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doppio sguardo

Donne e Uomini, Femminismo, Politica Maggio 28, 2014

Impariamo a dirci: brava!

Grazie ragazze!

Simona Bonafè, capolista Pd nella circoscrizione centro, è stata la più votata fra tutt* i candidat* alle elezioni europee. Che Mr Preferenze sia una Miss Preferenze costituisce una prima assoluta nel nostro Paese. Una notizia -tra i molti commenti di questi giorni- non sufficientemente analizzata, insieme al fatto che, grazie al grande numero di elette soprattutto nel Pd e nel M5S, il drappello femminile a Strasburgo raddoppia (da 17 a 30) e costituisce quasi il 50 per cento della delegazione italiana.

L’azione positiva (su 3 preferenze non più di 2 allo stesso sesso) ha funzionato, ma è stata decisiva anche la volontà politica di scommettere sulle donne, collocandole in posizioni di eleggibilità. Volontà espressa, nel caso del Pd, dal segretario Renzi e dalla direzione del partito; nel caso del M5S, dalle scelte dirette della rete.

Per le madri e le sorelle maggiori delle neo-elette, in gran parte 30-40enni, vedere tutte queste ragazze o quasi nel governo e nei parlamenti è ragione di stupore e perfino di commozione: un risultato quasi impensabile solo fino a poco tempo fa, quando le politiche del Grande Nord e il governo 50/5o del “cugino” Zapatero ci apparivano come miraggi lontani (da noi nel frattempo le donne non dovevano “scassare la minchia”: onorevole Pippo Gianni, al tempo Udc).

Diciamo “brave” a queste giovani donne, e diciamo brave anche a tutte noi che abbiamo lottato in modo furente, ciascuna con i propri mezzi (personalmente sulla faccenda ho scritto addirittura due libri, oltre a scannarmi su questo blog, e a proporre lo slogan “doppio sguardo”) per portare a casa il risultato. E ammiriamo questa nuova generazione di uomini per i quali, a differenza dei loro padri e fratelli maggiori, è ormai impensabile lavorare politicamente tra soli maschi: il “for men only” va bene giusto per il calcetto.

Grande parte del rinnovamento per cui tutte e tutti spingiamo è rappresentato e garantito dalla impetuosa femminilizzazione della nostra politica. Fase 1 completata (ma mai smettere di vigilare!).

Ora si tratta che, insieme a loro stesse, queste donne sappiano portare in politica anche la propria differenza, il proprio linguaggio, il proprio sguardo, la sapienza femminile sulle cose del mondo. Che facendo rete tra loro -fatti salvi le differenze e gli inevitabili conflitti- riescano a cambiare modi, tempi e agende della politica (primum vivere) perché è di questo che c’è un grande bisogno. E che pratichino il sentimento nutriente della gratitudine nei confronti della genealogia di donne “lottatrici” che hanno alle spalle.

Care amiche: riconoscere i propri successi non è meno importante che riconoscere i propri errori. E ci dà grande forza, perché è la dimostrazione del fatto che lottare serve.

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, economics, Politica Gennaio 26, 2013

Alessandra Bocchetti: Per vanto, per tigna, per orgoglio

 

Con grande piacere ospito questo intervento di Alessandra Bocchetti, e la ringrazio.

 

“E’ ricominciato il teatro della politica. Chi vince, chi perde, chi ha la battuta più pronta, chi ha la lingua più sciolta, chi è più furbo, più abile, più spiritoso. Uno spasso oppure la disperazione.

Pochi giorni fa in una delle mie tardive incursioni al mercato, quando già tutti stanno sul piede di partenza e le cassette ormai tutte impilate, ho visto un dignitoso signore che tra gli scarti a terra di frutta e verdura, raccoglieva quello che ancora era possibile raccogliere. Raccoglieva con eleganza come fosse in un orto o in un giardino e non sul pavimento sporco e fradicio del mercato all’ora di chiusura. Per me non è stata solo pena, ma un brusco viaggio nel tempo a  quando i miei figli erano piccoli e, alla vista di qualcuno che chiedeva l’elemosina, mi chiedevano, chi era, perché… Spiegare la miseria è stata per me, giovane madre, uno dei compiti più difficili. La miseria è difficile da spiegare perché fa tanta vergogna. Fa vergognare perché è colpa di tutti.

Viviamo in un tempo in cui è difficile raccontare la miseria. Tutte le mattine invece ci aspettano gli annunci: il paese è più povero, siamo tutti più poveri. Ci informano che i consumi calano, non si vendono più automobili, si viaggia di meno, i saldi sono un flop! Non possiamo più consumare allegramente, ce lo dicono i numeri, le statistiche, i bilanci. L’annuncio più spaventoso è quando ti comunicano che gli investitori fuggono. Così la nostra immaginazione si popola di figure misteriose: gli investitori che fuggono, lo spread che si alza e si abbassa, il debito pro capite che ogni bambino che nasce, creatura innocente, trova già pronto al suo arrivo. Poi ci sono i moniti della Bce, se non della Banca Mondiale o di Draghi in persona, il cui solo nome porta con se  visioni poco serene. In verità poche persone sanno quello che sta succedendo, questi sono gli esperti e i tecnici, lontani mille miglia da tutti noi. Tra di noi c’è chi un po’ si districa, c’è chi un po’ fa finta di capirci, la maggioranza si arrende e si affida. Questo affidamento è la cosa più pericolosa, perché così non si è più veramente cittadini anche se ti sembra.

Chi ci può salvare da un destino così misero è chi è capace ancora di raccontare la miseria fuori dai numeri. Chi è capace di ricordarci che il destinatario della miseria è sempre un corpo umano e chi considera tra i “beni comuni” anche tutti noi, giovani, vecchi, donne e bambini, tutti insieme, tutti in carne ed ossa.

Al mattino alla radio ascolto spesso “Prima pagina” un programma dove un giornalista commenta le principali notizie dei quotidiani e poi dialoga con coloro che chiamano per telefono per parlare delle loro personali esperienze. Lì si possono ascoltare i racconti, che sono spesso crudi e terribili, ma mai misteriosi. Pochi giorni fa una donna raccontava che per via dell’eliminazione del servizio di un pulmino garantito dal  comune del suo paese, non avrebbe potuto più permettersi di fare la dialisi tre volte a settimana e che quindi aspettava di morire. Un’altra donna raccontava che suo figlio non aveva più l’insegnante di appoggio, perché il budget della scuola non poteva più garantirlo. Quella donna temeva per suo figlio un destino crudele in un mondo crudele. Il suo amore, raccontava con dignità, non sarebbe bastato a proteggerlo. Un’altra donna confessava con stupore  di come il suo affetto per i due genitori ormai disabili  stesse mutando a poco a poco nel suo cuore in un inaspettato risentimento.  E’ un effetto della stanchezza, diceva quasi vergognandosi, perché non riceveva più alcun aiuto.

Con questi racconti ecco che l’economia si materializza, così i tagli alle scuole, alla sanità si fanno vedere per quello che combinano e scombinano, per quello che hanno a che fare con i destini delle persone.

Le storie sono tante, diverse, ma hanno sempre una cosa in comune: è sempre una voce di donna che racconta. Le donne sono capaci di raccontare e di svelarci cosa i numeri non fanno vedere.

Perché è soprattutto su di loro che si abbatte la crisi, questa come tutte le crisi della storia, come le guerre, le carestie, le epidemie. Sono sempre state le donne a pagare i prezzi più alti. Camus, ritirando il premio Nobel, dichiarò che gli esseri umani sono divisi  tra coloro che fanno la storia e coloro che la subiscono. E che lui si sarebbe sempre schierato con questi ultimi. Tra questi ultimi ci sono le donne. Non ce ne dobbiamo vergognare. E’ proprio per questo che sappiamo raccontare gioie e dolori meglio degli altri. Ancora a noi, per ora, appartiene la modestia del racconto, quello che non si fa con la penna, ma con la voce. Siamo capaci anche noi di farne arte, certo, ma per la politica sono più importanti i racconti  senza pretese.

Questa volta, speriamo, tante donne entreranno in Parlamento. C’è addirittura chi parla di una vera rivoluzione. Anche io ho lavorato tanto perché questo succeda, quindi ne sarò molto contenta. E’ un primo importante passo, ma non è questa la rivoluzione delle donne, sia chiaro. La vera rivoluzione sarà se le donne saranno capaci di parlare con la propria voce, quella della loro storia, quella appunto che sa raccontare. Rivoluzione sarà, se non se ne dimenticheranno, se non se ne vergogneranno, se la sapranno riconoscere tra le tante e la sapranno ascoltare dentro e fuori di sé. Insomma, voglio dire che la vera rivoluzione sarà solo se riusciranno a restare donne.

Sembra un paradosso, vero? Come si fa a non parlare con la propria voce, a parlare con la voce di un altro? Eppure capita alle donne soprattutto in politica, perché la politica è sempre stato il mondo degli uomini, il mondo del loro potere, delle loro decisioni. E non ha importanza se queste decisioni hanno portato a dei grandi disastri, se scelte sbagliate hanno prodotto milioni e milioni di morti. Comunque gli uomini si sentono autorizzati alla politica e pensano che quello sia il loro territorio, la storia di tanti errori non riesce a delegittimare questa loro certezza. Di fronte a tanta sicurezza, le poche donne che fino ad oggi sono entrate a fare parte di questo mondo, hanno finito per parlare con un‘altra voce. C’è da dire che viene quasi naturale, come entrando in un coro, spontaneamente si segue la voce dominante. Ci sono state delle eccezioni luminose verso le quali ogni donna è debitrice, ma queste eccezioni non hanno fatto ancora la rivoluzione. Così chi ci governa è ancora lontano dalla vita quotidiana, sa poco di cosa succede nelle case, ha magari il sapere dei numeri, o la sua presunzione, ha, o crede di avere, l’arte delle alleanze, ma non ha la voce del racconto, né la capacità di saperla ascoltare. Le donne al seguito.

Con questa storia dei numeri che, avrete capito, io uso come artificio retorico, non vorrei deludere la mia amica Linda Laura Sabbadini, perché lei è una di quelle persone che ai numeri mette l’anima, consegnandoci un paese più leggibile seguendo parametri di pura umanità.

Personalmente soffro quando sento rivendicare la formula del 50 e 50. Detta così, sembra un’arroganza, una spartizione ladronesca, tanto a me tanto a te, un gesto di giustizia rudimentale, la giustizia dell’invidia, bassa, la definirebbe Simone Weil. Si tratta, in realtà, di un’idea tutta nuova, inedita alla storia, del governare insieme di uomini e di donne, non perché gli uomini e le donne sono uguali, ma proprio perché sono differenti, due corpi differenti, due storie differenti, due sguardi differenti. Anche la formula di “democrazia paritaria” con cui si vuole significare questa nuova teoria di governo, non mi soddisfa, perché l’idea della parità è talmente estranea alla realtà umana che questa formula finisce per significare una sorta di idealità troppo astratta. L’”insieme” di cui si parla non sta a garantire un mondo più giusto, ma solo un mondo più equilibrato, che funzioni meglio per tutti, garantito dal doppio sguardo di due esseri che sono sempre stati vicini, ma non sono stati mai vicini per governare i beni comuni, i beni, cioè, che appartengono a tutti coloro che condividono l’esperienza umana,  finalmente senza servi, né serviti.

I segretari dei partiti che hanno accolto questa idea, sono stati più conformisti che veramente interessati, non hanno capito la portata rivoluzionaria di una teoria come questa. Passare dalla civiltà dell’uno alla civiltà del due, è un cambiamento epocale. Non ho registrato né commozione né sgomento.

E le donne ne saranno all’altezza? Il gioco è tutto in mano loro.

Personalmente credo che a salvarci dalla crudele deriva liberista potrà essere solo il sapere delle donne e il loro modo di stare al mondo, se le donne, però, riescono a coglierne il valore. Ma sapranno rendere i racconti che hanno ascoltato, che hanno fatto, strumenti di una politica più attenta alla vita? Sapranno armonizzare la politica dei racconti con la politica dei numeri? Sapranno non dimenticare di essere donne? Altrimenti non vale la pena, meglio sarebbe fare altro.

Certo per loro il compito non è facile, ma le donne hanno una chance in più, secondo me.

Gli uomini hanno dietro di loro un’età dell’oro che è sfuggita per sempre dalle loro mani, legata a un ordine che non c’è più. Questo ordine voleva le donne sottomesse, a casa con i bambini sorridenti o al giardino,  con pochissima istruzione, che tanta non serviva, donne dall’intelligenza disinnescata, che non potevano amministrare i loro beni, che non potevano deporre in tribunale, sempre a totale  disposizione per desideri, capricci e soprattutto servizi. Rarissimi uomini nella storia hanno sofferto per le condizioni misere delle donne. Questo ordine  ogni onest’uomo lo rimpiange nel segreto della sua anima ancora oggi, anche se non tutti sarebbero  disposti a confessarlo. Per questo sentimento segreto le donne ai loro occhi, nel mondo della politica, ma anche in quello degli affari, anche in quello della scienza e dell’arte resteranno delle intruse chissà per quanto tempo ancora. Per loro siamo ancora disordine. E’ bene non dimenticarlo, dovendo fare “un insieme”

Noi donne invece non abbiamo niente da rimpiangere, nessuna età dell’oro alle nostre spalle, nessun ordine ci fa nostalgia, proprio per questo possiamo guardare avanti ad occhi asciutti con animo saldo e piede leggero. Questa è la nostra forza, basta cercarla dentro di sé. Possiamo vincere un premio Nobel, ma anche  raccontare la vita vera come nessuno, perché nessuno la conosce come la conosciamo noi. E poi apparteniamo a quel popolo eletto che si lava le sue mutande da sé e continueremo a lavarcele, per vanto, per tigna e per orgoglio. E questa non è una metafora.

Un grande augurio a tutte le donne che saranno elette, che possiate fare del vostro meglio”.

 

 

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Luglio 12, 2011

Doppio sguardo sulla crisi

Posta qui la lettrice Marisa Calzolari: “In Italia manca il lavoro e quel poco che c’è è, spesso, dequalificato. In più il futuro si presenta ancora meno roseo del già tremendo presente. L’Italia, se mai ce la farà, e io ho dei seri dubbi, uscirà dalla crisi per ultima tra i paesi europei. E tu Marina pensi che il problema sia il “doppio sguardo”?“.

Risposta: sì. Più precisamente: è il fatto che sullo spazio pubblico si eserciti solo lo sguardo maschile, questo eccesso di maschile nei luoghi in cui si decide -o si dovrebbe decidere- per il bene di tutti, le ondate testosteroniche che hanno travolto la finanza mondiale, quindi non il maschile in sé, che è dato di natura, ma il suo troppo, che ha relegato il femminile nell’eccentrico e in un supposto “privato”, a darci una chiave efficace anche per leggere le spaventose turbolenze di questi giorni, il venerdì nero, il lunedì nerissimo e ora vedremo il martedì.

Come scrive tra l’altro sul Corriere di oggi Maurizio Ferrera, proponendo soluzioni per la crescita del Paese: c’è anche il fatto che “il nostro welfare non fa investimenti sociali: asili, formazione, inserimento al lavoro, sostegni all’occupazione giovanile e femminile, casa, famiglia, lotta all’esclusione…“. Tutti temi di cui nella due giorni di Siena si è discusso molto. “E’ almeno un decennio che parliamo di rimodulare il welfare, ma in realtà ci siamo limitati a una rimodulazione dell’esistente”. Ferrera propone che le scelte in materia di politica economica e sociale siano definite dal governo “in collaborazione con organismi indipendenti che poi valutano attuazione e risultati… L’Olanda ha sperimentato un meccanismo simile negli anni Ottanta ed è oggi uno dei paesi virtuosi“. E chiude auspicando che questa nuova authority abbia una “presidente donna e componenti tutti rigorosamente sotto i 40 anni“. Donne e giovani, cioè gli esclusi dal potere (dei vecchi maschi, dei padri saturnini che non mollano).

Il ragionamento di Ferrera assume in pieno il doppio sguardo. Abituiamoci ad applicarlo per leggere ogni circostanza, anche e soprattutto quelle politiche, sociali ed economiche. Lo fa Maurizio Ferrera, lo fanno molti osservatori autorevoli, facciamolo anche noi, cara Marisa.

Donne e Uomini, Politica Marzo 13, 2011

COPPIA POLITICA

Vedete, amiche e amici, che per femminilizzare la politica le quote non bastano? C’è da fare le liste, oggi a Milano, ma l’esempio milanese è buono per ragionare in generale.

Capita questo: che gli uscenti dei partiti (quasi tutti maschi) vogliono rientrare. Ci sono ottime probabilità che rientrino, disponendo ciascuno del proprio patrimonio consolidato di preferenze, e come voi sapete alle comunali c’è la preferenza unica. Quindi avete voglia a fare liste cosmetiche 50/50. I maschi uscenti rientreranno, e forse qualche rara donna in più, sempre se garantita dal partito in questione. E in genere le garantite dai partiti sono le cosiddette cooptate. Ovviamente cooptate da uomini e per i motivi più svariati (relazionali, familiari e anche, ahinoi, come abbiamo visto spesso, di questi tempi, sessuali). E quindi tenute alla fedeltà assoluta, sia all’uomo che le fa entrare, sia ai codici della politica maschile. E allora non si femminilizzerà un bel nulla, come si è già visto, anche perché la cooptata è separata dalle altre, e quindi da se stessa.

Se in politica si entrasse per concorso, ci sarebbero moltissime donne, probabilmente la maggioranza, come in magistratura e in avvocatura. Ma dove si entra per cooptazione, il risultato è sempre questo.

In ogni caso il 50 per cento di elette, stanti così le cose, ce lo possiamo sognare. E la promessa era questa: 50/50 a ogni livello, consiglio, squadra, municipalizzate, enti, eccetera. Per la giunta e il resto si può rimediare dopo: assessore, presidenti di municipalizzate ed enti possono essere pescate da fuori, non devono essere elette. E’ sufficiente la volontà politica. Ma il rischio che il consiglio sia nuovamente un club per solo uomini è molto concreto. E allora come si fa?

Io ho pensato questo: alcuni dei maschi uscenti lascino “cavallerescamente” il loro posto a una donna, e facciano convergere su di lei il loro patrimonio di preferenze. Un gesto generoso e responsabile, che significa assumere la questione dell’equa rappresentanza come una priorità politica. L’uomo in questione non dovrebbe sparire, ma restare in relazione politica stretta con la “sua” eletta, lavorare politicamente con lei (non c’è bisogno di essere eletti per fare politica), decidere insieme a lei, in un’ottica di doppio sguardo. La scelta della candidata dovrebbe avvenire per affinità: per esempio, un ambientalista dovrebbe promuovere e collaborare con una ambientalista, e così via. O anche in base ad altre affinità. Così si aggirerebbe almeno in parte il meccanismo umiliante e sterile della cooptazione: sia perché le ragioni della sostituzione sarebbero evidenti (merito, competenze, capacità di fare squadra, etc.), sia perché molte più donne si farebbero avanti spontaneamente, troverebbero la forza per dire il loro desiderio, non sapendosi certamente destinate alla sconfitta.

Oltre a garantire un effettivo numero di elette, il passo indietro di alcuni candidati garantiti che decidono di continuare a lavorare fuori dalle istituzioni ma in stretta relazione con la “loro” eletta inaugurerebbe un modello interessante, quello del doppio sguardo politico, della relazione politica di differenza, riproducibile in ogni snodo dell’amministrazione. Già capita in molti luoghi di lavoro: per esempio è sempre più frequente che direttori di giornali, parlo del mondo che io conosco meglio, scelgano una donna per il ruolo della condirezione o vicedirezione (più raramente capita anche il contrario) proprio a significare l’opportunità e la fecondità del doppio sguardo. Anche la politica se ne arrichirebbe notevolmente.

Questa è la proposta che ho abbozzato, consapevole di tutte le difficoltà, la prima delle quali è che alcuni si convincano a fare un passo indietro. Un conto è solidarizzare con le donne in piazza, altro conto è assumere il problema personalmente.

Un’altra possibilità, non praticabile per queste imminenti elezioni, è la doppia preferenza di genere: ovvero l’indicazione anche di una donna ogni volta che si esprime la preferenza elettorale per un uomo, e viceversa. Ma qui manca un aspetto che io ritengo decisivo: quello della relazione politica di differenza, che costituisce la sostanza forte ed efficace della “coppia politica”.

Donne e Uomini, Politica Febbraio 1, 2011

DOPPIO SGUARDO: DALLA PROTESTA ALLA PROPOSTA

Ok, ci siamo sfogate. La rabbia è giusta, un sentimento che dà forza, purché duri quello che deve. Presa la spinta della rabbia, si deve velocemente saltarne fuori e fare quello che si deve fare, altrimenti si finisce stritolate. Ora si tratta di passare dalla protesta alla proposta. E la proposta la sintetizzerei così: che lo spazio pubblico, a cominciare dalla politica, ci rappresenti per quello che siamo, per che cose che sappiamo e possiamo, per la forza che abbiamo. Come capite, è un problema degli uomini, più che nostro. La questione è maschile. Sono loro che devono accettare di fare un passo avanti (interrogarsi su se stessi), e un passo indietro (lasciare spazio). Registrare che il patriarcato è finito.

Questo è il passaggio più duro. Perché finché si tratta di essere idealmente dalla parte delle donne che esprimono la loro indignazione e la loro rabbia, nessun problema. I problemi cominciano quando le donne praticano -dico praticano, e non rivendicano- il loro protagonismo politico. Ovvero quando dicono: quello che facciamo ogni giorno è già politica, la nostra politica deve essere riconosciuta e nominata come tale, e deve fare mondo. Ovvero dobbiamo poter decidere quale sviluppo, quale territorio, quale gestione delle risorse, quale organizzazione del lavoro, della società e della vita.

Per fare questo si devono trovare le necessarie mediazioni con la politica che non ci piace, quella di cui leggiamo ogni giorno sulle prime 4-6-8 pagine dei quotidiani. Si deve entrare in quella politica, venire a patti con i suoi modi e i suoi tempi per cambiarli. Si deve prendere parte al governo delle cose. Non si deve avere paura. Si deve voler vincere.

Io auspico che le mobilitazioni che vedremo e a cui parteciperemo nelle prossime settimane, grandi e piccole, in piazza o online, mostrino di avere un obiettivo politico preciso, diverso dal semplice per quanto umanissimo desiderio di mostrarsi nella propria dignità. Obiettivi generalissimi -come quello che ho indicato ieri, un premierato Bindi– o radicati nei contesti. Spero che la grande energia della rabbia si incanali velocemente nel minimo comun denominatore a cui io ho do il nome di un “doppio sguardo” che deve guardare dappertutto.

Il momento è adesso (kairòs), l’opportunità va colta. E per questo ci sarà da lottare, anche con gli uomini più amici.

Donne e Uomini, Politica Gennaio 10, 2011

IL DOPPIO SGUARDO, PER UNA CITTA' FELICE

COME VEDETE UNA PROPOSTA CHE E’ NATA COME MILANESE E’ DIVENTATA NAZIONALE

QUI LEGGERETE, IN SEQUENZA, UNA PROPOSTA INVIATA A GIULIANO PISAPIA, LA SUA RISPOSTA E LA NOSTRA REPLICA.

Al candidato sindaco per il centrosinistra Giuliano Pisapia

Le donne non sono una “questione”, né un problema sociale, né una minoranza da tutelare, ma la maggioranza della popolazione italiana.
Se vi è una “questione” nel nostro Paese è quella di una “politica” caparbiamente maschile e perciò parziale, oltre che sempre più scadente, a fronte di una società sempre più femminile.
Come osservano analisti nazionali e internazionali, tenere fuori le donne dai luoghi di decisione costituisce il principale freno allo sviluppo complessivo del nostro Paese.

Le donne sono già protagoniste del cambiamento di cui anche Milano ha bisogno, portatrici di quel desiderio di cui il rapporto Censis segnala la mancanza.

Al candidato sindaco per il centrosinistra Giuliano Pisapia chiediamo un tavolo “zero” della sua Officina: non sulle donne, ma sulla questione della politica maschile, per individuare strumenti e azioni atti a garantire a ogni livello quel “doppio sguardo” necessario a una città più felice, e a rimuovere ogni ostacolo posto alla presenza di donne capaci di rappresentarlo che desiderino lavorare nelle/con le istituzioni cittadine.

Marina Terragni,. Lorella Zanardo, Luisa Muraro, Maria Luisa Mello, Lilli Rampello, Sandra Bonfiglioli, Silvia Marastoni, Andrea Vitullo

(da Roma, Ritanna Armeni)

hanno inoltre già sottoscritto: Lucia Castellano, Maria Grazia Guida, Ivan Berni, Silvia Vegetti Finzi, Marisa Guarneri, Mauro Mercatanti, Paola Calvetti, Giovanni Petrini, Laura Lepetit, Arianna Censi, Maddalena Bregani, Silvia Brena, Riccarda Serri, Dario Cossutta, Monica Luchi, Elisabetta Berla, Seble Woldeghiorghis, Francesca Luchi, Annalisa Fattori, Donatella Proietti Cerquoni, Paola Domenichini, Patrizia Binda, Rina Atzori… in sostegno da Roma Fulvia Bandoli e Anna Paola Concia, da Genova Paola Tavella, da Mantova Annarosa Buttarelli.

E ancora: da Milano, Gisella Bassanini, Anna Soru, Clara Mantica, Sandra Cangemi, Silvia Elisa Costa (Alicetwain), Pietro Raitano, Massimo Acanfora. Da Bari, Antonella Masi e Cinzia De Marzo. Da Parma, Marco Deriu. Da Genova, Deborah Lucchetti e Annalisa Marinelli. Da Pesaro, Daniela Vincenzetti. Da Lucca, Donna Galletta. E molte altre/molti altri che qui non riesco per ora a nominare.

Si aggiungono Ilaria Baldini, la giornalista Alessandra Di Pietro, Enza Tolla da Potenza, la scrittrice Bianca Pitzorno.

E ancora: Silvia Marastoni

da Milano Daniela Padoan, Paola Mattioli, Bianca Bottero, Alessio Miceli, Donatella Zaccaria, Luana Testa, Antonella Nappi

da Cassinetta di Lugagnano Domenico Finiguerra
da Torino Bruna Peyrot, Beppe Pavan (Pinerolo)
da Genova Marina Cassani, Giulietta Ruggeri, Giovanni Russotto
da Roma Stefano Ciccone
da Napoli Giovanna Borrello
da Lecce Marisa Forcina
da Bari Centro di documentazione e cultura delle donne
da Siena Mariateresa Battaglino
MI RENDE PARTICOLARMENTE FELICE L’ADESIONE DELLA SCRITTRICE MICHELA MURGIA
E ancora da Roma: Maria Luisa Boccia,
e (due volte esterna, ma negli stessi guai) Paola Guerci, responsabile donne FLI del Lazio.
E Ginevra Bompiani, Corrado Levi, Federica Giardini da Roma.
E Silvana La Spina. Maria Mulas.
E Maria Palazzesi, Laura Iamurri, Maria Rosa Cutrufelli.
E Lidia Ravera, Luana Zanella.
Cini Boeri, Lella Costa e Sarah Grugnetti.
Antonella Cunico da Vicenza.
Luisa Finocchi, Anna Maria Crispino.
Chiara Dal Canto, Maria Grazia Verderame.
E Stefano Boeri, Maria Berrini.
E da Milano, Antonella Fachin; da Vicenza, Anna Faggi e l’Associazione Femminileplurale.

la nuova giunta alemanno: un anti-modello

la giunta formigoni, regione lombardia

il governo svedese

19 GENNAIO.                            GIULIANO PISAPIA: TAVOLO ZERO? NO GRAZIE

Innanzitutto ringrazio le molte donne, singole o organizzate in gruppi e associazioni, che in questo periodo mi hanno fatto pervenire – di persona o via Internet – messaggi, osservazioni, suggerimenti in merito al metodo e ai contenuti che dovremo fare nostri nella preparazione del programma per Milano.

Proprio in seguito a queste riflessioni è stato modificato il quadro dei sottotemi da discutere nelle Officine per la Città.

E’ stato eliminato lo specifico riferimento “ai diritti delle Donne” e si è proposto un criterio generale di lavoro per tutta l’Officina: il contenuto prodotto da ogni gruppo tematico – proposte concrete e realizzabili per la città di Milano – dovrà necessariamente tenere in considerazione il principio della prospettiva di genere. In altre parole, così come scritto nell’ultima lettera che mi è pervenuta, il “doppio sguardo” deve essere trasversalmente presente alle  policisies e alle azioni che verranno proposte nei diversi gruppi di programma.

Significa, dunque, parlare di lavoro, di immigrazione, di cooperazione, di finanza ed economia, dei media e della cultura, di violenza, di relazioni internazionali, di sicurezza, ma anche di servizi, accessibilità, trasporti e mobilità tenendo conto che – e io ne sono pienamente convinto – o si cerca davvero di leggere problemi e soluzioni sapendo che il mondo, la società, la città è costituita da donne e uomini con realtà, bisogni e prospettive diverse, oppure si continuerà a disegnare una convivenza urbana monca; ma, in quanto monca, sensibile di fatto soprattutto, o esclusivamente, alla lettura di chi decide, e quindi degli uomini.

Sono assolutamente d’accordo che ci troviamo in  presenza di una democrazia dimezzata, tanto più a Milano. Di fatto – è vero – le donne, che studiano e lavorano (come e più degli uomini, e spesso meglio) non hanno la possibilità di esprimere concretamente e fattivamente la loro voce e il loro pensiero nonchè le loro qualità, competenze e professionalità, a partire prima di tutto dallo spazio della politica.

Per questo ribadisco quanto espresso fin dal primo momento di questa lunga campagna elettorale: il Comune – in tutte le sue espressioni istituzionali (amministrazione centrale, decentrate e aziende partecipate) – metterà al centro della sua strategia di intervento il tema del merito e della qualità per affrontare e superare il vulnus della democrazia dimezzata. Verrà fatto con la presenza di donne nei ruoli decisionali delle politiche fondamentali del governo comunale e nei consigli di amministrazione con deleghe esecutive delle aziende partecipate. Verrà fatto nel campo del politiche cittadine attraverso l’adozione del Bilancio di Genere e, più in generale, dell’analisi dell’impatto di genere delle politiche urbane.

Insomma, io penso che il Comune debba innanzitutto partire da se stesso per dare un esempio virtuoso per contribuire concretamente a cambiare una < “politica” caparbiamente maschile e perciò parziale>.

Per tutte queste ragioni conto su una ampia partecipazione di tutte voi al lavoro dell’Officina, a partire – ma non solo – dal tavolo che si occuperà del “Comune modello”. E’ proprio all’interno del’”Officina per Milano” che si potrà valutare la proposta, che personalmente condivido, di una sintesi del lavoro fatto nei vari tavoli da una prospettiva di genere in grado di garantire quel  “doppio sguardo” che anche voi auspicate.

Giuliano Pisapia

ED ECCO LA NOSTRA REPLICA: DOPPIO SGUARDO, NOI ANDIAMO AVANTI

Ringraziamo Giuliano Pisapia per la sua replica alla nostra lettera “

Il doppio sguardo per una città felice”.

Tuttavia, respingendo la nostra proposta di un “tavolo zero” sulla questione
maschile nella sua Officina, Pisapia ci conferma nella necessità di
proseguire nel nostro percorso.

Ci dispiace che Pisapia colga l’occasione per rispondere all’unisono alle
“molte donne, singole o organizzate in gruppi e associazioni” che gli hanno
fatto pervenire osservazioni e suggerimenti.
Noi non ci siamo elette/i a rappresentanti della “categoria” delle donne.
Siamo donne e uomini con nomi e cognomi che lo hanno interpellato con una
precisa proposta, diversa da altre.
Quel “doppio sguardo” che egli dice di assumere avrebbe dovuto applicarsi
già qui: nel non pensare le donne come “categoria” rappresentabile o come
“massa indistinta”; e nell’accogliere con fiducia pratiche e pensieri che la
politica maschile normalmente non conosce né accoglie.

Pisapia afferma infatti che oggi le donne non hanno “la possibilità di
esprimere concretamente e fattivamente la loro voce e il loro pensiero… a
partire prima di tutto dallo spazio della politica”. Accogliere la nostra
proposta nella sua differenza sarebbe stato praticare questa possibilità.

Il“doppio sguardo” era già qui.

Noi abbiamo affermato che il problema non è delle donne, ma della politica
maschile, che c’è una questione maschile. E’ la politica maschile, che in
questi giorni sta invadendo con violenza le nostre vite, a soffrire di
questa carenza, e ciò costituisce un problema per donne e uomini.
La democrazia non va solo completata (perché “dimezzata”) lasciando intatti
i suoi presupposti e “includendo” le donne. Va radicalmente cambiata. Il
“doppio sguardo” non può che partire da qui.
I temi dei gruppi di lavoro, le policieses e azioni che questi sono chiamati
a proporre vengono dopo, di conseguenza. Per questo lo abbiamo chiamato
“tavolo zero”.

La sensazione è dunque che il salto simbolico che abbiamo proposto a Pisapia
non sia stato compiuto. E che la logica dei “diritti delle donne”, cacciata
dalla porta, sia fatalmente destinata a rientrare dalla finestra. Gli
strumenti del bilancio e della valutazione d’impatto di genere, in cui
Pisapia mostra di riporre grande fiducia, non fanno che perpetuare l’idea
delle donne come “categoria” e minoranza da tutelare.

Da questa interlocuzione usciamo perciò convinte/i dell’idea che di un
“tavolo zero” ci sia grande bisogno, fuori o dentro l’Officina. Un tavolo
già operativo nelle nostre riflessioni e nelle nostre pratiche, che in
questo frangente pre-elettorale lavorerà più intensamente per portare
innovazione e proposte al mercato della politica cittadina.

Marina Terragni, Lorella Zanardo, Lilli Rampello, Sandra Bonfiglioli,

Silvia Marastoni, Andrea Vitullo, Ritanna Armeni

VI TERREMO AL CORRENTE DELLE PROSSIME MOSSE.

E intanto eccoci qua: siamo tornate un punto di programma, come volevasi dimostrare! (ma ci hanno spostate tra i bambini e la religione…)

  1. Nuove famiglie e unioni civili
  2. Libertà di cura: dichiarazione di ultima volontà
  3. Disabilità: una citta accessibile
  4. Diritti di rappresentanza e partecipazione dei migranti
  5. Diritti dei bambini e delle bambine
  6. Diritti delle donne e democrazia paritaria
  7. Libertà religiosa e libertà di culto
  8. Diritti degli animali
  9. Immagini e stereotipi maschili e femminili

Donne e Uomini, esperienze, Politica Novembre 28, 2010

SE TUTTE LE DONNE

Leggo l’editoriale dell’ottimo Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale: “Se tutte le donne andassero a scuola, se tutte le donne si laureassero, se tutte le donne smettessero di guardare programmi televisivi dove le donne sono svilite… se non comprassero più i prodotti che fanno pubblicità usando il corpo delle donne… se votassero solo le donne... Se tutte le donne si organizzassero. Se tutte le donne facessero sentire la loro voce. Se tutte le donne sapessero il potere che hanno“.

Se tutte le donne, aggiungo io, si convincessero che il momento è adesso, quello che ho chiamato qui sotto fase ricostituente, intesa come ripartenza corroborante ed empowering, tenendo bene a mente, come numi tutelari, come angeli custodi, come sorelle, come madri, le 21 pioniere costituenti. E per fase ricostituente voglio significare soprattutto -altro che terzo polo!- completare la nostra democrazia a partire dall’assunzione del doppio sguardo, maschile e femminile. Il vero bipolarismo! Che è ora di fare la politica, e di farla a modo nostro. O meglio ancora, di prendere la politica che già facciamo e di portarla a governare il paese…

Alle amiche che passano di qui io domando questo: voi percepite in voi e nelle altre questo desiderio, già formato o in embrione?

Seconda domanda: se questo desiderio si sta effettivamente muovendo, che cosa ne fate? dove lo portate? quali sono i luoghi giusti per praticarlo? quali uomini scegliete come interlocutori?

Do a questo post molta importanza. Forse quello della costruzione di un patto.

Scrivete, commentate, condividete, fate girare.