Caro Pd leggi quello che sta capitando. Renditi conto che senza le donne o contro le donne oggi non si va da nessuna parte. Che l’alternativa al populismo e all’uomo “forte” è il senso del popolo e dei suoi bisogni autentici di cui le donne sono portatrici
Un personaggio pubblico che parla di salute ha sempre grandissime responsabilità: dire, come ha fatto Beppe Grillo a Perugia, che le mammografie sono il business di Veronesi è un atto irresponsabile, perché le donne possono dedurne che la mammo non serve a niente, se non ad arricchire qualcuno, e quindi non farla. Il che può mettere a rischio la loro vita. Più tardi Grillo ha precisato: “Non penso che la mammografia non sia utile o necessaria. Anzi penso che sia utilissima. Ce l’avevo con la cattiva informazione che fa credere che facendo questo esame non venga il tumore”. Bene: questo è tutt’altro conto.
Perché sbaglia anche la ministra per la Salute Beatrice Lorenzin a sostenere che “l’arma più efficace, talvolta l’unica, per sconfiggere il cancro è la prevenzione» e che uno degli esempi più eloquenti è il tumore al seno, che «le donne possono sconfiggere proprio grazie alle mammografie e ai controlli da protocollo».
Mammografie e controlli sono utilissimi, ma non possono essere definiti “prevenzione”. I controlli periodici consentono diagnosi precoci, e quindi diminuiscono il rischio di morire per tumore al seno. Ma il tumore, quando viene scoperto ai controlli, ce l’hai già, e non può più essere “prevenuto”. Sulla vera prevenzione del tumore al seno in verità si fa poco o nulla, ed è una cosa terribile se consideriamo che verosimilmente nessun tumore ha un simile tasso di incidenza (1 donna ogni 8) con tendenza ad aumento tra le under 40 e soprattutto fra le under 30.
Un po’ di numeri, spaventosi: nel 2014 in Italia sono stati diagnosticati 48 mila 200 nuovi casi, con 12.500 decessi. si stima che nel 2020 saranno 51500 (fonte AIRTUM-AIOM). Nel 2011 (dato più recente) il carcinoma mammario ha rappresentato la prima causa di morte per tumore nelle donne, con 11 mila 959 decessi (fonte ISTAT), al primo posto anche in diverse età della vita, rappresentando il 29 per cento delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 23 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 16 per cento dopo i 70 anni.
Tutte conosciamo il problema, se non è toccato a noi è capitato a parenti, amiche, conoscenti.
Le case farmaceutiche non hanno alcun interesse a finanziare ricerche che consentano una reale prevenzione, perché la prevenzione non fa vendere farmaci. Ma è proprio su questo fronte che si deve agire, sgombrando il campo dall’equivoco secondo il quale screening e controlli servono a non ammalarsi: screening e controlli servono solo a curarsi tempestivamente quando sei GIA’ ammalata.
Il numero di donne che si sottopongono ai controlli è aumentato, ma il tumore al seno non diminuisce. Anzi. Come avete visto le prospettive sono pessime. A quanto pare le strategie che sono state adottate non sono efficaci.
Ne parliamo con Alberta Ferrari, senologa chirurga presso il Policlinico San Matteo di Pavia. Ferrari è anche promotrice di un gruppo che aggrega le donne con mutazione dei geni BRCA (la patologia di Angelina Jolie, che ha deciso di sottoporsi a mastectomia e ovariectomia preventiva), donne ad altissimo rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie.
“Non si discute la validità della mammografia come mezzo di diagnosi o di sorveglianza” dice. “Ma ci sono studi -per esempio una grossa ricerca canadese- secondo i quali gli screening mammografici sostanzialmente non influiscono sulla mortalità per tumore al seno. In Svizzera infatti gli screening sono stati sospesi. Altri studi danno risultati diversi: secondo la maggior parte delle ricerche, gli screning diminuiscono la mortalità del 15-25 per cento. L’opinione più diffusa tra gli addetti ai lavori è che lo screening mammografico resti utile, anche se non si deve farne un oggetto di culto. Il rischio è che le donne pensino che l’esame serva a non ammalarsi”.
Che cosa si sta facendo invece sul fronte della prevenzione primaria?
“Poco o niente. Si parla di stile di vita (alimentazione, obesità, sedentarietà) che senz’altro incide per l’età “classica”, tra i 50 e i 70 anni, ma difficilmente può spiegare i casi di tumore al seno tra le venti-trentenni. Non conosciamo ancora le cause del cancro al seno, il che significa che non sappiamo ancora come prevenirlo”.
Può incidere anche il fatto che ci alimentiamo con carni di animali trattati con ormoni? (proprio oggi un incontro tra ministri a Bruxelles sull’abuso di farmaci negli allevamenti di animali, ndr).
“E’ probabile. Il processo che conduce ad ammalarsi potrebbe avviarsi già a livello embrionale, quando sei nella pancia di tua madre. Ci sono altre sostanze fortemente indiziate: pesticidi, componenti di cosmetici e di prodotti di bellezza… Sul fronte della prevenzione la politica ha grandi responsabilità. Le ricerche possono essere finanziate solo con fondi pubblici, i privati delle case farmaceutiche non hanno alcun interesse a metterci dei soldi”.
Il tema dello scarso interesse per la prevenzione vale un po’ per tutto. Per esempio, l’infertilità: è accertato che gli ftalati, componenti di prodotti di uso comune, come molti bagni schiuma o dentifrici, compromettano la fecondità maschile. Ma nessuno propone di metterli al bando. Si lotta per il business della fecondazione assistita, ma non si parla mai di prevenzione. Tornando al tumore al seno: allo stato attuale quali sono le strategie migliori per difendersi?
“Le indicazioni sono di personalizzare i percorsi, valutando i fattori di rischio, la familiarità, l’eventuale predisposizione genetica, come nel caso dellla mutazione dei geni BRCA, che riguarda il 5-10 per cento dei casi. Purtroppo solo l’Emilia Romagna ha già adottato questo approccio. Per tutte, controlli mammografici a partire dai 40 anni, dopo i 50 ogni anno e mezzo-due. Per le under 40 è fondamentale l’autopalpazione. E poi c’è il tema importantissimo delle Breast Unit“.
Di che cosa si tratta?
“Le Breast Unit sono unità specializzate nella cura multidisciplinare e integrata del tumore al seno. I casi vengono studiati collegialmente e le donne vengono accompagnate lungo tutto l’iter diagnostico e terapeutico. Il trattamento nelle Breast Unit diminuisce la mortalità del 20 per cento. Lo scorso dicembre l’istituzione di Breast Unit è stata deliberata dalla conferenza Stato-Regioni. E’ necessario vigilare: le Regioni hanno un anno di tempo per adeguarsi, in caso diverso saremo sanzionati dall’Europa. Ma soprattutto, ed è quello che conta, salveremo meno vite”.
(delle Breast Unit parleremo diffusamente nei prossimi giorni, in vista di un convegno in programma a giugno).
Il Maalox ha fatto effetto subito, e anziché intraprendere un’efficace autocritica, come richiesto in rete da molti attivisti del M5S, o addirittura dimettersi –tanti stanno chiedendo anche questo- due giorni dopo la mazzata elettorale Grillo ha preso un aereo per incontrare Nigel Farage, leader di Ukip, fortissimo Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, e per ipotizzare future alleanze.
L’incontro è andato benone, Farage ha detto: “Se funziona, sarebbe magnifico vedere ingrossare le file dei cittadini al nostro fianco. Se riusciamo a trovare un accordo, potremmo divertirci a causare un sacco di guai a Bruxelles“. Beppe Grillo ha ribadito: “Siamo ribelli con una causa e combatteremo con il sorriso“. L’ipotesi è quella di un gruppo unitario al Parlamento Europeo.
Normalmente un leader, prima di intraprendere iniziative di questo rilievo politico, consulta gli organismi direttivi del suo partito. Nel M5S, che si dichiara un non-partito, direttivi non ce n’è: ci sono Grillo e Casaleggio, ci sono gli eletti (parlamentari, sindaci etc.) e poi c’è “la rete”.
Se la decisione non è maturata tra gli eletti (che su Farage sono spaccati), né con una consultazione in rete, è verosimile che Grillo e Casaleggio abbiano deciso tutto quanto da soli. E non è precisamente rassicurante che il consenso di più di 5 milioni di elettori costituisca un patrimonio esclusivo di due, che possono investirlo e disinvestirlo su chiunque o su qualunque cosa ritengano, scegliendo in assoluta libertà modi, tempi e contenuti delle intese.
L’Ukip di Farage nasce da una costola del Partito Conservatore. E’ una formazione antieuropea, nazionalista, xenofoba e di destra. Magari non tanto di destra quanto il Front National di Marine Le Pen –con cui né Farage né Grillo intendono allearsi- ma l’area è quella: destra liberale.
Quindi in Europa il M5S, che ha sempre rifiutato accordi politici a livello nazionale, intende dialogare con la destra. Decisione non da poco, assunta autocraticamente, senza consultare nessuno. Dobbiamo forse aspettarci che il M5S finisca per scindersi tra un’ala destra e un’ala sinistra?
P.S. Una domanda-corollario che riguarda la lista Tsipras: creando non pochi malumori tra i militanti, Barbara Spinelli, tra i fondatori della lista e neo-eletta al Parlamento Europeo (avrebbe dovuto dimettersi per lasciare posto al primo dei non eletti, ma per ora non lo ha fatto) ha più volte ribadito la sua intenzione di dialogare con i 5 Stelle. Anche con questi 5 Stelle, amici di Farage?
La rabbia è un sentimento indispensabile alla sopravvivenza, tanto quanto la paura: rapida attivazione di tutte le risorse biochimiche necessarie a produrre una reazione in tempi brevi. Un supercarburante: ma se non lo usi per agire, ti ingolfi e ti avveleni.
L’errore del M5S, che ieri ha perso 2 milioni e mezzo di voti, è stato principalmente questo, e qui lo abbiamo detto e stradetto mille volte: non capire che alla rabbia doveva conseguire l’azione costruttiva, con relativo cambiamento di linguaggio. Che il ringhio, le minacce, gli eccessi verbali, l’arroganza del #noivinciamo e #velafaremovedere, il machismo e il sessismo, le sfumature fascistiche, le porte sbattute in faccia, l’ostinazione aventiniana, il manicheismo, la scarsa democrazia interna e tutto quello che abbiamo visto in dosi massicce in queste ultime settimane di campagna elettorale, non avrebbero pagato più.
“Siamo sicuri che urlare in faccia agli Italiani i loro problemi e la strada da perseguire per cambiare il nostro paese?“, twittava stamattina un grillino. Ecco, siamo sicuri?
Grillo non è stato un leader all’altezza dello straordinario patrimonio politico che si è trovato a gestire. L’inizio della débâcle, quelle consultazioni-farsa in streaming con il premier incaricato Matteo Renzi. La sua gente le aveva volute, lui ci era andato obtorto collo, perché “decide la rete”. In realtà ha continuato a decidere lui, e quelle consultazioni sono state solo un pessimo monologo alla Lenny Bruce.
Il silenzio di queste ore dà l’idea di un pugile suonato, di un Masaniello che nasconde la mano, e anche questo è un grave errore: nessuno che parli, né il leader né i parlamentari. Blog muto, pagine dei social network pietrificate. Ma non si lascia il proprio “popolo” nell’incertezza e nello smarrimento. La sconfitta durissima va ammessa -il nemico Renzi ha addirittura doppiato i 5 Stelle-, 2 milioni e mezzo di persone ti hanno detto che il tuo “no-no-e no” non basta più, una prima diagnosi va azzardata, una strada va indicata. Dare la colpa al popolo bue, come vedo già in molti commenti, sarebbe molto miope.
Probabilmente Grillo sta pensando se tenere fede alla promessa: “se non vinco me ne vado”. Ma senza di lui il M5S crollerebbe, e quella rabbia troverebbe altre strade, quasi certamente rischiose. La rabbia scatenata va responsabilmente gestita. La nave in difficoltà non può essere abbandonata.
Il 21.5 per cento dei consensi resta un patrimonio politico cospicuo, da amministrare oculatamente. Si tratta necessariamente di passare dalla furia destruens alla fase della costruzione, della proposta, del compromesso e delle alleanze.
Il primo round è finito.
Aggiornamento: al momento Beppe Grillo si limita a prendere il Maalox. Questo il suo commento
“Adesso ci state prendendo in giro. Vi capisco. Mettete proprio il coltello nella piaga. Abbiamo perso. Non è una sconfitta, siamo andati oltre la sconfitta. #vinciamopoi, sì #VinciamoPoi. Abbiamo il tempo dalla nostra, è ancora presto. Quest’Italia è formata da generazioni di pensionati che forse non hanno voglia di cambiare, di pensare un po’ ai loro nipoti, ai loro figli, ma preferiscono stare così. Son dei numeri che non si aspettava nessuno, però noi siamo lì, siamo il primo movimento italiano, il secondo partito. Abbiamo preso il 21-22%, abbiamo preso l’IVA, senza avere voti in nero e siamo lì senza aver promesso niente a nessuno, né dentiere né 80 euro. Io sarei anche ottimista, quindi: non scoraggiatevi. Vedo messaggi: “cosa facciamo? andiamo avanti?”, certo che andiamo avanti. Siamo la prima forza di opposizione, faremo opposizione sempre di più, sempre meglio e cercheremo di rallentare il dissanguamento, lo spolpamento di questo Paese, che ci sarà. Noi saremo precisi, puntuali, e ci saremo sempre, non preoccupatevi. Ora Casaleggio è in analisi per capire perché si è messo il cappellino e poi tutti insieme vedremo che cosa fare. State tranquilli, dai, vin… vinciam… Vincono loro. Vincono loro, ma è meraviglioso lo stesso. Intanto io mi prendo un maalox, non si sa mai. Casaleggio, c’è il maalox anche per te, vieni qua.” Beppe Grillo
altro aggiornamento: analizzando il fallimento, Casaleggio si è detto sicuro che il problema non risieda nei contenuti, ma dei toni con cui vengono declinati. Troppa rabbia, troppa aggressività, producono reazione indesiderate, come l’assuefazione, e la fuga di massa verso lidi più rassicuranti.
Ecco, scusate amici del blog: da quanto li invitiamo a “toni gandhiani”?
Chi segue questo blog conosce la mia attenzione e il mio rispetto per i 5 Stelle e per i suoi elettori: digitate Grillo e M5S, i post sono qui da vedere, ad accompagnare la speranza che quel movimento notevolmente innovativo, a forte presenza femminile, con una decisa attenzione all’ambiente, intraprendesse prima o poi quella che ho chiamato “svolta gandhiana”, a cominciare da una maggiore mitezza nel linguaggio: il medium è il messaggio.
Le cose sono andate in tutt’altro modo: un’escalation incontenibile di violenza verbale, coprolalia, sessismo. Una regressione agli istinti più bassi. L’incapacità di fuoruscire dalla fase del “no”, malattia infantile del grillismo. Le censure, le epurazioni. La mistica -antidemocratica- della rete. Una misoginia senza freni. Fino alla piazza torinese di ieri, che a mio parere segna la svolta definitiva: in piazza Castello il M5S è politicamente morto o, al contrario, si è posizionato irreversibilmente e con successo tra i populismi fascistoidi e antidemocratici alla Le Pen. Ci toccherà aspettare una settimana per saperlo.
Un furente Beppe Grillo ha offerto alla piazza torinese il meglio del suo peggio. “Non sono Hitler, sono oltre Hitler” (imbarazzando anche i suoi). “Bisogna ringraziarlo, Stalin… Schultz, vedi di andare affanculo“. “L’ebetino di Firenze è andato a dare due linguate a quel culone tedesco“ (Angela Merkel, ndr): citazione berlusconiana purissima, così come quel titillare il sentimento antitedesco. “Digos, Dia e Carabinieri sono con noi“: le parole più gravi, di sapore golpistico, insieme alla promessa di processi sommari “contro i giornalisti, i politici e gli imprenditori che hanno rovinato questo Paese“ e alle ingiurie contro l’inno di Mameli. Oltre non si potrebbe, ma mai porre limiti all’Improvvidenza. Sentiremo il comizio conclusivo a Milano: se non è del tutto pazzo un po’ di freno a mano lo tirerà.
Di qui in ogni caso non si torna indietro, questo è certo: ieri Torino ha visto un nuovo Beppe Grillo, che dà ragione a chi fin dal principio ha paventato la sua pericolosità politica e la sua deriva fascistica. Di fronte a quell’one-man-show gni ipotesi di dialogo democratico decade. E stupisce molto che con sfortunato tempismo proprio due giorni fa in un’intervista a “Il Manifesto” la fondatrice della Lista Tsipras Barbara Spinelli, figlia di Altiero, padre fondatore dell’Europa, abbia aperto all’antieuropeista Grillo auspicando “un dialogo con i 5 stelle e di decidere su punti specifici politiche concordate. Ci sono molte cose in comune… Ci sono molte posizioni di Grillo completamente condivisibili, e fra l’altro simili se non identiche alle nostre. M5S potrebbe svolgere un ruolo molto importante”.
Grande, grandissima, enorme confusione sotto il cielo.
Beppe Grillo ha respinto seccamente il pronto invito di Marine Le Pen, trionfatrice delle amministrative in Francia, a un’alleanza tra euroscettici in vista delle prox europee: nessuna alleanza con Marine, ha detto Grillo. Il M5S non è né di destra né di sinistra, e allearsi con lei vorrebbe dire spostare l’asse del Movimento a destra.
Marine è dispiaciuta. In fondo, dice, a cominciare dalla lotta all’euro, i nostri programmi convergono su molti punti. E alleanza o non alleanza, il fatto significativo è proprio questo.
I temi su cui vince Marine -l’antieuropeismo, lo scontento diffuso, la disoccupazione, l’odio per la casta, le disuguaglianze sociali, la pressione fiscale- sono gli stessi che possono nutrire il successo del M5S. Una non-alleanza populista che può segnare fortemente di sé il voto europeo.
Poi, naturalmente, ci sono le variabili locali. In Francia, la diffusa insoddisfazione per il governo Hollande. In Italia, le divisioni nel M5S e la “luna di miele” ancora in corso con il neonato governo Renzi.
Proprio per questo, per quanto ci riguarda, i primi 100 giorni di Matteo Renzi saranno decisivi.
Non solo per il nostro Paese, ma per tutta l’Europa: i leader europei ne tengano conto, nel loro atteggiamento verso l’Italia.
Il Grande Capo è da rottamare: molte moderne teorie dell’organizzazione convengono su questo.
Il leader non è mai la soluzione dei problemi organizzativi. Semmai è il problema delle organizzazioni: ingombro e ingorgo alla fluidità dei processi, la cui efficacia invece chiede rete, network orizzontali, intelligenza che corre elettricamente da un ganglio all’altro come tra i neuroni di un’unico organismo.
Vi sarà capitato di imbattervi in questi discorsi -girano da qualche anno- che oggi però appaiono smentiti dai fatti. Quanto meno dai fatti della politica, che non smette di produrre protagonisti assoluti, leader incontrastati, uomini soli al comando. Berlusconi, Grillo, Renzi: il più delle rispettive “ditte” sono loro. Leader che non si privano del collettivo -i club, il web, le varie assise-, né rinunciano alla consultazione e alla postura dell’ascolto. Ma poi a sintesi ci vanno da soli, o accompagnati da pochissimi “intimi” selezionati con criteri extra-democratici o “magici”.
Ne parlo con Andrea Vitullo, consulente filosofico, docente ed executive coach. E autore di “Leadershit” : titolo sufficientemente chiaro.
“E’ come se ci fossero due modalità contrapposte” mi dice. “Mondi organizzativi evoluti, come quello dell’high-tech, dove l’eccesso di leaderhip è letto immediatamente come sintomo di cattiva salute e di scarse prospettive per un’azienda. E poi ci sono mondi come quello dell’organizzazione politica, dove si continua a fare riferimento ai vecchi parametri meramente quantitativi (il Pil, il 3 per cento e così via) che chiamano necessariamente la figura del salvatore-decisore. Nel suo ultimo saggio “Thrive” (=prosperare, trarre profitto) Arianna Huffington, che è stata una donna di straordinario successo, delinea nuovi parametri per definire la realizzazione personale: successo non più come carriera, potere e soldi, ma come autentico benessere interiore, capacità di appassionarsi e di stupirsi, abbondanza di relazioni, propensione a dare. La nuova abbondanza è questo. Paradossalmente proprio questi cambiamenti profondi inducono una parte del mondo a tenere difensivamente duro sui vecchi paradigmi”.
Insomma, da che parte andiamo?
Aggiornamento 20 marzo ore 11: vedo che Nadia Urbinati ha scritto un libro proprio su questo tema: “Democrazia sfigurata. Il popolo tra opinione e verità” (Egea, € 29).
Caro Beppe Grillo,
nel caso avessi il tempo e la pazienza di fare un giretto per questo blog, vedresti che ho sempre trattato i 5 Stelle con il rispetto, la considerazione e l’attenzione che si deve a uno schieramento politico sostenuto più o meno da un terzo dei miei concittadini. E non raramente mi sono trovata in sintonia con i suoi contenuti, esprimendo tuttavia l’auspicio che dal linguaggio urlato, feroce e di battaglia della fase aurorale, il M5S sapesse passare alla forza autentica di una lingua più mite e “gandhiana”: quando si sa di avere ragione, non c’è alcun motivo di strillare e insultare.
Mi era parso che certe apparizioni televisive, tipo quella di Alessandro Di Battista a “Le Invasioni Barbariche”, intendessero muoversi in questa direzione, quanto meno per temperare al volo l’orribile uscita dell’onorevole De Rosa contro le deputate piddine, totalmente impolitica e beluina. Ma se poche ore dopo, caro Beppe, tu posti questo bel filmatino, con la premessa “Cosa succederebbe se ti ritrovassi la Boldrini in macchina“, sono costretta a ricredermi.
Sei un comunicatore troppo abile per non sapere che quella domanda chiama risposte oscene e sessiste, che puntualmente sono arrivate: “La metto a 90 gradi e poi gli metto nel c…”. “La scaricherei subito sulla statale, magari fa un po’ di cassa extra”. “Mi farei fare una p…”. “La riempirei di botte”. “La tromberei”. “Impossibile, non vado a mignotte”. “La porti in un campo rom e la fai trombare con il capo del villaggio”. “Inchioderei facendole sbattere la testa sul cruscotto, dopo mi fermerei in autostrada e con un guinzaglio la lascerei attaccata al guardrail”. E così via.
Nessuno meglio di te ha il polso e la misura delle quantità impressionante di odio che circola sul web (la mattina, quando mi connetto, mi si contrae in automatico lo stomaco, perché do per certo che sarò investita dallo tsunami di hate-speeching, in crescita esponenziale).
Pubblicando quel filmato -e non solo- mi ha dato la precisa sensazione che tu intenda servirti di quell’odio, che tu faccia di tutto per eccitarlo e scatenarlo, con particolare riguardo a una misoginia e a un sessismo intollerabili: e continuo a meravigliarmi del fatto che le donne del M5S (ma anche le tue amiche, tua sorella se ne hai una, tua moglie) non ti pongano apertamente il problema.
Insomma, sembra che ti piaccia giocare facile: l’odio per le donne è una miniera inesauribile.
Laura Boldrini è criticabilissima, l’operazione “ghigliottina” non mi è piaciuta, non mi è piaciuto l’abbinamento delle questioni Imu e Bankitalia, né mi piacciono i decreti, soprattutto quelli “omnibus”, dove si imbarca di tutto un po’ (vedi il femminicidio per parlare di furti di rame e di militarizzazione della Val di Susa). Ma colpirla nel suo essere donna, “caricarla” in macchina, con tutto il simbolico annesso, è una cosa francamente disgustosa.
La rabbia è uno straordinario carburante, ti dà l’energia indispensabile per partire, e l’exploit del M5S è stato davvero straordinario: le ragioni non mancavano. Ma un’avventura politica che continua a nutrirsi di odio, di rabbia e di cattivi sentimenti, che insiste nel parlare alla pancia, che accompagna il suo legittimo percorso con manifestazioni di barbarie –la misoginia violenta è sempre un’indizio di arretratezza civile– non può che avere due esiti: la perdita di consensi e il fallimento dell’impresa; o, in alternativa, la deriva fascistica e antidemocratica.
Se proprio deve andare così, preferisco la prima soluzione.
Giuro che la domanda non è retorica: toccherebbe secondo voi a Beppe Grillo -o a chi amministra per lui la pagina Facebook- ripulire il suo wall da questa immondizia? Risposta: sì, perché chi apre uno spazio pubblico, e una pagina Fb lo è, se ne rende responsabile, almeno nei limiti delle sue possibilità. O invece: risposta no, perché cancellare questa roba equivarrebbe a “censurare” la realtà. Meglio che si veda come stanno le cose.
Il fatto è che quello che si vede in questa pagina è la persistenza dei veleni violentemente misogini, da cui anche le donne come potete osservare non sono immuni: Boldrini non viene cioè attaccata o criticata, cosa ovviamente legittima, con argomenti politici e su questioni politiche. Si coglie l’occasione di un atto di Boldrini, donna assertiva e in una posizione di grande responsabilità e visibilità, per ricondurre lei, e con lei tutte le altre, alla sua “naturale” posizione di ricettacolo degli umori maschili, in senso figurato e anche letterale. Si tratta, cioè, di un’operazione di potere. Perfino la Presidente della Camera è semplicemente una “vacca”, “baldracca” etc. (figuriamoci le altre) e l’attività che le si conface, altro che presiedere l’assemblea dei Parlamentari, è “pulire il cesso”, come una qualunque rassicurante surrendered wife.
Il collega Pierluigi Battista ha ottenuto l’ambita nomination nella lista di proscrizione dei giornalisti nemici del M5S. Ma la qualità delle critiche e degli insulti è stata di natura ben diversa -cioè non sessuale– da quella riservata a Maria Novella Oppo. Pure lei, come Boldrini, ricondotta brutalmente alla sua funzione di ricettacolo materiale.
Insomma: che cosa dovrebbe fare Beppe Grillo? Ignorare e lasciar fare, o cancellare (o quanto meno prendere posizione, dissociandosi)?
Ho sempre rispettato il Movimento 5 Stelle, i suoi eletti e i suoi 8 milioni di elettori -chi frequenta il blog lo sa-. Pur non condividendo completamente la scelta di tenersi fuori politicamente da ogni responsabilità di governo, ho sempre riconosciuto la spinta innovativa del Movimento, senza il quale anche quelle poche prospettive di cambiamento a mio parere sarebbero ancora sbarrate.
A occhio, quindi, non dovrebbe capitarmi di finire nella lista di proscrizione istituita da Beppe Grillo contro i giornalisti nemici del Movimento, né di sentirmi dare, come è capitato alla collega Maria Novella Oppo dell’Unità, della “cessa”, “baldracca”, “racchia”, “ammoscia cazzi”, “cagna”, “zoccola”, “carta da culo”, “troia”, “succhia cazzi” (traggo dalla pagina Facebook di Beppe Grillo). Ma sarei ben lieta che capitasse anche a me, se questo servisse a risvegliare le coscienze delle moltissime elette e militanti 5 Stelle, che non soltanto dovrebbero rivoltarsi di fronte all’idea di una lista di proscrizione dei giornalisti, armamentario classico dei fascismi e delle dittature, e su questo non si discute, ma anche riconoscere quello che è capitato alla mia collega come odio misogino e pura e ripugnante violenza sessista: e anche questo è fuori discussione.
Beppe Grillo non ha saputo e non ha voluto fare il passo che sarebbe stato necessario a consolidare il suo straordinario successo elettorale: dall’urlo alla mitezza gandhiana, dalla guitteria savonaroliana alla sobria e ferma denuncia delle moltissime cose che vanno denunciate. Nel merito di quello che dice ha molte ragioni, ma quel metodo, funzionale alla fase dell’attacco destruens, non gli consentirà di costruire granché. Di vaffa in vaffa, il Movimento rischia di perdere colpi.
Mi appello alle amiche 5 Stelle perché ricorrano a tutta la loro autorità femminile per costringere il leader a un rapido e deciso cambio di passo, stigmatizzando in ogni modo l’odio misogino espresso da un Movimento che paradossalmente gode della fiducia e del sostegno attivo di moltissime donne. Le avversarie politiche non sono “baldracche” (epiteto, vedo in quella stessa pagina, riservato anche alla Presidente della Camera Laura Boldrini), e qualunque maschio colga l’occasione del conflitto politico per esprimere la propria fragilità, la propria miseria e la propria violenza, andrebbe bannato in quanto stalker e allontanato con decisione.
Se la civiltà politica che i 5 Stelle hanno in mente contempla lo stupro “etnico” simbolico delle donne della parte avversa, be’, allora tanto vale che il Movimento si estingua, e al più presto.
aggiornamento delle ore 12.30: quanto a misoginia, Massimo D’Alema non è da meglio: vedere qui. Proprio non c’è limite. Che si vergogni.