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Senza categoria, WOMENOMICS Marzo 9, 2010

RIVOLUZIONE WOMENOMICS

Women-In-Business

“L’avesse detto Pompeo Magno…” (storico collettivo femminista romano), osserva un’arguta amica. Ma che + donne = ottimi affari, lo garantisce il fior fiore degli osservatori economico-finanziari internazionali, mica quelle adorabili vecchie ragazze in gonnellone. Il genere non è un più un problema delle donne, ma una questione del business. Detto con le parole ultimative di Lars-Peter Harbing, presidente di Johnson & Johnson Europe, “mettere a fuoco la questione del genere non è un’opzione. E’ questione di vita o di morte”. Delle aziende e del business, s’intende.
Vediamo. Le donne lavorano fuori casa sempre di più. 2009, data storica: negli Usa è il sorpasso, le lavoratrici diventano i lavoratori tout court. La crisi fa più male agli uomini che a loro. Che anzi, lavorando di più, guadagnano di più. Sempre di più: si stima, per esempio, che nel giro di una decina d’anni le signore del Regno Unito deterranno il 60 per cento delle ricchezze personali. Ma guadagnando di più, spendono anche di più, decidendo voluttuosamente e in proprio che cosa comprare. Negli Stati Uniti l’80 per cento delle decisioni d’acquisto -non detersivi, pelati e pannolini, ma automobili, computer, telefonini e assicurazioni- è preso dalle donne. Ma nel Giappone tradizionalista le cose non vanno diversamente. Tant’è che per accattivarsi le consumatrici la forza vendita nipponica di American Express è al 70 per cento femminile. Il malloppo, dunque, è in mano loro.
Riusciranno i nostri eroi –pressoché tutti maschi- alla guida di quasi tutte le aziende del mondo a intercettare questo filone d’oro? Sapranno farsi un’idea di che cosa vuole una donna, supremo busillis del marketing contemporaneo? Che cosa vuole comprare, soprattutto? Se nemmeno Freud si diede una risposta, come sperano di riuscirci tutti quegli uomini al top, caparbiamente convinti di poter continuare a fare conti e strategie tra loro, senza dover sopportare la noia della presenza femminile?
Una ricerca condotta sulle 500 aziende top di Fortune ha scoperto che le aziende “bilingui”, ovvero con una buona mixité ai vertici, offrono performance significativamente superiori, sia a livello di rendimento del capitale netto, sia di rendimento per gli azionisti. Ricerche di McKinsey e di altri osservatori confermano. Le aziende con 3 o più direttori donne segnano un aumento pari al +83 per cento del capitale netto, +73 per cento di utili sulle vendite e +112 per cento di rendimento del capitale investito –mica noccioline- rispetto a quelle con “soffitto di cristallo o, a scelta, pavimento adesivo”.
Goldman Sachs ha astutamente creato un paniere azionario, Women 30, con i titoli di azioni capaci di beneficiare del crescente potere d’acquisto femminile: azioni che hanno realizzato performance superiori agli indici globali. Gestori di fondi come il ginevrino Amazone Euro Fund hanno deciso di investire in aziende con un buon numero di donne al top. E così via, in un irresistibile crescendo.
Al Pompeo Magno non se lo sarebbero neanche sognato. Date piuttosto un’occhiata a “Rivoluzione Womenomics – Perché le donne sono il motore dell’economia”, (edizioni Gruppo 24ore), documentatissimo best seller di Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland. Minaccioso distico in apertura, ripreso da “The Economist”: “Dimenticate la Cina, l’India e Internet: la crescita economica è trascinata dalle donne”. Una lunga serie di prove schiaccianti e inconfutabili del fatto che la “questione femminile” oggi è una “questione di business”.
Senza le donne, a quanto pare, oggi economicamente non si combina più nulla, e la febbre globale rischia di diventare cronica. Eppure nei board le donne continuano a essere mosche bianche. “Raramente la loro invisibilità nei vertici aziendali è stata così visibile”. Fate sparire quelle imbarazzanti foto ufficiali dei Cda tutti in grisaglia, così poco women friendly. Negli Stati Uniti le direttore esecutive sono il 15 su cento, sotto il 10 per cento in Europa, un misero 2 per cento in Asia. Quanto agli organismi di decisione: 16 per cento di presenza femminile in America, 4 per cento in Europa, il solito 2 per cento in Asia. In Italia ci sono 5 consigliere di amministrazione ogni 100 uomini, e il Cda è monosex in 6 aziende su 10.
Pensate a una seduta-tipo di uno qualunque di questi board. Questione “donne” al penultimo punto, appena prima dei gruppi etnici. La prima cosa da fare, dicono Wittenberg-Cox e Maitland, è proprio questa: smetterla di pensare la maggioranza del genere umano come una fra le tante minoranze.
Fosse facile. Anche noi post-emancipate che per un certo tempo siamo state uomini, possiamo benissimo renderci conto della difficoltà. Immaginiamo come ci si possa sentire: dover rinunciare a uno degli ultimi luoghi femmine-esenti di questa terra. Le donne sono strane. Rompono le scatole. Non separano ermeticamente pubblico e privato. Fanno irrompere dappertutto il fastidio della vita, figli e cose simili. Hanno il ciclo. Ragionano in quel modo astruso. Ma il fatto è che, secondo tutti gli indicatori, questa stranezza fa fare affari. La differenza produce valore.
Si tratta di “attraversare una vera e propria rivoluzione culturale per giungere a convincersi che le donne non costituiscono tanto un problema, quanto una gigantesca opportunità”, incoraggiano Avivah e Alison. Che distribuiscono equamente i manager in tre categorie. I progressisti, sensibili alla questione del genere anche per ragioni private -l’esperienza personale è sempre decisiva-: le crisi isteriche di una moglie in carriera, una figlia con 12 master che non viene mai promossa. Ecco poi i temporeggiatori, convinti che basti un po’ di pazienza e la cosa, nel giro di non più di mezzo secolo, finirà per aggiustarsi da sé: “voce fluttuante”, dicono le autrici. “Bisogna convincerli a confluire nel primo gruppo”. E infine i reticenti, apertamente ostili al lavoro e alle carriere femminili, che magari hanno convinto la moglie a starsene a casa e ora non possono permettersi di fare gli splendidi in ufficio.
Lo scoglio principale è il riconoscimento di una differenza di linguaggio, e la presa d’atto che “la variante femminile è parlata da una maggioranza economicamente molto forte”. Ma allora, in tutta franchezza: sono le donne ad avere bisogno di aiuto, di corsi, di supporto, di counseling, di tutoring, di mentoring, di tutto quel complesso apparato pariopportunitario messo in piedi da molte aziende per adattare le signore alla dura realtà del lavoro in terra straniera, come immigrate di seconda generazione? O non si dovrebbe piuttosto pensare a rieducare gli uomini che “inconsciamente perpetuano lo status quo, continuando a beneficiarne”?
La questione è complicata, perché anche ammesso e non concesso che i board aprano alle donne, non è affatto detto che le donne aprano ai board. In Commissione Finanze della Camera è a buon punto una proposta di legge, prima firmataria Lella Golfo, sul riequilibrio di genere nei cda delle società quotate: almeno un terzo andrebbe al genere meno rappresentato. In Norvegia, come si sa, da un paio d’anni è in vigore una legge che impone quote del 40 per cento. Eppure qui, a quanto pare, le performance delle aziende non sono affatto migliorate. Dovendo ottemperare in fretta e furia alla norma, pena severe sanzioni, le donne sarebbero state imbarcate in modo precipitoso, senza far troppo caso a preparazione e know-how.
Ma non è semplicemente questione di essere capaci. Si tratta anche di volerci andare. Qui pesa un’ambiguità del desiderio. Capita che le più brave –e anche le “più donne”-, una volta sulla soglia dell’agognato inferno facciano un passo indietro. Perché preferiscono fare altro. L’economia avrà anche bisogno di loro, ma loro non hanno tutta questa voglia di caricarsela in spalla per rimetterla in carreggiata. Si sa che una volta là dentro ti toccherà la pena più grande che possa toccare a una donna: ragionare, vivere, fare riunioni, attaccarsi al BlackBerry, correre da un aeroporto all’altro esattamente come gli uomini, però molto più infelici di loro. Non è un caso che ogni giorno 240 donne (il doppio degli uomini) aprano una nuova impresa, come nota Margaret Heffernan, autrice di “How She Does It”, guida all’imprenditoria femminile: “Aziende con una crescita, in termini di fatturato, utili e posti di lavoro, assai più rapida del settore privato nel suo complesso”.
Se in proprio funziona, nelle aziende maschili invece “è così faticoso essere se stesse!”, si lamenta la direttora generale di una grande multinazionale americana. “Bisogna resistere continuamente alla tentazione di cambiare i propri comportamenti”. La pioniera Bell Burnell, astrofisica irlandese scopritrice delle pulsar, all’apice della sua carriera in mezzo agli uomini si domandava: “Sono ancora una donna? O un uomo di serie B? Un transessuale? Una virago? Un’amazzone?”.
“Trainare la crescita economica” sarà anche fantastico, ma qual è il prezzo? E poi: cosa si intende precisamente per “crescita economica”? Ed è proprio indispensabile quel linguaggio alienante “zeppo di messaggi e metafore riferiti alla conquista militare… Incoraggiare le truppe, essere pronti per la battaglia”? Perché non si ragiona per obiettivi anziché in termini di orario? Come si fa a restare l’una che si è, senza essere ridotte in cocci da “conciliare”? Si può stare in quei posti a modo proprio, come donne-donne, e non come trans? Perché diversamente “perderemmo proprio ciò che andiamo a cercare” dice Paul Bulcke, Ceo di Nestlè, evidentemente un “progressista”: “vale a dire un’altra prospettiva, un altro modo di vedere le cose”. Ma questo modo di vedere le cose nelle imprese continua a non avere corso. Il gatto si morde la coda. “Di adattamenti alle esigenze delle imprese le donne ne hanno già fatti fin troppi” spiegano Avivah e Alison. “Ora tocca alle aziende cambiare le regole per adattarsi alle esigenze delle loro dipendenti”. E’ questo che serve al business.
Fosse facile. Buttare all’aria tutto, modelli organizzativi, tempi, business plan, stili di leadership: che, “qualora sia consentito alle donne di essere autentiche, noi sospettiamo siano per molti aspetti molto diversi da quelli dei loro colleghi uomini”. Ma c’è un’altra questione, anch’essa cruciale. Perché gli uomini dovrebbero farsi da parte, e in cambio di cosa? Che cosa guadagnerebbero, dal cambiamento (a parte buoni dividendi)? Che cosa potrebbe incentivarli a fare spazio? E’ davvero così strano che continuino a resistere, uno contro una –e al contrattacco, a quanto pare- non avendo ancora ben capito che cosa fare di se stessi e della propria identità?
Il business detta le sue priorità e i suoi tempi: ma quali sono i nostri, di donne e di uomini? Quanto potrebbe costarci, in termini esistenziali, questa rivoluzione copernicana, e come si fa a pagare meno? Domande difficili e scorrette che nell’economia non hanno campo, e nemmeno nella politica. Ma provare a porsele, per i nostri compagni, per i nostri figli, non è anche questo intensamente femminile?

(pubblicato su Il Foglio il 6 marzo 2008)

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini Marzo 5, 2010

GUERRILLA GARDENING!

  • guerrilla-gardening
  • In occasione dell’8 marzo, ActionAid strapperà al cemento di Milano un piccolo fazzoletto di terra. In Piazzale Türr, zona Sempione, a partire dalle ore 21.00, si farà fiorire un’aiuola lasciata incolta piantando un ulivo, erbe aromatiche e primule che verranno poi curati dalle mamme e dai bambini delle scuole vicine. Slogan: “Contro la fame, più terra alle donne”.

Nel mondo una persona su sette soffre la fame e più del 60 per cento delle persone affamate sono donne e bambine. Un paradosso, visto che sono le donne a produrre tra il 60 per cento e l’80 per cento del cibo nel Paesi in via di sviluppo. Ma alle donne non viene garantito l’accesso alla terra. In molti Paesi, infatti, le legislazioni impediscono alle donne di possedere e ereditare la terra e ciò aumenta la loro vulnerabilità alla povertà e le discrimina ulteriormente. Salvaguardare la sicurezza alimentare per le donne e sostenere lo sviluppo delle loro capacità nel settore agricolo è una condizione imprescindibile per il raggiungimento del primo Obiettivo del Millennio, che intende dimezzare la percentuale di coloro che soffrono la fame nel mondo entro il 2015.
Questa è la prima di una serie di azioni che ActionAid porterà avanti. Sconfiggere la fame è possibile dando una mano alle donne.

E voi che programmi avete per l’8 marzo? Qualcosa di gustoso da segnalare? Occhio al caro-mimosa. Troppo freddo, quest’anno.

mimosa

Donne e Uomini Febbraio 28, 2010

DONNE A PEZZI

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Detesto l’espressione: un po’ di tempo per me. Si dice sempre: ho da fare questo e quest’altro, ma devo trovare anche un po’ di tempo per me. E in genere si pensa -parlo per le donne- a un parrucchiere, un massaggio e così via. Voglio dire questo: che anche il tempo che io do agli altri è per me. Il tempo del lavoro è per me. Non sempre, certo, ma la lotta è perché il più possibile della mia vita sia per me. Ed è l’esatto contario dell’egoismo. E’ solo volerci essere, con tutto il cuore, in ogni luogo.

Bisogna combattere contro chi ci fa a pezzi, cioè smembra la nostra vita in mamme, figlie, mogli, donne al lavoro, amanti, eccetera, e poi parla di conciliazione. Noi siamo una, tutta intera, tutto ci serve per fare quello che siamo, va impedito che ci dividano in tante parti l’una in lotta contro l’altra. Io non potrei scrivere quello che scrivo e cucinare quello che cucino se non fossi la madre, la figlia che sono. E viceversa.

La libertà è poter essere sempre quella che siamo, una intera, in tutte le cose che facciamo, in tuti i posti dove andiamo e non in apnea e piene di sensi di colpa, affaticate come se vivessimo in terra straniera. Questo diminuisce molto lo stress, ci rende efficaci e più serene.

Donne e Uomini, WOMENOMICS Gennaio 31, 2010

QUESTIONE MASCHILE

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Boston Globe, editoriale a firma Alex Beam (un uomo, a scanso di equivoci). Beam snocciola i numeri che descrivono la radicale femminilizzazione degli States, onda in arrivo anche da noi.
Il lavoro è delle donne: il sorpasso è avvenuto, ci sono più lavoratrici che lavoratori. E i settori di occupazione che promettono una crescita maggiore, secondo le proiezioni degli economisti, sono proprio quelli in cui le donne sono più forti. La rete è delle donne: 2 anchorwomen per un anchorman. Il pubblico della tv è più femminile che maschile. Le donne comprano più quotidiani, più libri, divorano cultura e sono politicamente più attive: per l’elezione di Barack Obama il voto femminile è stato determinante. Più che di recession sarebbe corretto parlare di he-cession, o di man-cession: il sesso più colpito dalla crisi è stato quello maschile. Secondo il Bureau of Labor Statistics, sono gli uomini a correre il maggior rischio (+ 30 per cento) di restare disoccupati.
Le stanze dei bottoni per ora restano surrealmente for men only, ma anche lì il vento della rivoluzione fa sbattere porte e finestre. Siamo finalmente e brutalmente al nodo del potere, nudo e crudo. Potendolo fare -–fecondazione assistita con predeterminazione del sesso- scelgono femmine 2 coppie americane su 3: il negativo della Cina. Ma anche qui presto cambieranno idea. Il secondo sesso fa carriera e diventa il primo.
L’enormità del cambiamento non trova adeguata rappresentazione: nei media, ancora ampiamente in mani maschili, ma anche nelle coscienze femminili, che restano sintonizzate su vittimismo e recriminazione. L’inconscio è più lento della realtà.
C’è poco da festeggiare, care signore. L’ideale sarebbe restare in due, senza che un sesso mangi in testa all’altro, in un equilibrio dinamico e difficile. Io amo intensamente la mia libertà, ma amo anche gli uomini e li vorrei in forma, e definitivamente liberati dalla tentazione della violenza e del dominio. Cerco e onoro il mio femminile, ma non a scapito del mio inner boy. E’ il caso di prestare tutti molta attenzione alla questione maschile. Anzitutto riconoscendo che esiste.

(pubblicato sui Io donna-Corriere della Sera il 30 gennaio 2010)

Donne e Uomini, Politica Gennaio 8, 2010

LAVORI TU, COMANDO IO

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La cosa è piuttosto imbarazzante. Vittorio Zucconi racconta sulla Repubblica di oggi che il traguardo è stato raggiunto, e negli Stati Uniti metà dei lavoratori sono donne -stiamo parlando del lavoro retribuito, sia chiaro: il lavoro in senso lato è da sempre una faccenda ben più femminile che maschile-. Qui da noi ancora non ci siamo, ma ci saremo presto, nessun dubbio. Quindi niente lagne.

Le signore dunque lavorano tanto quanto gli uomini -di più-, e vengono retribuite come gli uomini -di meno-. Ma quando si tratta di prendere decisioni restano fuori dalla porta, qui come negli Stati Uniti (anche se qui molto di più). La cosa imbarazzante è questa. Oggi tutto ciò che è femminile è oggettivamente attraente, anche perché dalle tasche delle signore passa un bel po’ di denaro, e sono loro a decidere come spenderlo. Per questo, anche quando si tratta di imprese femminili o di business rivolti alle donne, e anzi sempre di più, gli uomini pretendono di tenere il pallino, di stabilire le regole, di decidere, di comandare, e naturalmente di intercettare gran parte del flusso dei soldi, perchè alla fine quello che conta è questo. Il piatto femminile è ricco, e io maschio mi ci ficco.

Di qui si possono trarre almeno due conclusioni: a) se il lavoro è sempre più femminile -o femminile tout court, se è vero che la gran parte dei nuovi posti vengono occupati da donne- allora oggi siamo noi donne a dover decidere che cos’è il lavoro, come va organizzato, in quali modi, in quali tempi, con quali obiettivi, e così via: non è questione di conciliazione, ovvero di supportare le donne perché possano adattarsi a un’idea maschile del lavoro, si tratta proprio di cambiare l’idea del lavoro, e che siano le donne a farlo; b) se questo non avverrà in tempi ragionevoli, si tratterà di ricondurre i conflitti sul lavoro, destinati inevitabilmente ad acutizzarsi, al più generale conflitto tra i sessi; si dovrà avere il coraggio di dargli questo nome, care le mie amiche manager, e agire di conseguenza.

A ciò aggiungo una terza considerazione. Da molti anni, per passione e per professione, osservo come vanno le cose tra le donne e gli uomini, e credo di poter dire questo: che tra i grandi poteri, solo la Chiesa, al suo livello più alto, mostra di voler leggere fino in fondo quello che sta capitando, prestando ascolto, almeno intermittente, a quello che le donne hanno da dire sul mondo –mentre la politica resta brutalmente e opportunisticamente sorda-. Sarebbe il momento che questo ascolto si facesse più continuativo e intenso, e il sostegno più esplicito.
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Donne e Uomini Gennaio 6, 2010

TERZA META' DEL CIELO

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Il lesbobacio al GFe la prima volta di un transessuale nel governo Usa mi fanno venire in mente che qui non abbiamo ancora parlato di quello che  il professor Umberto Veronesi scrive  nella sua rubrica sull’ultimo numero di Ok salute: la “rubo” per riprodurla almeno in parte. Veronesi immagina, e anzi in qualche modo sembra salutare con favore un’umanità sessualmente meno differenziata. Vorrei sapere che cosa ne pensate, perché questo è un fronte di lotta quotidiano e decisivo.

“Il fenomeno dei travestiti è sempre più insistentemente sotto i nostri occhi e si rivela ormai come una realtà con radici ramificate nella nostra società. La transessualità non ci deve inquietare, perché biologicamente potrebbe trattarsi non di una deviazione, ma semmai di un ritorno alle origini. Basti ricordare il mito dell’Ermafrodito. Se ci pensiamo bene, dal punto di vista biologico potremmo essere tutti degli ermafroditi: i maschi hanno le mammelle (che possono in alcuni casi anche ammalarsi) e la loro prostata potrebbe essere considerata l’equivalente dell’utero. In fondo, nasciamo con ormoni femminili e maschili e, per un certo periodo dello sviluppo embrionale, abbiamo delle gonadi che possono svilupparsi in senso femminile o maschile.
Poi nell’evoluzione umana si è delineato chiaramente il modello dei due sessi: un sesso “forte”, che doveva procurare il cibo e difendere il territorio, e un sesso “debole”, che doveva accudire la prole. Per millenni questo “schema organizzativo” ha essenzialmente determinato i rapporti sessuali, stimolando la produzione di ormoni maschili nell’uomo e femminili nella donna.
Oggi la riduzione delle differenze dei ruoli fra i due generi ha innegabilmente ridotto anche la polarità fra i sessi, incidendo di conseguenza sulle regole dell’attrazione sessuale. Si sa che in natura poli diversi si attraggono, mentre quelli uguali si respingono.
Questo non vuol dire, però, che andiamo verso un’umanità asessuata e sterile (anche se l’aumento della sterilità è un dato obiettivo su cui intervenire), ma che stiamo evolvendo verso una nuova sessualità, più ampia, che può comprendere anche il travestitismo, appunto come materializzazione del desiderio ancestrale di accoppiarsi con l’Ermafrodito”.

La domanda a mio parere è: saremmo più felici così?

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Ottobre 30, 2009

IN TRANSITO

(foto reuters)

(foto reuters)

Riproduco qui l’articolo pubblicato l’altro ieri sul Corriere, perché tanti non l’hanno letto e me lo chiedono.

Ricordate il vecchio Freud, di fronte al mistero delle “sue” isteriche? Che cosa vuole una donna? si lambiccava il cervello. Una risposta precisa non seppe trovarla neanche lui. Al tempo dei patriarchi la sessualità maschile era la norma, e quella delle donne un oscuro tumulto non autorizzato. Ma un uomo? Che cosa vuole, un uomo? verrebbe voglia di chiedergli oggi. Perché dei desideri delle donne ormai si sa tutto. Dalle autovisite in avanti, il mistero è stato pubblicamente scandagliato per almeno mezzo secolo. E i desideri degli uomini? Ecco, ti pare di avere proprio tutto: la vita che volevi, il lavoro, e poi la casa, il conto in banca, e la famiglia, i figli e forse –che esagerazione!- perfino l’amore. Poi un bel giorno, per ricatto o per puro caso, vieni a sapere di una certa Brenda o Nazaria o Wynona che come un’oscena badante si prende cura del padre dei tuoi figli. E all’epicentro del terremoto che fa crollare la tua vita perfetta, un maestoso fallo con cui non c’è possibilità di gara. Una nuova versione dell’invidia del pene? “A un’altra donna, tutto sommato, sei sempre pronta”, racconta una che c’è passata. “Soprattutto sui 50, quando diventano fascinosi e brizzolati e cominciano a tentennare. Sai che vanno in cerca di conferme. E se capita, dopo un po’ di purgatorio magari te li riprendi pure in casa. Ma così…” si mette le mani tra i capelli. “Ed era anche un mostro. Che cosa fai, con una rivale che ha il 44 di piede e siliconi della sesta?”. Il modello manca. C’è tutta una genealogia di tradite lacrimose a cui riferirsi quando si tratta “banalmente” di una donna: le madri, le nonne; le crisi di nervi della principessa Maria Stella Salina, quando il Gattopardo Don Fabrizio, stampatole un brusco bacio sulla fronte, lascia Donnafugata per una fuga in carrozza dalla sua favorita. Le convenienti ritrosie della moglie a cui tocca convivere con la lascivia autorizzata dell’amante. Una poligamia informale. Le cose andavano così, quando il patriarcato aveva dato al mondo il suo ordine: per quanto discutibile, almeno riconoscibile. Una saprebbe regolarsi perfino se l’altra fosse inequivocabilmente un altro. Ormai anche qui qualche precedente si è accumulato. Ti puoi anche disperare come Julianne Moore, moglie anni Cinquanta in “Lontano dal paradiso”, di fronte al coming out del tuo amato sposo, ma non puoi non comprendere. E dopo un ragionevole periodo di assestamento, se hai un’anima sufficientemente grande puoi anche continuare ad amare. Come una sorella. Non tutto è perduto. Ma di fronte a Brenda, Nazaria o Wynona ti va in pappa il cervello: che cos’ha? E’ gay? Non sta bene? O è semplicemente un maiale? Chi chiamo? L’avvocato, uno psichiatra o l’esorcista? Non è un caso, per quanto possa apparire pazzesco, che oggi la sessualità maschile sia diventata una questione politica. Il fatto è che si tratta davvero di una questione politica. Che cosa sono gli uomini, crollata la narrazione patriarcale? Su che cosa puntellano la loro identità se non possono più contare sul dominio delle donne? Che cosa ne è della loro maestosa cultura e del mondo che ci hanno costruito sopra, se le fondamenta sono piene di crepe? Non c’è proprio niente da ridere. La pochade della nostra trans-repubblica –ricatti, contro-ricatti, gente in mutande, partouze, mercimoni, filmini, escort che chiacchierano, mogli che sbarellano- è solo la divertente parodia. Sotto, le lugubri note di una danse macabre di fine civiltà. Questo delle trans non è solo un vizietto per potenti. Se una metà abbondante di chi fa il “mestiere” è pene-dotata, è perché esiste una corrispondente –e ipocrita- domanda da parte di un’enorme quantità di impiegati, ragionieri, amministratori di condominio, onesti padri di famiglia. Ok il seno e un nasino femminile, ma nessuna operazione definitiva. “Quello” lo si tiene, o si perderebbero i clienti che a quel punto si rivolgerebbero a “semplici” donne (e sai la noia…). “Perfino i papponi” conferma Ginny, pioniera operata a Londra più di trent’anni fa “oggi chiedono alle ragazze di mettersi su da travestiti”: sei una donna, d’accordo, ma cerca almeno di sembrare un uomo che vuole sembrare una donna…Vertiginoso! La trans del resto è un modello universale, valido anche per le comuni rifatte, quelle rispettabili signore tumefatte e zigomate che fanno shopping in via Condotti o su Park Avenue. Non è forse da travestito quella loro facies chirurgica, la stessa di tante opinioniste “zero tituli” dei nostri salotti tv? Qualcosa vorrà pur significare. Il trans oggi ha un’audience strepitosa: dopo Silvia, MtF -da uomo a donna- al Grande Fratello è la volta di un più raro FtM. E Maurizia Paradiso, che rivela a Pomeriggio 5 la sua prossima pater-maternità grazie all’utero della modella colombiana Francine… Ginny spiffera i nomi (irriferibili) di vari ricchi e famosi, abituali degustatori della specialità maschio-con-tette: a quanti tremeranno i polsi! E dice che questo andazzo è cominciato a metà anni Ottanta, con l’invasione dei viados brasiliani. O non è piuttosto che i viados sono accorsi a frotte per corrispondere a una domanda maschile emergente: giacere con uomini parzialmente adattati a donne? Tra i pochi disposti a parlarne –per il resto, omertoso, complice, imbarazzato silenzio- l’ex calciatore francese Éric Cantona, che in un’intervista ha ammesso: “La donna ideale potrebbe essere un travestito, perché ha un po’ di entrambi”. E su “Via Dogana”, periodico della Libreria delle Donne di Milano, Stefano Sarfatti Nahmad dice: “Comincio a credere che gli uomini che sono interessati al pieno godimento sessuale troveranno più facilmente quello che cercano scegliendo un rapporto omosessuale”. Ma forse non è tanto, riduttivamente, questione di essere o non essere gay. Traditi e abbandonati dalle donne, mortificati dalla loro autonomia, sfiniti dalla loro libertà e dalla loro voglia di stravincere, molti maschi regrediscono a un consolatorio “tra uomini”. Un mondo a cui le donne non hanno accesso: solo maschere di donne, come sulle scene del teatro medievale; solo pseudo-donne, a misura di un immaginario semplificato e un po’ autistico. Un’omosessualità spirituale e culturale che può contemplare anche un passaggio strettamente sessuale. Mi scrive, straordinariamente sincero, un lettore sul blog: “Il vero unico desiderio è vivere momenti di bel cameratismo con altri maschi… Anche il travestito ama esclusivamente il mondo maschile e ritiene che la sua “missione” sia dare amore ad altri maschi, di cui comprende le sofferenze profonde che nessuna donna potrebbe lenire”. Non varrebbe la pena di pensarci un po’ su? Dispensatrici di bellezza e di gioia, le donne hanno rinunciato per sempre a questa prerogativa divina? Valgono questo prezzo, i loro strepitosi guadagni? Per completezza d’informazione chiedo a Ginny, che ne ha viste e ne ha passate tante, che cos’ha capito in definitiva del sesso degli uomini: “Mah…” riflette. “Che ci pensano sempre. E che sono strani”.

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica Ottobre 19, 2009

PRETENDI DI PIU'

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La ragazza è tondetta, in slip e reggiseno, e si guarda il sedere allo specchio, sovrapponendovi l’immagine di due glutei più piccoli e più sodi, con culotte di pizzo come si deve. Claim: “Pretendi di più”. E’ il manifesto pubblicitario della palestra GetFit. Sul corpo delle donne si è visto ben di peggio. Ma stavolta scatta qualcosa.
Qualcuno disegna un fumetto: “Voglio fare la velina”, e poi, sul seno della ragazza: “Grazie Presidente”. Un’altra mano scrive: “Sì, pretendiamo di più. Di riprenderci il nostro corpo: femminile, maschile, ma non commerciale. Che la “creatività” dei pubblicitari abbandoni queste banalità. Che nessuno si lamenti se imbratto con il pennarello qualcosa che imbratta la nostra dignità”. Seguono spontanee decine di firme: Tiziana, Beatrice, Claudia, Elena, Alice; ma anche, novità assoluta, Marco, Davide, Matteo.
Parte anche un dibattito online: complesse analisi del messaggio pubblicitario, ma anche proteste schiette: “Fa schifo. Ma proprio schifo, dico”. “Il vero messaggio è questo: tu grassa non meriti niente di più che una pubblicità demenziale”. “Se le mettevano un burqa in testa e nello specchio si vedeva la faccia pigliavano due piccioni con una fava”. “E’ troppo offensivo, perché la ragazza è pietosa, mostra una scena che non auguro a nessuno di vivere ma tante vivono”.
Di colpo, la misura è colma. Ragazze e ragazzi che passano di lì, e dicono con semplicità che il corpo è loro. Sembra nulla, ma si tratta di biopolitica. In Italia le ultime proteste contro l’abuso dell’immagine del corpo femminile risalgono a metà anni Settanta. Ma lì era contro la pornografia. Qui è diverso. Qui non è in questione la nudità della ragazza, ma la dittatura della forma fisica. E’ la ribellione contro l’immagine al centro dell’identità. Contro gli scheletri che si continuano a vedere in passerella. E’ un sussulto di dignità contro le indegnità e i mercimoni che hanno infangato la politica nel nostro paese. E accanto alle ragazze, per la prima volta,
ci sono anche i ragazzi: ci vorrebbe la penna di Michel Foucault, per raccontare questa storia.
Qui c’è una generazione che smette di essere acquiescente e fa sentire la sua voce. Ricominciando dal corpo. E spesso quello che conta ricomincia di lì. Roba da far tremare i polsi a tutti i nostri vecchioni, e alle loro compiacenti Susanne.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 17 ottobre 2009)

Donne e Uomini, Politica Ottobre 9, 2009

NOT AT YOUR DISPOSAL

Mara Carfagna e Silvio Berlusconi alla Camera 14 maggio 2008

Credo che in inglese si dica così: non a tua disposizione. L’ho pensato in inglese perché ho fantasticato che tutte quante potessimo andarcene in giro per le nostre città indossando una maglia con questa scritta -se fossi un produttore di magliette mi metterei subito al lavoro: la prima tocca a me!- e la notizia farebbe il giro del mondo.

Non è necessario essere “di sinistra”, diciamo così, per infilarsene una. Anche un’elettrice di centrodestra potrebbe e anzi dovrebbe avere voglia di mettere i puntini sulle i, con il suo leader. La ministra per le Pari Opportunità dovrebbe farsi velocemente sentire. Si nasce prima donne e uomini che di destra e di sinistra. Non c’è nessun bisogno di tutto questo amore senza condizioni. Non è necessario essere a disposizione del capo. Le poche fedelissime avranno il loro tornaconto. Nemmeno sua moglie si è sentita tenuta a questo. E se qualcuno aveva dei dubbi sulla politicità del gesto di Veronica, guardi che cosa ha provocato in pochi mesi.

Not at your disposal, se si dice così. E anche gli uomini di buona volontà dovrebbero mostrare la loro indignazione. Il silenzio maschile, l’altra sera a Porta a Porta, è stato indecoroso.

Donne e Uomini, economics Settembre 29, 2009

IMMAGINA CHE IL LAVORO

Mentre state correndo per andare a lavorare, o siete già sedute e seduti -spesso infelicemente- alla vostra scrivania, separate e separati dalla vostra vita, sentite qui:

“…Puoi dimostrare che non ha senso separare tempo di vita e tempo di lavoro e quindi pretendi che cambi il concetto di lavoro e di tempo di lavoro. E a partire da qui, dal lavoro inteso come unità di lavoro retribuito e di relasioni, pretendi di ridefinire l’economia, la teoria sociale e politica… Tutto ciò ipotizza un cambiamento di civiltà (primum vivere) oltre che di misure e di regole economiche… Non possiamo più permettere che siano le condizioni di lavoro, spesso nemiche dei nostri più elementari desideri, a cambiarci nell’intimo, come persone…”.

Eccetera. C’è molto altro. 8 pagine di riflessioni per un Manifesto del lavoro delle donne e degli uomini, scritto da donne e rivolto a tutti, “perché il discorso della parità fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta più”.

Il manifesto è scritto da un gruppo di donne di diverse età ed esperienze che da anni, per tutte e per tutti, si sono date il tempo di riflettere sul tema del lavoro. Per averne copia, potete scrivere a questo indirizzo e-mail: painuz@tin.it o passare dalla Libreria delle Donne a Milano, via Pietro Calvi 29.

Il prossimo 24 ottobre, in contemporanea in molte città italiane, si dibatterà sul manifesto in gruppi di discussione a cui anche voi potrete partecipare, o che anche voi potrete contribuire organizzare, rivolgendovi allo stesso indirizzo e-mail.