo, per un cameriere che serve ai tavoli, per un tassista l’inglese è tassativo, ma per fare il premier a quanto pare è un optional. Ma un Monti affiancato da una squadra che svecchi la sua visione, la spinga fuori dai limiti dell’iperrealismo finanziario ed economicista, azzardi una diversa idea di crescita, faccia finalmente l’Italia. Una squadra con tanti giovani, e tante donne fedeli al proprio genere e al proprio buon senso.

Se si trovassero le mediazioni per concepire una simile Chimera, se si capisse come arrivarci salvando la democrazia, forse sarebbe la soluzione, almeno per il futuro prossimo. Non è più sopportabile da nessun* l’idea che si torni indietro, alle solite facce di sempre, al solito linguaggio, al solito fancazzismo, alle solite meline, alla solita corruzione, alle solite ruberie, alla solita incapacità politica, alla solita irresponsabilità, ai soliti privilegi, al solito monosex, al solito vecchiume, alla solita mancanza di visione, alla solita ignoranza delle cose, al solito egoismo.

No, davvero non è più sopportabile.

 

Aggiornamento, giovedì 30 agosto:

Ieri abbiamo assistito a un vero e proprio endorsement di Angela Merkel a Mario Monti. Concordato o meno, non so. Aveva il vago sapore di una minaccia: ovvero, ci fidiamo solo di lui, attenti a quello che fate. Sembra il preludio a una ricandidatura.

E’ strano che non si sia inteso il senso del mio post -come se sentissi che qualcosa era nell’aria, e infatti…-. Post scritto da una che non auspica affatto il Monti bis, ma sente che il clima sta montando in questa direzione. Soprattutto perché la gente non si fida dei partiti, è convinta che le cose, da male che vanno, potrebbero precipitare nell’assoluto peggio. E lo spettacolo offerto sul tema della legge elettorale dà drammaticamente ragione a questo timore.

Purtroppo sul fronte dei partiti, a parte la cavalcata di Renzi, non si vede nulla di nuovo. Qualcosa vedremo di sicuro nelle prossime settimane -anche non conoscere la soglia di sbarramento smorza ogni audacia-. Niente dalle donne –che delusione, Se Non Ora Mai Più-, nessun movimento da parte dei giovani, anche gli innovatori dei partiti esitano. Qualcosa vedremo di sicuro, la situazione è in costante movimento. Ma al momento, ribadisco: se la prospettiva è quell’angoscioso ritorno al passato -perché quegli stessi che non hanno fatto ciò che dovevano, ora miracolosamente dovrebbero farlo?- tanto vale che ci teniamo ancora per un po’ quello che abbiamo.

 

AMARE GLI ALTRI, lavoro, scuola Agosto 27, 2012

I giovani! I giovani! I giovani!

Rieccomi amic*! Non mi farò tentare dalle disgustose risse a sinistra. Non intendo certo dedicare il primo post della ripresa a questo spettacolo immondo -solo, mi domando: chi si candida alla premiership, mi riferisco a Pierluigi Bersani, crede di guadagnare fiducia da una simile scompostezza?-.

Voglio ricominciare da quello che conta davvero, e se permettete parto dai miei principi politici assoluti, che voglio ribadire. Sono due, e semplicissimi: riduzione del danno per il maggior numero, tenere i più piccoli -piccoli umani, animali, piante- al centro di ogni decisione pubblica. Sono convinta che le cose andrebbero molto meglio per tutti se passassimo ogni scelta al vaglio di questi due principi.

Dal governo Monti mi aspetto che i giovani -e i piccoli in generale- siano il fuoco del rush finale, di qui alle prossime elezioni. Pensare a loro. Ascoltarli. Interpellarli. Coinvolgerli. Mobilitare la loro attenzione e la loro partecipazione. Ma più l’orribile espressione “generazione perduta”. La generazione perduta sarà la nostra, se non sapremo finalizzare ogni sforzo e ogni sacrificio a questo irrinunciabile obiettivo.

Il governo Monti finora ha fatto davvero poco per i giovani. La riforma del lavoro è stata una grande delusione soprattutto su questo fronte. A breve dovrebbe entrare in vigore il provvedimento sullo start up delle aziende innovative, che tra l’altro consentirebbe agli under 35 di aprire una srl con un solo euro. Perfetto, ma serve ben altro. Sappiamo tutti benissimo che cosa: misure davvero efficaci contro il precariato, incentivi alle aziende virtuose e penalità per gli sfruttatori, efficaci misure per l’apprendistato, serie politiche per la casa, mutui agevolati, servizi per le giovani coppie e i loro bambini, e così via.

Qui voglio dire qualcosa di più sul tema della formazione: di cui va garantito l’alto standard, ma l’imbroglio della formazione-parcheggio deve finire. Università, specializzazione, master, corsi e contro corsi: se va tutto bene si arriva alle soglie dei trent’anni. Ma è a venti e something che si apprende un lavoro.

Parlo ad esempio del mio mestiere, quello di giornalista. Dopo la laurea (da tre a cinque anni, se va tutto liscio), le strade possibili sono due: il praticantato di 18 mesi in una redazione (con regolare assunzione) al termine del quale si affronta l’esame di stato, opzione oggi meramente teorica; o un biennio di scuola di giornalismo -se non ho capito male solo scuole italiane: i master all’estero, incredibilmente, non sono riconosciuti-. A cui vanno aggiunti eventuali corsi specialistici, più quelli obbligatori di lingue, e via dicendo. Se tutto va come deve, insomma, si comincia a lavorare -precariamente, e chissà per quanto- solo sui 27-30 anni. Da quello che pare l’intenzione sarebbe quella di abolire del tutto la via del praticantato sul campo per rendere obbligatoria la scuola. Insomma, di fatto si abolirebbe l’apprendistato, che a mio parere resta la via maestra per imparare un mestiere. Una follia. L’apprendistato andrebbe favorito, introdotto, regolamentato, defiscalizzato in tutte le professioni e i mestieri. Si sta andando invece nella direzione opposta.

Così proprio non va. I ragazzi devono cominciare a lavorare prima possibile, alternando lavoro e formazione -solo strada facendo si capisce che cosa è necessario approfondire-. Il business dei corsi e dei master, per i quali le famiglie si costringono a enormi e spesso inutili sacrifici, va in ogni modo ostacolato.

Su questa sterminata questione -i giovani, cioè le nostre famiglie, la nostra vita- ancora un paio di cose: tutti dovremmo darci da fare per loro, mettendo in campo con generosità politica la nostra esperienza, offrendo le nostre consapevolezze e il nostro meglio. E infine: è assolutamente impensabile che la nostra futura rappresentanza politica non ringiovanisca, oltre a femminilizzarsi.

Ma a quanto pare non ci stanno pensando affatto.

 

AMARE GLI ALTRI, Politica Aprile 19, 2012

La crudeltà dei Professori

Un giornalista, Giorgio Sturlese Tosi, invita noi colleghi a una riflessione:
“Molti inevitabilmente stanno in questi giorni sottolineando il fenomeno dei suicidi per motivi economici. Fatte salve tutte le giuste considerazioni sulla necessità di fornire una corretta informazione, soprattutto in un momento difficile come questo, temo che ci stiamo un pò tutti rendendo partecipi di un fenomeno che rischia di avere conseguenze gravissime sui lettori più fragili. Limitarsi ad elencare ogni nuova morte sta già provocando una suggestione che porta al triste fenomeno dell’emulazione.
Un titolo non può mai valere la vita di una persona. Il compito di un bravo cronista, credo, sarebbe quello di dare pure la notizia, cercando però di approfondirla, chiedendosi davvero chi è e perché si è tolto la vita un imprenditore o un lavoratore disoccupato. dovremmo avere la voglia di tornare a fare il nostro lavoro, anticipando l’evento. Capire quali sono le situazioni di emergenza, svelare se vi sono eventuali comportamenti illegittimi da parte di chi licenzia o chi costringe a chiudere, smuovere le coscienze e le autorità per sbloccare sistemi delittuosi come i pagamenti da parte dello Stato. Insomma, anticipare e cercare in qualche modo di offrire un’alternativa a quegli episodi che portano al suicidio di una vittima della crisi.
Limitarsi a riportare la notizia, senza approfondirla, è molto facile, ma serve a poco e rischia davvero di renderci complici di queste tragedie”.
Al di là del cosiddetto “effetto Werther“, il fatto, cioè, che in soggetti particolarmente fragili e in difficoltà la notizia della catena di suicidi possa offrire lo spunto definitivo, la cosa pericolosa è l’assuefazione -un po’ quello che capita per i femminicidi-: è “normale” che capiti, è uno dei segni del tempo, non ci si può fare nulla. Quando invece ci si può fare moltissimo.
Metto insieme le considerazioni del collega con una riflessione di Giulio Sapelli nel sui recentissimo pamphlet “L’inverno di Monti” (Guerini e associati), là dove, dopo aver assimilato la figura del premier a quella del dictator romano, “tiranno” pro tempore -massimo sei mesi- dai poteri illimitati, nominato “in circostanze gravissime” e quando “un pericolo tangibile” minacciava Roma, osserva che invece oggi ci sarebbe “bisogno più che mai di politica, non di sottrazione di continui lembi di legittimazione alla politica, che è ineliminabile… La conseguenza di questo rifiuto della soluzione politica è stata non soltato l’aumento della sofferenza sociale, ma l’emergere di una “crudeltà istituzionale” sino a oggi inusitata”.
Oggi leggiamo che una famiglia su due è in difficoltà: non è questione di pochi.
“I professori italici” continua Sapelli, che insegna Storia Economica all’Università degli Studi di Milano “vivono nell’iperuranio dell’astrattezza… concepiscono i soggetti umani come cavie e non come persone”. E stigmatizzando la loro “autostima illimitata”, Sapelli osserva che “le persone non solo soffrono, ma si ribellano e dilaniano il loro essere se colui che decide non le ascolta, non le consulta. Questi dictator dimidiati non fanno che aumentare la sofferenza, che diventa disperazione… per far finire la crudeltà occorrono scelte che appaiono impossibili e che sono per questo le sole praticabili e giuste: si riformino le banche“.
Restiamo umani.
Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Aprile 11, 2012

Riforma del lavoro: ci basta?

E al capo V del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, sotto la voce “ulteriori disposizioni”, arrivano le voci rubricate come “donne”: dimissioni in bianco, figli, baby sitter. Troppo poco? Un primo segno? Ne l’uno né l’altro. Perché per capire quello che la riforma significa per le donne, conviene guardare al tutto (http://governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=67489), non solo al ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, al mini-mini congedo di tre giorni continuativi di paternità obbligatoria, e ai buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.

Togliamo subito di mezzo il Moloch: l’articolo 18 e l’accordo finale che lo ha avuto ad oggetto. Non perché non conti: sotto la voce “economici” potevano passare anche i licenziamenti discriminatori. Adesso i pesi sono stati un po’ riequilibrati, si sono rafforzate le tutele in uscita, buttando la palla nel campo dei giudici. Ma tutto questo dibattito ha continuato a oscurare l’altra faccia della riforma, la questione dell’entrata al lavoro. Su questo ci vogliamo concentrare. Perché a noi interessano quelle che l’art. 18 non ce l’hanno e non lo avranno mai, le non-posto-fisso, senza tutele. Era per loro la riforma, no? Allora qualche numero, e i nostri 4 punti.

Uno. Non tutti i disoccupati sono uguali. Ci sono quelli che hanno appena perso un lavoro e quelli che invece cercano il primo lavoro, o escono da un periodo in cui (vuoi per scoraggiamento, vuoi per altri accidenti della vita, tra i quali – per dire – un figlio) non l’avevano e non l’hanno cercato. Tra i primi (disoccupati ex-lavoratori) i maschi sono la maggioranza: 56%. Nel secondo gruppo (nuovi entranti sul mercato del lavoro) primeggiano le donne: 63%. (dati Istat, riportati nell’articolo di redazione di inGenere.it “Lavoro, una riforma che guarda al passato”, http://www.ingenere.it/articoli/lavoro-una-riforma-che-guarda-al-passato). Tutti gli ammortizzatori sociali oggi esistenti sono per il primo gruppo, gli ex. Motivo forte per sperare nella riforma. Che però non prevede niente per i nuovi entranti: hai un’indennità, di qualche tipo, in caso di disoccupazione, solo se hai perso un lavoro.

Due. Anche quelli che hanno perso un lavoro non sono tutti uguali. Ci sono i tempi indeterminati, quelli del posto fisso, poi i tempi determinati, posto a termine ma comunque da dipendente, e tutti gli altri, i precari (co-co-pro, partite Iva, prestatori occasionali, ecc). La riforma allarga le tutele solo ai dipendenti, rispetto a prima quel che cambia è che ci sono gli apprendisti e gli artisti. Per loro sarà l’Aspi. Mentre la mini-Aspi rafforza un po’ la vecchia “disoccupazione a requisiti ridotti”, ma ancora una volta riguarda solo quelli che escono da un lavoro dipendente (e hanno almeno 2 anni di contributi versati). Rimangono invece esclusi da qualunque tutela “tutti gli altri” e le donne – manco a dirlo – sono qui le più numerose. Una ricerca Isfol (si veda http://www.isfol.it/Notizie/Dettaglio/index.scm?codi_noti=7176&cod_archivio=1) ha, infatti, calcolato che tra i lavoratori “non-standard” ci sono più donne che uomini. Se poi si va a guardare per fasce d’età troviamo che è sotto i 40 anni che c’è la maggiore disuguaglianza tra uomini e donne con un’alta concentrazione di precarie. Lo confermano anche i dati Inps sulla gestione separata. Discriminazione per fertilità? A questo proposito, nella riforma non c’è traccia dell’assegno di maternità universale, cavallo di tante battaglie (si veda la proposta elaborata dal gruppo Maternità e paternità: http://maternitapaternita.blogspot.it/p/avere-un-figlio-oggi-e-un-privilegio.html).

Tre. Quel che c’è sono alcuni paletti e vincoli all’uso dei contratti precari. Che daranno più rogne amministrative e costeranno di più. I contributi per gli atipici infatti salgono, e parecchio: per i co-co-pro arriveranno al 28% l’anno prossimo e al 33% nel 2018. Se le imprese saranno costrette a pagare i contributi ai co-co-pro quasi quanto quelli dei dipendenti, alla fine potrebbero trovare conveniente assumerli, dice il governo. Ma il ragionamento cade se questi contributi, formalmente a carico dei datori di lavoro, alla fine saranno scaricati sui precari stessi, abbassando il loro compenso netto. Lo dicono i precari dell’associazione Tutelare i lavori (Un bidone per i precari, http://www.tutelareilavori.it/), e lo ha scritto Tito Boeri: “in assenza di un salario minimo, nel caso di lavoratori a progetto e altri lavoratori parasubordinati, il maggiore carico contributivo potrà facilmente essere fatto pagare al dipendente sotto forma di salari più bassi. I lavoratori parasubordinati stanno già ricevendo lettere dai datori di lavoro in cui si annunciano riduzioni del loro compenso nel caso di riforme che aggravino i costi delle imprese”). (http://www.lavoce.info/articoli/-lavoro/pagina1002956.html). Morale: i precari avranno contributi più cari senza nessuna tutela in più.

Quattro. Eccoci alla voce “ulteriori”, zona donne. La legge contro le dimissioni in bianco, abolita dal governo Berlusconi nel 2008, prevedeva che le dimissioni volontarie potessero essere firmate solo su particolari moduli degli uffici del lavoro, numerati e datati: in questo modo si poteva evitare la pratica, appunto, della firma preventiva su fogli bianchi senza data. Procedura troppo complicata, secondo il governo, che ne ha predisposto un’altra (v. art. 55 del ddl): salutiamo la buona notizia, sperando di essere finalmente passate dal simbolo alla realtà. (Anche se qualcuno teme che alla fine i datori di lavoro colpevoli di aver fatto firmare le dimissioni in bianco possano cavarsela solo con una multa: ma su questo, sarà opportuno aspettare i dettagli tecnici del testo e analisi più approfondite). Mentre è di certo solo un simbolo l’art. 56, quello sui congedi obbligatori di paternità: 3 giorni in tutto, “anche continuativi”, di cui due “in sostituzione della madre”. Alcuni contratti di lavoro già prevedono congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. E questo è un passo avanti. Ma così piccolo e così puramente simbolico da poter sembrare quasi un inciampo. Ovunque si discuta seriamente di congedi di paternità, si va ben oltre la soglia – abbastanza risibile – dei tre giorni (si veda il dossier http://www.ingenere.it/dossier/i-congedi-di-paternit). Forse consapevole del fatto che le misure proposte sono poca roba, il ministro Riccardi si appresta a rafforzare il pacchetto “congedi” nell’iter parlamentare, mettendoci dentro anche quelli per i nonni: perché allora non preparare in parlamento un assalto trasversale al congedo di paternità, portandolo da 3 a 15 giorni?

Insomma, il primo atto del governo Monti-Fornero ha aumentato l’età della pensione, nuove regole per tutti ma con effetti prevalenti sulle donne. Dal secondo atto – la grande riforma del mercato del lavoro – era lecito aspettarsi una fase due un po’ women friendly, dato che la titolare del lavoro ha anche le pari opportunità, dato che le analisi sull’aumento del Pil che può portare il lavoro femminile si sprecano, dato che il vecchio sistema degli ammortizzatori sociali era studiato sul maschio-adulto-e-garantito. E invece, di gender mainstreaming nella riforma non c’è traccia (si veda anche l’analisi di Snoq: http://www.senonoraquando.eu/?p=9234). Finisce che portiamo a casa solo un articoletto che, ben che vada, impedisce di buttarci fuori quando abbiamo la pancia. Ci basta?

 

contemporaneamente postato da

Roberta Carlini

Giovanna Cosenza

InGenere-Webmagazine

Loredana Lipperini

Manuela Mimosa Ravasio

Lorella Zanardo

e da

Italia 2013

Supercalifragili

Giorgia Vezzoli

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Aprile 7, 2012

Questo governo non sta facendo nulla per le donne/ 3

La mia opinione sulla riforma del lavoro l’avevo espressa qui, e anche qui.

Anche l’altro giorno al Corriere, presentando il mio libro, mi ero unita a Chiara Saraceno in una valutazione molto severa sulla riforma.

Ora -gaudium magnum- Se non ora quando esprime un giudizio chiaro e netto. Che vi propongo qui e sottoscrivo integralmente (il titolo è quasi lo stesso).

 

 

Riforma del Lavoro: nulla di significativo per le donne

 Il testo licenziato dal Governo è significativo e può essere valutato in molti modi. Noi del movimento Se Non Ora Quando lo guardiamo dal punto di vista delle donne e vediamo che però ben poco di significativo è stato fatto per loro.

La ministra del Lavoro potrà forse dire che l’irrigidirsi delle norme sulla flessibilità in entrata le favorisce e che sono state reintrodotte norme che scoraggiano le dimissioni in bianco. Noi sappiamo però che l’occupazione delle donne aumenterà soltanto se ci sarà una ripresa degli investimenti, e che questa ripresa deve includere investimenti privati e pubblici nel welfare. Avevamo chiesto che per questo venisse usato il risparmio ottenuto innalzando l’età pensionistica delle donne. Non ne vediamo traccia.
Le poche disposizioni previste per il lavoro femminile sono aggiunte ad un testo cui manca, nel suo complesso, la prospettiva trasversale di gender mainstreaming dettata dall’Unione Europea.

Le stesse misure antidiscriminatorie, come la reintroduzione di norme che scoraggino le dimissioni in bianco o di sostegno – come i voucher –, si rivolgono in prevalenza a chi ha un lavoro dipendente, escludendo di fatto le giovani che lavorano a tempo determinato con contratti e collaborazioni precarie.
Per le dimissioni in bianco, in particolare non ci convince che l’eventuale reato commesso sia derubricato a illecito amministrativo e risolto con un risarcimento.

Le misure sulla maternità e i congedi parentali ci paiono invece del tutto insufficienti. Il segnalino alle donne, rappresentato dal congedo parentale sperimentale per i padri, non può essere considerato una conquista consistente e ci appare come un provvedimento innocuo e quasi offensivo.

Servono misure più forti per una vera politica di parità.

Diciamo perciò al Presidente del Consiglio Monti che quando ha esordito nel presentare il suo governo al Senato aveva usato parole e accenti che avevano fatto sperare in un vero rinnovamento del Paese attraverso l’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro e nella cittadinanza piena. Il governo avrebbe in tal caso fatto di se stesso l’artefice-protagonista di una vera, grande innovazione politica, questa sì in grado di allineare l’Italia all’Europa.
Così non è stato e l’occasione è andata perduta.

Così non va, non va, professor Monti, l’Europa è ancora ben lontana.

Comitato Promotore Nazionale Se Non Ora Quando

Politica Febbraio 7, 2012

O con lui o contro di lui?

Posta un lettore qui sotto, dove si dibatte sulla battutona della ministra Anna Maria Cancellieri (peraltro stigmatizzata un po’ da tutti):

“La sintesi dei partecipanti al blog:  per fare quello che ha fatto Monti non serviva un professore, bastava un bidello.
David Thorne, ambasciatore americano in Italia: Monti ha cambiato la dinamica europea.
Che ignorante questo rappresentante dei poteri forti che non ha letto le vostre critiche”.

Non è l’unic*, anzi sono in tanti ad assumere questa posizione, che definirei fideistica: o in questo governo ci credi senza riserve e senza critiche, o non ci credi affatto. O bianco, o nero. O stai con Monti, o sei un nostalgico del Cav. E così via.

E invece è possibile, e anzi auspicabile, avere fiducia in questo governo e dissentire da alcune delle sue azioni o posizioni. O, viceversa, non crederci, ma convenire sulla bontà di certe operazioni. Ed esprimere le proprie posizioni, opportunamente dialettiche.

L’uomo della salvezza non esiste. Essere politicamente adulti richiede di prenderne atto.

Soprattutto in un Paese come il nostro, storicamente propenso all’Amministratore Unico.

ambiente, Politica Dicembre 16, 2011

La macumba dei tassisti

Ieri sera intorno alle 20.15 in largo Treves a Milano ho fraternizzato con altri cittadini, una decina, in coda per un taxi: sapete com’è, la nebbiolina, le luminarie, il freddo, l’aria natalizia… E’ stato carino. Nel frattempo di taxi non ne sono arrivati, erano quasi le nove, mio marito e io abbiamo salutato i compagni di sventura e siamo andati a prendere il metrò. Era una serata normale, non c’erano fiere o altre kermesse, semplicemente a Milano i taxi, oltre a essere ancora un lusso causa elevate tariffe, non sono sufficienti. Ma provate a dirlo ai taxisti, e vi copriranno di maledizioni. Provate a dirgli che a New York con 5-7 dollari ti fai tutta Manhattan, e che in giro ci sono più taxi che auto private, idem a Londra e nella gran parte delle metropoli, e sarete oggetto di una macumba. Ogni volta che ne ho parlato con un tassista, la risposta è stata immancabilmente: “Ma a New York è diverso. A Parigi è diverso”. Certo, nessun dubbio, è diverso.

Il governo Monti ha dovuto rinunciare a buona parte dei suoi progetti anticorporativi. Non so se rischierebbe la sfiducia a causa dell‘ira tassinara. So per certo che i trasporti pubblici sono una questione strategica, specialmente in una città che si ammala a causa del trasporto privato.

Spero che ci siano ancora margini per vincere questo odioso braccio di ferro tra interessi particolari e interesse generale.

Donne e Uomini, economics, Politica Dicembre 6, 2011

Continueranno a evadere

Mi auguro non sia solo un esercizio di retorica dire che questa manovra, che fa esultare i mercati, nella sua sostanza non va. La speranza è che ci sia un dibattito parlamentare vero e che almeno alcuni degli emendamenti vengano accolti.

Questa manovra non va per due grandi ordini di ragioni: a) non è sufficientemente equa b) non vi è alcuno spiraglio che lasci intravedere all’orizzonte un modello diverso da quel capitalismo finanziario che ci ha portati alla catastrofe: in buona sostanza, le logiche con cui si cura il male sono le stesse che l’hanno causato.

Sull’equità: tra le molte questioni, la domanda principale è per quale ragione la manovra sostanzialmente non intervenga sul problema dell‘evasione fiscale, problema numero uno del nostro bilancio. Perchè? Se tutti pagassero quanto devono saremmo fuori dai guai. E’ evidente a tutti che il limite di 1000 euro per la tracciabilità è una misura insufficiente e facilmente aggirabile. Ergo: si potrà tranquillamente continuare a evadere, e nessuno denuncerà gli evasori, non avendone alcuna convenienza. Questo renderà insopportabile ogni sacrificio, insieme al forte peso simbolico del non-intervento sui costi della politica -la casta non voterebbe mai una manovra che contenesse seri provvedimenti anti-casta-. Quanto a questioni simboliche, anche la Chiesa -la Cei concorda sul fatto che la manovra avrebbe potuto essere più equa- dovrebbe spontaneamente offrirsi fare la sua parte, versando l’Ici sul suo cospicuo patrimonio immobiliare, circa 50 mila immobili sul territorio italiano in gran parte non adibiti a esercizio del culto.

Sul “modello”. Leggo sul Corriere, non su un foglio rivoluzionario, le riflessioni del premio Pulitzer Adam Haslett: “Sia al di qua che al di là dell’Atlantico, le esigenze delle élite finanziarie si scontrano con la volontà popolare, apertamente ignorata” (…) “E’ assai poco rincuorante constatare che l”attuale crisi non rappresenta che un semplice ingranaggio nell’evoluzione storica complessiva del capitalismo occidentale, che continua a redistribuire la ricchezza verso l’alto, a indebolire le istituzioni democratiche e a concentrare il potere nelle mani di pochi individui“. Considerazioni perfino “banali”, che raccontano qualcosa che è sotto gli occhi di tutti.

Molto difficile che siano dei professori di economia a portarci fuori da questa idea di economia.

Ci sarebbero tantissime altre cose da dire. Ne dico almeno un’altra: si conferma l’idea che le donne conquistino la parità lavorativa solo in uscita (età pensionabile), con pensioni mediamente inferiori del 30 per cento a quelle degli uomini, continuando a erogare -anzi aumentando- le loro prestazioni di welfare vivente. Su questo conviene a tutti continuare a non vedere e a tacere. Mi auguro che non tacciano le donne di Se non ora quando che l’11 dicembre manifesteranno a Roma.

L’augurio è che la partita non sia ancora del tutto chiusa. Il problema è come riuscire a farsi sentire.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Dicembre 5, 2011

La ministra più bella del mondo

Ci sono gesti molto più politici di un decreto, c’è un simbolico che sposta di più che mesi e mesi di dibattito parlamentare. Di questi gesti, da parte della ministra del Lavoro Elsa Fornero, ieri ne abbiamo visti due.

La mattina, ricevendo la delegazione dei “giovani”, vedendo che erano tutti maschi ha espresso il suo sconcerto, dicendo che “così non si va da nessuna parte”, e indicando la strada: se vogliamo andare da qualche parte, le donne devono essere protagoniste della politica a tutti i livelli. E’ la prima volta che capita.

La sera, illustrando in conferenza stampa i provvedimenti sulle pensioni, è scoppiata in lacrime mentre stava pronunciando la parola “sacrificio”, senza riuscire a dirla. Lacrime di empatia e di compassione per tutti quelli che soffriranno, a causa di questo provvedimento, dopo un ventennio di sentimenti ad personam. Lacrime, forse, di rabbia, per lo scacco, per non essere riuscita a trovare e imporre un’altra soluzione. Un pianto che dice l’enorme peso della responsabilità, sentita fino in fondo, qualcosa a cui non eravamo più abituati, e forse perfino la colpa, interamente assunta, benché le colpe non siano sue ma interamente di altri. Che racconta più di mille parole la drammaticità di questo momento della nostra storia: questa manovra non ci mette affatto e definitivamente in sicurezza. Che dice l’impossibilità di separare il ruolo pubblico dai sentimenti privati, la finzione di questo dualismo. Che lascia una traccia, un indizio prezioso per un modo femminile di intendere la politica, e per tutte quelle che vi si avventureranno.

Ora analizzeremo la manovra nei dettagli. La prima cosa che mi sono sentita di dire è questa. Che Elsa Fornero è la ministra più bella del mondo.