Con grande piacere ospito questo intervento di Alessandra Bocchetti, e la ringrazio.
“E’ ricominciato il teatro della politica. Chi vince, chi perde, chi ha la battuta più pronta, chi ha la lingua più sciolta, chi è più furbo, più abile, più spiritoso. Uno spasso oppure la disperazione.
Pochi giorni fa in una delle mie tardive incursioni al mercato, quando già tutti stanno sul piede di partenza e le cassette ormai tutte impilate, ho visto un dignitoso signore che tra gli scarti a terra di frutta e verdura, raccoglieva quello che ancora era possibile raccogliere. Raccoglieva con eleganza come fosse in un orto o in un giardino e non sul pavimento sporco e fradicio del mercato all’ora di chiusura. Per me non è stata solo pena, ma un brusco viaggio nel tempo a quando i miei figli erano piccoli e, alla vista di qualcuno che chiedeva l’elemosina, mi chiedevano, chi era, perché… Spiegare la miseria è stata per me, giovane madre, uno dei compiti più difficili. La miseria è difficile da spiegare perché fa tanta vergogna. Fa vergognare perché è colpa di tutti.
Viviamo in un tempo in cui è difficile raccontare la miseria. Tutte le mattine invece ci aspettano gli annunci: il paese è più povero, siamo tutti più poveri. Ci informano che i consumi calano, non si vendono più automobili, si viaggia di meno, i saldi sono un flop! Non possiamo più consumare allegramente, ce lo dicono i numeri, le statistiche, i bilanci. L’annuncio più spaventoso è quando ti comunicano che gli investitori fuggono. Così la nostra immaginazione si popola di figure misteriose: gli investitori che fuggono, lo spread che si alza e si abbassa, il debito pro capite che ogni bambino che nasce, creatura innocente, trova già pronto al suo arrivo. Poi ci sono i moniti della Bce, se non della Banca Mondiale o di Draghi in persona, il cui solo nome porta con se visioni poco serene. In verità poche persone sanno quello che sta succedendo, questi sono gli esperti e i tecnici, lontani mille miglia da tutti noi. Tra di noi c’è chi un po’ si districa, c’è chi un po’ fa finta di capirci, la maggioranza si arrende e si affida. Questo affidamento è la cosa più pericolosa, perché così non si è più veramente cittadini anche se ti sembra.
Chi ci può salvare da un destino così misero è chi è capace ancora di raccontare la miseria fuori dai numeri. Chi è capace di ricordarci che il destinatario della miseria è sempre un corpo umano e chi considera tra i “beni comuni” anche tutti noi, giovani, vecchi, donne e bambini, tutti insieme, tutti in carne ed ossa.
Al mattino alla radio ascolto spesso “Prima pagina” un programma dove un giornalista commenta le principali notizie dei quotidiani e poi dialoga con coloro che chiamano per telefono per parlare delle loro personali esperienze. Lì si possono ascoltare i racconti, che sono spesso crudi e terribili, ma mai misteriosi. Pochi giorni fa una donna raccontava che per via dell’eliminazione del servizio di un pulmino garantito dal comune del suo paese, non avrebbe potuto più permettersi di fare la dialisi tre volte a settimana e che quindi aspettava di morire. Un’altra donna raccontava che suo figlio non aveva più l’insegnante di appoggio, perché il budget della scuola non poteva più garantirlo. Quella donna temeva per suo figlio un destino crudele in un mondo crudele. Il suo amore, raccontava con dignità, non sarebbe bastato a proteggerlo. Un’altra donna confessava con stupore di come il suo affetto per i due genitori ormai disabili stesse mutando a poco a poco nel suo cuore in un inaspettato risentimento. E’ un effetto della stanchezza, diceva quasi vergognandosi, perché non riceveva più alcun aiuto.
Con questi racconti ecco che l’economia si materializza, così i tagli alle scuole, alla sanità si fanno vedere per quello che combinano e scombinano, per quello che hanno a che fare con i destini delle persone.
Le storie sono tante, diverse, ma hanno sempre una cosa in comune: è sempre una voce di donna che racconta. Le donne sono capaci di raccontare e di svelarci cosa i numeri non fanno vedere.
Perché è soprattutto su di loro che si abbatte la crisi, questa come tutte le crisi della storia, come le guerre, le carestie, le epidemie. Sono sempre state le donne a pagare i prezzi più alti. Camus, ritirando il premio Nobel, dichiarò che gli esseri umani sono divisi tra coloro che fanno la storia e coloro che la subiscono. E che lui si sarebbe sempre schierato con questi ultimi. Tra questi ultimi ci sono le donne. Non ce ne dobbiamo vergognare. E’ proprio per questo che sappiamo raccontare gioie e dolori meglio degli altri. Ancora a noi, per ora, appartiene la modestia del racconto, quello che non si fa con la penna, ma con la voce. Siamo capaci anche noi di farne arte, certo, ma per la politica sono più importanti i racconti senza pretese.
Questa volta, speriamo, tante donne entreranno in Parlamento. C’è addirittura chi parla di una vera rivoluzione. Anche io ho lavorato tanto perché questo succeda, quindi ne sarò molto contenta. E’ un primo importante passo, ma non è questa la rivoluzione delle donne, sia chiaro. La vera rivoluzione sarà se le donne saranno capaci di parlare con la propria voce, quella della loro storia, quella appunto che sa raccontare. Rivoluzione sarà, se non se ne dimenticheranno, se non se ne vergogneranno, se la sapranno riconoscere tra le tante e la sapranno ascoltare dentro e fuori di sé. Insomma, voglio dire che la vera rivoluzione sarà solo se riusciranno a restare donne.
Sembra un paradosso, vero? Come si fa a non parlare con la propria voce, a parlare con la voce di un altro? Eppure capita alle donne soprattutto in politica, perché la politica è sempre stato il mondo degli uomini, il mondo del loro potere, delle loro decisioni. E non ha importanza se queste decisioni hanno portato a dei grandi disastri, se scelte sbagliate hanno prodotto milioni e milioni di morti. Comunque gli uomini si sentono autorizzati alla politica e pensano che quello sia il loro territorio, la storia di tanti errori non riesce a delegittimare questa loro certezza. Di fronte a tanta sicurezza, le poche donne che fino ad oggi sono entrate a fare parte di questo mondo, hanno finito per parlare con un‘altra voce. C’è da dire che viene quasi naturale, come entrando in un coro, spontaneamente si segue la voce dominante. Ci sono state delle eccezioni luminose verso le quali ogni donna è debitrice, ma queste eccezioni non hanno fatto ancora la rivoluzione. Così chi ci governa è ancora lontano dalla vita quotidiana, sa poco di cosa succede nelle case, ha magari il sapere dei numeri, o la sua presunzione, ha, o crede di avere, l’arte delle alleanze, ma non ha la voce del racconto, né la capacità di saperla ascoltare. Le donne al seguito.
Con questa storia dei numeri che, avrete capito, io uso come artificio retorico, non vorrei deludere la mia amica Linda Laura Sabbadini, perché lei è una di quelle persone che ai numeri mette l’anima, consegnandoci un paese più leggibile seguendo parametri di pura umanità.
Personalmente soffro quando sento rivendicare la formula del 50 e 50. Detta così, sembra un’arroganza, una spartizione ladronesca, tanto a me tanto a te, un gesto di giustizia rudimentale, la giustizia dell’invidia, bassa, la definirebbe Simone Weil. Si tratta, in realtà, di un’idea tutta nuova, inedita alla storia, del governare insieme di uomini e di donne, non perché gli uomini e le donne sono uguali, ma proprio perché sono differenti, due corpi differenti, due storie differenti, due sguardi differenti. Anche la formula di “democrazia paritaria” con cui si vuole significare questa nuova teoria di governo, non mi soddisfa, perché l’idea della parità è talmente estranea alla realtà umana che questa formula finisce per significare una sorta di idealità troppo astratta. L’”insieme” di cui si parla non sta a garantire un mondo più giusto, ma solo un mondo più equilibrato, che funzioni meglio per tutti, garantito dal doppio sguardo di due esseri che sono sempre stati vicini, ma non sono stati mai vicini per governare i beni comuni, i beni, cioè, che appartengono a tutti coloro che condividono l’esperienza umana, finalmente senza servi, né serviti.
I segretari dei partiti che hanno accolto questa idea, sono stati più conformisti che veramente interessati, non hanno capito la portata rivoluzionaria di una teoria come questa. Passare dalla civiltà dell’uno alla civiltà del due, è un cambiamento epocale. Non ho registrato né commozione né sgomento.
E le donne ne saranno all’altezza? Il gioco è tutto in mano loro.
Personalmente credo che a salvarci dalla crudele deriva liberista potrà essere solo il sapere delle donne e il loro modo di stare al mondo, se le donne, però, riescono a coglierne il valore. Ma sapranno rendere i racconti che hanno ascoltato, che hanno fatto, strumenti di una politica più attenta alla vita? Sapranno armonizzare la politica dei racconti con la politica dei numeri? Sapranno non dimenticare di essere donne? Altrimenti non vale la pena, meglio sarebbe fare altro.
Certo per loro il compito non è facile, ma le donne hanno una chance in più, secondo me.
Gli uomini hanno dietro di loro un’età dell’oro che è sfuggita per sempre dalle loro mani, legata a un ordine che non c’è più. Questo ordine voleva le donne sottomesse, a casa con i bambini sorridenti o al giardino, con pochissima istruzione, che tanta non serviva, donne dall’intelligenza disinnescata, che non potevano amministrare i loro beni, che non potevano deporre in tribunale, sempre a totale disposizione per desideri, capricci e soprattutto servizi. Rarissimi uomini nella storia hanno sofferto per le condizioni misere delle donne. Questo ordine ogni onest’uomo lo rimpiange nel segreto della sua anima ancora oggi, anche se non tutti sarebbero disposti a confessarlo. Per questo sentimento segreto le donne ai loro occhi, nel mondo della politica, ma anche in quello degli affari, anche in quello della scienza e dell’arte resteranno delle intruse chissà per quanto tempo ancora. Per loro siamo ancora disordine. E’ bene non dimenticarlo, dovendo fare “un insieme”
Noi donne invece non abbiamo niente da rimpiangere, nessuna età dell’oro alle nostre spalle, nessun ordine ci fa nostalgia, proprio per questo possiamo guardare avanti ad occhi asciutti con animo saldo e piede leggero. Questa è la nostra forza, basta cercarla dentro di sé. Possiamo vincere un premio Nobel, ma anche raccontare la vita vera come nessuno, perché nessuno la conosce come la conosciamo noi. E poi apparteniamo a quel popolo eletto che si lava le sue mutande da sé e continueremo a lavarcele, per vanto, per tigna e per orgoglio. E questa non è una metafora.
Un grande augurio a tutte le donne che saranno elette, che possiate fare del vostro meglio”.