(vignetta di Gianfalco)

 

Ha picchiato duro la mia amica Flavia Perina, giornalista (ha diretto “Il Secolo d’Italia” e condiretto AdnKronos) ed ex-deputata.

Con un aspro fondo su Il Fatto Quotidiano (Scusate, sulle quote rosa ci siamo sbagliati), si è definitivamente congedata dalla politica delle quote, all’apparenza molto successful: mai tante donne nel governo nazionale e nelle giunte locali, un 40 per cento medio di candidature femminili nelle liste per  le imminenti amministrative. Insieme a tante altre, me compresa -ci ho scritto pure un libro- Flavia ha creduto in quest’azione positiva, ha lottato per quella “massa critica” di donne che avrebbe dovuto finalmente cambiare la politica.

Nel suo fondo ride amaro su quella candidata “che ai gazebo regala pacchi di pasta da mezzo chilo con la sua fotografia sopra“. Su Adelina Putin (Fratelli d’Italia, Veneto) “che fa i volantini con su scritto: finalmente puoi votare Putin“. Sull’ex-centrodestra oggi candidata in Puglia con Michele Emiliano che “strizza l’occhio agli elettori da un manifesto che dice: Alla Regione provaci con una donna“. E sulla veneta che “va oltre con un temerario: In Regione, donne senza gonne“. C’è anche la candidata-nazione: “la mitica salumiera Adelina Cerrone, candidata al Comune di Eboli insieme con un sindaco di destra ma anche alla Regione Campania in una lista che sostiene la sinistra (e assolutamente convinta che sia normale)“.

E conclude: viene spontaneo fare il mea culpa per aver sostenuto le quote rosa con infiniti bla bla bla sulle pari opportunità e la promozione delle donne in politica come fattore di rinnovamento. Perché se lo standard è questo -pacchi di pasta e sissignore al leader- le signore sembrano in grado di competere perfettamente alla pari con i signori, senza bisogno di aiutini speciali, e pure con la marcia in più del potersi sfilare la gonna: una cosa che da noi funziona sempre“.

La questione si propone anche ai piani alti” dice Perina. “In Veneto e in Liguria, per esempio: ci sono due candidate presidenti che se la giocano al top. E poi nel suo videospot “dobbiamo guidare il Veneto” Ale Moretti si accomoda diligentemente in auto dalla parte del passeggero, e la guida la lascia a Matteo Renzi. Chi sta guidando, allora? Una cosa inimmaginabile nel caso di Ada Colau, la nuova sindaca di Barcellona, e per quella di Madrid. O per Merkel, per la leader scozzese Nicola Sturgeon, per Marine Le Pen… Ho lottato molto per le quote: i risultati sono questi? Dov’è la discontinuità con le prassi correnti?”

Ma anche nei Paesi che tu menzioni sono state applicate azioni positive: forse Colau non ci sarebbe senza la forzatura del 50/50 di Zapatero. Quasi ovunque è stato necessario passare dalle quote. Certo, con risultati meno deprimenti.

L’Italia negli ultimi vent’anni ha fatto tali passi indietro che perfino uno strumento a favore delle donne diventa un boomerang, si traduce in “provaci con una donna”. Una specie di eterogenesi dei fini. E poi è chiaro che finché le donne le sceglieranno gli uomini le cose andranno così. Non candidano certo Sturgeon, non vogliono tra i piedi donne assertive, indipendenti e che possano fare loro ombra“.

Rompicoglioni.

“Esatto. Rompicoglioni che cambino il linguaggio, i codici, le agende della politica”.

Sono d’accordo con te: è arrivato il momento di tirare qualche somma. Ma più che sulle idiozie da campagna elettorale terrei lo sguardo su un fatto (ne ho scritto qui e pure qui): la situazione delle donne italiane è molto difficile su tutti i fronti, dall’occupazione ail welfare ai diritti, proprio nel momento del governo più femminile di sempre.

“Il punto è che nelle istituzioni sono entrate quasi esclusivamente donne che non hanno mai creduto nelle battaglie del femminismo: il rettore della Sapienza che entra a far parte della giuria di Miss Università, una cosa assurda. Ma non ho visto commenti di deputate o ministre. Solo tre o cinque anni fa sarebbe saltato il banco. E’ anche il portato del rinnovamento generazionale: cosa buona e giusta, ma al principio estetico -per le donne il tema bella presenza è inaggirabile e onnipervasivo- ha tagliato fuori un’intera generazione di donne magari meno appealing per ragioni di età, ma preparate e assertive. Che per esempio sul tema dell’occupazione femminile avrebbero voluto e saputo combattere”.

Quindi? Che fare?

Si deve ammettere che questo modello non va. Fare autocritica. Negli Stati Uniti vedremo probabilmente due donne sfidarsi in campo democratico, e forse alle presidenziali. Qui siamo a questo punto”.

Non diresti piuttosto: abbiamo visto che le quote non bastano? Di qui dobbiamo partire per andare oltre? Dobbiamo lavorarci sopra? Perché poi la politica maschile non vede l’ora di sbarazzarsi anche di questo minimo vitale… Ci sono ancora giunte monosex, in giro.

“Non so. Quello che è certo, le quote non sono state un fattore di rinnovamento della politica e di progresso per la cittadinanza femminile”.

Poi c’è da capire come può fare una ad entrare in politica se non per cooptazione, parentela o supplenza di mariti, padri o fratelli incandidabili.

“In Italia mancano modelli riproducibili. L’autocandidatura è possibile solo se sei già forte sul tuo territorio, se hai già alle spalle un consenso coltivato per decenni. La bassa qualità delle elette dipende anche dal fatto che le donne di valore, consapevoli dei meccanismi di selezione, non perdono tempo con la politica e preferiscono investire il loro patrimonio di talento in altro”.

Forse il modello potrebbe essere questo: una donna che si fa avanti da sé con le sue ambizioni di governo e in forza della sua differenza femminile, con il sostegno di un’ampia rete di donne.

Ci vorrebbe una donna forte e assertiva, che vuole governare, capace di attivare sentimenti profondi nelle altre, di contrastare scetticismi e sfiducia e di aprire la strada. Davvero credo sia l’unica possibilità. In ogni caso resto convinta che si debba uscire dal modello normalizzante delle quote, in cui il tuo essere donna diventa funzionale al potere maschile. Le quote sono state solo la normalizzazione di un problema aperto. Che resta aperto, perché non si è risolto niente”.

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