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desiderio

Donne e Uomini, Politica Giugno 30, 2012

Donne! C’è da finire il lavoro!

No, io non mi arrendo. Non mollo, nemmeno a morire. Sono fatta così.

Il lavoro va finito. E il modo in cui si finisce questo lavoro –un lavoro di decenni, compresi i miei decenni- è uno solo: mandare tante, tantissime donne nei posti in cui vengono prese decisioni per le nostre città, per le nostre regioni, per il nostro Paese. Per la vita di tutti.

Occuparsi anche del resto, certo. Anche della violenza, anche dei femminicidi, anche dell’aborto: siamo tornate al Pleistocene dei diritti, a quanto pare. Ma non lasciamoci prendere dallo sconforto, sono solo brutali colpi di coda dell’Animale Morente.

Guai a dimenticare che questi diritti minimi, e anche qualcosina di più, sperabilmente, saranno consolidati e garantiti soltanto quando tante donne potranno decidere insieme agli uomini, che al momento continuano a decidere da soli per tutte e per tutti.

Siamo multitasking, congegnate per fare minimo dieci cose per volta, e tra le dieci cose ci sarà da fare anche questa: non mollare sulla rappresentanza, non mollare sulle primarie, sulle elezioni, sui rinnovi dei cda. Cominciare finalmente a fare dei nomi. Metterli in rete. E lavorarci con accanimento.

Ma il primo lavoro che c’è da fare è suscitare il desiderio di quelle che vorrebbero, che hanno le qualità necessarie, che si sentirebbero pronte ma da sole non osano autorizzarsi. Non aspettare che siano gli uomini ad autorizzare e a cooptare quelle che fanno comodo a loro. Incoraggiare chi è portata per questa o quella posizione.

Fare, insomma, precisamente il rovescio di ciò che troppo spesso le donne fanno con le altre donne: scoraggiarle, tagliare loro le gambe, interrompere il volo. Intravedere nell’altra quel desiderio che annaspa, non trovando parole per dirsi. E offrire a questo desiderio linguaggio ed energie.

Porsi in relazione e dire a lei: il tuo guadagno è anche il mio. Perciò desidera, combatti, arriva dove vuoi arrivare. Niente è più potente di quello che Alessandra Bocchetti chiama “il desiderio perfetto”. Ma il desiderio non può mai perfezionarsi se non risuona nel desiderio di un’altra.

Il resto –il come, il quando, i mezzi, gli strumenti- viene di conseguenza. La cosa principale resta questa: restituire campo e visuale a quello sguardo interrotto tra madre e figlia da cui si origina tutto. E che può tutto.

Donne e Uomini, Politica Giugno 27, 2012

Cercansi donne che vogliono fare politica

Essendomi veramente stufata di sentir dire da partiti, partitazzi, liste, listarelle e vari think tank maschili che candidano poche donne “perché non si trovano”, “non ci sono”, “non vogliono venire”, smentisco una volta per tutte e categoricamente.

Ci sono moltissime donne, io ne conosco, che desiderano entrare nelle istituzioni rappresentative. Molte meno, com’è ovvio, quelle che hanno voglia di prestarsi ancora una volta a fare carne da porcellum, con scarsissime probabilità di essere elette.

Ci sono anche donne che sarebbero bravissime nel fare politica, ma il cui desiderio va maieuticamente risvegliato, accompagnato, autorizzato.

Quindi costituirò qui con questo post una specie di agenzia a cui fare pervenire nomi e curricula di donne che vogliono essere candidate e possibilmente sostenute in liste di tutti i tipi.

Il primo, vero e grande requisito richiesto è l’amore per il mondo, cosa che nessun curriculum garantisce. Poi vengono le specifiche competenze, su cui sono fiduciosa, perché le donne sono molto brave e preparate e  sono sempre le prime dove si entra per concorso e non per cooptazione, come in magistratura,

L’altra cosa che mi piacerebbe è il desiderio di non essere cooptate da uomini, per poi dovere rispondere a loro di qualunque propria scelte, per poter invece fare liberamente riferimento alle altre, per trovare nelle altre la forza per poter andare a cambiare quella politica che NON funziona.

Ma la cosa più importante è sentirsi autorizzate nel proprio desiderio. Che non costituisca più la violazione di un tabù, qualcosa di cui vergognarsi, da dover nascondere, per timore della riprovazione -ahimè- soprattutto delle altre. Quanto meno di alcune. Le quali dovrebbero interrogarsi su quali sono i sentimenti e gli argomenti che le muovono a fare a pezzi la loro simile che desidera andare, anziché limitarsi a sostenerla, se la candidatura le convince, o a darle comunque dignità di avversaria politica, da combattere SOLO in quanto tale, se portatrice di temi e programmi diversi dai propri. Quali sono, in breve, le radici di queste pratiche autosessiste.

Insomma, vorrei che questo fosse una specie di porto franco, in cui il desiderio che una ha di andare a fare politica non solo possa liberamente manifestarsi, ma anche venire apprezzato e accolto con interesse e gratitudine.

esperienze Gennaio 8, 2012

Monna Lisa, Monna Luna, le Stelle e altri pensieri

Stanotte ho guardato il cielo di Milano. Tersissimo, ripulito dal vento, la gioia di poter respirare a pieni polmoni, che qui è così rara, e quando capita ti senti la persona più ricca del mondo, stare in una città tanto viva e in più respirare! E’ un gennaio splendente, forse a consolazione della fatica che ci toccherà fare per cavarci fuori dai guai, una specie di incoraggiamento celeste per il nuovo anno.

C’era una luna piena quasi abbagliante, che non impediva la vista delle stelle. E ho pensato tre cose.

Delle Stelle: sapete che la parola stelle -sidera- sta alla radice del termine desiderio. Per capire bene che cos’è il desiderio si devono guardare le stelle, in una notte così, e sentire quel misterioso e irresistibile slancio di annullare la distanza tra noi e loro, la madre di tutti  i desideri. E’ che siamo fatti della stessa materia, polvere di stelle, cerchiamo naturalmente quell’abbraccio cosmico, una specie di gravità a rovescio che ci proietta e ci scaraventa in cielo. Possiamo splendere e fare luce come le stelle, il potenziale c’è tutto.

Della Luna: non mi dite che da bambini non avete avuto paura della luna, almeno una volta. Una notte a Portovenere, guardando la luna piena sopra la rocca spettrale, il mio bambino fu preso da una piccola angoscia, voleva sfuggire allo sguardo di quella Signora. La luna ha una faccia, una bocca e due occhi, quello di destra lievemente spiovente, un sorriso enigmatico, un’espressione dolce ma anche crudele, sono le due facce della madre, l’Amore e il Terribile materno. Il mistero della Gioconda è tutto lì. Ci incantiamo a guardarla dietro il vetro al Louvre, un piccolo quadro dalla forza così immensa perchè Monna Lisa è Monna Luna, ha la sua stessa espressione, quella signora la conosciamo da sempre, dalla primissima volta che abbiamo alzato gli occhi al cielo, probabilmente mentre ancora stavamo nel carrozzino. Non se se l’abbia mai detto nessuno, ma io ne sono certa.

Del Lusso: certe volte basta rovesciare i termini delle questioni e ti si spalanca davanti la soluzione. Dall’ Italia del Lusso al Lusso dell’Italia. La strada che abbiamo da percorrere per uscire dai guai è questa. Essere grati per tanto splendore, farlo splendere ancora di più. Pensateci.

Buona domenica, e ancora buon anno.

AMARE GLI ALTRI, economics Maggio 21, 2011

QUANTO COSTA IL DESIDERIO

Visto a Milano un magnifico attico supercentrale circondato da un’infilata di luminosissime terrazze, fiorite di zagare e gelsomini. Una meraviglia, insomma. Lo voglio. La mia amica Nadia dice: tu sei pazza, guarda che lì sopra ti sentiresti in galera, a te piace vedere la gente che passa… (uff!)

Richiesta: 3 milioni e 900 mila euro. Ma credo che a 3 milioni e 2 venga via: tanto è uguale, non ce li ho lo stesso (sempre Nadia: e se li avessi saresti scema, bloccare una cifra del genere in una casa, poi chi te la ricompra?)

Non ce li ho, ma potrebbe sempre capitare che un lettore stramilionario un bel giorno mi dicesse: “Mi piacciono le cose che scrivi, perciò ho deciso di regalarti 3 milioni e 900 mila euro”. (faccia anche 4 già che c’è, ci sono anche le spese notarili, il trasloco, ecc.). “In fondo a me che cosa cambia” dice ancora il mio lettore “tra avere mille milioni di euro e averne 996, tolti quei 4 che do a te?”. Giusto. Tutto è relativo. A lei non cambia quasi nulla. E invece a me…

Di questi 4 milioni, in verità, se lei è s’accordo, pensavo destinarne centomila alla mia carissima Diana, adorabile ragazza ecuadoriana che mi dà una mano da anni. Così finirebbe la sua casa in costruzione a Guayaquil, e magari ci aprirebbe pure un negozietto e potrebbe tornare lì, dalla sua bambina. Centomila euro che a me non cambierebbero granché, a lei tutto.

Perché quei centomila euro per lei sono una nuova vita. Quei 4 milioni per me solo una nuova casa. E quei mille milioni (anzi, 996, non facciamo scherzi) per il mio lettore, quasi nulla. Insomma, valgono più quei centomila euro che mille milioni, il paradosso è questo. Ben più che il cambio di valuta, è il desiderio a dare valore a un cumulo di denaro inerte.

Che cosa può desiderare uno che ha mille milioni, se non di farli diventare duemila? E che cosa posso desiderare io, che a dirla tutta una casa comoda ce l’ho già –pagata con il mutuo-, e pure con il terrazzo, il suo bel limone e i gelsomini e i grilli, se non di raddoppiare il terrazzo e spostarmi in centro-centro?  (te l’avevo detto che è un desiderio cretino: sempre Nadia).

Penso a Diana, alla sua bambina che avrà visto giusto due volte in tanti anni e ormai sta diventando una ragazza, alla sua casa sudata mattone dopo mattone, al fatto che è sempre così sorridente. E mi sento piena di vergogna.

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, esperienze, Politica Aprile 16, 2011

MANGIARE LE ROSE

La cultura si mangia. E certe volte le rose sono più saporite e più necessarie del pane.

Leggo una dichiarazione del poeta coreano Lee Chang-dong, che è anche regista (“Poetry”) ed è stato ministro della Cultura del suo paese: “Mi sono battuto per cambiare la percezione che la cultura dovesse dipendere dall’economia. Penso che il governo di un paese non dovrebbe mai operare tagli drastici, ma finanziare la cultura senza lederne l’autonomia. Il pericolo da evitare è che la politica pretenda di intervenire troppo in cambio dei finanziamenti”.

C’è cultura ogni volta che si intuisce che il senso delle cose non è quello che appare. Che c’è dell’altro. E che nello spazio tra ciò che appare e quello che invece potrebbe essere corre la possibilità di un tratto di vita meno infelice, e di molte belle cose da fare.

In questo senso il luogo della cultura è dappertutto. In centro, in periferia, nelle biblioteche, nelle strade. Fare cultura significa attivare le polarità del dubbio –la radice della parola è proprio “due”-, magia che fa irrompere la possibilità e interrompe il corso già dato della vita e delle cose. Questo può capitare in molti modi -con una parola, un filo d’erba, un suono- e in tutti i luoghi in cui ci sono relazioni.

Ha ragione Chang-dong: ciò che impedisce la cultura non è semplicemente la mancanza di investimenti. Ed è vero che la politica –o meglio, quello che si fa chiamare politica ma è semplicemente esercizio del potere- in grande parte investe là dove gli conviene investire, ovvero in ciò che gli garantisce un ritorno: in ultima analisi in ciò che gli permette di riprodursi e di accumulare.

Ciò che impedisce davvero la cultura, più che la povertà di mezzi, è la povertà delle relazioni. Tutto ciò che rende difficile incontrarsi. Oggi c’è più cultura nella chiusura di una piazza o di una strada al traffico delle auto, nella possibilità di risentire il rumore dei propri passi mentre si cammina e di scambiare due parole con l’altro, che nell’apertura di un nuovo museo. Non che il museo non serva. Ma se prima non avrà prima preso forma la domanda, non sapremo riconoscere alcuna offerta. Senza la scintilla che spinge ad andarci per cercare quello di cui è nato il desiderio, non c’è museo che tenga: vedremo solo forme vuote, linee senza significato.

Fare cultura oggi è soprattutto provocare il desiderio di qualcosa che non può essere consumato.

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Dicembre 20, 2010

TORNARE A RIVEDER LE STELLE

Ancora sul desiderio, che struttura l’umano, e di cui il rapporto Censis ha decretato la scomparsa. Come si fa a farlo tornare? Ne conversavo stamattina con una collega del periodico Tracce. Come si fa  ritrovare questa postura di slancio, dalla terra al cielo, dalla nostra finitezza verso l’infinità delle stelle (de-sidera)? La domanda non è filosofica. Chiunque abbia un figlio adolescente se la pone: perché non desidera?

Premessa del desiderio è il sentimento della carenza. E’ da quel buco dell’io che il desiderio passa, strutturandoci come uno scheletro di luce. La carenza nasce dalla castrazione. E’ il differimento del godimento, che traccia una distanza tra me e l’oggetto. E’ l’allontanamento a opera di un terzo dal corpo della madre. Voglio dire questo: è semplicistico dire che non desideriamo nulla, che veniamo invasi da un enorme vuoto perché abbiamo troppe cose. Questa del consumismo è già una conseguenza. Ci sono ragazzini per niente consumisti e totalmente non desideranti. Le cose decisive capitano ben prima. La disponibilità immediata di cose è segno di qualcos’altro.

Questo qualcosa è la fine del patriarcato. E’ l’eclissi della figura del padre così come l’abbiamo conosciuta, di colui che ci allontanava dolorosamente dall’oggetto e ci indicava la strada faticosa verso le stelle, che per primo scavava in noi il buco della carenza attorno al quale avremmo edificato la nostra personalità umana.

Quando dico che questa assenza di desiderio non può essere letta a prescindere da ciò che è capitato e capita tra i sessi, sto dicendo anche questo, e non solo che le donne desiderano e gli uomini no. E dico che si affacciano alla storia generazioni strutturate sul non-desiderio, che non si struggono per l’oggetto -la madre- ma probabilmente vagheggiano chi dalla madre li separi violentemente: il padre, possibilmente con bastone. Che nella storia assume le sembianze del dittatore.

esperienze, TEMPI MODERNI Dicembre 3, 2010

ITALIA 2010: INFELICITA' SENZA DESIDERI

Traggo in velocità da Libero.it.

Un’Italia “appiattita” che stenta a ripartire. E’ l’analisi del Censis, contenuta nel 44esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010, presentato oggi a Roma dal presidente del centro studi, Giuseppe de Rita e dal direttore generale, Giuseppe Roma. Il Censis registra un “declino parallelo” della legge e del desiderio.

LE REGIONI – In alcune regioni a complicare la situazione è la presenza della criminalità organizzata, radicata specialmente nel Sud Italia (soprattutto in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania). Molti dei provvedimenti varati negli ultimi anni, scrive il Censis, hanno avuto un modesto impatto reale. Da qui il venir meno della fiducia nelle lunghe derive e nell’efficacia delle classi dirigenti. Di là dai fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell’anno, suggerisce il Censis, “adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue fibre più intime“.

LAVORO AUTONOMO IN DECLINO – Diminuisce il lavoro autonomo, notoriamente motore che allontana dalla crisi, difatti si puo notare un calo del 7,6%: dal 2004 al 2009 c’è stato un saldo negativo di 437 mila imprenditori e lavoratori in proprio. Cresce la disoccupazione nei primi due trimestri, pari al 5,9%, rispetto allo 0,9% della media europea. Nel nostro Paese sono 2.242.000 le persone tra i 15 e i 34 anni che non si dedicano allo studio, non lavorano e neppure cercano un impiego, anche perchè, come da loro dichiarato, alcuni lavori sono meno interessanti e appetibili.

ITALIA E L’EUROPA – I motivi della crisi economica vanno ricercati, secondo il Censis, anche in altri fattori e, soprattutto, nel confronto con quanto accade all’estero. Tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita economica italiana è stato più basso che in Germania, Francia e Regno Unito. Il made in Italy diminuito dello 0,3% su scala mondiale, attestandosi su una quota di mercato globale del 3,5%. A risentirne maggiormente sono stati i comparti a maggiore tasso di specializzazione, dalle calzature ai mobili, notoriamente orgoglio nazionale all’estero. E non è tutto: l’Italia non sfrutta a pieno una ripartizione flessibile degli orari lavorativi. Ed è inoltre,  in Europa, quella in cui meno si osservano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda: ciò avviene solo nel 3% del totale, contro una media europea del 14%..

MATTONE BENE RIFUGIO – Secondo italica tradizione, il 40% degli intervistati dice di non avere risparmi a disposizione, ma i nuclei familiari che possono investire nutrono eterna fiducia nel mattone. Nel 2010, dopo tre anni di recessione, è in leggero progresso la compravendita di case, in salita d el 3,4 per cento. Per il 22,7% degli italiani, investire nel mattone è il miglior canale per investire dei capitali.

IL DESIDERIO – Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. E una società appiattita “fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”. Così all’inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio. “Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”, è la ricetta proposta.

Aggiungo io: noi donne siamo piene di desideri. Lasciateci fare.

Donne e Uomini, OSPITI Marzo 11, 2009

UOMINI SULLE DONNE

Un lettore, Giulio, mi scrive questa lettera sullo stupro. La pubblico qui.

Cara Marina, Lo stupro è un atto pienamente e sinceramente maschile e il subirlo è pienamente e sinceramente femminile. Non a caso, lo stupro della donna sull’uomo non si dà, ma per motivi che non hanno un piffero a che fare con una presunta (ed inesistente) differenza di livello morale fra maschio e femmina. Nella natura ancestrale dell’uomo, mai comprimibile fino in fondo, c’è l’istinto a oggettualizzare la donna e nel caso della violenza carnale il processo si completa: sei mia come mio oggetto del desiderio e ti faccio ciò che voglio. Ecco, qui sta il nodo della questione. Nella situazione di massima eccitazione sessuale, la donna VUOLE essere oggetto della passione maschile, ma solo se prima questa decisione inconscia è stata negoziata e dunque raggiunta con ogni possibile linguaggio. La conseguenza è che lo stupro è tale solo se condotto contro la volontà della donna e giammai sulla base delle sue caratteristiche pratiche, volontà o nolontà che è esattamente la ratio iuris definitoria del reato, unico in tutto il codice penale, fra l’altro, a poter essere così definito dalla vittima. Nel dibattito pubblico, invece, tutta l’attenzione è concentrata sulla violenza degli uomini (quali?) sulle donne (quali?), con un’ipocrisia tanto spontanea quanto velenosa, perché la sua conseguenza inevitabile è che l’uomo è violento e la donna è una vittima. Ergo tutti gli uomini sono violenti, ergo tutte le donne sono vittime, ergo tutti gli uomini devono sentirsi in colpa. Punto e basta. No. Tutti gli uomini, in maggiore o minore misura, sono violenti se le donne accettano di restare, come è ancora adesso in ogni parte del mondo sviluppato, ESCLUSIVAMENTE enti riceventi lo stimolo del maschio, che neanche tanto segretamente pretendono di tenere a bada sempre però con la necessità di vivere la paura di non riuscirci, atteggiamento ambiguo e masochista che corrisponde all’essenza del femminile. E questo, secondo me, è anche il motivo per cui, Califano, che proprio non è il tipo frustrato e vigliacco da stupro visto che ne ha trombate tantissime a (sua) volontà, viene ricoperto di scandalizzatissimi moralismi d’antan dalla parte più in dell’opinione pubblica dopo aver detto che “le donne, anche le più raffinate, nel momento del sesso amano essere trattate come animali”. Che è un datto di fatto che qualunque uomo eterosessuale può confermare. Qual è la conclusione? Seplice: le donne dovrebbero capire che QUESTO TIPO di condanna della violenza dell’uomo sulla donna è meramente funzionale al conformismo oggi necessario a mostrare a tutti gli spettatori del teatrino che abbiamo l’opinione giusta, ma non scalfisce neppure di un millimetro l’ordine sociale implicito, e cioè che la donna è SEMPRE da proteggere in quanto vittima e a proteggerla ci dev’essere IL forte, vale a dire una forma tanto tanto morbida di maschilismo puro e semplice. Che molte, con non so quanto inconsapevole ipocrisia, accettano o vivono frustratamente in silenzio. Resto in ansiosa attesa di un suo riscontro, però ci pensi: non voglio che mi dia torto o ragione, ma che mi aiuti a capire.  Grazie.

esperienze, Politica Marzo 7, 2009

AL MERCATO DELLA FELICITA’

Si tratta di “andare in giro per il mondo incinti di quello che il mondo, di fatto, al momento, non è, non sa, non può. O, per chi ha la vista buona, (di) andare incontro al mondo e vedere che è incinto del suo plus”. Meglio di così non saprei dirlo. E perciò, quando qui, nel mio blog e ovunque, mi capiterà come capita sempre di imbattermi nella disperazione di chi non fa che nominare il male che c’è, spargendolo dappertutto, risponderò con le parole con cui la filosofa Luisa Muraro chiude suo nuovo libro (Al mercato della felicità, Mondadori).
In un libro, come al mercato, ognuno trova quello che gli serve, e la possibilità di continuare il lavoro di chi l’ha scritto. Io qui, tra tante cose belle, trovo soprattutto un contravveleno alla disperazione politica, al senso di essere definitivamente sopraffatti e senza vie d’uscita. Traendolo dalla mistica islamica, Muraro fa l’esempio di quella vecchia che pur senza alcuna possibilità di farcela, ha l’audacia di mettersi in gara al mercato degli schiavi per comprare lo splendido Giuseppe, offrendo in cambio qualche gomitolo di lana. E a chi la deride, risponde che ciò che conta è che si dica che “anche lei ci ha provato”. Perché senza desideri grandi, senza grandi orizzonti, che vita sarebbe?
Come non cedere sui desideri quando il confronto con la realtà sembra perdente?”, è la domanda del libro. In un momento in cui uno o una, appena si muove, trova muri da ogni parte, e l’unica mossa che gli è consentita è consumare, e oggi nemmeno più tanto quella, è forte la tentazione di cedere sui desideri e di rassegnarsi all’angustia e al male, alla propria inconsistenza e a un’economia senza gioia. Qui non ho modo di dire di più -vi rimando alla lettura del libro- se non menzionare la fiducia con cui Muraro promette a se stessa e a chi si pone in ascolto, che “il reale… non assiste indifferente alla passione del desiderare” e per questo si deve e si può, come la vecchia, e senza esagerare “il potere del potere”, “restare nella fila dei compratori”, intenti in una “contrattazione instancabile” con il reale realizzato, aprendo “un passaggio tra il tutto già deciso e il non ancora”. Per guadagnare il nostro stesso essere, e insegnare al mondo il suo “plus”.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 7 marzo 2009)

Archivio Agosto 1, 2008

VOLEVA UCCIDERSI

Dopo voleva uccidersi, buttandosi in un torrente. Poi ci ha ripensato, ed è andata alla polizia, malconcia, piena di lividi, graffi e morsi a denunciare i suoi stupratori, sette ragazzi perbene, tutti più o meno della sua età, poco più di vent’anni. E perché voleva uccidersi? Semplice: per completare il lavoro dei suoi aggressori.

Si sbaglia a pensare che uno stupro sia un fatto di sesso, e tanto meno di desiderio: un maschio -sette, in questo caso- accecato dalla passione. In uno stupro non c’è desiderio né passione, ma solo violenza. Uno stupro, ha detto qualcuno, è un atto pseudosessuale, in cui si usa il sesso per dire e fare altro.

Quello che conta in uno stupro è annichilire il desiderio della vittima, fare fuori il suo essere desiderante, ridurla all’impotenza, e quindi ucciderla simbolicamente. E non è raro che alla morte simbolica- quella da cui la vittima dovrà saper resuscitare elaborando il “lutto” delle violenze subite- segua una morte reale.

Dopo voleva uccidersi, la ragazza fiorentina stuprata, e invece non l’ha fatto, grazie a Dio. La domanda che conta non è: perché voleva uccidersi? (per completare il lavoro, come abbiamo detto), ma piuttosto: perchè volevano ucciderla?

Perché sette ragazzi possono avere bisogno di uccidere una donna per sentirsi vivi e potenti? Perché non ce lo spiegano loro? Perché non ci aiutano a capire, gli uomini di buona volontà?